Musa - Pensieri di un artista
Vengo da molto lontano.
Da un luogo dove non c'erano soluzioni.
Ho imparato che, a parte la morte, ogni problema ha almeno una soluzione. Nei casi più difficili occorre pazientare, ma, grazie all'impegno e alla lucidità, prima o poi una soluzione si manifesta. Questa è la cosa più importante che ho imparato grazie a te, che sei il mio Infinito. Grazie, Marinella...
Alla mia compagna,
che non si è mai arresa.
Alla mia Bambina,
che aveva diritto di giocare.
Alla mia eterna Ragazza,
che girava il mondo,
con lo zaino in spalla.
Alla Donna,
che ha reso possibile l’improbabile.
Alla mia Musa,
la cui Bellezza supera la mia fantasia.
Alla Persona,
che non ha mai smesso di credere in me.
che non si è mai arresa.
Alla mia Bambina,
che aveva diritto di giocare.
Alla mia eterna Ragazza,
che girava il mondo,
con lo zaino in spalla.
Alla Donna,
che ha reso possibile l’improbabile.
Alla mia Musa,
la cui Bellezza supera la mia fantasia.
Alla Persona,
che non ha mai smesso di credere in me.
Ciao, questa sezione è stata aggiornata fino a comprendere l'ultimo momento del mio Romanzo, per una prima lettura cui seguirà nuovo materiale. Ti auguro buona lettura e grazie di essere fra queste pagine...
¡Buen viento, Marineros!
Questa pagina ha una veste grafica in allestimento.
Salve, Viandanti e Ricercatori del Sole!
Come state?
Io sono in Umbria e sto ricordando momenti della mia adolescenza. Oggi inauguro una nuova Sezione, intitolata “Romanzo - La lettura”, nella quale presenterò scampoli dell’opera “Musa - Pensieri di un artista”, che ho pubblicato ad Aprile. Spero possa essere interessante, per chi sarà curioso di entrare. Questa sezione del sito nasce da una idea della mia Compagna, che mi ha proposto di postare stralci letterari del Romanzo. In questi giorni, a volte, sono solo, nel silenzio della mia casa e penso. Rifletto su quanto sia stata importante la costruzione del Romanzo "Musa - Pensieri di un artista", che ha interessato due anni della mia vita, con tutta la musica che ne è poi scaturita.
Dopo mesi dalla pubblicazione, le cui coordinate potete trovare qui, la mia Ninfetta mi ha suggerito di trasmettere nell'etere scampoli della mia opera letteraria e così ho cominciato a fare. Negli ultimi anni, mentre mi edificavo come persona nell'ambito dei rapporti fondamentali della mia esistenza, ho sempre di più avvertito come sconcertante lo spettacolo di un mondo voluto da un manipolo di individui che non amano l'Umanità, le sue aspirazioni legittime ed il suo sogno di poter essere una tribù felice. Per questo ho desiderato scrivere. Un canto soave già si diffonde nell'aria, a tutte le latitudini. È la melodia dei bambini che hanno diritto di stare bene. È il sentiero dalla tenebra alla Luce. È una nuova Epoca di Bellezza che attende gli uomini, per celebrare la Verità, la Giustizia e la Bontà. Io spero di poterci essere quando le persone si abbracceranno, sulle note dell'Inno alla gioia di Beethoven per sognare nuovi orizzonti e nuovi scenari. Una vita altra è possibile e doverosa. Si può stare bene. Si può essere felici. Si può ancora fischiettare mentre si pedala in bicicletta.
1°. Oggi presento l'Incipit del Romanzo. Mi ricordo bene la situazione in cui lo scrissi. Ero a casa mia, in una tiepida giornata di Aprile, avevo da poco concluso una composizione musicale e scrissi di getto una pagina, che spedii subito alla mia Musa, che la lesse e mi rispose dal lavoro. "Musa - Pensieri di un artista" è il ritratto psicologico dei protagonisti: un uomo e una donna che si amano e sono alla ricerca di un mondo tutto loro. Questo libro è un profondo atto d'Amore. È un'opera sulla possibilità di realizzazione della persona. Pubblico inoltre la prima pagina della Prefazione.
Inizio prefazione
“Certe cose sono da grandi anche per gli adulti.”
- W. Bion -
- W. Bion -
Può un individuo essere felice? Può vincere, nel terzo Millennio, un sistema di potere, basato sul profitto, che sembra disinteressarsi della sorte dei popoli? Si può vivere strutturando una Identità sana in sé, che ci permetta di camminare uniti come una sola tribù verso una Nuova Era di Luce, nella quale non ci sia più menzogna ed inganno? Queste sono le tre domande centrali del romanzo «Musa – Pensieri di un artista», cui l'autore risponde con una visione, figlia di una Poetica, che lo conduce ad immaginare un mondo altro possibile. Lo scrittore, analizzando la realtà, concepisce uno spazio futuro diverso da quello che incombe sul destino di miliardi di persone, all'inizio del ventunesimo secolo. La storia, che narra nella prosa, è quella di un essere umano in cerca di risposte, che, dopo un passato burrascoso, ha deciso di vivere per l'amore del suo nucleo familiare, costituito dalla sua compagna, il proprio figlio e sua madre. Il destino, che attende il protagonista della trama, è quello della piena realizzazione dei propri Sè buoni interni ed il messaggio universale che la storia reca altro non è che la Possibilità, da parte di tutti, di saper giungere ad una dimensione individuale di Libertà e Gioia, Consapevolezza ed Amore. In questo senso, il romanzo si staglia contro l'immondizia globale, con un forte senso psicoanalitico, dacché tutto verte intorno alla Psiche del protagonista e degli altri personaggi, delineando un percorso che determini la liberazione dal male ontologico di questa società alla deriva. La prosa si interroga quindi sulle reali istanze dell'uomo, su ciò che lo fa stare bene, su quello che, invece, lo può portare a smarrire il senso più autentico della propria esistenza, causandogli la perdita del senno. Con il romanzo, l'autore intende porre al centro di ogni dibattito la questione Psiche, da troppo tempo trascurata. Cosa rende un bambino realmente felice? Come aiutarlo a crescere bene? Cosa farà di lui un adulto sano? Attraverso la Poetica dello scrittore, egli giunge alla costruzione di un tempio di parole, con affreschi e mosaici, immagini e folgorazioni, ispirate tutte dalla medesima percezione dell'uomo e le sue innumerevoli Possibilità. Nella prosa, alcune parole sono indicate in maiuscolo, dacché foriere di concetti di fondamentale importanza psicologica, pilastri nella costruzione dei solidi concetti legati alla tematica della mente come atrio dell'Infinito. L'esame del reale, nell'opera letteraria, è severo: il mondo si sta avviando verso l'autodistruzione, ma esiste ancora, per chi scrive, l'opportunità di cambiare verso, esortando la gente a unirsi, marciare pacifica tutta insieme, verso un futuro possibile, carico di positività, che ogni bambino si merita. Questo sistema di cose non cambierà da solo: sarà necessario l'impegno di tutti quelli che auspicano un domani migliore. Sarà doveroso impegnarsi, organizzarsi, confrontarsi, nel più assoluto rispetto della dignità dell'essere umano. La Nuova Era di Luce non sarà una magia, ma un processo lungo e forse, a tratti, doloroso, dacché si dovranno operare scelte importanti, abbandonando quella zona di conforto, da tanti anni abitata, per vie che, in un primo momento, sembreranno ostili. Nel romanzo, il protagonista si muove con assoluto rigore, prendendo decisioni difficili, sempre alla Luce della speranza di poter stare finalmente bene. La prosa è piena di speranza, per l'Umanità, dacché, in fondo, dove cammina un uomo, possono marciare tutti. Lo scrittore, con la sua visione, indica una via precisa, quella della Possibilità di guarire dalla disperazione e gustare la sensazione di essere felici. L'universalità del codice del romanzo è assoluta. Seán, il protagonista della storia, è un compositore che unisce i suoni alle parole, in una corrispondenza biunivoca totalizzante. L'artista desidera un futuro migliore per quei ragazzi, che, come suo figlio, si affacciano alla Vita, consci delle difficoltà di un mondo che sembra averli dimenticati, reclutandoli, come servi, alla mercé del capitale finanziario. La prosa è attualissima, in quanto analizza tutte le insidie di un mondo fatto di codici a barre. Tuttavia, la storia di Seán è costellata di una serie ragguardevole di vittorie, che lo scrittore descrive con dovizia di particolari, certo che il significato più profondo delle vicende possa rappresentare un suono nuovo nel grande rumore dell'inizio di un Millennio che pare voler uccidere ogni visione di Bellezza, condannando l'essere umano ad un grigiore senza soluzione di continuità. L'autore intende ricordare al Genere umano quanto sia grande la Pulcritudine che, ogni giorno, le persone possono esperire, in ogni attimo della loro esistenza. C'è, in questa fattispecie, una riscoperta dei piccoli piaceri della Vita: il gusto di una buona bevanda, la rivelazione di un colore di un oggetto alla Luce, la piacevole sensazione di tenere la mano ad una persona amata. Il messaggio complessivo dell'opera è fortemente positivo e sussurra al lettore che una nuova esistenza è auspicabile; meta raggiungibile, cosmo da edificare, con un grande sforzo, verso la Verità. Ognuno di noi sa che un abbraccio è necessariamente diverso dall'effetto di uno schiaffo. Tutti possono esperire la Bontà. Nessuno escluso. La Cura esiste per ogni essere umano e nulla è mai perduto, se si vuole stare bene. Il processo psicoanalitico, che porta l'autore a descrivere l'evoluzione umana del suo protagonista, è, in fondo, un viaggio alla ricerca delle proprie risorse di creativo. Delineando il percorso di Seán, lo scrittore indaga in se stesso, provando ad ascoltare la voce più intima del suo mondo d'Arte.
1° Stralcio
Seán e Sinéad
Alle undici di una mattina di fine Aprile, consegnava all'Umanità la sua settima Sinfonia, felice di averla composta. Bevve un sorso di caffè e si accese una sigaretta. Annotò i suoi pensieri su un piccolo ritaglio di carta, con il quale aveva scritto l'inizio di un brano musicale, quando era stato a casa della madre e aveva sentito l'urgenza di comporre con il pianoforte che, vent'anni prima, gli aveva regalato il padre. La sua ultima fatica si intitolava «Muse» ed era una composizione in quattro Movimenti: I° Movimento, 1. Largo, con vigore, 2. Allegro maestoso; II° Movimento. Andante, con moto; III° Movimento. Scherzo. Allegro non troppo; IV° Movimento, 1. Largo, 2. Vivace. L'aveva scritta in breve tempo: le idee, partorite rapidamente, si erano modellate, nel suo mondo interno, in modo compiuto, perfetto. Il mattino seguente, dopo la colazione, aveva ancora tutti i suoni della sua Musica in testa e si era rifugiato in un salutare silenzio, che è bene vivere dopo un intenso processo creativo. Nel giorno della pubblicazione dell'opera, la sera, aveva mangiato con la sua compagna, che era felice forse più di lui. Lei amava celebrare le di lui vittorie. In cucina, la mattina dopo, c'erano tutti i piatti e i bicchieri della cena, i calici con cui avevano sorseggiato del buon vino e la Luce, che penetrava dalla finestra, rendeva tutto incantevole. Era un bel giorno. La sua Sinfonia n. 6 «Timeless» aveva riscosso successo, qualificandosi quinta in una classifica di un sito per musicisti, la settimana prima. L'artista vedeva sempre più il proprio lavoro premiato e non poteva che esserne lieto. Osservare che ciò, che hai prodotto, sia apprezzato dagli altri, che spendono il loro tempo per ascoltare la tua Musica, non ha prezzo. Seán era un creativo, aveva quarantatré anni e viveva in un piccolo paesino alle porte di Galway. Sinéad lavorava in una azienda e l'artista, spesso, da casa, le scriveva un bizzarro messaggio di buongiorno, con amore, perché, fra i due, c'era molta leggerezza, che li portava a ridere allegramente di tutto ciò che li circondava. La ragazza gli rispondeva con toni leggiadri. I due si amavano davvero tanto. Avevano deciso di volare sulla superficie delle cose, loro, che, con un vissuto da superstiti, erano stati abituati, da vicende familiari e storiche, ad osservare l'abisso da vicino. Il musicista ripensò agli amici, vicini e lontani e li abbracciò idealmente. Era sicuro che una Nuova Era di Luce si sarebbe manifestata contro le idiozie sadiche dei potenti del mondo e si sentiva pronto a dare il suo contributo. Sinéad era con lui. I due sarebbero stati in prima linea, nel momento di camminare insieme con tutta l'Umanità bella, che non vuole essere più schiava degli aguzzini. Era un momento storico importante, il 2017 e Seán lo sapeva molto bene. Il Neoliberismo stringeva la sua morsa, la gente stava male e urgeva una nuova azione mondiale, pacifica ma inesorabile, contro gli oppressori. «La mia Arte sia militante» riflesse Seán, ché sapeva che ogni stilla di Pulcritudine dovesse essere salvata. Lo scopo della creazione dell'artista non era intrattenere, bensì risvegliare. Il suo primo album lo aveva intitolato «Awakening», «Risveglio», in quanto sentiva forte la necessità di affidare al mondo un'opera degna della Nuova Era di Luce, ove ogni bambino potrà vivere felice, senza gli assalti di coloro che intendono minare le fondamenta dei nuovi virgulti dell'Umanità. Sperava in un mondo giusto. Ambiva ad un'Arte vera che potesse indicare la via a tutti quelli che desiderassero essere felici nel rispetto degli altri. Sinéad era del suo stesso avviso. I due si muovevano in perfetta armonia, come due voci dello stesso contrappunto di Bach. Seán aveva scoperto da poco la funzione rivoluzionaria della sua Arte. Aveva parlato a lungo di Rivoluzione, negli ultimi nove anni, con una sua amica, Crón, e i due si erano trovati d'accordo sull'analisi dello status quo, senza però riuscire a scoprire quale potesse essere il piano attuativo per giungere a una società equa ed ammirevole. L'artista, il giorno prima, aveva scritto il participio presente militante sul proprio sito, uscendo allo scoperto. Sinéad lo spronava. Era bella. Era rossa, dentro. Un rosso splendido, caldo, avvolgente. Aveva una intelligenza superiore. Era analitica. Non escludeva nessuna possibilità. Teneva in debita considerazione tutti gli elementi di una struttura da esaminare. Lei, il destino compiuto di Seán. Scintillante come una fiamma e verde come un pascolo gaelico.
2° Stralcio
Il sogno
«Ci vuole proprio, invece, il canto possente di una Sinfonia, in questo mondo di rumori assordanti» scrisse sul suo piccolo quaderno rosso. Si mise all'opera. Scrisse tre minuti e quarantadue secondi del primo Movimento della nuova Sinfonia. Fu soddisfatto. Abbandonò la partitura. Si diresse verso le finestre, per ammirare lo spettacolo della pioggia. Acquerugiola finissima inondava i pascoli e le città. Lo spettacolo della pioggia sull'oceano era maestoso. Lui se ne ricordava. Seán era in ascolto. Era uscito, quella mattina, e aveva sentito un quattro quarti delicatissimo della pioggia battere sul suo ombrello. Riflesse su come le note dell'acquerugiola fossero tutte uguali e tutte pungenti, come uno staccato di flauto traverso. Il suo venerdì di partenza si avvicinava. L'uomo avrebbe finalmente riabbracciato sua madre e suo figlio. Un uccello cinguettava una quinta, là, fuori, nel giardino. Aindreas era tornato la sera prima dalla sua gita scolastica e l'artista sperava che il figlio stesse bene. «La «Sinfonia n. 8, «Homeland», deve essere maestosa e comunicare una luminosa idea di mondo» annotò sul suo quaderno rosso, che stava diventando sempre più importante, un vero diario delle sue intuizioni. Scrisse a Sinéad dei messaggi spiritosi. Immaginarla sorridere durante la lettura di quei piccoli periodi lo faceva stare bene. Era bellissimo il suo sorriso di Donna. Lanciava un segnale di apertura. La sua risata, poi, era un'esplosione. Seán continuava a pensare al suo sogno. La sorte delle sue opere lo inquietava. Sarebbero andate al macero? Le avrebbero dimenticate? Sarebbero state riscoperte? Lui non sapeva. Conosceva solo il suo sforzo di seminare bene. Considerava i suoi segni d'Arte materia pulsante. Si lavò le mani ed il viso: adorava sentirsi fresco. Iniziò a scrivere il secondo capitolo del suo nuovo racconto. L'idea di Sinéad gli teneva compagnia. Lei era la sua immagine interna di Musa. Inviolabile. Compiuta. Sinfonica. La sua ottava Sinfonia avrebbe dovuto emanare lucentezza. La immaginava già finita. Splendida. Commovente. Trionfante. «Come tutta l'Arte della Nuova Era di Luce» si sorprese a pensare l'artista. L'uomo era lieto. Quella sera avrebbe avuto a cena la sua compagna e avrebbero giocato a fare i cuochi. La dimensione di leggerezza, fra i due, era purissima. Liberavano il proprio bambino interno. Ridevano. Seán non si sarebbe mai immaginato di poter essere così aperto, a quarantatré anni. Sognava spesso di lasciare, in punto di morte, tutte le sue opere in eredità ad Aindreas, col messaggio di occuparsi della loro diffusione. Era terrorizzato dall'oblio. Ogni volta che questo pensiero si manifestava, l'uomo si consolava pensando che, comunque, tutta quella immensa mole di lavoro era per lui, per il suo bene, per sentirsi soddisfatto di sé. Era un artista vero. Non avrebbe saputo fare altro. Non avrebbe voluto. Fece una pausa. Si allontanò dalla sua scrivania. Andò a bere un bicchiere d'acqua fresca. Si immerse nella scrittura. Compose una sezione di archi pizzicati. La nuova Sinfonia stava iniziando a rappresentare perfettamente la sua Landa, terra del cuore. Pensò che il pizzicato degli archi fosse la migliore descrizione della pioggia di quel giorno. Riascoltò i pochi minuti del primo Movimento. Decise che avrebbe fatto buon uso dei modi greci, un sistema armonico che gli offriva tante diverse soluzioni. L'aria era fresca. Pensò a Sinéad con l'ombrello, sotto l'acquerugiola. Fece una riflessione su come un pittore avrebbe dipinto un acquerello del paesaggio che lui vedeva dalla finestra del suo studiolo. L'eco dell'oceano era forte, là fuori e dalla spiaggetta, che frequentava, se ne poteva sentire la voce poderosa, in continuazione. Tinte tenui gli avvolsero l'immaginazione. Il verde acqua. Il cromatismo ceruleo del cielo, dopo l'acquazzone. Le sfumature di grigio delle nuvole erranti. Spiovve e i colori riemersero. La Luce del Sole era potente, quasi abbacinante. Tutto tornò ad avere una tinta precisa. Il verde degli alberi era intenso. Pensò al silenzio del suo bosco dopo il temporale. Lavorava da quattro ore, era già stanco. Si concesse una pausa. Andò a vedere il buffo tronco dell'albero del giardino sotto casa. Il giorno dopo, un Sole possente illuminava il grande promontorio del Connemara. Seán si svegliò presto, per continuare a scrivere il primo Movimento della sua ottava Sinfonia, «Homeland». Aggiunse una sezione ritmica, con varie percussioni, e provò a immaginare, nella sua composizione, una unità micropolifonica, dacché era affascinato dalla complessità del pensiero musicale di Ligeti. La Micropolifonia, da lui inventata, era una avanguardia armonica del Novecento. L'uomo si sorprese a pensare piccole varianti polifoniche dei legni su un tessuto di archi. Chissà se avrebbe provato anche lui a scrivere con quei dettami acustici? L'idea lo affascinava. Scrisse a Sinéad messaggi spiritosi di buongiorno. Un amico, da Cork, gli aveva proposto di incontrarsi, nei giorni in cui l'artista sarebbe stato lì. Tutto fluiva nel modo desiderato dall'uomo. Il pensiero della sua compagna lo faceva essere di buon umore. Non era più solo. Non era più quello che scriveva cose strane ed obsolete. Non era più strano. Aveva una Donna splendida che lo amava alla follia. Era padre di un meraviglioso ragazzo. Viveva di segni d'Arte... Un uccello si era posato sul davanzale della finestra dello studiolo, emettendo sibili. All'uomo parve un ottavino. In quel momento, ogni sua tensione emotiva si rivolgeva al primo Movimento della ottava Sinfonia. Seán pensava costantemente alla sua composizione, con un afflato maestoso. Voleva fosse bella. Desiderava comunicasse. Già se la immaginava perfetta e compiuta. L'aggiunta di un modulo percussivo aveva conferito, al primo Movimento, una tonalità cromatica interessante, per l'artista, che bramava una miriade di colori per la sua composizione. La sentiva come un quadro di Kandinsky. Nei giorni precedenti, aveva dipinto anche lui, creando la copertina per «Atmosphere». Sorrise. Il suo processo creativo stava esplorando Lande nuove, modelli desueti, strutture originali. Sentì sua madre al telefono. La signora gaelica stava bene. L'artista era rinfrancato. Dovevano stare tutti bene. Era il suo obiettivo. Non avrebbe permesso che le difficoltà facessero star male qualcuno del suo nucleo fondativo. Guardò fuori dalla finestra e vide una luce chiara irradiarsi lungo il viale. Era lieto. Scrisse a una sua amica, che lui chiamava «Puella Silvae», «La fanciulla della selva» e la ragazza rispose con un sorriso. Shayla, questo il suo vero nome, era una presenza importante nella Vita dell'artista, che la stimava. «Il mondo, quando cambi, cambia con te» scrisse l'uomo in una pagina del suo nuovo racconto. Seán si era trasformato mille volte, nella sua esistenza, per esigenza e per volontà. Era cresciuto, divenendo uomo. Si era costruito un mondo interno buono, per non morire. Era sempre alla ricerca di qualcosa di interessante. Voleva essere ricco, come un saggio, bello come un'aurora sul mare, profondo come l'oceano. L'indomani si svegliò presto. Aveva fatto un sogno interessante, con antiche presenze della sua vita, che risalivano al periodo del liceo. Sognava spesso di doversi preparare per due anni consecutivi all'esame finale. L'artista era andato in centro. Aveva comprato i biglietti del treno per il giorno successivo, quando avrebbe riabbracciato sua madre e suo figlio. Era emozionato, come in ogni vigilia di partenza. Voleva che suo figlio potesse vedere un padre realizzato, maturo, pieno di Sé buoni e desiderava coccolarsi la madre ora piuttosto indebolita. Avrebbe lasciato solo il suo primo Movimento della nuova Sinfonia, per qualche giorno, ma si sarebbe portato quaderno pentagrammato e matita, per comporre, nei ritagli di tempo, al pianoforte che gli aveva regalato suo padre Connor quasi trent'anni prima. L'autore ricordò, con un sorriso, l'affetto con cui suo padre lo ascoltava suonare, quando era adolescente. Seán amava quello strumento. Era stato fedele compagno di tutta la sua giovinezza. Bach e Chopin, suonati amorevolmente, ancora se li ricordava. Rimembrava quanto fosse felice il padre di ascoltarlo eseguire brani dei Pink Floyd e dei Beatles. Andò in cucina a sorseggiare del buon caffè. Si accese una sigaretta. Partire significava anche stare qualche giorno senza la sua compagna. L'artista le scrisse, dandole il buongiorno. Era come guardare un oggetto a distanza di qualche metro. Si vedevano bene i suoi contorni. Sinéad era sempre contenta quando lui partiva: conosceva l'importanza dei suoi legami familiari. I due si staccavano per un po', per poi tornare a viversi con maggiore intensità. Il suo file musicale del primo Movimento era splendido. L'esperimento di Micropolifonia non era del tutto riuscito. Aveva rispettato i dettami, ma, alla fine, la sezione somigliava di più a una pagina sinfonica ottocentesca. «Forse non sono ancora pronto per comporre alla Ligeti» scrisse l'uomo sul suo quaderno rosso. Sorrise, pensando quante cose belle avrebbe ancora potuto imparare. Era in continuo ascolto. In totale immersione nel proprio mondo buono. Felice. Aperto. Pronto. Diede il buongiorno a Puella Silvae, che gli rispose con umorismo. Era quasi giunto il momento di sentire al telefono sua madre. Si concentrò sul suo progetto. Avrebbe scritto anche a casa di sua madre, ne era sicuro. Aveva due cuori, in quel momento: la sua nuova Sinfonia ed il racconto. Doveva condurre entrambi alla perfezione. Il cielo era plumbeo. Minacciava temporali. Il verde degli alberi, irradiato da una luce fosca, era scurissimo. Si ricordò dell'aria caliginosa che avvolgeva il suo bosco d'inverno. Pensò a suoi amici, tutti così diversi da lui. Certe volte credeva di essere un alieno, ma poi Sinéad lo rassicurava: era il mondo ad essersi reso altro da sé, non loro. Della sua compagna amava la certezza. Raramente esprimeva dubbi. Era come se le risposte, maturate nel tino del suo inconscio, fossero perfette, cristallizzate, incontrovertibili. Seán amava la di lei Psiche. Era avvolgente. Lucente. Rossa. Era lei la sua Donna. Non c'era dubbio alcuno. Qualsiasi essere umano, dopo di lei, non avrebbe suonato la Musica di Sinéad. Seán lo sapeva. Ne era profondamente convinto. Era unica la sua compagna. Era tutto ciò che lui desiderava. Era. I due si scrissero. Quando lei era libera, durante il lavoro, fra le pieghe delle pause, gli mandava degli esilaranti messaggi, grazie ai quali l'uomo continuava a fare le sue cose con il buon umore. Una luce grigia invadeva i pascoli. L'artista immaginò la sua Landa con tinte scure. Sorseggiò un caffè nuovo comprato per lui dalla sua compagna. Pensò alla struttura del suo nuovo racconto, meditò e tutto gli parve sensato, puro, cesellato. Era al secondo capitolo. Sentì forte l'esigenza di scrivere di sé, delle sue esperienze, della sua esistenza. Un artista che lascia semi in terra lungo il proprio sentiero. Questo voleva essere. Questo sarebbe stato, infine. «Atmosphere» era in rete da qualche giorno. Qualche amico lo aveva ascoltato, anche se non tutto. L'ottava Sinfonia, nel suo primo Movimento, era bella. La sigaretta creava circoli di fumo e venne rapito dal ricordo della pubblicazione del suo primo racconto, nove anni prima. Allora, gli giunse una mail, da un editore al quale aveva spedito il manoscritto e, leggendone le prime righe, sobbalzò. La casa editrice lo voleva pubblicare data la qualità della narrazione e il ritmo che l'autore era riuscito a conferire allo scritto. Lesse di nuovo la mail. Voleva essere sicuro di aver capito bene. Quando fu sicuro, andò nella cucina di sua madre, esclamando, con gioia: «Mamma ci pubblicano!». Fu un momento folgorante. Più tardi a pranzo, l'artista lo comunicò anche a suo padre, che sprigionò gioia, in esclamazioni di vittoria... Il suo genitore viveva per Seán, lui questo lo aveva tenuto sempre presente. Ogni sua vittoria era anche una vittoria del padre. Quanto amore aveva vissuto... Quanto bene... Quanto desiderio di farcela... La Luce tetra non accennava a cedere il passo al Sole e l'uomo guardò il viale.
3° Stralcio
Il dilemma
Il giorno dopo si decise a comporre. Scrisse poco più di due minuti di musica: l'incipit del secondo Movimento dell'ottava Sinfonia, «Homeland», intitolato «The great circle». Lo riascoltò, gli piacque. Il suo pensiero rapido si mosse, mentre fumava una sigaretta, a quella moltitudine che lui aveva iniziato a chiamare gli altri. Li guardava come alieni. Non poteva immaginare che la Vita di un essere umano cominciasse e finisse dentro un centro commerciale. Non era in grado di capire chi volesse mangiare pane e cipolla per comprarsi l'ultimo suv. Non era quella la vita che lui avrebbe voluto per sé. «Ma forse hanno ragione loro! Forse è così che si fa nel terzo Millennio per essere parte di un tutto!» pensò, mentre immaginava la gente riempirsi casa di armi per sentirsi più sicura. Il dilemma lo avvinse. In fondo, lui e i suoi cari erano una minoranza che si contrapponeva a una miriade di persone che credevano che la colpa della crisi in Grecia fosse del popolo greco. «Noi saremo sempre minoranza, e comunque no, non hanno ragione loro con le loro borse da mille euro cucite dai bambini di qualche piccolo laboratorio in Bangladesh...». Era nauseato. Le notizie dal sistema dipingevano un'Umanità sempre più china, riversa, esangue. L'uomo assisteva incredulo. Non avrebbe mai immaginato che la marcia trionfale dei potenti potesse essere così rapida, in una ascensione immediata, verso una vittoria schiacciante sulle sorti dei più. Si parlava di armi. Gli Stati Uniti, pochi giorni prima, avevano venduto miliardi di dollari di armi all'Arabia Saudita. C'era aria di guerra, in giro. «Farei prima a fregarmene di tutto, comprarmi un jeans firmato e andare in giro a bere e fumare» scrisse sul suo quaderno rosso, infallibile ed amaro. «Già... Ma poi cosa sarei? Sarei uno dei tanti automi che disprezzo. Vivrei un'esistenza fatta di superficie dorata, mentre io cerco l'incanto della profondità...» aggiunse nella prima pagina del terzo capitolo del suo racconto. Il file del secondo Movimento era ancora aperto, sul suo Mac. Riascoltò l'incipit. Lo trovò quanto mai espressivo. Era arrabbiato, quel giorno. Non poteva sopportare le immagini dei potenti, che si stringevano la mano, felici di portare la Terra sull'orlo dell'abisso, mentre a Manchester si contavano ancora le vittime dell'ennesimo attentato terroristico. La morsa era strettissima. Il cappio annodato. Si sarebbe ribellato fino alla fine. Non lo avrebbero mai avuto. Si sedette. I pensieri rapidi si affastellavano in testa come farfalle. Pensò al sorriso di Sinéad, alla voce da giovane uomo di Aindreas e si concesse requie. C'era un mondo da rifondare, ma non doveva accadere tutto quella sera, Seán lo sapeva bene. Respirò. Avrebbe risposto: «Presente!», con entusiasmo, il giorno in cui sarebbero stati chiamati gli artisti della Nuova Era di Luce. La fine della pagina era lontana. L'incipit del suo Movimento bello. Quella sera avrebbe avuto la sua compagna a cena. Aveva fatto spesa. Avrebbe salvato il suo nucleo. In quell'inizio di terzo Millennio, fare in modo che i suoi cari stessero tutti bene era già un grande traguardo. Bevve del buon vino. Attendeva che la sua Donna gli scrivesse. Il suo orario di uscita dal lavoro si avvicinava. Sognava che il Genere umano rompesse le proprie catene, ma, forse, troppi di loro, là fuori, non erano pronti... Forse davvero non immaginavano che ci potesse essere qualcosa oltre una polo firmata Lacoste... I giorni passavano, le sue idee rivoluzionarie si plasmavano sempre di più, come cera fra le sue mani. Avrebbe parlato della situazione globale con il suo amico greco Yòrgos, di lì a poco. Il dilemma, quel pomeriggio, lo assalì. Non poteva accettare che ci fosse una forza immane capace di affossare sempre di più i sogni dell'Umanità. Da quando era iniziato il terzo Millennio, l'uomo aveva spesso pensato: «Questo sarà l'ultimo gradino in basso, dopodiché il Genere umano si rialzerà», ma, puntualmente, si andava sempre più giù, abituandosi al peggio. Credendo il peggio normalità. Svuotando le parole per camuffare il vero senso del tutto: la disfatta. Seán credeva che fosse necessaria la rinascita di una forza politica mondiale capace di parlare dei veri sogni dell'essere umano. Capace di empatia. Calore. Amore. Seguiva movimenti sotterranei che cercavano la Luce. I loro programmi erano tutti buoni, ma occorreva rendersi noti alla gente. Alcuni avrebbero seguito, altri no, ma questo è il rischio di voler fare la Storia. L'artista aveva riletto scampoli degli ideologi comunisti europei, trovandoli quanto mai attuali. Occorreva ripartire da lì. Molti li avrebbero definiti obsoleti, come le Sinfonie che l'artista scriveva, ma tant'è! Non si può piacere a tutti... Si accese una sigaretta. Aveva finito la sua pagina. La rilesse. Fu soddisfatto. Andò a fare un giro su Facebook. Il giorno dopo, ripensò all'incipit del secondo Movimento dell'ottava Sinfonia. Si ritenne soddisfatto. «The great circle», il secondo Movimento dell'ottava Sinfonia, comunicava già molto, nonostante fosse poco più che un embrione. Era nel silenzio. Il ticchettio puntuale dei tasti del Mac gli teneva compagnia. Si percepì in armonia col tutto. Era stato in centro e aveva parlato con un suo amico. La giornata era splendida. Il suo pensiero volò a Sinéad, la sua Musa. La sua prorompente carica vitale lo stupiva in continuazione. Era energia. Luce. Armonia delle parti. Il suo incedere danza di una grazia ineffabile eppur certa. La prima volta, nove anni prima, l'artista l'aveva guardata negli occhi, comprendendo che lei non lo avrebbe ucciso, come recitava un verso di una canzone. La loro storia d'Amore era pura poesia. Sinéad aveva un artista che la cantava. Non cercava altro. Seán aveva una costante fonte di ispirazione. L'aveva cercata per tutta la Vita e non se la sarebbe certo lasciata sfuggire. Nel 2018, avrebbero festeggiato dieci anni di fidanzamento. «Un gran bel traguardo!» pensò l'artista, sorridendosi allo specchio dell'armadio. L'uomo era in equilibrio. Tutto scorreva. Si chiedeva come sarebbe stato convivere, per qualche giorno, con il suo amico greco, Yòrgos. I due erano profondamente diversi, ma avevano una piattaforma comune di ideali. Si mise all'opera. Voleva scrivere il suo racconto. La sua testa era limpida. Il rumore leggero dei tasti del Mac l'unica musica che volesse ascoltare, in quel momento. Andò in cucina a sorseggiare del buon caffè. Si rinfrescò il viso. Amava la sensazione che l'acqua lascia sulla pelle. Riordinò le idee. Era lucido. Attivo. Presente. Aindreas era alle prese con le verifiche scolastiche, che gli procuravano stanchezza. Il padre gli aveva fatto coraggio, esortandolo a studiare fino all'ultimo giorno. La scuola era troppo importante, per il giovane, che voleva essere formato bene, per affrontare al meglio il suo futuro. A Seán, vennero in mente alcune parole sui ragazzi, che li spingevano a fare dello studio il loro principale obiettivo, perché, per la Rivoluzione, ci sarebbe stato bisogno di giovani preparati ed entusiasti. Il ragazzo si stava costruendo. Dietro ogni risata, pagina da leggere, o cena con gli amici, stava elaborando la propria immagine interna di uomo. Il padre era fiero di ciò che stava scoprendo. Aindreas era un buono, e questo era già molto, per Seán... Non avrebbe mai sopportato perdere suo figlio nei meandri di un sistema che vuole i ragazzi poco più che macchine da soldi... Il figlio era gentile, capace di empatia, pieno di Amore da dare. Tutte qualità che l'artista gli riconosceva, unite a una vena creativa tutta da scoprire. L'uomo sognava che suo figlio potesse essere libero. Sicuro. Incapace di vendere un altro, per un posto migliore in azienda. Le insidie del sistema erano tante. L'artista non le conosceva tutte, ma sapeva che alcune erano delle vere e proprie malie suadenti. «Come il canto delle sirene per Odisseo» scrisse sul suo probo quaderno rosso, che, da quando era stato inaugurato, si stava rivelando indispensabile per i concetti dell'artista. Ripensò ai fari visitati con la sua compagna. Erano tutti bellissimi, così fieri ed integri. Riflesse sul fatto che, per quanto possa essere titanica la marea, il faro non debba spaventarsi. Chiuse gli occhi. Si immaginò faro. Era bianco, nella visione. Chiaro contro il blu dell'oceano che si stagliava nel celeste del cielo.
4° Stralcio
Il quarto Movimento
Il giorno dopo, venne a conoscenza di uno sciopero generale dei trasporti che lo costrinse a rinviare il suo viaggio a Cork. Lo comunicò a sua madre e suo figlio, che compresero benissimo il problema. Dopo vari giri in città, tornò a casa e si mise all'opera. Compose la parte conclusiva del terzo Movimento e salvò il file. Rimase in silenzio, per un po' e la sua mente lo portò ad iniziare a prendere in considerazione come volesse fosse l'atto conclusivo dell'ottava Sinfonia, «Homeland». Il quarto Movimento doveva essere splendido. Così se lo immaginava. «Una composizione poderosa, ricca di suoni, armonie ed idee» scrisse sul suo quaderno rosso, per prendere un primo appunto. Seán era felice per la chiusura del terzo Movimento, quel giorno. Si specchiava nello spettro policromatico della sua Identità di uomo. Si rinfrescò, bevve del caffè e si accese una sigaretta. Aveva sentito la sua compagna, per dirle che il giorno dopo non sarebbe partito. Lo accompagnava, durante le giornate, una strana sensazione di avversione verso quasi tutti gli altri. Fuori dal suo nucleo, non si fidava più di nessuno e questo lo rattristava molto. Lui era mediamente più gentile degli altri. Più attento a ciò che si potesse dire, senza offendere nessuno. Più in grado di ascoltare. Questa fatica, che ogni giorno faceva per sentirsi in asse con se stesso, era, probabilmente, vana. Gli altri non avrebbero colto la sua cortesia. Era stufo di essere sempre il più premuroso. «Ma poi, se fossi come loro, come mi sentirei? Mi percepirei sporco e questo non mi farebbe stare bene» pensò, mentre guardava la piccola Luce della scrivania. Era stato, nel tempo, così ottimista da pensare che gli altri potessero essere come Sinéad, o poco meno, ma si sbagliava. Lui e la sua compagna, il suo nucleo in generale, erano l'eccezione. La norma, invece, era meschinità e violenza, anche fra i più insospettabili. Il mondo costruito dagli irrisolti gli faceva veramente schifo. Aborriva ogni sorta di comportamento lesivo. A tratti, questo sistema, gli pareva una giungla. «Occorrerà una volontà sovrumana per rifondare tutto. Ci vorranno decenni. Il lavoro di molti. L'empatia. Il senso di una profonda giustizia» scrisse all'inizio del quarto capitolo del racconto, che stava amando sempre di più, come testimone fedele del proprio pensiero. Quella sera avrebbe cenato con la sua compagna. Più tardi, avrebbe lavato i piatti e seguito, in televisione, un canale all news. Sapeva che, in quel momento, a volere la Rivoluzione, che sognava lui, erano davvero in pochi. Questo pensiero lo ammutolì. Immaginare che la forma più alta di male, concepita dall'uomo, potesse tranquillamente regnare, indisturbata, per chissà quanto tempo, lo fiaccava, lasciandogli in bocca il gusto amaro della sconfitta. Si sentiva accasciare, come colpito da un grosso masso. «Troveremo un modo. Non lasceremo questo Pianeta nelle mani di chi vuole distruggerlo» annotò sul suo quaderno rosso, dai tratti sempre più vividi. Voleva scrivere una pagina di racconto. Era circa a tre quarti. Si guardò intorno. Tutte le cose contenute nel suo studiolo parlavano di lui. Sorrise benevolo. La sua casa era molto importante, per lui, era Homeland, come la sua ottava Sinfonia. Non vedeva l'ora che arrivasse la sua amorevole compagna. Alla fine, Sinéad era l'unica che lo comprendesse davvero, che lo accogliesse in toto. «Senza di lei, la mia vita sarebbe tristissima» pensò l'uomo, che, immaginandosi da solo, proiettava la propria Vita su uno schermo nel quale sarebbero apparsi solo surrogati di esseri umani, larve, burattini e fantasmi. Un brivido gli percorse la schiena. Accontentarsi delle relazioni standard del terzo Millennio lo atterriva, solo come semplice ipotesi. Non avrebbe mai più tollerato la mediocrità, che, spavalda e vincente, stava trionfando in ogni dove. Poteva stare solo con individui capaci di aver percorso quel sentiero di liberazione che tanto bene conosceva lui. Non di meno. Non ora. Non in quella sua casa della Psiche edificata con tanta fatica. Era diventato esigentissimo. Per questo aveva ridimensionato l'immagine interna di Yòrgos, riducendolo al rango di mero conoscente. Non solo sapeva chi era, ma sapeva anche di stare in compagnia di un piccolo insieme di individui, nel grande oceano di miliardi di persone. A tratti aveva pensato che il suo fosse davvero un destino arcigno. Ora pensava di essere fortunato. «Io non potrei mai aprire un'azienda e fare soldi con lo sfruttamento del lavoro minorile» chiosò, alle cinque e venti di quel pomeriggio silenzioso. La pagina stava finendo. Per quel giorno, non avrebbe scritto altro. Era stanco. Ripercorse mentalmente l'iter del terzo Movimento dell'ottava Sinfonia e si sentì fortemente appagato: la composizione era proprio come lui se l'era immaginata, nel momento in cui aveva scritto la prima nota per i violini primi. Nella sua vita, c'era rigore. Non poteva accogliere questo mondo, perché patologico. Non sarebbe riuscito ad essere amico di molti. Non si sarebbe mai svenduto. Il giorno successivo, dopo un buon caffè, si mise a lavoro, con lena. Guardò in faccia la partitura vuota del quarto Movimento dell'ottava Sinfonia e rimase lì, per qualche attimo. In quei momenti, immaginò la composizione. Doveva essere ricca di armonie. Gli venne in mente di scrivere un forte agglomerato accordale composito. Legni ed archi, cui rispondevano gli ottoni. Tentò di scrivere l'idea, gli piacque, riascoltandola. Aggiunse una breve melodia per Clarinetto in Mi bemolle. Lo accarezzò l'idea del tutto contrapposto a una sola linea di uno strumento a fiato. Continuò. Scrisse trentadue misure. Quasi due minuti di musica. Li salvò. Era entrato ufficialmente nel quarto Movimento, il conclusivo. Il titolo di questo Tempo era: «Sinfonia n. 8. Homeland. IV° Movimento. Finale». Aveva una dimensione temporale in testa. Il Movimento sarebbe stato di circa quindici minuti, nel rispetto del peso complessivo dei Movimenti. Scrisse a Sinéad, che gli rispose che stava leggendo le prime pagine del suo racconto. L'artista ne fu lieto. In fondo, scriveva per lei. L'acquerugiola soffice di quel giorno lavava via tutti i suoi dubbi e il suo senso di repulsione per i molti immaturi che dettavano legge su questo Pianeta. Era triste sentirsi parte di una minoranza, sapendo di non poter contare nelle decisioni generali, ma quello era il suo destino. Si guardò intorno: c'era Bellezza nascosta in ogni dove. Ringraziò la Vita. Sarebbe stato molto vivere per il suo nucleo. Alla fine, il suo sogno di un mondo migliore, nella Nuova Era di Luce, lo teneva in asse. In quel preciso momento storico, il suo cosmo era solo un'utopia, splendida, regale, maestosa, come avrebbe dovuto essere il suo quarto Movimento dell'ottava Sinfonia. Anche quel giorno, aveva, come obiettivo, quello di scrivere una pagina di racconto. Fece un tiro di sigaretta. Pensò. Era in armonia. Sentiva che scrivere gli faceva bene. Scavava. Elaborava. Provava. Un temporale lo colse di sorpresa. Era uscito per far spesa e aveva tutto, in casa, per quella sera, in cui sarebbe stato solo. Gli dispiaceva non essere partito per Cork, a causa dello sciopero. Aveva sentito Aindreas che stava bene. Era a metà pagina. Sapere che la sua compagna lo stesse leggendo gli procurava un po' di tensione. Era quasi affrontare un esame. Lui non l'avrebbe mai delusa, neanche con le lettere. Voleva che lei fosse entusiasta del racconto, che lo trovasse compiuto e comunicativo. «Io sto provando la gioia di sapere che lei, da anni, ama solo me» pensò l'artista, che, in un negozio del centro, aveva sentito una canzone su quel tema, l'amore unico ed indivisibile di una donna per il proprio uomo. Andò in bagno a rinfrescarsi. Si specchiò. Aveva il viso che avrebbe sempre voluto mostrare al mondo. Bevve. Tornò alle sue immancabili lettere. Era una creatura nuova. Gli ultimi anni, con Sinéad, lo avevano consacrato essere umano non distruttivo. Guardò la sua scrivania. C'erano gli appunti, presi a mano, dell'inizio dell'ottava Sinfonia. Non comprendeva come si potesse buttare via un'intera Vita, nelle fauci degli empi... L'idea della minoranza silenziosa, di cui faceva parte, lo cullava. Sperava che avrebbe trovato altri fratelli d'elezione... Odiava ogni singola forma di schiavitù. Liberi ed armoniosi: così immaginava gli uomini nella Nuova Era di Luce. Erano le cinque di pomeriggio. L'uomo era stanco. Scriveva e pensava. Elaborava e traduceva in segni. Il suo cuore era per la sua compagna ed Aindreas. Non avrebbe mai tollerato che stessero male. Voleva proteggerli. Sapeva di essere un uomo fortunato. La Vita gli aveva regalato un secondo tempo di gioie e vittorie, contrapposte alle perdite della prima metà della partita. L'artista voleva stare bene. Questo era il suo imperativo categorico. Guardò il viale. Il verde degli alberi brillava con la luce grigia dell'acquazzone improvviso. Da quando lavorava, Aindreas gli sembrava più grande e responsabile. Il ragazzo stava maturando. Il padre, certe volte, si metteva a pensare a quanto fosse rischioso, per il figlio, essere così sensibile ed attento. Seán sentiva che il ragazzo si sarebbe dovuto rafforzare, per resistere alle sollecitazioni meccaniche del mondo. L'artista respirò profondamente. Avrebbero camminato tutti insieme, fianco a fianco. Nessuno sarebbe rimasto indietro. L'uomo focalizzò, in sé, il significato più profondo del suo ultimo periodo scritto e sorrise. Non voleva più aver paura del futuro.
5° Stralcio
La Nuova Era di Luce
Il giorno dopo, in seguito alle immagini sonore che aveva avuto in quel lasso di tempo, fra la chiusura del quarto Movimento di «Homeland» e la nascente idea di scrivere la sua nona Sinfonia, iniziò a comporre. Aveva avuto una idea costruita sull'alternanza di due accordi compositi, con archi e legni, cui far seguire un intervento degli ottoni. Tuttavia, sempre influenzato dalla sua immaginazione, scrisse un breve incipit per pianoforte, in un tempo largo, con una successione di due accordi su un basso ostinato. Aveva deciso di ripetere quella sezione e, alla fine, aveva totalizzato più di tre minuti di Musica. Li riascoltò, gli piacquero. Decise il titolo definitivo del Movimento e della Sinfonia: «New Age of Light». Dopo questa scrittura, rimase senza idee. Aggiunse una breve sezione di legni e poi si arrestò. Sapeva che avrebbe continuato il primo Movimento della nona Sinfonia con una parte di Allegro, ma non riusciva ancora a metterlo a fuoco. La Nuova Era di Luce era difficile da descrivere. C'erano tanti elementi che andavano presi in considerazione. Bevve del caffè. Si accese una sigaretta. Le giornate fluivano tranquille, nel suo microcosmo e la sua Irlanda era sempre più verde. Dopo una ventina di giorni, Aindreas, per la prima volta in vita sua, avrebbe fatto un viaggio da solo per ricongiungersi con il padre. L'artista si staccò dalle sue amate carte per qualche giorno. Lesse le news dal mondo, un pomeriggio caldo, con piccoli temporali che si susseguivano. La direzione generale del tutto era evidente: il mondo stava andando a rotoli e lui ne era testimone. Urgeva la nascita della Nuova Era di Luce. Piccoli e grandi mostri si aggiravano per le vie delle città, conducendo un messaggio venefico di morte e distruzione e lui non poteva farci nulla. Si descrivevano, negli articoli da lui letti, realtà incontrovertibili di cui ogni uomo sano di mente avrebbe dovuto prendere atto. Tuttavia, si procedeva verso l'abisso. Tutto al ribasso. Tutto brutto. Tutto preoccupante. L'uomo non poteva sopportare oltre. Avvertiva una profonda repulsione per tutto quello che stava accadendo nel mondo, contro il vero Bene. Nei giorni successivi, non scrisse e non compose Musica. Era ammutolito. L'aria fresca dell'estate gaelica gli penetrava in casa. Il verde delle chiome degli alberi del viale si era fatto scuro, con un cielo plumbeo. Gli scrisse il suo amico greco Yòrgos, pregandolo di chiamarlo. L'artista gli telefonò e l'amico gli disse che la propria moglie, Crón, era morta. Seán rimase senza parole. Un silenzio assordante lo fece precipitare nel nulla, dacché la ragazza, che era venuta a mancare, era una sua grandissima Amica, con cui aveva spesso descritto le sorti dell'Umanità verso la Nuova Era di Luce. La persona che, da qualche ora, non c'era più, rappresentava, nel mondo interno dell'artista, una vera e propria sorella della Psiche, un'autentica rivoluzionaria. I due uomini si parlarono un po', l'artista fece le condoglianze al suo amico e si salutarono, con la promessa di sentirsi presto. «Un altro pezzo importante della Rivoluzione se ne va» pensò l'uomo, che immediatamente diede la notizia ad Aindreas e a Sinéad, visto che entrambi conoscevano quella adorabile creatura femminile. Seán tornò a casa, finì di parlare con la sua compagna della sua amica e sprofondò in una dimensione interna carica di riflessioni. Crón ora era nel più profondo silenzio, quello eterno. Non avrebbero mai più parlato di Rivoluzione. Non avrebbe mai più mangiato il suo irish stew. Era triste. L'avrebbe voluta abbracciare una volta ancora. Lei era come un faro, per lui. I due si comprendevano al volo. Sognavano entrambi la stessa Nuova Era di Luce. Il pensiero dell'artista andò ai due figli che lei lasciava. Ormai grandi, avrebbero fatto tesoro della testimonianza della madre, che, negli anni, aveva seminato Bontà, Verità e Bellezza. «Siamo atomi che vagano nell'Universo» scrisse Seán, nel suo probo quaderno rosso, sul quale non avrebbe mai voluto vergare quelle parole tristi. Pensò al suo Amico Yòrgos, il compagno della sua Amica, che tanto l'aveva amata. Per quanto ultimamente lo avvertisse distante in questioni di principio, era pur sempre una persona cara, un uomo degno. Sapeva che il suo Amico sarebbe stato bravo e avrebbe rielaborato il lutto in modo da poter sopravvivere ed andare avanti. I figli avrebbero vissuto nel solco tracciato dalla Madre. L'artista li avrebbe ritrovati nella Nuova Era di Luce, lo sperava. C'era aria di temporale. L'acquerugiola bizzarra avrebbe colpito ancora, con scrosci improvvisi. «Lava via questa tristezza» pensò l'uomo. Era davvero affranto. Pensava a quante sere aveva conversato con la sua Amica Crón, proiettando in avanti tutti i loro desideri di equità e giustizia. Riflesse su quanti momenti l'avevano fatto sentire vicino a lei, in una sorta di fratellanza di due mondi interni che desideravano le stesse cose. «Arrivederci, Amica bella» scrisse alla fine della pagina di racconto che stava vergando. «La Rivoluzione dovrà essere, da oggi, ancor più bella, per rispetto della tua Pulcritudine» mormorò, sottovoce. Seán si ricordò di quanto fosse gentile e poderosa allo stesso tempo. Materna e combattiva. Attenta e intuitiva. Avevano scritto delle cose insieme. Era stato bello. Sognavano di vivere in una Landa ove tutti i diritti degli esseri umani venissero garantiti dalla sapienza e dalla saggezza. Quel giorno, Seán pianse una sorella. «Poche persone come te mi sapevano capire, Amica mia. A poche avrei affidato il mio cuore. Ora non ci sei più, ma tutti quelli, che ti hanno conosciuto, vorranno combattere per la Nuova Era di Luce, in tuo onore» scrisse l'artista, con una lacrima che gli solcava il viso. Poi il cielo si fece minaccioso, il caffè gli sembrò particolarmente amaro e le lacrime consolatorie. Stava vivendo un lutto. Sapeva che, nei giorni successivi, tante immagini della sua Amica gli sarebbero tornate alla mente. Crón era un prodigio della Natura. Lei era di una simpatia innata. Aveva una rara forma di empatia, con la quale percepiva i dolori del mondo. Era proprio bella. Una vera guerriera della Nuova Era di Luce. Seán pensò che quei pensieri sarebbero dovuti confluire nella sua nona Sinfonia, «New Age of Light» e pensò a come la sua Amica commentasse le sue composizioni. «Chi ti ha conosciuto, Amica mia, oggi piange l'assenza di una grande persona. In queste ore, tanti si sentiranno smarriti» scrisse l'uomo a metà pagina del nuovo capitolo del suo racconto. L'artista si sentì improvvisamente stanco. In silenzio. Cogitabondo. Nei giorni successivi sarebbe stato attento alle esigenze del suo amico che stava vivendo la perdita della moglie. Non avrebbe di certo fatto mancare la sua presenza, sebbene geograficamente distanti. «Cercami quando vuoi» aveva detto al telefono a Yòrgos. Sapeva che le ore successive sarebbero state determinanti. La sua Amica era la familiare che Seán non aveva mai avuto. In quel momento la ricordò ridere. Aveva un bel suono la sua voce, quando rideva. L'artista si ricordò di un romanzo che lei aveva scritto, che aveva riscosso la curiosità di un grande editore. «Chissà che fine farà il tuo romanzo?» si chiese l'autore, pensando di rivolgere la domanda direttamente a lei. Il temporale giunse. Il cielo nero accoglieva le istanze dell'artista. La Natura gli sembrò triste, come lo era lui. Dedicò i suoi pensieri più belli alla sua Amica. Gli sarebbe mancata molto. Lei aveva la capacità di rappresentare una presenza, sebbene fosse lontana. Molto spesso lui scriveva o componeva e si chiedeva come avrebbe commentato lei. Inoltre, con Sinéad, spesso la ricordavano, con immenso affetto e simpatia. L'aria del temporale fu, d'improvviso, intensa. Un grigio metallico aveva avvinto ogni cosa. Il verde degli alberi era scurissimo. L'artista si assentò. Riflesse. Si andò a rinfrescare, per essere più lucido. Guardava la pioggia scendere e irrorare tutto con una mano forzuta, in una danza triste. Pensò all'Amica accolta dalla pioggia. «Oggi anche il cielo ti piange, Amica cara» pensò. Osservò i suoi fogli manoscritti. Sapeva che sarebbe tornato, di lì a poco, alla sua nona Sinfonia... Più tardi avrebbe incontrato la sua compagna. Avrebbero parlato della loro cara Amica. Sinéad ne aveva un ricordo bellissimo. Il temporale furoreggiava, con la sua voce tonante e l'artista si sentì coccolare da quel fenomeno della Natura. Anche a lui serviva del tempo, per rielaborare la morte di Crón, colei che sapeva vedere il bello ovunque. Sentiva che scrivere della Nuova Era di Luce, descrivendola pure con i suoni, era quanto di meglio potesse fare in onore della sua Amica. L'uomo bevve del caffè. Si accese una sigaretta e rimase in ascolto. La sua Amica lasciava un profondo vuoto. Guardò l'ora sul suo Mac. Di lì a poco si sarebbe preparato per uscire con la sua compagna. L'artista era davvero scosso. La Nuova Era di Luce perdeva una sua creatrice. Una Donna meravigliosa che aveva avuto la capacità di sognare un'era diversa da quella del turbocapitalismo. Una madre che aveva generato quella stupenda idea di Possibilità dell'essere umano. L'artista percepiva dei suoni. Il rumore della pioggia nel viale e il fruscio del vento, che squassava le foglie degli alberi, lo liberarono da un tormento angoscioso sull'idea della morte. Anche la Natura gli parve in rivoluzione. Non cessava di pensare alla sua Amica. A quante volte si erano abbracciati come due superstiti. A quante volte lei gli aveva detto che sarebbe andato tutto bene, da quel momento in poi... Lei aveva creduto in Seán dal primo momento. Si erano conosciuti grazie al primo racconto dell'artista, che lei aveva letto con interesse. «Quanti ricordi, Amica mia! Tu sì che mi hai apprezzato davvero!» scrisse l'uomo, lungo i meandri dei suoi pensieri affastellati, in quel giorno di mestizia. Con Crón, se ne andava una delle poche persone con le quali si intendeva anche solo con un movimento dei muscoli del viso. Un'affinità elettiva davvero sorprendente. Pensò al suo Amico, ora che era rimasto senza la moglie. Era un uomo forte. Ce l'avrebbe fatta da solo, cullato dall'Amore dei figli. Lei non c'era più, purtroppo. Occorreva prenderne atto. La sua aura di Bontà rimaneva per tutti quelli che l'avevano amata. Il mondo era più triste, senza di lei. Seán si ricordò l'Amore con cui la sua Amica aveva trattato suo figlio Aindreas, in una vacanza insieme, su un'isola greca. Lei era Visione e Ragione. Logica e Sogno. Amore e combattività. Per lei, la Nuova Era di Luce era qui, non altrove. Non dimorava nella sfera delle opportunità, ma era pulsante linfa vitale che scorreva nei polsi di chi l'avesse cercata. Alla fine, questo insegnò lei: la Nuova Era di Luce andava vissuta come una dimensione della Psiche. Era uno spazio mentale. Era nel sorriso con cui decidevi di accogliere il mondo la mattina, appena sveglio. «Amica mia, ora ti scrivo. Sei stata tante cose, tutte belle. Avevi una precisa visione della Nuova Era di Luce. Credevi nelle Possibilità dell'Uomo. Ora ci lasci. Terremo fede ai tuoi insegnamenti. Combatteremo con maggior vigore. Sei stata una vera antesignana» rielaborò l'uomo, che sentiva diffondersi, in sé, la mestizia. L'artista si arrestò. Guardò fuori. Ad attenderlo fuori un paesaggio tetro. La pioggia spazzava via tutto, anche il dolore... Rimanevano i ricordi... L'espressione seria ed accalorata del viso della sua Amica mentre parlava di Rivoluzione... Il suo sorriso mentre accoglieva i pargoli... Il fatto che non si fosse mai stancata di indignarsi per ogni forma di ingiustizia che il capitalismo producesse... L'artista la pensò intensamente, quel pomeriggio. Aveva perso una delle poche persone con cui si intendeva all'istante. Staccò. Andò a leggere le notizie su Facebook. Si stufò presto della mediocre pochezza delle news e tornò a pensare alla sua Amica. «Non ti potrò più parlare» e con questa sintesi si congedò da tutto. Per giorni non scrisse: avrebbe dovuto sentire, prima. Poi, nei giorni seguenti, compose il primo, il secondo e il terzo Movimento della nona Sinfonia, «New Age of Light». L'idea della sua Amica morta era in ogni dove. Alternò accordi compositi a linee melodiche semplici e vitali. Per lui, questo lei era: complessità e semplicità. Quella sera decise di continuare il suo racconto. Aveva parlato con Sinéad della loro Amica. Nonostante stessero passando dei giorni, l'immagine di questa guerriera, venuta a mancare prematuramente, era vivissima. Il compositore, nel primo Movimento della nona Sinfonia, le dedicò una sezione di «Marcia funebre». Lei permeava la nona Sinfonia dell'artista. Ogni singola nota era pensata per lei. Lei, per l'autore, era il simbolo di una Possibilità nuova del Genere umano. Era grazie ai loro discorsi che era nata, nell'artista, la volontà di esperire quella dimensione autentica della Psiche, che esortava l'individuo a rifiutare la menzogna. L'artista la ringraziò, col pensiero. Negli ultimi tempi si erano visti poco. L'autore l'aveva sentita al telefono, circa un mese prima, e lei gli era apparsa stanca. Lei era stufa di lottare con dolori fisici che la immobilizzavano. «Te ne sei andata in silenzio» pensò l'uomo, che osservava il viale immerso in tonalità cupe di colore. L'uomo era ancora profondamente scosso. L'esperienza della morte del Padre, sei anni prima, gli aveva insegnato quanto occorra tempo, per rielaborare l'assenza di una persona importante. Decise in quel momento che la nona Sinfonia avrebbe recato questa dedica: «Ai figli della Nuova Era di Luce». Siamo tutti figli di qualcuno. Siamo tutti stati concepiti in un disegno d'Amore. Siamo tutti creatori di qualcosa. L'artista, con Crón, era ideatore della Nuova Era di Luce. Voleva si sapesse. Magari qualcuno un giorno avrebbe letto quelle sue parole. La nona Sinfonia era pregna d'Amore. Per la sua Amica. Per il genere umano. Per la propria Vita, che non cessava mai di ringraziare. «Ora ci lasci orfani a continuare la tua missione» scrisse l'uomo in un abbraccio ideale verso la sua Amica, che, in quel momento, percepiva solo nel silenzio. Realizzò che diverse persone importanti della sua Vita, che non c'erano più, le poteva contattare solo in un profondissimo silenzio interno. Come il padre. Come la sua Amica Crón, che aveva il coraggio di una leonessa e la visione di un poeta. L'esistenza gli aveva insegnato ad essere forte. Sapeva che avrebbe resistito alle intemperie, grazie alla sua dedizione verso le persone care. Sinéad gli sarebbe stata vicino. Si trovava a poche righe dalla fine della pagina. L'avrebbe riletta con calma. In quel momento voleva solo gettare, sul foglio, i suoi sentimenti. Amava la sua Amica come la sorella che non aveva mai avuto e che avrebbe tanto voluto coccolare. Aveva amato suo Padre fino a rischiare di perdere il senno, per lui. Il suo era un grande cuore. Erano le sei di pomeriggio. Il cielo era grigiastro. Quella sera sarebbe stato con la sua compagna. Poco più tardi si sarebbe fatto la doccia. Ripensò ai Movimenti finiti della sua nona Sinfonia. Li aveva composti con tanta passione. Magari qualcuno, un giorno, ascoltando la sua ultima fatica, ci avrebbe letto tutti quei messaggi che l'autore intendeva comunicare con i suoi suoni. Quel pomeriggio, aveva chiuso il terzo Movimento, lo Scherzo, di beethoveniana memoria. Nelle sue composizioni, confluivano sempre diverse idee, che maturava in successione. Quando sentiva le note dentro la sua testa, le scriveva, e, raramente, le cancellava. Seguiva il percorso mentale che lo conduceva a quell'esatto nucleo di note. Lo apprezzava. Lo riascoltava. Valutava se fosse buono. Viveva, pensando che, se un giorno, la propria mente lo aveva portato a comporre una certa unità musicale, quell'insieme di suoni non dovesse quindi essere poi così cattivo. Era assai sporadica la cancellazione di una nota, in partitura. Quelle che sentiva dentro, erano unità già perfette, scritte, approvate dal suo cervello. Era nel silenzio. Pensò a come tutti e tre i primi Movimenti della nona Sinfonia fossero stille d'Amore, per la sua Amica Crón, che amava tantissimo la Musica. Giunse Aindreas, trascorsero insieme una settimana a casa di Seán. L'artista trovò suo figlio adorabile. Fra i due, negli anni, si era strutturata un'intesa, composta da comuni ideali e intenti. Stettero davvero bene. Fecero molte passeggiate e comunicarono a lungo. L'artista ebbe modo di comporre, mentre il figlio era dedito alle proprie passioni. L'uomo scrisse il quarto Movimento della nona Sinfonia e consegnò la composizione alla rete. Trascorse un'estate magnifica. Viaggiò molto con Sinéad, mentre il ricordo di suo figlio lo nutriva. Le esperienze lo riempirono. Non scrisse, ma visse. Durante la coda della bella stagione, si rimise a comporre e iniziò a scrivere la decima Sinfonia, cui diede il titolo di «Acqua», in onore all'elemento vitale che tanto lo aveva caratterizzato negli ultimi dieci anni. Il 14 Settembre 2017, completò la stesura dell'opera. Era molto soddisfatto, quel giorno. La mattina seguente, come sempre faceva quando terminava una composizione, si mise a riascoltarla dall'inizio. Qualche giorno prima aveva scritto queste parole sul suo diario: «Oggi sono a casa, di ritorno da Cork. Ho finito di comporre il terzo Movimento della mia decima Sinfonia, cui ho dato il titolo di «Casa dell'Acqua». Mi sento in equilibrio. Penso al mio fine-settimana con mia madre e mio figlio. Penso a Sinéad ed il suo Amore per la Vita. Le cose devono andare bene, assolutamente. Quest'anno, Aindreas affronterà l'ultimo anno di Liceo, con conseguente esame finale. Spero si impegni, per modellare una scultura interna di cui andare fiero, perché la Cultura è Identità.
6° Stralcio
Il silenzio
Pioveva. Seán accese una piccola lanterna e la posizionò al centro del piccolo tavolo della cucina. La guardò con attenzione e si rese conto che quella fiamma lo faceva stare bene. Osservò, dalla finestra, un'acquerugiola finissima cadere a terra ed irrorare l'erba del viale. L'autore scorse il movimento degli alberi che seguivano, con un ritmo preciso, il vento. Attendeva la sua Sinéad, quella sera. Aveva cucinato nel corso del pomeriggio, dopo aver dedicato l'intera mattinata a nuove composizioni musicali. Il suo progetto era quello di scrivere una nuova ora di Musica. Aveva già il titolo della raccolta: «Rainy Day». C'era silenzio nella casa dell'artista, una dimensione di quiete che era prossima alla pace, che l'autore tanto desiderava. Si mise a prendere appunti. La Luce della lanterna gli teneva compagnia, effondendo una bella sfumatura gialla, calda, come un abbraccio. Aveva lavorato tanto, quella mattina, concependo nuove, interessanti armonie, con le quali poter creare diversi tessuti acustici, degni della Nuova Era di Luce, per la quale, sul serio, valeva la pena vivere a tutti i costi. Voleva che «Rainy Day» fosse una ricca antologia di brani inediti, pieni di Bellezza. Era iniziata per lui la stagione che più amava, col freddo, la pioggia e l'irish stew sul fuoco. Aveva voglia di godersi il proprio nido d'Amore con la sua compagna, che era sempre più affascinante e carismatica, dolce e conturbante. «Rainy Day» era nato per caso. L'artista si era messo a suonare la tastiera ed aveva trovato bei suoni, che poi aveva trascritto in partitura, qualche mattina prima. Andò in cucina, osservò la lanterna nera in metallo opaco e bevve del vino rosso frizzante. Giusto un sorso, per gustare. Si accese una sigaretta e iniziò a camminare attorno al tavolo di legno marrone scuro, quadrato. All'uomo piaceva il silenzio, ne era attratto. Aveva imparato negli anni ad amare la dolce sensazione di non essere bombardato dai suoni, seguendo il più intimo flusso dei suoi pensieri, senza paura o ansia di alcun tipo. L'autore ragionava davvero molto, fra sé e sé e spesso provava una strana sensazione di stanchezza, come spossato da tutta quella mole di pensieri, che, per un certo verso, erano il succo della sua Vita. Il silenzio era lì con lui, quella sera. L'uomo pensò a quanto tempo della sua esistenza fosse stato frastuono. Ora, invece, gli unici suoni che sentiva erano quelli che componeva, insieme ai rumori di una Galway che brulicava sempre di vitalità umana, ma mai nel caos. In un'altra era della sua storia, l'autore era stato sommerso dal trambusto. La capacità di vivere nel silenzio era giunta con la maturità, e l'assenza di suoni non gli faceva più paura. La quiete era un'Amica fedele, che lo aiutava a rimanere in asse. Era soddisfatto, quella sera. Il progetto musicale di «Rainy Day» intendeva essere maestoso. L'artista voleva creare grande musica. Era certo che, con passione, abnegazione e pazienza, avrebbe partorito qualcosa di davvero unico, nel suo genere. Si diede tempo. Non voleva avere fretta. Decise che avrebbe lavorato tutte le mattine. Comporre Musica, per lui, era stupendo. Le ore gli volavano da sotto le dita che immortalavano agglomerati acustici in partitura. Era un tempo intensissimo quello di trovare suoni dentro di sé. Scrivere era un'attività di scavo interiore vivissimo. Il silenzio ne era la fase preliminare. L'atrio. Si stava facendo tardi e l'autore non aveva ancora sentito la sua compagna, al telefono. Andò in cucina e addobbò la tavola. La sua Sinéad avrebbe apprezzato l'allegria della tovaglia rossa. Il rosso era, senza dubbio, il colore della sua compagna. Spostò la lanterna nello studiolo. Aprì le finestre. Fece girare l'aria, che era fresca e pungente. Sentì il brusio delle macchine in lontananza. Pensò alle fragranze del suo bosco dopo la pioggia. Aveva intitolato un brano di «Rainy Day» «Scamall», che, in irlandese, significa nuvola. Si sentiva nuvola pure lui. Grande. Possente. Eppure leggiadra. Pensò al suo Amico marinaio, che, nonostante le difficoltà, era sempre in viaggio verso lidi rassicuranti. Per Seán, lui era il «Marinero», un navigatore nel mare della Vita. Un vero Capitano. La domenica precedente, l'artista e la sua compagna erano andati in riva all'oceano, a passeggiare ed ascoltare quel suono delle onde che non li stancava mai... Sinéad disse che quel suono avrebbe potuto essere il sottofondo perfetto per l'intera esistenza. Lei era come il mare. Amava profondamente l'oceano. I due si fotografarono. La Donna fece alcuni scatti alle nuvole ed al Sole, che si stava pian piano addormentando sull'oceano. Seán pensò al silenzio di una nuvola che si muove nel cielo. Rimase esterrefatto, in quel breve lasso di tempo in cui la sua fantasia gli fece visualizzare quell'immagine. Furono giorni di creatività, per l'autore. Continuava a comporre Musica. Dal silenzio nascono i suoni. L'artista voleva che «Rainy Day» fosse qualcosa di davvero particolare. Aveva totalizzato quarantadue minuti di musica. Accogliendo i suoni che provenivano da una parte profonda di sé, aveva scritto «Saorsa», «Libertà», in onore della Nuova Era di Luce. Del termine Saorsa, dal gaelico scozzese, gli piaceva il suono rotondo. Quella mattina, la prima dell'Autunno, gli venne in mente di scrivere un nuovo brano: «Watercolor», in fa diesis minore. Lo immaginava come pezzo finale del disco. C'era pace, in casa dell'artista, quel giorno. Quella sera, avrebbe ospitato Sinéad, con la quale cucinare in allegria. Pace ed allegria erano davvero tutto. L'uomo non chiedeva altro. La Luce filtrava copiosa, dalle tendine arancioni della finestra della cucina. L'autore stava iniziando a preparare la verdura per la cena con la sua compagna. L'uomo aveva bevuto un sorso di una bibita, mentre ammirava la cucina pulita dopo aver lavato i piatti. La radio trasmetteva una tenera ballata, con una chitarra dolce e malinconica. Il compositore pensò ancora alla quiete della sua dimora. Il pensiero volò verso la sua compagna, sempre così intensa ed amorevole, gioiosa e giocosa. Le loro menti si incontravano assai spesso, in una badinerie bachiana. Erano quasi le quattro di pomeriggio e l'autore stava bene. Era in asse. Godeva appieno delle cose che aveva e le desiderava sempre di più. Il giorno dopo, ripensò alla cena con la sua Sinéad e alla seguente passeggiata per i vicoli colorati di una Galway incantata, con musicisti di strada e saltimbanchi. I due camminarono, mano nella mano, con ritmo cadenzato. Si abbracciarono. Si baciarono. La sua compagna era profondamente divertita, da quell'aria di festa. Furono felici quella sera. L'uomo, la mattina successiva, aveva ancora nella mente il viso di lei che sorrideva. La sua compagna era Amore. Profondo. Denso. Profumato. La Donna era ogni desiderio di gioia che l'autore potesse concepire. «Che uomo fortunato sono...» pensò l'artista, mentre beveva il caffè mattutino. C'era un senso di profonda requie, nelle sue stanze. Aveva lavorato più di tre decadi per quel silenzio, in un processo lungo, a tratti doloroso. Sentì il suono dei campanelli delle biciclette e sorrise. La sua Irlanda era già in movimento, alle sette e mezza del mattino. Scolari con brillanti divise camminavano verso la scuola. Anziani ciondolavano con l'ombrello in mano. L'autore andò a comprare il giornale e si coccolò con uno snack al cioccolato ed una bibita gassata. Tornò a casa passando per il piccolo bosco odoroso. Gli alberi erano rigogliosi, illuminati da una Luce grigiastra che filtrava dai nembi scuri. C'era aria di pioggia. Fra la vegetazione, che cresceva rigogliosa, il senso di profonda quiete avvolgeva ogni elemento, in un'atmosfera cristallizzata, interrotta solo dalle melodie perfette degli uccelli. L'uomo si pose in ascolto: furono attimi stupendi. L'autore pensò al suo amico Capitano, che solcava l'oceano con la sua imbarcazione, con umiltà, ascoltando sempre i messaggi del vento e delle onde. L'artista tornò a casa e depositò le cose che aveva comprato, lesse alcuni titoli del giornale e poi andò a fare spesa, di modo da avere tutto l'occorrente per il pranzo e la cena. Quella sera sarebbe stato solo. Amava il suo essere in una piacevole solitudine silenziosa. Si sentiva riempito. Prese un appunto sul suo telefono, ascoltando il suono delle lettere digitate. Si mise all'opera: nel corso della mattinata riuscì a rielaborare alcune sue foto. Ci unì un brano musicale che aveva scritto in quei giorni e ne fece una video presentazione. Si riposò. Un pasto frugale e poi sonnellino di tre quarti d'ora. Si alzò dal letto, bevve un tè e telefonò a suo figlio Aindreas, che quel giorno era al settimo cielo perché alcuni insegnanti, fieri del suo operato, lo avevano premiato con grandi riconoscimenti, che al ragazzo avevano fatto molto piacere, in quanto lui era alla ricerca di conferme nobili del proprio lavoro. Che a scuola si fossero complimentati con lui, per la sua preparazione sulla lezione del giorno, costituiva un grande sprone a continuare a far bene. Nel pomeriggio, l'autore si trovava nella sua piccola dimora. Fuori, lungo il viale, voci confuse ma vive. Attendeva il ritorno della sua amata Sinéad, che quel sabato aveva lavorato, al mattino. La quiete lo avvolgeva. «Dopo un secolo di furore - pensò l'uomo - ora posso vivere anche un po' di silenzio». A Seán pareva di essere un centenario. Ne aveva vissute di esperienze... L'albero in giardino cresceva rigoglioso. L'artista lo guardava spesso, dalla finestra della cucina. Aveva fatto dei germogli viola, bellissimi. La sua compagna gli telefonò. Conversarono amabilmente, poi la Donna, con tono serio, gli disse: «Sai quando parliamo spesso del mondo al contrario? Ecco, ci ho riflettuto: noi non dobbiamo permettere al mondo alla rovescia di infettarci. È vietato avere alcun contatto con persone negative». L'uomo la ascoltò con attenzione e le rispose che aveva enucleato un concetto splendido. «No contact con gli empi!» sintetizzò l'autore, con tono scherzoso, visto che loro due amavano essere leggeri anche su argomenti serissimi. Sinéad continuò dicendo che loro due non dovevano nutrire il mondo alla rovescia, quindi non solo dovevano evitare tutti i patologici, ma era consigliabile astenersi da qualsiasi gesto propositivo nei confronti degli irrisolti. Loro non volevano più alimentare lo status quo. Il sistema non doveva più averli come persone che lo cibavano. I due si salutarono con gioia. Il lunedì successivo, l'uomo si trovava in casa, mentre rifletteva. Afferrò il telefono e scrisse questo messaggio alla sua compagna: «Sono qui, la cucina è illuminata da un Sole vivido. Il fruscio del viale mi tiene compagnia e ti penso. Ti immagino alla tua postazione, concentrata, sempre sorridente con chi ha bisogno di te. Sei la quintessenza dell'essere Donna. Sei mia. Non scordarti mai che io ti scelgo ogni mattina e ti dedico un pensiero bello tutte le sere, prima di addormentarmi. Ti amo. Sei una poderosa sorgente di Luce. Sei una fonte di acqua cristallina». L'uomo, in quelle ore, aveva finito la stesura di «Rainy Day», il suo nuovo disco musicale. Era stanco, ma soddisfatto. La sua nuova Musica era molto complessa. Aveva tanti suoni, tutti straordinariamente originali. Tutti suoi. L'autore andò in cucina ad ammirare lo spettacolo della Luce intensa filtrata dalle tendine arancioni. Creò il silenzio, spegnendo iTunes, che stava riproducendo la sua ultima fatica acustica. La sua raccolta aveva totalizzato un'ora e mezza di Musica, una dimensione ragguardevole. L'uomo ascoltò il vociare indistinto del viale e sorrise. Era anche in quel modo che si sentiva parte del Genere umano. Quella sera avrebbe cucinato l'irish stew, che gli veniva sempre tanto buono. Si accese una sigaretta, dopo aver bevuto un sorso di caldo tè aromatico, passeggiando lieto fra i mobili della cucina, a piedi nudi. Ripensò alle parole di Sinéad sul non nutrire le persone patologiche e le trovò quanto mai profetiche. Non si poteva più tergiversare: il sistema andava abbattuto ed i rivoluzionari dovevano tagliargli i viveri. «Non voglio partecipare - riflesse l'uomo - al grande banchetto del terzo Millennio». Il sistema era ovunque. Nel saluto sforzato di un conoscente. Nei piccoli atti di maleducazione di alcuni estranei. Nella dilagante sociopatia. L'autore pensò che fosse giunta l'ora di una sana divisione: qua ci siamo noi, fautori della Nuova Era di Luce, là c'è il caos mortifero. I due insiemi andavano tenuti ben distinti, senza intersezioni. Nessuno dei buoni avrebbe dovuto dare da mangiare ad un cattivo. In nessun modo. «È guerra, ora!» scrisse l'autore su un foglietto di carta. Un conflitto bellico nuovo, intrapsichico, nel quale si accetta di non nutrire il male. Questo aveva voluto dire la sua compagna. Certe volte, lei gli proponeva concetti, che poi lui elaborava nelle settimane successive, tanto erano densi. La sua compagna era avanti. L'uomo la considerava la più grande intelligenza che avesse mai conosciuto. Il brusio del viale era senza soluzione di continuità. Ogni tanto l'artista lo osservava dalla finestra dello studiolo. Passò un cucciolo d'uomo con la propria madre e l'uomo sorrise, ripensando a quando era bambino Aindreas. L'autore non vedeva l'ora di cucinare. Preparare qualcosa da mangiare lo emozionava, perché significava prendersi cura di sé e dei propri cari. «Siamo noi e loro» disse ad alta voce, come conclusione di un percorso mentale di riflessione. «Us and Them» come il capolavoro dei Pink Floyd. La Rivoluzione era già iniziata. Era nella mente di quelli come Seán... Bella. Pulita. Pacifica. L'artista aveva creato altra nuova Musica da portare nella Nuova Era di Luce. «Rainy Day» era davvero un lavoro ben fatto. Come per le Sinfonie, in quel nuovo disco c'era tutta la spiritualità dell'autore, il suo cosmo, le sue speranze e lotte. Il silenzio, quel pomeriggio, veniva interrotto solo dal ticchettio dello smartphone, con cui l'autore stava prendendo un appunto per il suo racconto. L'uomo respirò. Tutto fluiva. Fece una breve comparsa su Facebook. Lesse qualche riflessione interessante. Alcuni erano già pronti per la Nuova Era di Luce. Altri brancolavano ancora in un torbido tramonto della Ragione. Si era in guerra, in quel 2017, proprio come aveva intuito l'autore. Sarebbe stato logico che tutto il Genere umano si fosse unito in una battaglia per il vero Bene, ma non era così. A qualcuno piaceva troppo l'idea di capitalismo sfrenato, perché ci mangiava sopra. «Noi non faremo patti con costoro» pensò l'autore, scuotendo la testa, profondamente deluso da chi opera il male. Ci sarebbe voluta tanta intelligenza. Tanto coraggio. Tanta abnegazione. Ma, alla fine, la Nuova Era di Luce sarebbe stata il trionfo dei desideri più puri ed alti dell'Umanità. C'era bisogno di tempo, per organizzarsi. Di silenzio, per pensare. Di pazienza, per non scoraggiarsi di fronte ai fallimenti. L'artista sapeva tutte queste cose. Le teneva sempre a mente. La teiera d'acciaio rifulgeva, con la Luce possente della cucina. Ripensò alla sua amata Grecia. Cosa non avrebbe fatto per tornarci con Aindreas e Sinéad! Il mare era diventato suo Amico. Il suono delle onde lo cullava, rendendolo semplice. Niente è più bello del vento che incontra il mare. L'autore chiuse gli occhi per immaginare la grande scogliera di Moher, dove un uomo si sente piccolo di fronte al tutto che lo circonda. La sua Irlanda era uno spettacolo della Natura. L'uomo si sentì riempito dalla Bellezza. Ascoltò la voce di una bambina, in fondo alla strada. Ogni cosa gli sembrò sensata. Avrebbe vissuto per pochi esseri umani. Si andò a rinfrescare il viso. Trovava meraviglioso il suono dell'acqua. Si sciacquò bene gli occhi. Finì il suo appunto. Il pensiero di suo figlio lo coccolava. Voleva vivere. Era in profonda armonia con la sua esistenza. Le tragedie del passato si erano concluse, cedendo il passo ad un'epoca di grande consapevolezza di sé. C'era pace, a casa dell'autore. La tastiera musicale era accesa. Ogni tanto, l'uomo la suonava. Il suo mondo era tutto in quelle quattro mura. Si ricordò delle parole di un caro Amico. Fece un bel respiro. «Un giorno di Sole banchetteremo tutti insieme in letizia» pensò, immaginando le persone care della sua Vita. Suo padre e la sua migliore Amica non c'erano più, ma i loro insegnamenti sarebbero stati unguento per tutti coloro che li avevano conosciuti. Antesignani della Nuova Era di Luce... Il cielo era terso. I suoi pensieri nitidi. Aspettava, con l'entusiasmo di un bimbo, l'attimo in cui gli avrebbe telefonato la sua compagna, dopo una dura giornata di lavoro. Anche il solo sentire la sua voce calda lo emozionava. Lei era operatrice di prodigi. L'artista lo sapeva. La sua Donna aveva un'energia vitale preziosissima. L'autore guardò l'orologio. Erano le cinque del pomeriggio. Poteva tornare a sorseggiare il suo tè. Il silenzio veniva rotto solo da piccoli rumori domestici. Il mattino dopo, scrisse una poesia per la sua compagna. Non aveva scritto quasi mai poesie, ma quelle parole gli sgorgarono dal cuore. Intitolò il componimento «Mia»:
Mia
Come le aquile svetti.
Libera.
Pura.
Sorvoli il caos.
Non ti crucci di chi non ti ama.
Sei per pochi.
Sei Luce.
Sai amare nella dimensione dell'infinito.
Nascesti come incanto.
Crescesti con maestà.
Come una sinfonia.
Come un tempio.
Conoscesti il male.
Non ti corruppe.
Scegliesti la Verità.
Ti districasti da ogni insidia.
Sei Poesia.
Il tuo passo è Bontà.
Esserti a fianco nella battaglia è sublime.
Porti la Nuova Era di Luce.
Ne sei Madre.
Sei costante battito d'ala.
Sei eterna.
Sei cristalli d'acqua.
Tu, fiume immortale...
Tu, dolce ragazza...
Tu, folgore...
I tempi andati non fanno più male.
Sei oceano di vita.
Sei Pulcritudine...
Ora indicaci il sentiero.
Ti seguiremo.
Giubileremo in un nuovo mondo.
Cantaci le gesta di chi ha combattuto.
Sii melodia.
Sii gaiezza...
Libera.
Pura.
Sorvoli il caos.
Non ti crucci di chi non ti ama.
Sei per pochi.
Sei Luce.
Sai amare nella dimensione dell'infinito.
Nascesti come incanto.
Crescesti con maestà.
Come una sinfonia.
Come un tempio.
Conoscesti il male.
Non ti corruppe.
Scegliesti la Verità.
Ti districasti da ogni insidia.
Sei Poesia.
Il tuo passo è Bontà.
Esserti a fianco nella battaglia è sublime.
Porti la Nuova Era di Luce.
Ne sei Madre.
Sei costante battito d'ala.
Sei eterna.
Sei cristalli d'acqua.
Tu, fiume immortale...
Tu, dolce ragazza...
Tu, folgore...
I tempi andati non fanno più male.
Sei oceano di vita.
Sei Pulcritudine...
Ora indicaci il sentiero.
Ti seguiremo.
Giubileremo in un nuovo mondo.
Cantaci le gesta di chi ha combattuto.
Sii melodia.
Sii gaiezza...
7° Stralcio
La lettera
Spense la radio, perché voleva stare senza musica. Era il giorno che seguiva il lancio di «Rainy Day» e sentiva forte la necessità di non accumulare suoni in testa. Si preparò un infuso, dopo essere uscito dalla doccia con l'accappatoio addosso. Voleva silenzio per sentire il suono delle parole. Si asciugò, si mise il suo profumo preferito, si vestì, con una comoda tuta verde scuro e una polo bianca a maniche lunghe, e iniziò a scrivere. Accese la lampada della scrivania. Le finestre chiuse in una giornata dal cielo grigio. Decise di scrivere una lettera alla sua amata Sinéad. Scelse il titolo: «Sono tuo».
Sono tuo
«Ho sempre pensato di volerti scrivere una lettera, dopo tutti questi anni insieme, mia adorata Sinéad. Sei tutte le virtù di un essere umano e proprio per questo è difficile descriverti a parole. Ieri notte ho fatto un sogno. Mi sono destato con la forte percezione dell'acqua. Nella proiezione onirica, ero nel grande promontorio del Connemara, su una piccola spiaggia, fra gli scogli. Lo scintillio argenteo delle onde dell'oceano mi trapassava gli occhi. Tutto era blu e la luce era quasi abbacinante. La voce dei gabbiani creava il leitmotiv perfetto. Ero immerso nel cosmo. Un elemento di Madre Natura. Poi sei apparsa tu. Un vestito lungo di lino rosso ti giungeva alle caviglie. Mi sorridevi. Mi hai preso per mano e abbiamo camminato insieme. Mi parlavi in gaelico del mare. «Aigéan a bheith mo neart», «Oceano sii la mia forza», ripetevi con dolcezza, sussurrando queste parole, con la cadenza dei tuoi passi certi. Ad un certo punto, giunti vicino ad un faro, ti fermasti, mi guardasti con infinita tenerezza e mi dicesti: «Io voglio amarti per tutta la mia Vita, Seán». Io ti sorrisi e ti risposi: «Tu sei il mio approdo, voglio renderti felice». Poi ci abbracciamo. Ci sedemmo su uno scoglio e guardammo l'immensa schiera di onde che si frammentavano lungo la costa. Ci baciammo. Mi accarezzasti il viso. I tuoi occhi erano come miele. Appoggiasti la tua testa al mio petto. Gli attimi furono eterni. Mi svegliai la mattina dopo, con una possente sensazione di compiutezza. Il nostro Amore è poesia. Musica. Fortezza. Tu sei un'opera d'Arte che vibra col tuo respiro. Sei una scultura nel bel mezzo di una piazza antica. Sei una Sinfonia con adagi struggenti e allegri impetuosi. Sei come la marea della grande scogliera di Moher. Sei tante cose, tutte unite, tutte in una perfetta armonia di Bach. Sei un contrappunto, nel quale le voci, intrecciandosi, creano una architettura meravigliosa. Sei un dipinto con tanti colori e forme, che si fondono in una visione d'insieme straordinaria. Sei la mia Donna. La mia compagna. La mia Musa. Ti amo dal profondo del mio cuore. Voglio il tuo Bene. Quando non ci vediamo, se so che stai bene, sto bene pure io. Oggi riascolterò «Rainy Day», per comprenderlo meglio. Intanto mi crogiolo nel pensiero dei tuoi meravigliosi occhi castani, così espressivi, lirici, da perdercisi in un idillio sublime. Sei una Polis greca. Nell'agorà dei tuoi pensieri, vige sempre il rigore logico. Su per la acropoli delle tue emozioni, c'è tanto Amore, candore e letizia. Sei sempre allegra. Cogli ogni spunto possibile per star bene. Sei sana. Generosa. Attenta. Non ti sfugge nulla. Capti segnali dal mondo. La tua mente è brillante. Il tuo cuore Amore per l'Umanità. Sei una filantropa autentica. Sono davvero un uomo fortunato. Quando iniziammo a conoscerci, attraverso le parole, distanti ma vicini, non credevo potesse esistere neanche nei miei sogni una ragazza come te. Sei grazia. Ineffabile. Pura. Avvolgi con tatto tutto ciò che ami. Sai prenderti cura di tutte le persone che contano per te. Sai amarti. Sai scegliere. Sai evitare tutto ciò che è sporco. Non ti lasci scalfire dalla psicopatia di questo mondo alla deriva. Al contrario, come ami definirlo tu. Sei come la nostra grande Irlanda: un florido pascolo su un oceano dalle forti tinte blu. Tu sei. Hai la tua Identità, formata con sacrificio e abnegazione. Le sofferenze del passato non ti hanno minimamente intaccato la voglia di provare ad essere felice. Io credo che ora tu sia in perfetta armonia con te stessa. Ora sai. Ora vivi. Ora sei amata. Io ti seguirò, dovesse essere l'ultima cosa che faccio. Ti amo in modo sconfinato. Verso l'infinito. Tendo a te ogni attimo di Vita. In pensieri. Atti. Mi hai insegnato che l'Amore passa dentro alle cose. Non bastano le dichiarazioni. Ci vogliono i fatti. Preparare l'irish stew per te, il pomeriggio, per poi mangiarlo insieme la sera, è pura gioia. Non è vero che queste dimostrazioni d'Amore hanno un costo. Quando ami, fai. Non provi fatica. Senti solo letizia. Prenderti cura della persona, che hai scelto come compagna, ti gratifica. Sono l'uomo che hai plasmato con le tue mani piccole e forti. Sono il tuo compagno. Sono il frutto del tuo Amore. Trovasti un compositore triste e solo, lo rendesti un uomo allegro e vitale, aperto al mondo. Questa tua opera fu davvero splendida. Io sono, perché, negli anni, ci sei stata tu. Tu con la tua forza. Tu con i tuoi incoraggiamenti. Tu con la tua passione dolce ed amorevole. Senza di te, non avrei gli stessi segni d'Arte nel cuore. Forse mi sarei trasformato in qualcosa che non mi sarebbe piaciuto affatto. Forse sarei diventato cinico. Freddo. Vuoto. Invece tu mi hai cambiato. Mi hai detto che una Possibilità c'era. Il mio merito è stato quello di afferrarla al volo. Mi hai conosciuto che ero da poco uscito dalla tempesta, come un superstite e mi hai reso felice. Mi hai raccolto esangue sulla spiaggia. Mi hai medicato. Mi hai lenito le sofferenze. Mi hai sanato le ferite... Ed hai sempre creduto in me... Grazie... Sei la mia roccia. Con te a fianco, ora mi sento forte pure io. Mi hai insegnato ad essere forte da solo. Ora sono un uomo e posso affrontare le insidie senza più soccombere. Alla fine, questo è ciò che ho appreso da te: occorre essere saldi, nella propria Identità, per provare a resistere alle intemperie. Prima ero un giunco. Ora, grazie a te, mi sento un faro. Saprò far fronte a tutte le necessità dei miei cari? Quante e quali difficoltà ancora incontrerò? Stammi vicino. Io sono saldo, ma ho desiderio di starti accanto. Sai? A volte penso al dolore. Quello vero. Lancinante. Deformante. Ho paura di provarlo di nuovo. So che tu mi diresti che l'importante è giungere, al momento della manifestazione della tragedia, nella migliore condizione psichica possibile, ed hai proprio ragione, è così. Mi sei sempre stata a fianco. Abbiamo attraversato le maree. Abbiamo stretto i denti e provato a procedere nonostante le avversità. Siamo usciti incolumi da tutti i disastri. Non voglio più caos, per noi, Amore mio. Ci meritiamo di stare bene. Meritiamo Amore e Felicità. Saremo bravi a cogliere gli istanti di gioia. Ce ne riempiremo il cuore. Siamo tutti e due caldi. Siamo aperti. Siamo belli. Ti penso ogni istante della mia giornata. Ti dedico parole. Suoni».
Alla parola «belli», l'autore si soffermò. Aveva impiegato tutta la Vita per potersi definire bello. Bello non è solo un aggettivo poetico, ma esprime un profondo concetto. Bello, per Seán, era chi aveva rinunciato ad essere distruttivo. Chi aveva fatto i conti con i propri mostri. Chi era riuscito ad iniziare a tendere verso la sanità psichica, con assoluto rigore, in un processo che, dalla condizione barbara di mine vaganti, conduceva alla consapevolezza del proprio Sé interno ed al desiderio di non nuocere più a nessuno, tantomeno a se stessi. Bello era sano, per l'artista. Freud diceva che in ogni uomo ci sono componenti psicotiche. L'artista lo sapeva bene, ma conosceva altrettanto bene il frutto di un duro lavoro su se stessi che conduca all'essere deleteri il meno possibile. Seán e Sinéad non intendevano essere distruttivi, né nei confronti di se stessi, né degli altri. Questo li rendeva belli. Volevano solo vivere bene. Volevano gustare le meraviglie della Vita. Volevano girare il mondo e conoscere. L'uomo era rinato grazie alla sua compagna. Era vivo, ora. L'aveva conosciuta quando lui aveva una teoria sul mondo, una visione delle cose, che doveva essere fatta carne e sangue, altrimenti sarebbe stata condannata a rimanere puro pensiero astratto. L'uomo si sorrise, nel momento in cui pensò al termine astratto. Era sempre stato cervellotico. Aveva sempre pensato molto. Fin da bambino. Ora, con la sua Musa, poteva cantare le canzoni dei cartoni animati senza essere considerato infantile. Ora poteva essere bambino senza venir giudicato. Ora poteva gustare le cose semplici con lei che lo guardava con infinito Amore. Sinéad voleva un uomo fuori dal coro: trovò Seán che era lontano anni luce dal conforme pensiero ordinario. Una alchimia perfetta. Un connubio stellare. La Donna desiderava un uomo con un proprio orientamento psichico originale. Scelse il suo artista, che era un turibolo di Musica e parole possenti. L'uomo continuò a scrivere la sua lettera.
«Quando ci incontrammo per la prima volta a Doolin, sotto alla grande scogliera di Moher, che echeggiava irruente nell'aria davanti alla locanda, io mi ritrassi, quando ti avvicinasti per toccarmi. Ti stavo guardando da pochi secondi, dopo mesi di missive, e ti trovavo bellissima. Non volevo che, sfiorandomi, tu potessi giudicarmi poco piacevole. Ho avuto paura di non piacerti, perché ero ancora insicuro. Poi facemmo l'Amore. Avemmo il coraggio di spogliarci nudi, con tutte le nostre cicatrici e il desiderio di poter essere finalmente felici. Non ci vergognammo della nostra trasparenza, nella speranza di poter amare qualcuno che ci reputasse unici ed irripetibili. Fu l'atto più intimo che io avessi mai compiuto con una persona. Lì ci siamo riconosciuti. Sotto le lenzuola, nelle nostre nudità, ci siamo chiamati per nome e credo che, proprio in quel momento, ci siamo scelti, giurandoci eterno Amore. Ci vestimmo e spogliammo più volte, quel giorno, perché non volevamo fare sesso, ma appartenerci e perderci l'uno nelle braccia dell'altra. Quando decidemmo di andare sulla scogliera, ci accorgemmo, passeggiando lungo il grande sentiero di Moher, che c'era una ragazza gaelica che suonava l'arpa, sotto l'acquerugiola incessante. Ascoltammo la melodia e mi sorridesti con quel tuo viso da bambina piena di stupore, sotto l'ombrello. Quanta Bellezza sei, Amore mio... Giunti davanti all'oceano, ci sedemmo, ad ascoltare la sua voce poderosa da contrabbasso, su cui si stagliava una linea musicale di vento forte, come una fanfara di ottoni. Fosti per me suono. Tu non conosci la sintassi e la grammatica della Musica, ma ne sei un emblema. Sei tanti agglomerati acustici tutti insieme: la tua voce, il rumore dei tuoi passi, il battito del tuo cuore e quell'innata abilità che hai di battere le tue piccole mani a tempo, fischiettando e cantando le canzoni che più ti piacciono. Quando sei allegra, sei un essere poderoso. Quando sei triste, ti meriti di essere coccolata e rinfrancata. Tu non fai mai pesare un tuo stato d'animo negativo sugli altri. Piuttosto ti isoli ed aspetti che ti passi. Sei così attenta a non ledere il retto sentire altrui! Io ti vedo come una magia. Penso il tuo nome e sorrido. Pronuncio i tuoi soprannomi e danzo. Hai insegnato a questo uomo la voglia di ballare. Tu sai benissimo come mi muovo a tempo. Ti diverte molto vedermi lanciato su forti linee ritmiche in movimenti inventati di tutto il corpo. Ecco, vedi? Ora che scrivo queste parole, sorrido. Sei tu la mia Allegria. Sei tu il mio benessere».
Quando vergò benessere, sospirò, fece un tiro di sigaretta e provò a focalizzare, in sé, al meglio, quel concetto tanto caro alle sue intuizioni. Benessere, il dizionario recava questa definizione: «Stato armonico di salute, di forze fisiche e spirituali». Era proprio come diceva il vocabolario. Una dimensione, in cui tutte le voci si intrecciano, con consonanze e dissonanze atte al processo di avanzamento, nate per concepire salute mentale, che si traduce in una forza considerevole sia del corpo che della Psiche. Questo era Sinéad per lui. Poi le scrisse:
«Non so immaginarmi una Vita senza te. Non la voglio. Io desidero starti accanto, essere il tuo pensiero lieto al mattino, quando sorseggi il caffè. Io sono tuo, ti appartengo. Acciuffami ogni giorno di più. Abbiamo il nostro linguaggio, costruito in anni di comunicazione. Abbiamo il nostro codice, fatto di bizzarre parole inventate ed esclamazioni di giubilo. Abbiamo le nostre Vite, che sono già belle e lo potranno essere sempre di più, perché, nella ricerca della Psiche, si può stare sempre meglio, in un crescendo travolgente. Il mondo alla rovescia, qui, non entra. Abbiamo sfrondato gli alberi della nostra esistenza di sovrastrutture borghesi e relazioni fasulle. È stato un duro lavoro, ma ce l'abbiamo fatta. Ora viviamo nell'essenziale e si sta davvero bene così».
Dopo aver scritto essenziale, l'autore finì la frase, si arrestò, sentì il cupo suono della barra spaziatrice chiudere la proposizione e si accarezzò la barba folta con la mano sinistra, in una sorta di coccola. Ricordò gli studi fatti al liceo, quel verbo latino esse, essere, da cui deriva essenza ed essenziale. Essere era tutto il problema dell'Umanità. O sei, o non sei. O hai un'Identità tutta tua, o sei la maschera di te stesso o di qualcun altro. Sinéad e Seán vivevano di essenza. Di sostanza. Erano definiti dalla loro Identità psichica di individui in forte trasformazione costante... Non intendevano apparire. Non era questo ciò che gli interessava. Volevano solo star bene. Essere. Vivere. Nutrirsi della linfa buona insita in gesti d'Amore gratuiti. Erano legati da un gran bene, i due. C'era profondo rispetto. C'era Bellezza. C'era Bontà. C'era Verità... L'uomo continuò a scrivere.
«Non ho mai inteso farti del Male. Inevitabilmente, te ne ho fatto, purtroppo. Non sono sempre stato perfetto, ma tu hai continuato a credere in me, sempre, inesorabilmente ed instancabilmente. Ci fu un tempo in cui fummo dissoni. Erano da poco morti i nostri due padri ed avevamo bisogno di tempi e modalità diverse di rielaborazione del lutto. Lì, mi hai sentito davvero troppo lontano, inafferrabile. Poi però, comunicando e scambiandoci idee, abbiamo ripreso in mano il timone e attraversato la tempesta con coraggio, perché questo è l'Amore: la certezza di voler stare insieme nonostante le difficoltà. Io ti scelgo ogni singolo giorno della mia Vita, perché tu sei il meglio per me. Io so con certezza che sei tu il mio Futuro».
Scrisse l'ultima parola e si interrogò. Futuro era sempre stata una parola enigmatica, per lui. Chi viene dalla tempesta ha una percezione fluttuante di futuro: o non se lo immagina, o crede che sarà sempre tempesta, rivolgendo il proprio pensiero al giorno successivo, chiedendosi se potrà respirare o se si dovrà rassegnare all'idea di soccombere. La tempesta toglie all'individuo la capacità di fare dei progetti. Lo fa vivere in un eterno presente, senza la Possibilità di sognare un domani diverso dal combattimento per la propria sopravvivenza. Il futuro lo aveva atterrito per tutta la sua Vita. In quel momento, invece, esso non gli faceva più paura. Non voleva più avere il terrore di nulla. Avrebbe vissuto passo dopo passo. Step by step. A passi di bimbo, come recitava il film «What About Bob?» con uno strepitoso Bill Murray. Sorrise. Quel film gli piaceva davvero molto e lo trovava intelligentissimo e brillantissimo. Quello era il genere di humour che gradiva. Pensò alle sue rare risate... Non gli capitava spesso di ridere. Rideva però di cose tutte particolari, che gli tornavano in testa e lo facevano esplodere in una crisi di ilarità totale. Seán era un uomo particolare. Il futuro non gli avrebbe dovuto mettere più ansia. «Sarà quel che sarà!» pensò, con il buon umore che lo contraddistingueva dopo aver letto i messaggi di buongiorno della sua compagna. Continuò a gettare sulla pagina di carta le sue idee per la lettera alla sua Musa.
«Tu sei dietro ai miei suoni, che immortalo in partitura. Tu sei dentro alle lettere delle parole che scrivo. Tu sei ovunque, in me. Sei il mio terreno fertile. La mia stella in un cielo illune. La spiaggia a cui torna il mio mare. Sei immortale, nella mia Psiche. Sei una grande guerriera. L'amante di tutta una Vita».
Scriveva Vita ed altre parole in maiuscolo per la loro valenza esistenziale. Fece una pausa. Andò a bersi un sorso di caffè caldo. Si accese una sigaretta e, guardando fuori dalla finestra, riconobbe il suo cielo gaelico plumbeo e minaccioso.
8° Stralcio
Possibilità
Mangiò un muffin al cioccolato, si sciacquò la bocca e bevve un sorso di caffè. Si mise alla sua scrivania, pensò alla Bellezza del sostantivo Possibilità e decise di intitolargli un brano musicale, con un titolo in gaelico irlandese. Seán pensava che la lingua dei nativi dovesse essere valorizzata. Ogni tanto, quando ascoltava gli anziani parlare in irlandese, sorrideva. Un popolo, senza la propria lingua, è destinato a soccombere. L'uomo si svegliò presto, l'otto Ottobre 2017, come spesso faceva, durante la lunga stagione dell'Autunno. Amava godersi la quiete di quei momenti in cui tutto deve ancora cominciare e le strade sono ancora buie e deserte. Quell'ambiente visivo lo aiutava a scrivere. L'artista si preparò il tè, si lavò e iniziò a pensare a come continuare il brano intitolato «Possibilità»: «fhéidearthacht», come amava dire suo padre, quando, con il sorriso in bocca, gli spiegava la differenza fra ciò che è in potenza e quello che è l'essenza. Il compositore aveva ben nitido il ricordo del padre quando tornava dalla pesca e lo abbracciava forte. C'era stato molto Amore fra i due. L'artista sorrise, perché suo padre era un essere di Luce davvero possente e un grande papà. Dunque, «fhéidearthacht», fino a quel momento, aveva due unità costitutive: un adagio con orchestra d'archi e un dialogo fra orchestra d'archi e pianoforte solista, in un Andante spianato di chopiniana memoria. Nella mente dell'autore, il brano avrebbe dovuto svilupparsi con un quintetto: pianoforte, violino I, violino II, viola e violoncello. In testa, come riferimento artistico, aveva un Quintetto di Brahms: lo struggente capolavoro in Fa minore. L'uomo, in quel silenzio, si cantò mentalmente le note dell'esordio del Quintetto del grande compositore tedesco, che tanto amava. Un altro uomo che aveva spostato il limite dell'Umanità un po' più in là. L'artista era curioso di leggere la definizione che il dizionario recava di Possibilità. Andò a cercarla. La trovò e la lesse con interesse: «Il fatto di esser possibile, la caratteristica di ciò che può esistere, realizzarsi, avvenire». L'uomo si soffermò a rileggere per la terza volta, per cogliere meglio il senso delle parole del vocabolario. Esistere. Realizzarsi. Avvenire. Davvero tre bellissimi verbi. «Posso esistere. Posso realizzarmi. Possono avvenire eventi» scrisse l'artista nel suo probo diario rosso sangue, che, nel tempo, era diventato l'insostituibile compagno di mille battaglie. Il poter essere lo affascinava. «C'è la concreta Possibilità che tu possa avere una vita davvero felice» diceva al figlio Aindreas ogni tanto, con tono amorevole e scherzoso. Era per lui stato possibile vivere in una nuova dimensione. Condurre un'esistenza al di fuori della tempesta. Salvare tutti i propri Sé buoni e tornare a sperare, sebbene con mille cicatrici. Ecco perché amava la Possibilità, che non si dovrebbe negare ad uomo alcuno e che deve esistere per tutti: occorre però trasformarsi con essa, grazie ad essa. Certe volte, di tanto in tanto, specie quando leggeva le agghiaccianti notizie dal mondo, veniva percorso da un pensiero che lo scuoteva, causandogli tristezza. Si rendeva conto, in quei frangenti, di essere affranto, dacché temeva, per il proprio nucleo, l'insorgere negativo di una condizione mentale mesta e arrendevole. «Noi dobbiamo stare bene!» sussurrava a se stesso quella mattina, mentre il suo occhio cadeva sul metronomo elettronico nero che aveva accanto al Mac e che, a distanza di anni, ancora chiamava Maestro. Un uomo come lui, che, disperato, aveva attraversato la tempesta, non poteva che avere paura di star male, di tanto in tanto. L'artista spesso rifletteva. Giungeva alla conclusione che avrebbe affrontato i guai con coraggio, a testa alta, fiero come sempre, arrendevole come mai. La sua pagina di racconto volgeva al termine. Sorseggiò un buon tè, regalo della sua compagna. Lei era così generosa... Aveva sempre un pensiero gentile per lui, che apprezzava molto gli slanci della sua Musa. La barra spaziatrice consegnò al mondo questo suo pensiero, dopo il punto e un rumore cupo. Il compositore assunse la sua tipica posizione davanti al monitor, con la mano sinistra a sorreggere il mento e la destra appoggiata sulla tastiera. Poi congiunse le mani. Rilesse la pagina e si accarezzò la barba, che stava diventando sempre più folta. L'artista, quella domenica, sarebbe andato al mare con la sua Sinéad. I due erano sempre alla ricerca di uno squarcio suggestivo sull'oceano. Era possibile, in quella era della Vita dell'autore, essere felice. Era possibile per tutti quelli che amava. Il compositore lo credeva fermamente. Si accese una sigaretta. Stava albeggiando. I colori, dopo il sonno della notte, tornavano a svegliarsi e la sua Landa appariva sempre più bella. Pensò all'aurora sulle scogliere irlandesi, al grande scenario del Sole che nasce sulla maestosa roccia. Quando si incontrò per la prima volta con la sua compagna, i due salirono sulla scogliera per ammirare lo spettacolo del Sole sull'oceano, stretti stretti, mano nella mano. L'uomo ricordò che la sua compagna portava una vaporosa camicetta bianca, che ne esaltava le meravigliose forme dolci e rotonde di Donna affascinante... Erano trascorsi nove anni, i più belli della Vita dell'uomo. La sua Musa lo aveva reso sempre più felice, sempre meno cervellotico... Ora Seán doveva reggere la realizzazione: non aver paura di essere felice, ma vivere senza porsi troppi interrogativi e stare bene. Sostenersi sempre con Amore. Lui, con quella sua naturale propensione ad un flusso gigantesco di pensieri... Lui, con il suo mirabile cerebro umano... Lui, che era superstite ed esule... La sua compagna rappresentava il suo metronomo ed accordatore: gli suggeriva con letizia i tempi e l'intonazione precisa del suo strumento interno. Insieme erano una forza. Da soli, rimanevano comunque due straordinari esseri umani. L'artista decise che si sarebbe bevuto un caffè. Ne aveva voglia. Andò in cucina e se lo preparò, senza zucchero, come piaceva a lui. L'autore, con il suo flauto traverso, amava improvvisare in Re minore, nella tonalità della Nona di Beethoven e del Requiem di Mozart, che era decisamente la sua tonalità di riferimento, insieme a La minore. Le sue idee musicali nascevano spesso da queste due strutture armoniche. C'era la prima Luce del nuovo Sole ed il viale gli sembrò un passo di montagna, con gli alberi tutti intorno e la pietra bianca a lastricare il sentiero. Le chiome stavano iniziando a diventare rosse ed arancioni, segno indelebile di un Autunno ormai splendido. L'uomo amava molto la stagione dopo l'estate. Ci si identificava. Si sentiva anche lui in trasformazione. Foglie di tutte le dimensioni e colori arricchivano lo scenario della strada. In centro, a Galway, possenti fusti di birra venivano lasciati davanti alle porte dei bar, mentre il fiume Corrib, con la sua voce grave da contrabbasso, intonava il canto di Madre Natura, con onde spavalde, davanti alla casa di Norah Barnacles, moglie di James Joyce, riferimento letterario di Seán. Tutti gli artisti veri sono coraggiosi e sfidano lo status quo, quando esso è morte e distruzione. Joyce aveva inventato una tecnica letteraria, facendo la rivoluzione con i morfemi ed aveva parlato ad un pubblico futuro che, forse, dopo tanto tempo, ancora non lo aveva compreso appieno. Un gigante. Come Stravinsky, come Kandinsky, come Picasso, che partoriscono impavidi la materia, ex novo, e la plasmano attraverso strutture vergini, in una dimensione di Bellezza totalmente rinnovata. I grandi della Terra... I geni... I ribelli... L'uomo si sentiva in buona compagnia. Non era solo. Gli bastava guardare per un minuto un dipinto di Van Gogh per realizzare di essere parte dell'Umanità più vera. Era a metà pagina. L'idea della Possibilità lo cullava. Era possibile un mondo altro. Era possibile poter vivere tutti insieme in armonia. Era possibile sconfiggere il male. L'artista, tutte queste cose, le sapeva benissimo, le aveva provate sulla sua pelle. Bevve un sorso di caffè e si accese una sigaretta. Rilesse le ultime righe. Le trovò compiute. Il turbocapitalismo, a casa dell'uomo, non era ammesso. Non sapeva proprio come entrare. L'autore sorrise della bontà e del potere della sua piccola fortezza. «Qui, i dati macroeconomici e lo spread non passano! Qui si fa Arte!» affermò con vigore, guardandosi allo specchio... L'autore era riuscito, negli ultimi suoi anni, a costruirsi una dimora della Psiche che gli garantisse di non venire infettato dal sistema. Prime voci lungo il viale. La Luce chiara ed argentea dell'alba gaelica. Un pascolo lussureggiante sull'oceano indaco. Un abbraccio con il cosmo... «C'è così tanta Pulcritudine intorno a noi, che, se solo riuscissimo a respirarla per qualche attimo, ci riempirebbe di Bontà l'animo, per giorni interi...» pensò l'uomo, gustandosi un'aria finissima, carica di ossigeno, a finestre aperte. Era tutto possibile. Seán, quella sensazione, la percepiva pulsare nelle vene. Aveva riletto la lettera alla sua compagna, trovandola molto toccante. La sua Donna meritava le parole più belle ed i suoni più audaci. Girò per casa. Lo sguardo si soffermò sul suo album da disegno, che aveva sul mobile dello studiolo. Aveva, nel corso degli ultimi anni, ripreso a disegnare e colorare: così erano nate le copertine dei suoi dischi. Disegnare lo faceva stare bene. Tutto ciò che era rappresentazione lo stimolava. Sublimava costantemente, in un processo mentale davvero prodigioso. Il caffè era buono. Glielo aveva consigliato la sua Donna, che era una vera intenditrice di tutte le bevande d'Irlanda. L'uomo sorrise delle capacità della sua compagna. Lei era una forma d'Arte. Era parola; era suono; era conoscenza. Viveva in un rigore intellettuale davvero sorprendente, la dolce Sinéad. Non aveva mai avuto paura di dire: «Questa cosa non la so, spiegamela»... «Un giorno, vivremo tutti valorizzandoci gli uni gli altri, senza invidie, paure, paranoie. Il mondo sarà un posto bellissimo, allora e tutti si prenderanno cura del benessere dei bambini» pensò l'autore. L'uomo sentì il suono delle campane della piccola chiesa vicino a lui. Raramente percepiva quel suono rotondo, se non in particolari condizioni di vento. L'autore rilesse e si accarezzò la barba. Amava il suo viso. Teneva il suo volto così da quando aveva diciassette anni. Non si sarebbe potuto riconoscere se fosse stato imberbe. Ripensò ai due martiri della Nuova Era di Luce: suo padre Connor e la sua migliore Amica Crón. Li sentì con sé. Ne custodiva gelosamente le immagini. Erano in lui. Guidavano i suoi passi. Il padre, Seán, lo volle seppellire di fronte alla grande baia di Galway, in un cimitero gaelico, con una croce in pietra con la scritta: «Fosti Amore». Non era ancora stato a Cork a visitare la tomba della sua Amica, virgulto di Luce, ma si ripromise di andarci quanto prima. Si ricordò di quando, tutte le mattine, faceva un giro su Facebook e leggeva i post di lei, commentandoli con viva emozione. «Ci manchi, Crón: sei stata una Donna dalla grande personalità. Un faro in una notte illune. Uno struggente adagio in una sinfonia di Mahler...» riflesse l'artista, che ricordava benissimo la genialità della sua sorella spirituale... L'autore scrisse tre puntini di sospensione su un foglietto colorato. «Forse i puntini di sospensione possono racchiudere tutto quello che si sente per una persona che non c'è più» pensò l'uomo. Erano le otto e venti e l'uomo voleva sentire la madre per darle il buongiorno. Il loro era un rito ben prestabilito: parlavano del tempo, delle cose da fare e facevano considerazioni su tutto. Seán voleva bene a sua madre, sebbene i due, per tanto tempo, non si fossero compresi appieno. L'artista era un giardino pieno di Sé buoni. Era rigoglioso. Bello. Casto. Aveva lavorato tutta la Vita per poter provare, di nuovo vergine, la sensazione di sentirsi pulito, mondato da tutto lo sporco. Era un prodigio pure lui, come la sua compagna. Entrambi due sopravvissuti. Rilesse un messaggio alla sua compagna di pochi giorni prima: «Dolce Musa, sono qui in casa, mentre vago per le stanze e ti penso. Ho riletto stamani una lirica del nostro Amico Damien e devo dire che ci sento un grande desiderio di una Vita piena, in un abbraccio avvolgente con cui lui intende cingere il suo Universo e portarlo in sé. Oggi desidero scrivere, perché ho delle idee e bramo descriverti, in tutta la tua carica di benessere e serenità. Sei ogni mio perché. Tutti i miei sorrisi. La mia gioia. Prima di conoscerti, la parola «Felicità» mi era completamente preclusa. Il futuro non riuscivo nemmeno a scorgerlo, poi sei arrivata tu, che sei la mia letizia e il mio canto per il giorno che verrà. Camminerò al tuo fianco. Veglierò su di te. Respirerò insieme al tuo soffio vitale. Non so più immaginarmi una Vita senza di te. Sei il pensiero con il quale mi sveglio. Il primo sorriso della giornata. Rappresenti la gloriosa Sinfonia che ancora non ho scritto. Ti amo in una dimensione totalizzante. Voglio solo perdermi nel tuo sguardo che penetra le cose, rivelandone l'essenza. Conta su di me: io ci sarò sempre, con la mia dedizione, sempre attento ad ogni tua esigenza». L'uomo la amava follemente. La sua Donna lo adorava con una forza davvero travolgente. La Possibilità aveva partorito due Identità compiute, dacché loro due erano cresciuti nel rapporto, trasformandosi in creature di Luce. Il loro merito era stato afferrare la giusta marea, dopo la tempesta...
9° Stralcio
Non-rapporti
Tornò dal suo giro in centro. Osservò il cielo plumbeo dai cui nembi filtrava una Luce fioca, che creava effetti chiaroscurali sulle cose. Avvertì forte l'esigenza di farsi una doccia, per sentirsi pulito e nuovo. Girò per la casa. Si guardò allo specchio. Uscì. Camminando per la piccola strada che affianca il corso del fiume Corrib, gli venne in mente di scrivere un brano musicale sulla sua Sinéad, sebbene fosse conscio della difficoltà di rappresentarla coi suoni. Aveva una musica in sospeso, quella sul suo Maestro. Non se ne preoccupò più di tanto: l'avrebbe completata quando se lo sarebbe sentito. Si accarezzò la barba con la mano sinistra, pensando a quanto fosse dura l'operazione di scrivere della sua compagna, che era davvero tante cose belle tutte unite in una sola Psiche. Era però affascinato dall'idea di provarci di nuovo, alla Luce di ciò che loro due erano in quel momento. L'uomo, nel tempo, aveva scritto cose degne sulla sua Donna, ma sentiva che non erano abbastanza. Voleva cogliere la di lei essenza. Rimase serio davanti al monitor del suo Mac. Non sapeva cosa fare. L'indecisione di quei momenti fu lampante. L'artista non si sentiva molto forte, quel giorno. Percepiva una precisa stanchezza mentale. Forse, negli ultimi quaranta giorni, aveva chiesto troppo a se stesso, decidendo di comporre e scrivere fino allo sfinimento. Bevve un sorso di caffè. Aveva comprato il pane per la cena. Fissò la pagina vuota, come lui. Non riusciva a creare parole nuove. Si accettò con i propri limiti di essere umano. Decise che, per distrarsi, avrebbe letto le news dal mondo. Stabilì che il brano sulla sua compagna dovesse iniziare con un accordo dissonante, seguito da una dolce melodia di clarinetto in Mi bemolle. Titolo: «cailín», «fanciulla», sostantivo pensato da lui con tutto l'affetto possibile. La differenza essenziale, fra il prima e il dopo, tra la tempesta perfetta e la nuova Vita dell'artista, era che ora l'uomo realizzava fedelmente quello che pensava e diceva. Così facendo, davvero vinceva. Nella successione delle sue piccole e grandi realizzazioni, alla fine, era diventato vincente, perché, non arrendendosi mai, in conclusione, aveva suscitato, in sé, una meravigliosa corrispondenza fra la sua mente e la realtà. Quando voleva progettare una cena per sé o per la sua compagna, correva a fare spesa, cucinava e rendeva quel suo piccolo sogno concreto. Quando aveva un barlume di musica in sé, gettava le note nella partitura. Quando decideva di scrivere, vergava lemmi. Così vinceva. Una sorta di coerenza assoluta fra pensiero e realizzazione dello stesso. Prima, invece, durante la tempesta che aveva tentato di ucciderlo, tutto era frammentario. Non c'era continuità fra Psiche e gesti. Il flusso veniva sempre interrotto da qualche catastrofe da affrontare in totale emergenza. Aveva convissuto con l'angoscia. La precarietà era stata il suo sentiero. Si guardava spesso intorno: una marea di persone si accontentava di non-rapporti mediocri e patogeni. L'uomo ascoltava una emittente gaelica alla radio, che trasmetteva i successi degli anni d'oro del Rock. I non-rapporti erano micidiali. Uccidevano. Stupravano. Incenerivano le persone, troppo spesso in modo irrimediabile. Quel genere di relazione, in cui non c'è crescita e trasformazione, ma solo annichilimento e frustrazione, era diffusissima, nel terzo Millennio: egomaniaci, sulla rampa di lancio per la soddisfazione dei propri più infantili bisogni, riducevano in polvere poveri sventurati, che, per proprie carenze, si lasciavano fare a pezzi. Dopo la parola «pezzi», l'artista sospirò, dacché, avendo a cuore le sorti del Genere umano, non comprendeva tutta quella perdita di tempo e la derivante spersonalizzazione, che recava con sé il dolore e l'allontanamento di qualsivoglia forma di Identità. Fece un giro in casa. Si fumò una sigaretta scrutando il cielo. Pensò a Sinéad e alla sua ruggente voglia di vivere. Lei era differente, proprio come amava definirsi. La sua Psiche era rigogliosa come i giardini pensili di Babilonia... In lei dimorava un canto antico come il mondo, che inneggia alla Verità e alla Possibilità di essere felici. L'uomo si sentiva davvero gaio. Lei aveva scacciato via gli ultimi scampoli della tempesta letale, nella Vita dell'autore. Lei era stata il primo arcobaleno. Il primo sorso d'acqua dopo il naufragio. Il primo abbraccio sano, fuori dal contesto dei rapporti familiari. L'artista la contemplava muoversi per le vie del mondo, osservandola con attenzione, tenendole la mano calda e forte, mentre camminava a suo fianco. L'aria frizzante penetrava in casa e il compositore avvertì freddo. La radio continuava a trasmettere musica dal ritmo incalzante. Seán era un grande fan dei Pearl Jam. Per lui, Eddie Vedder era Poesia. Aveva inoltre trascorso l'adolescenza in compagnia di tutti gli album dei Pink Floyd. Il Rock faceva dunque parte della sua esistenza, da sempre. Ripensò ai non-rapporti. Gli sembrò assurdo perdere parte della propria Vita in qualcosa che conduceva alla morte ontologica, piuttosto che camminare verso la Luce dei rapporti edificanti, grazie ai quali essere sereni e costruirsi un'Identità piena. I non-rapporti erano la maggioranza delle relazioni interumane, purtroppo. L'uomo se ne addolorava. C'era qualcosa di abominevole che bloccava la crescita di molte persone. Qualcosa di profondamente sbagliato. Qualcosa di davvero ingiusto nei confronti della propria immagine interna. Non era solo il turbocapitalismo. Non era solo la frenesia di quegli anni. Non solo il portafogli vuoto di troppi. Lì c'era un meccanismo interno che bloccava la realizzazione piena dell'individuo. L'autore sapeva che molte persone non amassero guardarsi dentro e forse proprio per quello il mondo stava andando a rotoli. Urgeva una accurata opera di prevenzione dei mali della Psiche. I bambini dovevano conoscere, oltre ai numeri e le lettere, le dinamiche dello stare insieme, il rispetto che si deve a un altro essere umano e come affrontare una sconfitta. Una coppia di anziani si sedette su una panchina del viale. All'uomo sembrò un segno: c'era speranza per quella Umanità allo sbando. L'autore attendeva con ansia di parlare con la sua compagna; di ascoltarla; di ridere con lei. Pensò al suo amico Capitano, che veleggiava sempre verso nuovi lidi. Il compositore immaginò il forte vento che spazza le Aran Islands. A un passo da casa sua, c'era l'incanto del volto più selvaggio e vero d'Irlanda. Aveva sentito Aindreas, al telefono. Il ragazzo gli era parso teneramente affabile. L'artista si augurava che il figlio potesse diventare un uomo dignitoso. C'era un legame forte fra i due e l'autore gli scriveva spesso messaggi benauguranti al mattino, prima che il ragazzo andasse a scuola. Aindreas era il meglio di Seán, la somma di tutte le sue virtù e altre parti che erano tutte sue, generate da un percorso che il ragazzo stava compiendo e che lo avrebbe di sicuro portato ad avere una propria scultura interna, originale e vergine. L'uomo, pensando queste cose, sorrise e si toccò i capelli con la brillantina, per farsi una carezza. Dopo otto giorni, sarebbe andato a Cork. All'abbraccio con suo figlio non mancava poi tanto. Il compositore era profondamente riposato, quel giorno. Si era fatto una bella doccia, alternando l'acqua calda a quella fresca. Si era messo il profumo preferito da Sinéad, per sentirsi attraente. Poi si era scattato una foto e l'aveva spedita alla sua compagna e alla sua amica di Belfast, la meravigliosa Shayla, che era innamorata di un fantasma incapace di darle continuità in un rapporto d'Amore che era solo nella testa della ragazza. L'autore andò in cucina a bere un sorso di una nuova bevanda che aveva trovato al negozio dove comprava il pane. La sorseggiò, un po'. Sentì la Bontà in bocca. Si accese una sigaretta. Gli telefonò la sua compagna, che gli parlò di come il mondo alla rovescia si fosse impossessato dell'azienda nella quale lavorava. L'autore la ascoltò con attenzione e rimase basito. La grande falcata del turbocapitalismo si faceva notare ovunque. In ottocento anni di capitalismo, dalle prime società mercantili, esso aveva sottomesso l'esistenza degli uomini, causando la morte di quel sogno collettivo che era l'Arte e la speranza di poter vivere in armonia, fieri di appartenere alla grande tribù delle creature di Luce. Forse i non-rapporti erano anche frutto di questo impazzito sistema neoliberista, o forse rappresentavano l'esito finale di una innata tensione alla morte, che dimorava nel DNA di tutti. L'ordine vigente bramava gli uomini irrisolti e proni. Distruttivi e succubi, determinati a volersi fare la guerra per un pezzo di pane, ed incapaci di sollevare lo sguardo per vedere, sopra di sé, quella mastodontica struttura di potere che, della Vita degli uomini, decideva tutto, anche ciò che avrebbero mangiato o bevuto, in una spirale totalizzante in grado di uccidere ogni forma di pensiero altro ed originalità. La tendenza, a dover essere sempre al top in tutto, aveva reso le persone isteriche ed ossessive. «Devo andare in palestra dopo il lavoro, devo mangiare veg, devo avere il cane da portare a passeggio, devo vestire firmato, devo fare le vacanze, quelle giuste, dove tutti sono in, devo avere il suv più bello di quello del mio vicino, devo portare mio figlio a basket, judo e pianoforte...» sentiva l'autore da ogni parte. La struttura sociale, voluta dal nuovo ordine mondiale, bramava gli individui in fase ipomaniacale. Sempre in tiro. Sempre al massimo. Sempre irrimediabilmente forsennati. Alla ricerca di un benessere che non era mai a portata di mano, che implicava sempre sforzi immani per raggiungerlo. Quando poi due individui si incontravano, allora lì c'era, quasi sempre, l'unione di due psicosi. I non-rapporti sono questo e altro ancora. Gli studiosi parlavano di epoca dell'egomania e del narcisismo, ma, secondo l'artista, c'era di più. C'era, inconsapevole, la propensione a non volersi curare, che conduceva al disastro, sia proprio che interumano. Aggiungiamoci poi che il mondo stava andando alla rovescia e il risultato di totale disfatta era garantito. L'uomo era molto preoccupato quando pensava a queste cose. Si sentiva un alieno, in mezzo ad una marea di normali patologici, che, puntualmente, finiva col non frequentare. Applicava un metro rigido di valutazione: «Non stai bene, non sei per me». Tutti avevano una tempesta da ricordare. Fra tutte le priorità dell'uomo tecnologico del terzo Millennio, l'immagine del viaggio in se stessi era pressoché nulla. L'artista aveva avuto una esperienza di difficoltà, ma era conscio del fatto che occorra anche saperne uscire vivi. Non morti che camminano. Non esseri patogeni. Non persone irrisolte, che gridano, puerili, i loro istinti più primordiali. La pagina del racconto stava per finire e l'uomo accarezzò, per brevi istanti, l'idea di poter scrivere un romanzo, che avrebbe dedicato alla Nuova Era di Luce, di cui l'Umanità aveva un disperato bisogno. Era contento del suo flusso creativo. Il giorno prima aveva composto. Gli era sembrato di non avere idee, poi, alla fine, aveva scritto qualche minuto di musica sulla sua Musa. L'uomo si accarezzò la barba con la mano sinistra, rileggendo gli ultimi scampoli letterari. Pose un punto e ascoltò il suono cupo della barra spaziatrice suddividere i propri pensieri. C'era speranza per un Genere umano allo sbando? I non-rapporti seminavano morte e distruzione come le bombe e la fame. Il compositore bevve del caffè e si accese una sigaretta. Mentre fece il primo tiro, chiuse gli occhi e si immaginò come avrebbe potuto essere il Pianeta Terra, senza quell'un per cento di mostri che ne decidevano le sorti. Il novantanove per cento dell'Umanità non si era ancora organizzata per la Rivoluzione che portasse alla Nuova Era di Luce. «Per forza! - pensò l'artista - sono tutti anestetizzati dalla pubblicità della coca cola!» esclamò, con vigore... L'uomo sapeva che non c'è Rivoluzione senza una rinascita personale, che conduca all'Identità sana. Questo mondo doveva andare in Psichiatria, altro che alle Maldive! Doveva essere istituito, a livello planetario, un organo di cura cui tutte le nazioni partecipassero attivamente: un Ministero globale della Sanità psichica! Quella sì che sarebbe stata evoluzione! Seán era un rivoluzionario, animato da una spinta ribelle davvero portentosa. Aveva le idee chiare. La sua Visione era nitida. Ricordò quando a Belfast, durante la tempesta perfetta, una moltitudine di famiglie irlandesi venivano rastrellate dalla polizia inglese... Il ragazzo era cresciuto in una società che proponeva l'odio per il diverso. Era stato sempre convinto che non si potesse dividere un popolo in due. Era una questione di giustizia. Di Amore. Di rispetto. Se i popoli non si rispettano, il sistema, che vuole guerre e sofferenze, vince a mani basse. C'era troppa poca equità, in questo mondo. Il compositore lo sapeva. C'era ancora tanta paura di chi è differente. C'era troppa violenza, verbale e non. In questo ambito, i non-rapporti erano l'apoteosi della stupidità. Gente che si ferisce vicendevolmente per una sorta di brama di potere. Gente che soffre per un invito negato. Gente che, per anni, subisce violenze fisiche e psichiche. La deriva assoluta del Genere umano... L'artista leggeva spesso delle vittime dei narcisisti e pensava: «Quanto dolore, quanta urgenza di una sana rivelazione sulle potenzialità della propria persona...». L'autore era a pagina ottantotto del racconto, nel nono capitolo. Si soffermò. Si alzò dalla scrivania. Andò a bere in cucina. Era sempre più convinto della necessità di una Nuova Era di Luce, dove i bambini danzassero felici su note di una badinerie di Bach... La sua immagine interna era rossa, con curve blu e oggetti tridimensionali verde scuro. Era come la sua Landa. Era vivo. Attento. Vigile. Dopo la tempesta perfetta, durata un'eternità, l'uomo era rinato alla vera Vita. Quella di prima era solo tragedia. Aveva imparato a far respirare il cuore e la mente. Si era impegnato tanto. Solo la sua compagna sapeva quanto... Era un uomo nuovo... Aveva ricucito tutti i rapporti importanti della sua esistenza. Aveva fatto un lavoro lodevole specialmente con la madre, con la quale, per anni, la comunicazione era stata dissonante e dolorosa. L'autore era a metà pagina. Avrebbe voluto continuare. Si ricordò del consiglio di Hemingway sullo scrivere la frase più sincera che si ha nel cuore e la vergò: «Sono felice». L'artista vedeva un'Umanità immobile. Chiusa dentro a un centro commerciale. Arrendevole. Che arranca dalla mattina alla sera per un miraggio di gioia che mai arriva. Tripudio del sistema. Erano riusciti a rendere il Genere umano un esercito sconfinato di schiavi incapaci di ribellarsi. Occorreva dire che tutti quei potenti erano dei veri seguaci del male, con una intelligenza acutissima. Con dei mezzi spaventosamente efficaci. L'uomo ebbe sete. Andò a bere dell'acqua fresca, mentre pensava a come proseguire la sua prosa. Passò nel suo piccolo bagno e si rinfrescò il viso, che amava sentire irrorato dall'acqua, elemento taumaturgico della sua Vita. L'artista pensò alle persone riverse sotto gli attacchi del sistema: non poteva accettare che molti si prostrassero al nuovo ordine mondiale. Era tutto da rifondare. Erano gli uomini a dover crescere e trasformarsi. Era ora di una novità, di una Possibilità per la Psiche. L'artista riflesse. I non-rapporti erano conseguenza di una non avvenuta maturazione psichica. Questo mondo era alla deriva perché non si poneva al centro di ogni dibattito la questione «Psiche». Fin quando non si fosse immaginata e realizzata una visione sull'essere umano e i suoi bisogni, sulla sua Psiche e le proprie legittime aspirazioni, questo pianeta Terra sarebbe stato abitato da quasi tutti non-uomini. L'uomo pensò molto a quello che aveva appena scritto. «Sono felice in un mondo dove si è stabilita una moltitudine sconfinata di non-uomini» concluse l'artista, sempre più lieto della Bontà dell'approdo del suo sentiero... Il compositore tracciò tre punti di sospensione, sul suo diario rosso sangue, che colorò di rosso, di blu e di verde. Sperava che, dietro a quei segni di interpunzione, vi fosse tutta la propria battaglia per un nuovo cosmo realmente bello, nel quale la Vita umana fosse finalmente rispettata. La pagina volgeva al termine. L'uomo era soddisfatto dei concetti da lui enucleati. La sua analisi era perfetta, compiuta, incontrovertibile, ma era triste ammettere che le cose stessero andando a rotoli in quello scampolo di terzo Millennio. L'autore vide l'ultima riga. Sorrise. Quando chiudeva una pagina era sempre lieto. Bevve un sorso del tè che la sua Musa gli aveva regalato per il suo compleanno. Era buonissimo. L'artista ci si riempì la bocca. Amava tutte le percezioni sensoriali piacevoli. Una buona bevanda. Del buon cibo. Una bella carezza sul petto. Il compositore sapeva che nessun regno malvagio sarebbe durato in eterno, ma la morsa del turbocapitalismo era davvero alienante. Avevano dato ad ogni persona uno smartphone e la gente era come impazzita. Non guardava neanche più dove stesse attraversando la strada. Seán era impotente, di fronte a tutto ciò. Era solo affranto, perché vedeva un Genere umano sconfitto palesemente. «Rialzati, Mondo!» scrisse su un post-it colorato, che prese ed attaccò al frigorifero. L'uomo aveva desiderio di scrivere una musica sulla sua amica di Belfast, intitolata «de na coillte», «del bosco», perché il di lei nome richiamava l'idea di selva, nella mente dell'artista. L'uomo voleva rappresentare tutte le immagini delle persone che amava. Era un suo forte anelito. Seán e Sinéad erano quasi sempre soli. A parte qualche rara relazione interumana, vivevano una maestosa solitudine, con lo sguardo sempre attento verso le vicissitudini della gente, pronti a combattere per difendere il proprio nucleo dalle aberrazioni di un potere che bramava ridurre gli esseri umani alla sociopatia. Soli in un mondo invaso dai non-uomini. «Questo sistema - scrisse l'autore - è profondamente marcio». Non c'era quasi nulla da salvare. Nella Nuova Era di Luce, si sarebbe riscritto il destino dell'Umanità, ex novo. La metà della pagina era lontana. Il compositore raccolse i propri pensieri. Pensò al Capitano, che tutti i giorni, solcava l'Atlantico in compagnia della sua amata. L'artista ne ammirava il coraggio. Era alla quarta pagina del capitolo nove. L'uomo fece un tiro di sigaretta. Guardò la Luce della lampada, che trovava splendida. Osservò il suo metronomo ancora fermo in un andante spianato di chopiniana memoria. Iniziò a sentire il brusio del viale pietroso. Guardò fuori: doveva ancora albeggiare. Il silenzio della sua abitazione era interrotto, a finestre aperte, da un basso continuo che proveniva da lontano: segnali elettrici producevano un suono grave, come una voce che si perpetuasse in un «uh» costante, che l'uomo avvertiva nitidamente, in lontananza. Guardò il doppio cd di «Rainy Day» preparato per la madre. L'artista le voleva bene, desiderava il di lei bene e questo era tutto ciò che importava, per lui.
10° Stralcio
Gli istanti
Una domenica mattina di Ottobre, Seán si svegliò presto, per scrivere a mente fresca. Si preparò un buon caffè, si fumò una sigaretta e accese il Mac. Pensò al racconto che aveva pubblicato nove anni prima e alle difficoltà che allora aveva vissuto nel provare a trovare un editore. Nel mondo della letteratura, ormai, c'erano tanti uomini d'affari, veri e propri squali, che fiutavano l'odore dei soldi, non la presenza dell'Arte. Lui, fortunatamente, dopo tanti rifiuti, aveva trovato un editore onesto, che aveva intuito quanto la prosa del compositore fosse realmente lirica. L'uomo ricordò quanto fosse stato felice il giorno in cui gli venne comunicata la pubblicazione del suo lavoro. L'Aprile 2008 fu il mese della definitiva consacrazione della sua Identità sociale di artista. Da lì, verso le stelle, in un processo attraverso il quale l'uomo aveva scoperto il suo saper fare. C'era un profondo silenzio, nella casa dell'autore, quella domenica di rimembranze. Sinéad dormiva. Aindreas era stato in discoteca la sera prima e chissà a quale ora avesse deciso di tornare a casa. Il compositore sorrise: il ragazzo, ormai grande, viveva le proprie esperienze di Vita, in autonomia, come era giusto che fosse. L’autore faceva un po' di difficoltà a realizzare che suo figlio camminasse per le strade del mondo da adulto. Lo immaginava spesso piccolo mentre pronunciava le prime lallazioni. Aindreas, invece, era un giovane uomo e da giovane uomo andava trattato. L'artista, questo, lo sapeva molto bene e tutte le volte che comunicava col figlio, era come se si rivolgesse ad uno della sua stessa età. Finalmente, il cucciolo era cresciuto. Ora doveva affrontare l'ultimo anno di liceo, con conseguente esame finale. Al compositore, quella mattina, non parve vero che suo figlio avesse iniziato già a scalare la montagna il cui sentiero irto conduce alla virilità psichica. Il giorno prima, aveva regalato a Shayla il di lei ritratto musicale, e la ragazza aveva profondamente apprezzato. La Vita dell'uomo era ricca. Non poteva desiderare nessun miglioramento, in assoluto, se non imparare ogni giorno nuovi gesti di Bontà. Una cosa, che forse gli mancava, era girare il mondo in lungo e in largo con la sua amata compagna. Tornare in Grecia, farsi portare da lei nei paradisi oceanici dove la sua Musa era stata da giovane in compagnia delle sue amiche storiche. L'uomo si accarezzò la mascella. Si guardò allo specchio. Il volto riflesso, che vide, gli piacque molto. Il compositore si sentiva bello. Non ci si era mai sentito prima, con quella intensità. Sognava la contea del Donegal, da dove ammirare un oceano dalla vitalità prorompente. Aveva iniziato a parlare, alla sua Donna, della Possibilità di un viaggio verso quella terra, e lei lo aveva ascoltato entusiasta. Purtroppo la sua fidanzata non se la sentiva ancora di lasciare sola la propria madre anziana e questo era un problema fino a quel momento insormontabile. Esistono madri che divorano i figli, nell'ambito di non-rapporti davvero sanguinari. L'artista lo sapeva. Se ne rattristava, ma non poteva farci nulla. Erano sei anni, che Sinéad non si concedeva una vacanza di qualche giorno. Tutto perché la madre non voleva dormire da sola, sebbene fosse in perfette condizioni di salute... Incredibile l'egoismo di certe persone... La sua compagna aveva comunque trovato un equilibrio, per stare in pace con la propria genitrice, ma quanta fatica... Quanta pazienza... Quanto senso di frustrazione... Alcune donne non dovrebbero diventare madri. Dovrebbero rinunciare a mettere al mondo dei figli, perché non in grado di essere positive ed altruiste. Questo pensò il compositore, quella mattina. «Come sempre, per non-rapporti dettati da non-uomini, ci rimettono gli individui sani, nel mondo alla rovescia...» scrisse l'autore su un post-it che attaccò al frigorifero, come monito. L'autore era molto arrabbiato con la madre della sua compagna, per quello che lei faceva alla propria figlia, negandole una settimana di vacanza, dopo un anno di lavoro faticoso e stressante. L'uomo non parlava a quella donna da sei anni e non intendeva cambiare le cose. La sua Musa, fin da bambina, aveva dovuto combattere contro sua madre. Ecco perché era una guerriera. La madre le negava qualsiasi gioia e la bambina ne soffriva. Crescendo, la compagna dell'autore aveva dovuto conquistarsi tutto da sola, anche andare semplicemente una volta al cinema con le amiche. «Dopo dicono che certi figli crescono malati. Curate prima i loro genitori, che è meglio!» irruppe l'autore nel silenzio del suo studiolo, con voce tonante, seguendo, con il flusso d'aria dei suoi polmoni, quella rivendicazione di equità, che gli fece concludere che nella Nuova Era di Luce i genitori non avrebbero mai intaccato il retto sentire dei bambini, chiudendo, una volta per tutte, quel ciclo assurdo di dolore causato dalla patologia di chi mette al mondo Vite senza sapere come occuparsene. Il mondo altro, che sognava il compositore, era soprattutto chiarezza e sanità nei rapporti, compresi quelli familiari, che, da troppo tempo, erano una officina di psicosi. Nella Nuova Era di Luce, tutto ciò, che fosse stato patogeno, avrebbe trovato l'adeguata accoglienza in percorsi terapeutici ad hoc, studiati per liberare le persone dalle catene della malattia psichiatrica, dacché tutti avrebbero dovuto avere il diritto di crescere in un ambiente sano. Sinéad diceva sempre che, per la madre, lei avrebbe potuto arrivare vergine a cinquant'anni, e non scherzava. Per la donna, che l'aveva messa al mondo, esisteva solo il lavoro e nessuna gioia e questo era il messaggio che, fin da bambina, sua figlia si era sentita sulla pelle. Quanta strada aveva fatto pure la compagna del compositore... Quanto ardimento... Quanta sanità mentale per non voler diventare un automa... La prima pagina del decimo capitolo del racconto si era conclusa. L'autore amava chiudere i cicli, che fossero di poche righe, od ore di musica. Anche la sua compagna, dunque, fin da bambina, aveva vissuto la sua tempesta perfetta, che l'avrebbe voluta trasformare in ciò che lei non era destinata ad essere. I due, quindi, erano accomunati dalla medesima sorte: ribaltare il piano malefico che intendeva annientarli e giungere alla Luce. Per questo si erano riconosciuti ed ammirati, loro, superstiti, guerrieri, amanti del vero. Seán e Sinéad si trovavano d'accordo su quasi tutto. La loro affinità elettiva era davvero formidabile. Volevano le stesse cose. Ragionavano con lo stesso metro di valutazione, che era quello dettato dalla Psicoanalisi e dell'intelligenza di Vita. Sentivano con la stessa empatia. L'uomo si accarezzò la barba, in cerca di idee nuove. La sua compagna aveva profondamente modificato il suo modo di essere. L'artista, grazie all'Amore di lei, aveva abbandonato alcuni percorsi mentali stantii, per divenire un essere umano più equilibrato e pacifico, tutto grazie alle parole della sua Musa, che guarivano e lenivano. Le parole sono il veicolo della prima forma di sanità mentale. Le parole guariscono. In fondo che cosa è la Psicoanalisi se non parole? Lemmi scelti con cura, con intelligenza, portatori di affettività sana... L'autore, tutte quelle cose, le sapeva da un bel po', ma solo in quel momento le aveva fatte diventare carne. Viscere. Sinapsi. L'uomo aveva letto un interessante articolo su come il percorso terapeutico influisca sulla trasformazione del cervello. Quella grande scoperta degli studiosi corroborava una vecchia concezione, secondo la quale, quando ti trasformi a livello psichico, poi anche il tuo cervello si modifica. In sostanza, il cervello, dopo la Psicoanalisi, non è più quello di prima. È nuovo. È diverso. Si attiva con percorsi neuronali che prima non conosceva. Ciò era attestato anche dai nuovi esami clinici posti in essere negli ultimi anni. All'uomo, quella conquista sembrò fantastica. Era la conferma che andava cercando da tempo. Il cervello si modifica se si trasforma la Psiche, quindi, se l'essere umano rinasce, elimina il proprio potenziale distruttivo, anche l'organo dei pensieri e delle emozioni si trasforma con lui, in un processo armonioso e costruttivo. «L'ho sempre saputo, dentro di me. Psiche e cervello non vivono in compartimenti stagni, ma sono in costante evoluzione, in una danza maestosa» pensò l'autore, il quale, alla sola idea, che questi studi avessero condotto a quella conclusione, sprizzava gioia da tutti i pori. Tutto era in trasformazione. Gli attimi che l'uomo viveva nel suo studiolo pulsavano di Vita. Il compositore non contava più i giorni. Focalizzava solo i momenti. Nitido il ricordo del baleno in cui gli venne comunicato il risultato del suo primo esame di Matematica all'università. Forte la rimembranza del lampo dopo il quale vide Aindreas per la prima volta in Neonatologia. L'esistenza dell'uomo era scandita da folgori temporali. L'artista, per ognuno di essi, poneva un memoriale. «Oggi realizzo che per ognuno di noi c'è davvero la Possibilità di evolversi in un essere umano meraviglioso» scrisse sul proprio diario rosso, con una speranza, nel Genere umano, davvero incrollabile. L'autore riascoltò il brano che aveva dedicato a Shayla. Lo trovò sublime. Dopo tanti anni di chat senza vedersi mai di persona, lui, Shayla e Sinéad si erano incontrati ed avevano fatto una bella passeggiata per una Galway dal fascino suggestivo. Si erano fermati a mangiare in una locanda, appena fuori città e avevano riso e scherzato in perfetta armonia. Shayla era davvero una creatura deliziosa. L'uomo le voleva molto bene, come se lei fosse sempre esistita, nella propria Vita. La sentiva vicina, come una sorella. Shayla amava da anni un uomo che, per sue problematiche, non riusciva ad essere costantemente presente nell'ambito del rapporto. Lei gli era fedelissima. Desiderava solo lui. «Incredibile la dedizione di certe ragazze al proprio innamorato!» pensò l'autore, mentre ascoltava il primo uccello che cantava da un ramo di un albero del viale ancora scuro. Nel giro di pochi minuti, sarebbe giunta la Luce. Quello era un momento che l'artista amava particolarmente: l'aurora. La prima promessa di bagliore. La certezza che, per quanto una notte possa essere lunga, giunge sempre il nuovo giorno a spezzare le tenebre. L'uomo ne aveva viste di notti tragiche. Quando da giovane era a Belfast, spesso non riusciva a dormire, perché pensieri gravidi di tensione lo atterrivano, schiacciandolo sotto l'enorme peso dell'angoscia. Ricordava con nettezza l'istante in cui decise di abbandonare la sua città natale, per trasferirsi a Cork. Aveva pochi soldi. Era fortemente scosso da eventi che lo avevano segnato. Non conosceva nessuno che potesse dargli una mano. Tuttavia, prese il treno. Viaggiò a lungo. Attraversò tutta la Landa. Dimorò un mese in un ostello, prima di trovare una piccola casa in affitto. Si rammentò della prima telefonata alla madre, per dirle che tutto era andato bene, e ricordò la prima lettera al Máistir. Un anno dopo, aveva trovato lavoro come insegnante di Propedeutica musicale per bambini ed aveva invitato la madre a trasferirsi. Andò a prendere la madre a Belfast. I due fecero uno splendido viaggio in treno, per i grandi scenari di una Irlanda bella e senza tempo. Il compositore e la madre vissero anni insieme, nella stessa casa a Cork, senza avere problemi di sorta. La donna era molto contenta dei progressi del figlio. L'uomo trovò intollerabile vivere a Belfast nell'esatto momento in cui il padre morì. In quell'istante, decise che avrebbe dovuto cambiare posto. Non poteva continuare a sopravvivere. Doveva provare ad essere felice, come avrebbe voluto il padre. L'autore era alla terza pagina del decimo capitolo della nuova prosa. Originariamente, per quel suo racconto, l'artista aveva in mente una dimensione totale conclusiva di cento pagine, ed ora lui era alla novantottesima. Evidente che non si sarebbe fermato. Aveva ancora tanto da dire. Quella mattina, sarebbe partito con la sua compagna per andare ad ascoltare la voce da contrabbasso dell'oceano. Sognava di stare un po' tranquillo con la sua Musa, che, ultimamente, lavorava davvero tantissimo ed aveva poco tempo per stare con lui. «Ci rubano il tempo. Ci fanno lavorare tantissimo. Per guadagnare soldi che non ci ridaranno mai indietro il tempo della nostra Vita» considerò l'uomo, all'interno di una riflessione dal tono davvero affranto. Il sistema era in collasso psicotico. Stava togliendo agli uomini anche la terra dove camminavano. Stava eliminando i diritti inalienabili del Genere umano. Stava distruggendo la Vita. L'artista scrutò l'empireo. Erano le sette e mezza. La giornata si prospettava grandiosa. La Luce era vivida. Le nuvole passeggere. L'autore si augurò che la sua Donna avesse dormito profondamente quella notte. La ragazza aveva tanto bisogno di recuperare le energie. Iniziava a propagarsi nell'aria il vocio ininterrotto di chi passeggiava la mattina presto per le vie di una Galway a misura d'uomo. Seán, forse, si sarebbe preparato una great irish breakfast, con bacon, uova, piccole salsicce e caffè. L'idea lo stuzzicava. Non era ancora a metà pagina. Si arrestò. Il suo Mac stava raccogliendo le sue memorie, come un fedele scriba. Spense la Chesterfield nel posacenere da sigaro, che aveva alla sinistra del computer. Sentì forte il desiderio di riascoltare il brano che aveva dedicato a Shayla. Aprì iTunes e ne avviò la riproduzione, con le cuffie alle orecchie. L'incipit di clarinetto e archi era davvero una danza, in sei ottavi, nella quale veniva ripetuta un'idea. C'era una dissonanza che, nell'ambito armonico, esaltava l'incedere degli accordi. La dissonanza è sempre movimento armonico. Tensione verso. Poi si apriva una sessione di quintetto, pianoforte e quartetto d'archi, di brahmsiana memoria. Il pianoforte era molto energico. Gli archi rispondevano con dolcezza, in un dialogo stretto. Le dissonanze del pianoforte solista si stagliavano contro gli agglomerati accordali degli archi che, ogni volta, rispondevano con sfumature calde e colorate. Poi partiva una sezione Rock, veloce, con la chitarra elettrica che disegnava melodie dense di pathos. Alla fine, una coda di archi con una sola idea, ripetuta quattro volte. Shayla era tutte queste cose, per lui. Era una armonia densa di elementi distinti ma coesi. Il compositore la vedeva in quel modo ed era contento del fatto che anche la ragazza ci si fosse ritrovata, fra le pieghe delle sue note... L'autore era quasi alla fine della pagina. Avrebbe trovato nuovi segni per concluderla? Se lo chiedeva tutte le volte che intravedeva il traguardo di un nuovo foglio. «Voglio stare bene con la mia compagna, oggi, in riva all'oceano. Voglio abbracciarla. Farla ridere. Donarle me stesso, in totale sintonia» scrisse sul suo quaderno di appunti. Alla parola sintonia sorrise, perché era un lemma usato spesso da suo padre, quando voleva descrivere la perfezione di un momento di comunicazione ottimale. L'artista riascoltò il ritratto musicale di Shayla. Lo trovò davvero bello. Le composizioni, che stava scrivendo, in base ai personaggi del racconto, le stava raccogliendo in una antologia destinata a diventare sempre più ricca. Cani abbaiarono in lontananza. Chiuse iTunes. Non voleva accumulare troppi suoni nella sua testa. Si tolse le cuffie, le ripose sopra la tastiera musicale nera e si sgranchì la schiena con dei movimenti sinuosi da destra a sinistra e viceversa. Salvò quella versione di racconto. Lo sfiorò l'idea di sviluppare la trama di un vero e proprio romanzo, da lì in poi, per consacrarlo alla Nuova Era di Luce. Il primo romanzo gaelico del mondo altro, di là da venire, che sapesse indicare la via per una nuova Vita possibile, senza più dolore. Aveva ancora tante cose da dire, fra le pieghe della sua prosa. Andò a bere un bicchiere d'acqua. Guardò l'orologio bianco a muro: erano le otto. Forse, di lì a poco, la sua compagna si sarebbe svegliata, regalandogli, con un messaggio Telegram, un buongiorno stellare. L'autore sentiva di dover scrivere. Più vergava nuovi lemmi, maggiore era la consapevolezza di sé. Quell'opera gli stava facendo davvero bene. Vedeva in modo sempre più cristallino le dinamiche della propria Vita e quelle delle persone fondamentali del suo nucleo. «Io vedo attraverso le parole e i suoni. Scorgo la mia immagine interna. Modello la mia scultura. Ridisegno la mia architettura» aggiunse ad un breve testo che stava scrivendo su se stesso. L'autore era le sue parole, le quali lo avevano salvato, trasformandolo nell'uomo che aveva sempre voluto essere. Una successione di suoni all'unisono lo distrassero: era la campana di una chiesetta vicino alla sua abitazione. La domenica, in particolari condizioni di vento, quella Musica antica arrivava fino in casa sua, quando lui teneva le finestre aperte. Rammentò l'istante preciso in cui, sei anni prima, aveva capito di essere davvero un individuo nuovo, una tela vergine: era il ventuno Dicembre 2011, l'uomo stava passeggiando e vide la propria immagine riflessa sullo specchio di un negozio. Di primo acchito, non riconobbe quella figura, poi la osservò bene e pensò: «Sono io quel bell'uomo nello specchio!», perché lui era diventato un incanto senza saperlo davvero. Quel giorno, invece, si riconobbe e fu l'inizio di una nuova Vita, quella vera. Subito dopo, l'artista andò a bersi una birra in un pub. Scrisse al Máistir: «Máistir, oggi, per la prima volta, mi sono visto. Grazie di esserci». Il Maestro, dopo appena un minuto, gli rispose: «I tempi erano maturi per la tua rivelazione. Grazie a te, figlio mio». La sua compagna, invece, lo prese in giro amorevolmente, quando lui le raccontò l'evento. Lei gli disse: «Amore ma non lo sapevi di essere bello? Te lo doveva dire lo specchio di un negozio?». Poi lei rise, con quella sua risata calda e rotonda, che per l'uomo era così maledettamente sexy... Seán rise con lei, che portava la sua allegria ovunque andasse. Poi la baciò. La abbracciò e lei gli disse: «Noi siamo le nostre prime volte»... Quel giorno, l'autore si era specchiato e riconosciuto. Aveva percepito di essere buono. Attento. Lucido. Non aveva più visto il ragazzo sofferente fra i flutti della tempesta omicida, ma l'essere umano consapevole che era diventato, pieno di risorse, autonomo, libero. Era stato un momento davvero intenso, che lui si era goduto appieno. Non lo avrebbe dimenticato mai. L'istante più importante della sua esistenza. I due erano davvero le loro prime volte: la prima volta che si erano sentiti accettati, amati, rispettati, desiderati, compresi e adorati. L'autore aveva sentito al telefono sua madre, che stava bene, nonostante lamentasse di aver paura ad uscire, perché deambulava con difficoltà. L'artista si andò a preparare la colazione gaelica. Nella decina di minuti della preparazione, pensò ad Aindreas in discoteca. «Chissà come ha trascorso la notte?» si chiese l'uomo, con un po' di preoccupazione. Il compositore ricordò con meraviglia il momento in cui, mesi prima, suo figlio gli aveva detto: «Papà, quando sto con te, mi sento una persona migliore»... Parole semplici e dense che occupavano uno spazio importante dentro al cuore dell'artista. Tutti gli istanti della sua Vita, che lo avevano condotto dov'era, rimasero scolpiti nella sua mente, come pietre antiche incise da abili mani. Il compositore era a metà pagina. Osservò il viale. Era tutto illuminato. La pietra del manto riluceva, nel suo candore avorio. L'uomo si staccò dalle sue sudate carte. Andò a fare un giro in centro. Tornò, dopo aver ammirato la Luce che si diffondeva maestosa in tutti i vicoli di una Galway ancora dormiente, dopo una notte di festa nei pub. L'artista si rimise a scrivere. Voleva più parole, nella sua giornata. Rimembrò lo stupore con cui Shayla gli aveva commentato la propria Musica. Sorrise: la sua amica era davvero molto affettuosa. Si ricordò, con nitidezza, l'istante in cui, in una lontana chat, Sinéad gli propose il loro primo incontro dal vivo, a Doolin, alle porte della grande scogliera di Moher, luogo suggestivo e magico. Era scritto che i due si conoscessero. Era scritto che si piacessero. Era scritto che si amassero, dacché, in una parte profondissima del loro essere, si stavano cercando da tanto. Per l'uomo, la sua Donna era la creatura della fine di un tempo e l'inizio di uno nuovo. Lei, poco prima, gli aveva detto che lui l'aveva resa più consapevole di se stessa. Lui si era commosso, perché non sperava di ascoltare parole così belle. Seán guardò il suo album da disegno, con il quale aveva disegnato la copertina di «Rainy Day». La sua Arte era pura. Il suo cuore pure. La sua mano tracciava Verità. «Cessa di raccontarti bugie» aveva sentito, da giovane, ad un comizio degli indipendentisti irlandesi, facendo immediatamente suo quel consiglio così autentico. L'autore aveva scritto, tanti anni prima, una postfazione ad un suo lavoro, nella quale presentava la propria corrente letteraria, che avrebbe dovuto guidare il Genere umano verso la Nuova Era di Luce. Non aveva mai trovato una definizione idonea per chi avesse voluto aderire. Quel giorno, passeggiando verso lo Spanish Arc di Galway, gli venne in mente la seguente definizione: «I Lucenti», che già vivono idealmente nella Nuova Era di Luce, creando folgori nella propria Vita ed in quella degli altri. I Lucenti erano già molti, solo che alcuni non sapevano di esserlo, ancora imbrigliati nelle maglie del sistema. I Lucenti avevano in gestazione la vera Vita e combattevano l'avanzare dell'idiozia sadica che mina le basi dell'esistenza umana. L'artista si era comprato una bibita al gusto di limone. Ne bevve un sorso. Si gustò quella piccola gioia del palato. Era quasi alla fine della sua pagina di nuova prosa. Si accese una Chesterfield con il suo piccolo accendino rosso e riflesse. Gli istanti che lo avevano formato come uomo erano stati tutti molto forti, intensi, disvelanti. Si ricordò, con immenso affetto, l'attimo in cui il Máistir analizzò una sua partitura e disse: «È perfetta. La faremo suonare all'orchestra del conservatorio il mese prossimo!». Erano trascorsi dodici anni, ma l'emozione gli faceva ancora aumentare i battiti del cuore... Il Máistir, insieme a suo padre, era stato l'uomo più importante di tutta la sua esistenza, in assoluto. Era stato Maestro di Possibilità. Gli aveva trasmesso che una Vita altra è immaginabile, quindi attuabile. L'artista scrisse del Máistir e si commosse. Andò a sciacquarsi il viso in bagno. Tornò alla sua scrivania. Era alla pagina cento del suo nuovo racconto, che, ormai, era un romanzo in nuce, almeno nella sua testa. Aveva superato il muro psicologico della prima centinaia di fogli. Scrisse alla sua Musa, per sapere come procedesse la sua preparazione. La ragazza, quella mattina, avrebbe lavato i suoi lunghi capelli castani, che l'uomo adorava, specie quando li sentiva accarezzargli il petto nudo, nei momenti di intimità. Lui non era in grado di immaginarsi una donna più bella della sua compagna. Questa era la Verità. Lei lo raggiunse. Partirono per il Connemara. Il viaggio in macchina fu perfetto: cantarono le canzoni della radio e l'uomo, con il telefono, fece ascoltare, alla sua compagna, l'ultima canzone degli U2. La sua Musa, dopo una bella dormita, fatta la sera prima, era di nuovo un incanto di essere umano. Sorridente. Allegra. Creatura della Luce. Percorsero la strada N59 da Galway, per arrivare, dopo poco più di un'ora a Clifden, nella contea di Galway, in pieno Connemara. Lo scenario del panorama era davvero suggestivo. L'oceano aveva creato lingue di terra che si inabissavano in esso, c'erano meravigliosi villaggi antichi che erano stati costruiti in mezzo alle montagne. I due ammiravano, con stupore, l'idillio dell'atavico rapporto amorevole fra l'uomo e la Natura. Giunsero al porto di Clifden. Parcheggiarono. Camminarono per la Sky Road, la strada del cielo, che, dalle vicinanze del porto, si muoveva lungo la costa, fra isole ed isolotti, in una stretta penisola davanti all'Atlantico. I due furono davvero sorpresi, nell'osservare l'idillio di una Natura possente e selvaggia. Sinéad disse: «La nostra Landa è di una Bellezza commovente!». L'uomo la abbracciò felice di essere lì con lei in quel momento. Il tempo era mutevole: rapide formazioni di nuvole percorrevano il cielo e, a tratti, c'era una fortissima Luce argentea, che filtrava dai nembi. Si fermarono in una spiaggia bianchissima, dopo aver percorso un tratto di strada totalmente immerso nel verde, in compagnia di una moltitudine indistinta di pecore, che, indisturbate, pascolavano allegre. I due rimasero colpiti dalla forza dell'oceano, che, maestoso, cantava il proprio inno al cosmo, con la sua voce da contrabbasso. L'artista guardò la sua amata compagna, che, sorridendo, veniva spettinata da un forte vento. I suoi capelli lunghi fluttuavano nell'aria. Era tutto perfetto. Lei era perfetta. L'oceano era perfetto. Il loro Amore era perfetto. Seán le prese la mano. Era piccola e calda. Adorava stringerla e sentirne la consistenza sulla propria pelle. La strada che lambiva l'oceano era davvero meravigliosa. Rimasero al Sole. L'uomo si era portato una bottiglia d'acqua e i due bevvero insieme. C'era una forte condivisione di gesti e riti, fra loro. Mangiare insieme, bere, camminare, fare spesa. Erano una coppia unita da una altissima forma di Bene. L'uno si prendeva cura dell'altra, in uno stato di attenzione costante e intenso. L'uomo si fumò una sigaretta, la gustò e la spense nel suo piccolo posacenere metallico che portava sempre con sé, nel suo borsino da uomo di pelle rossa. Era un oggetto metallico curioso. L'artista lo aveva comprato proprio perché gli era piaciuto subito. Era circolare. Argenteo. Dentro ci si potevano introdurre al massimo tre sigarette spente. Era portatile. Aveva un diametro di tre centimetri. Ogni tanto, l'artista si regalava qualcosa, per festeggiare un evento lieto. Non avrebbe mai tollerato di lasciare una sigaretta spenta su una spiaggia in riva all'oceano. L'artista era attentissimo a queste cose. Era profondamente rispettoso dell'ambiente che lo ospitava. La sua compagna era in silenzio e sentiva l'energia del grande mare. Avvolta da Luce, vento e onde, non si sarebbe mai immaginata qualcosa di più bello. Era totalmente immersa nella Natura. Il suo compagno la osservava con attenzione. «Come ti senti?» le chiese. La Donna gli rispose: «Mi sento come una bambina!». L'autore sorrise, mentre ascoltava il suono della risacca. Trascorsero qualche ora, in quello stato di stupore, poi tornarono indietro. A Clifden mangiarono, si presero una birra scura e rimasero a guardare il viavai dei turisti. L'artista si sorprese a pensare all'intelligenza brillante della sua compagna e le disse: «Certo che tu sei proprio un portento!». Lei lo guardò con Amore, lo baciò, protraendosi verso di lui ed esclamò: «Certo!». La gaiezza della sua compagna era davvero altamente contagiosa...
11° Stralcio
Desiderio
Iniziò a preparare l'irish stew, per la cena, seguì la preparazione e spense il gas. Nella sua casa regnava un profondo silenzio e, in sé, c'era una maestosa percezione di quiete. Si era fatto la doccia da poco, provando un nuovo bagnoschiuma che Sinéad gli aveva regalato la sera prima. L'assenza di suoni la faceva da padrone e l'artista sentì che così doveva essere, per immaginare meglio la sua compagna nuda ai piedi del letto, perché, in quell'istante, lui la stava desiderando enormemente. Si mise il profumo che la sua Donna più gradiva, per sentirsi ancora più vicino alle di lei mani, ai suoi occhi, ai suoi sensi. La brama della sua compagna lo avvinse, in una morsa fortissima. Odorò l'essenza che si era messo su braccia, petto e collo. Si percepì molto sexy. Voleva fare sesso con la sua compagna, che era a lavoro, dunque se la raffigurò, con il suo reggiseno bianco e le sue calze colorate da adolescente. Ardeva per i suoi baci, le sue carezze, la libertà di poter giocare col suo corpo di Donna meravigliosa. Aveva sete di lei. Era profondamente innamorato della loro libertà sessuale, nella quale l'unico scopo era rappresentato dal benessere più appagante del partner, in una successione di attimi totali di godimento estatico. Seán viveva per lei. Ne sentiva grandemente la mancanza, nel giorno in cui rimaneva da solo, dopo essere stato con la sua compagna la sera precedente. Era qualcosa di fisico. Di carnale. Di totalmente sensoriale. Allungare il collo e baciarle i fluenti capelli castano scuro era puro incanto. L'artista non era mai stato tanto bene in compagnia di un altro essere umano e, in quel momento, desiderò ardentemente poter baciare il corpo nudo della sua adorata Sinéad. Percorse mentalmente quel tempio di carne e muscoli, polpastrelli e capezzoli rosei di squisita bellezza, incastonati nella stupenda fattura di seni rigogliosi e prosperi, ricordandosi di come lui li cercasse con tutta la sua bocca, per poi lambire ogni parte del suo corpo di Donna dal cuore rosso, evitando di tralasciare anche il più piccolo particolare, fino all'ultimo dito del piede. La voleva. Era tutto quello che lui sapeva in quel momento. L'immagine del suo seno nudo, così fiero e possente, lo riempì di gioia e quella forte sensazione di mancanza di lei si fece ancor più vivida. Iniziò a sfiorarsi il pube. Chiuse gli occhi, si concentrò e cominciò a toccarsi prima i testicoli, poi il pene. Quando facevano l'amore, l'uomo si perdeva nella struggente bellezza degli occhi di lei, così profondi e lirici, capaci di espressioni di dolcezza e passione dalle tinte fortissime. Sinéad era tutto il suo mondo; l'unica persona che lo contenesse appieno, la sola che ne conoscesse in profondità la sfolgorante Psiche di artista. L'uomo voleva essere in lei. Voleva sentirla sua. Bramava penetrarla con tutta la forza dei propri muscoli. Desiderava perdersi nei meandri della sua anima di Musa e naufragare dolcemente nei suoi pensieri di Donna straordinaria, per tornare a respirare aria sottile... Sentiva la nostalgia della voce melodiosa della sua compagna. Del calore delle sue mani piccole e coraggiose, che incendiavano il suo addome di uomo adorante. Del profumo del suo seno accogliente. Del turibolo ameno della sua vagina, spazio grazie al quale varcare l'infinito. Seán contemplava l'istante prima dell'estasi, quando la vedeva spogliarsi lentamente e inesorabilmente, davanti ai suoi occhi di uomo, increduli di fronte a tanta grazia. Lei lo sapeva rendere felice. Era molto forte la sua spinta sessuale di compagna che bramava il proprio uomo. Sinéad sapeva come farlo godere. Era mite, ma decisa, fra le lenzuola. Era forte, ma tenera, quando lo baciava. Era un incendio, che placava la sua sete virile di penetrare fino in profondità la sua Musa, per non lasciarla più. Sebbene i loro rapporti sessuali fossero la cosa più bella che l'uomo avesse mai provato, con i propri sensi, Seán continuava a fantasticare su come rendere tutto ancora più trascinante e coinvolgente. Lui la voleva far impazzire di gioia. Voleva vederla esplodere in orgasmi sempre più gratificanti e roventi. Era con lei che l'uomo aveva scoperto la propria dimensione di virilità. Era lei il prodigio sessuale della sua Vita. Era lei la sua inestinguibile brama... L’artista, sere prima, addormentandosi, aveva sognato di possedere la propria compagna in un atto molto intimo, dal valore profondissimo. Si era risvegliato eccitato, sudato, emozionato. Lo aveva scritto in un messaggio Telegram alla sua compagna che ci aveva riso su allegramente. Lui voleva ogni cosa di lei. Tutto. Sognava di sentirla su ogni centimetro del suo corpo di uomo. Desiderava baciarla e leccarla ovunque, perché lei era il cibo più buono al mondo da mangiare, in una spirale dettata dalla cupidigia più avida. L'artista continuò ad eccitarsi, pensando alla propria Vita sessuale con Sinéad, perché loro due, insieme, erano splendidi; una vera e propria architettura che passava fra gambe, braccia, occhi, bocche, addomi, sederi e schiene. L'autore la considerava la Donna perfetta con cui fare l'Amore all'infinito, perché lei non lo stancava mai, ma si rinnovava ogni giorno la sete inesausta del suo corpo, tempio della sua anima di Musa primigenia. «Quanto vorrei, ora, Sinéad, sfilarti le mutandine candide, e sprofondare il mio viso fra le tue forti cosce, per scendere lentamente, con mille baci, alla sorgente imperitura della mia voglia di vivere: il tuo tabernacolo di fuoco e le sue piccole e grandi labbra, per scorgere, come il primo uomo sulla Luna, il tuo clitoride piccolo e potente, dal vivo colore intenso, che mi fisserebbe chiedendomi di essere leccato e baciato in tutti i modi, per poi scendere alla porta della tua vagina e penetrarti, con la lingua, gustando il sapore intenso del tuo più sacro pertugio» scrisse in un messaggio Telegram alla sua compagna, che, quasi subito, gli rispose con un “Wow” e una emoticon con una ragazza con il sedere completamente nudo. L'artista la bramava. Quel pomeriggio le avrebbe dato una marea di baci e l'avrebbe penetrata in modo selvaggio. In quel momento, Seán sentì forte la voglia di infilarle tre dita nella vagina, leccandole intensamente il clitoride. Succhiando e baciando. Toccando e ingoiando la sua essenza di Donna conturbante. Era viola scuro il desiderio che l'uomo aveva della sua compagna. Era totalizzante. Era una pura droga naturale, che gli dava estasi e godimento. L'uomo si stava toccando il pene da un po'. Iniziò a ritmare lentamente il movimento della mano, immaginando Sinéad che si toccava il clitoride, con la bocca spalancata, in una progressione sbalorditiva. L'artista cominciò ad aumentare la velocità del movimento sul suo pene per qualche minuto e, non appena sentì di essere sul punto di eiaculare, si ricordò di come prendeva da dietro la sua compagna, penetrandola con vigore e introducendole il pollice destro nell'orifizio anale. L'uomo raggiunse l'orgasmo. Fu davvero soddisfatto di quell'atto di autoerotismo. Lo sperma finì sulle sue mani e sul suo addome. Rimase nudo sul letto, per qualche secondo, totalmente svuotato da tanta fantasia. Si pulì con delle salviettine. Poi, senza vestirsi, andò in cucina, si odorò il braccio dove aveva spruzzato il profumo preferito di Sinéad, si versò del buon caffè e bevve, tutto appagato. Era nudo e si piaceva. Aveva impiegato tutta la sua esistenza per stare bene con il proprio corpo, che non era più un mero contenitore, ma un tempio antico di grande Bellezza, su cui la sua Musa aveva impresso, indelebile, la sua firma di grande architetto. Si accese una Chesterfield rossa e se la fumò in giro per la sua piccola casa, nella sua semplicità vergine di uomo ed artista. Poi si lavò e si rilassò, leggendo articoli in rete. Il mattino seguente si svegliò presto. Si iniziò a preparare il caffè, e, nel lasso di tempo necessario alla macchina per generare la magica bevanda, si sciacquò il viso e si vestì con una comoda tuta nera e gialla. L'uomo era memore del desiderio forte che aveva provato il giorno prima nei confronti della sua compagna e sorrise, perché lei era il motore della sua curiosità bambina. Era lei il folgore che squarciava il suo cielo. Era lei tutta la sua spinta a voler vivere felice. Il caffè fu pronto e Seán lo bevve, sorseggiandolo. Si accese la prima sigaretta della giornata ed ascoltò il suono lontano di un veicolo. Aprì le finestre quel tanto che bastava per ascoltare i suoni del viale. «Sinéad è il mio balenio, in una notte illune» pensò l'uomo, sempre più convinto che lei fosse il suo destino finale. La pagina scivolava fra le sue mani. Il suo diario era sempre lì con lui, pronto ad accogliere le sue istanze rivoluzionarie. L'uomo si scaldò le mani. Si accarezzò la barba delicatamente e iniziò a gettare sulla pagina nuda il suo desiderio di un mondo altro. Pensò ai non-rapporti, a quanto facessero male, distruggendo l'Identità delle persone. Pensò ai non-uomini, che seminano morte e distruzione. Pensò a quanta fatica sarebbe costato procedere verso la Nuova Era di Luce. Il sabato prima, a Mogadiscio, c'era stato un terribile attentato terroristico: quasi trecento morti e trecento feriti... «Una parte consistente di questa Umanità non vuole trasformarsi» concluse l'artista, con una sfumatura che lo faceva tendere all'essere affranto per le sorti del mondo. Il compositore stava pensando, dal giorno prima, a scrivere un brano sul desiderio. Aveva già in mente l'incipit del quartetto d'archi che lo avrebbe eseguito. Il racconto gli suggeriva suoni; le idee musicali gli evocavano parole nuove per la prosa, in un continuo legame inscindibile, dove ogni elemento era indissolubilmente legato all'altro.
12° Stralcio
Giorno piovoso
Riascoltò «Rainy Day». Lo trovò maestoso. Di lì a poco, si sarebbe messo a cucinare, per la sua ultima cena a Galway, prima del fine-settimana a Cork. Il suo doppio long playing era davvero bello. Emanava Luce. Grazia. Bellezza. Era la sintesi della sua Identità musicale di compositore della Nuova Era di Luce. Aveva lavato i piatti, ascoltando la prima parte dell'opera ed era rimasto profondamente colpito dalla ricchezza del suo linguaggio musicale; creatura in evoluzione che non si stava arrestando mai, neanche nei momenti in cui l'artista faceva silenzio in sé, per tornare poi alle sue amate partiture. Erano quasi le cinque di pomeriggio e la sua compagna stava per uscire dal lavoro, per poi tornare allegra a casa, con la sua bicicletta. L'autore decise il titolo del dodicesimo capitolo del suo nuovo racconto e lo considerò interessante. La mattina dopo si sarebbe svegliato presto per ultimare i preparativi per la partenza. Si sdraiò sul suo lettone, mentre ascoltava gli ultimi brani di «Rainy Day». Era rilassato: aveva fatto tutto bene, per quel giorno. Controllò se la sua Donna gli avesse scritto qualche messaggio Telegram. Lei era talmente presa dal suo lavoro, che non riusciva nemmeno ad avere un istante di riposo, durante il turno. L'artista lo sapeva e un po' se ne dispiaceva, perché lui aveva a cuore il benessere di lei, sebbene sapesse che la sua compagna fosse forte, resistente alla fatica, stoica. L'uomo guardò l'orologio dello smartphone, per stabilire quando avrebbe cominciato a preparare gli ingredienti per la cena. «Rainy Day» era perfetto. Il compositore ne era entusiasta. Il doppio cd aveva un'anima di puro lirismo e tante idee musicali sviluppate con intelligenza e competenza. Al compositore venne in mente che quella sua opera si inseriva perfettamente nelle tematiche della Nuova Era di Luce. Era militante. Avrebbe combattuto, coi suoni, il progressivo successo del mondo alla rovescia. L'uomo si preparò un infuso. La giornata era uggiosa, c'era umidità e qualcosa di caldo da bere avrebbe fatto al caso suo. L'artista attendeva la pioggia dell'Atlantico, che avrebbe irrorato la Landa, donandole un aspetto magnifico. Dopo l'acquerugiola, che spesso insisteva per giorni, i pascoli d'Irlanda erano verdissimi, lussureggianti e Seán si immaginava ancora ragazzo, fra pecore e mucche, col suo flauto in mano, a suonare una splendida melodia gaelica. La sua Donna stava uscendo dal lavoro per inforcare la sua amata bicicletta. L'uomo aveva sentito al telefono Aindreas, e lo aveva trovato in gran forma, sebbene si trovasse nella condizione di dover comprendere meglio se una sua Amica fosse davvero una persona con cui stare bene. Il padre gli aveva consigliato riflessione e silenzio, perché il tempo dà tutte le risposte, se uno è paziente. Il doppio cd era davvero un incanto. Il compositore lo stava riascoltando con vivo interesse. Andò a sorseggiare il suo infuso. Nel comporre musica, aveva maturato, nel tempo, uno stile unico, tutto suo, veramente originale, con cui avrebbe potuto farsi riconoscere. Era veramente soddisfatto della sua opera, tanto che gli venne in mente di regalarla a tutti i suoi Amici. Tutti i suoi lavori potevano camminare per il web con le proprie gambe, sicuri, fieri di essere Arte. Le nuove composizioni musicali, scritte per il racconto, erano altrettanto belle. La sua creatività gli stava donando grandi gioie. Decise di riposarsi, con la costruzione di una cena appetitosa. Era lieto, in quel tempo che annunciava una pioggia mite. Il giorno della partenza giunse. Si svegliò presto, per preparare tutto il necessario. Si godette una magnifica aurora gaelica. Gli scrisse Sinéad, per augurargli buon viaggio e l'artista le rispose felice. Il tempo era minaccioso. La pioggia incessante non tardò ad arrivare. La Landa era sommersa dalla precipitazione che giungeva dall'oceano. Seán sorrise. Gli piaceva la pioggia battente. Era come una carezza sulla sua anima, per lui. Aprì le finestre un istante per sentirne il suono rassicurante. Era, in fondo, per quello scenario ambientale, che aveva avuto la prima intuizione di «Rainy Day», se lo ricordava benissimo. L'artista aveva scritto molto, da inizio settembre: la sua decima Sinfonia, parti molto ampie di racconto e «Rainy Day». Era soddisfatto. Non immaginava che faccia avrebbe fatto sua madre ascoltando la sua Musica... Lei era molto fiera del proprio figlio. Il compositore era rimasto senza idee musicali. I brani, derivati dal racconto, erano, fino a quel momento, dieci, per una durata complessiva di un'altra ora di musica. L'idea dell'autore era quella di pubblicare, alla fine del suo processo creativo, la musica del racconto insieme alla prosa. Gli parve una buona soluzione. Era alla fine della sua pagina. Riordinò i suoi pensieri. Lo sciacquio della pioggia sulle lastre di pietra del viale era davvero tenero, gentile, e recava il messaggio antico della Landa; terra bagnata dall'oceano e rinvigorita dall'acquerugiola. All'artista venne voglia di un buon sorso di caffè. Andò in cucina, si sciacquò la bocca con un po' di acqua, e bevve la sua bevanda magica. Pensò alla vastità della sua isola, così amorevole e accogliente, su cui imperversavano fenomeni atmosferici davvero poderosi. In Irlanda poteva piovere per giorni, senza vedere un filo di Sole... Questo la rendeva estremamente affascinante agli occhi di Seán. Pensò a quanto avrebbe voluto essere sepolto su una piccola isola circondata dall'oceano, in un cimitero gaelico, con una pietra sopra, sulla cui superficie fosse stata scolpita la scritta: «Solo un uomo»... Il compositore pensava, di tanto in tanto, alla sua fine. Era un pensiero che si portava dietro da quando aveva visto morire il proprio padre. Non sapeva nulla sulla morte, se non che fosse la conclusione dell'esistenza. Non si interrogava su ciò che sarebbe stato dopo, perché non aveva dati, a sua disposizione, per assumere una posizione netta. Sapeva soltanto che voleva vivere il più a lungo possibile, con la sua compagna ed Aindreas. Non gli interessava altro. Il cielo era plumbeo e la pioggia accarezzava docilmente i rilievi e le isole, le scogliere e le città. Fece un tiro di sigaretta. Sentì forte il brusio del viale, con la gente riparata dall'ombrello. Era arrivato ai due terzi di Ottobre. Si stava affezionando ai suoi riti: la mattina scrittura e il pomeriggio rilassamento, con piccolo pisolino dopo pranzo. «Deve andare tutto bene a Cork, con i miei cari affetti» pensò. L'uomo era tormentato dall'idea che qualcosa potesse andare storto. Era un pensiero di sconfitta, cui aveva imparato a non prestare troppa attenzione. Era un lascito della tempesta che lo aveva angustiato per anni. Forse era troppo perfezionista, perché voleva che ogni cosa fosse in armonia sublime con tutto ciò che si manifestava negli eventi. Forse si chiedeva troppo. Forse tutto sarebbe andato come avrebbe dovuto. L'uomo decise di star sereno. Lui avrebbe fatto il meglio che poteva per sua madre e suo figlio. Il resto sarebbe arrivato da sé. Quella era la nuova maturità di Seán: seguire la marea senza troppe preoccupazioni, sempre pronto a navigare... L'autore era a metà pagina. Scrutò la parte vergine del foglio. Ci vide dentro tante parole ancora non scritte. Si accese una Chesterfield rossa. La pioggia tamburellava le lastre pietrose del viale e l'uomo sorrise. Era musica per le sue orecchie, quella. Più tardi, sarebbe andato in centro, prima di partire per Cork, a fare l'ultima passeggiata prima della partenza. L'uomo aveva riascoltato l'intero «Rainy Day», la sera prima, perché voleva essere sicuro che la masterizzazione fatta con iTunes fosse perfetta, prima di regalare il doppio cd alla propria madre. L'opera era davvero commovente, di una bellezza struggente che era poesia con i suoni. Due ore di musica che non stancavano. Un lavoro veramente ben fatto, come gli aveva fatto notare pure il Capitano, il giorno in cui Seán aveva pubblicato la sua immensa fatica musicale su Facebook. Il compositore non poteva desiderare altro. Aindreas stava crescendo bene. Era bello e sensibile, attento e giusto. Sua madre combatteva per una vecchiaia decorosa, senza darsi mai per vinta. Sinéad era puro idillio. L'artista sentiva forte la responsabilità verso quel suo nucleo fondativo: non avrebbe mai permesso che qualcuno di loro stesse male, senza impegnarsi per una soluzione capace di evitare che si soffrisse. Il male lo atterriva. Durante la tempesta, negli anni di Belfast, Seán aveva ben guardato dentro all'abisso, scorgendoci l'immagine compiuta del disordine umano, che genera aberrazioni; una spirale contorta di avidità ed inganno, in grado di uccidere la forza di chiunque, in uno scenario di profonda desolazione, contro il quale l'Umanità avrebbe dovuto ergere la sua più imponente fortezza, in cui porre al riparo ogni bambino. Il compositore sperava di scrivere Musica a casa della madre, con il pianoforte che gli aveva regalato il padre, ventisette anni prima. Connor aveva sempre saputo ciò che sarebbe stato necessario per la crescita del figlio, dotandolo di tutti gli strumenti per trasformarlo in quello che Seán era stato chiamato ad essere: uno spirito libero capace di creare. Suo padre aveva visto l'uomo dentro il bambino che suo figlio era; ne aveva scorto il futuro radioso di artista contro la barbarie del sistema, accettando che il destino del proprio cucciolo fosse quello di un individuo solitario che non avrebbe mai fatto parte della massa. Forse avrebbe trovato il tempo di sedersi davanti a quello strumento antico a modellare melodie su grandi accordi. Forse no. Quello che comunque importava era stare bene, in perfetta armonia, con le persone che costituivano la sua famiglia. A Seán mancavano le eco delle risate di suo padre, quando raccontava buffi aneddoti su i pescatori irlandesi che, nel corso della sua lunga attività lavorativa, aveva incontrato. Il compositore conservava, in iPhoto, alcune splendide fotografie di Connor, con le proprie tipiche espressioni facciali, che lo rendevano davvero molto simpatico. In sei anni, il dolore per la perdita di suo padre si era alleviato, trasformandosi in segni d'Arte; la sofferenza era stata sublimata, l'immagine dipinta, la commozione rappresentata. Di più, l'autore, non avrebbe potuto fare. Aveva molto scritto, dopo la morte del proprio genitore, creando un codice fatto tutto di suoni e parole d'Amore incondizionato. Lungo il viale passò un'anziana signora, con un vestito colorato, che trainava la sua bicicletta sotto l'ombrello. L'uomo sorrise, perché era conscio di quanto la Vita fosse davvero prodigiosa. Pensò subito alla madre, che, prima di accendere il televisore la mattina, ascoltava, alla radio, una emittente gaelica che trasmetteva canzoni d'Amore. In fondo, anche sua madre era una romantica... L'artista era verso la conclusione della sua pagina, che gli parve bella, cesellata, originale. Raccoglieva, costantemente, i propri pensieri migliori per trasformarli in segni d'Arte dal valore unico. Aveva letto, giorni prima, una affermazione di Stravinsky sulla natura della Musica, che lui non condivideva. Il grande compositore russo asseriva che la Musica potesse spiegare solo se stessa, mentre Seán riteneva che l'Arte dei suoni avesse una valenza psicoanalitica e riuscisse, invece, a narrare i percorsi della mente, sia del compositore che dell'ascoltatore. I suoni spiegano. I suoni raccontano. I suoni descrivono quello che la parola lascia indefinito e forse, nell'atto creativo musicale, c'è uno scavo interiore così intenso da avvicinare alla meditazione, alla contemplazione, alla visione. Così la vedeva il compositore della Nuova Era di Luce, colui che si autodefiniva il primo Lucente. L'artista era nella sua piccola casa, nello studiolo, davanti alla sua scrivania, con la bella Luce gialla della lampada che illuminava tutto lo spazio di cui aveva bisogno l'autore per scrivere. Pensò alla sua compagna. Sinéad era talmente bella, da mozzargli il fiato. I suoi occhi castano scuro erano le porte di un'anima totalmente votata alla Verità e alla Bellezza. Era buona come il pane appena sfornato. Seán la considerava un capolavoro di intelligenza di Vita. L'autore si sentiva bene. Aveva dormito profondamente e poteva affrontare il viaggio in assoluto relax. Quel giorno, avrebbe attraversato la Landa fino alla sua estremità meridionale, Cork, una città d'Arte di grande fascino. Cadevano le foglie nella pioggia, quella mattina. Foglie di tutti i colori. Come un albero, anche l'uomo si era liberato di tutto ciò che era secco e privo di linfa, nella sua Vita. Aveva operato dei tagli netti, senza dare spiegazioni a nessuno, convinto com'era che fosse necessario seguire, senza distrazioni, il proprio sentiero, che, alle volte, implica pure che si cammini da soli; processo doloroso, a tratti, ma indispensabile per poter giungere alla consacrazione della propria Identità di uomini creativi che hanno abbandonato tutto ciò che sia brutto e malsano. L'uomo pensò al suo lungo cammino passato: da ragazzo ribelle in una Belfast invasa, ad artista libero a Galway... Ne era passata di acqua sotto ai ponti... Si era davvero trasformato in un bellissimo essere umano, contro cui il sistema non poteva più nulla... Il compositore pensò alla sua Musica: aveva scritto tantissimo, negli ultimi nove anni. Merito di Sinéad che lo ispirava in modo sempre intenso ed originale... L'uomo si accese una sigaretta. C'era un forte trambusto lungo il viale. Gente che affrontava la pioggia per andare in centro, a fare compere e una lunga processione di studenti adolescenti che si recavano a scuola. Seán sorrise della Vita e se ne sentì parte. In fondo, tutto quello, che aveva sempre desiderato, era percepirsi l'unità sana di un’Umanità libera. Il mondo lo aveva iniziato a cambiare da se stesso. Il suo cosmo, con la sua trasformazione di essere umano, era cambiato con lui. Questo l'autore lo sapeva molto bene. Aveva incontrato Sinéad, solo nel momento in cui era stato pronto ad una grande novità, e, vergine, si era meritato un grande Amore, che fosse diverso da tutti i precedenti. «Quando cambi, il mondo cambia con te» scrisse sul suo probo diario, turibolo di emozioni e intenzioni da vero uomo. La pioggia continuava a cadere inesorabile. L'autore era alla terza pagina del dodicesimo capitolo e voleva continuare a scrivere, perché sentiva che, vergando lemmi, la chiarezza dei suoi intenti aumentava e l'immagine interna di sé risplendeva chiara e lucente. Scrivere era sempre stata una terapia, per Seán... Vedere una parola scritta su un foglio aveva sempre rappresentato un momento di rivelazione dei propri più profondi percorsi mentali. Porre una parola in un testo, o scrivere una nota in una partitura, aveva l'elevato valore di vedere sublimata, con un segno, una determinata realtà della mente; vederla nero su bianco significava essere riuscito a farla uscire da sé per oggettivarla su un foglio e poterla scorgere nella sua vera natura, attraverso una combinazione ed un insieme di regole, che ne dettassero la descrizione. Era un processo disvelante. Un vedere meglio, oltre. Una maniera per conoscersi più attentamente. Si mise l'anello che la sua Donna gli aveva regalato quando era morto Connor, che recava, sulla sua superficie esterna, il nome di battesimo del compositore. L'autore era molto affezionato a quel piccolo oggetto, perché gli aveva tenuto compagnia nella sua ora più buia. Lo teneva in un portagioie di alabastro, sul piccolo comodino vicino al letto. Il piccolo recipiente lo avevano comprato durante una gita, anni prima e la sua Donna lo aveva trovato bellissimo, con le sue striature nere e marroni, che si stagliavano contro una superficie bianca candida. La casa dell'uomo era piena di regali della sua compagna. Lui li amava tutti. Erano parte del suo percorso, anche quelli. Erano ricordi di momenti in cui si era formata la sua Identità nuova di essere umano che si stava dedicando alle cose belle della Vita. L'artista guardò l'ora. Aveva davanti a sé due ore e mezza, prima di recarsi in stazione. L'anellino, che indossava da qualche minuto, era d'argento e riluceva. Il nome Seán, inciso sulla superficie, brillava. Sinéad glielo aveva regalato, per ricordargli chi fosse, nel momento in cui stava affrontando il lutto della perdita di suo padre, che non lo avrebbe mai voluto sapere triste o disperato. La pagina volgeva al termine. L’autore era soddisfatto di tutto il proprio operato. In nove anni, era diventato un uomo. L'acquerugiola continuava a tamburellare il manto stradale. L'artista la sentiva nitidamente, con le finestre socchiuse. Prima di partire, avrebbe salvato tutti i nuovi dati nella memoria esterna del Mac, per essere sicuro di avere tutto in ordine. Finì la tazza di caffè. Si accese una sigaretta. Guardò l'anellino che splendeva alla Luce della lampada. La barra spaziatrice sigillò il suo ultimo periodo, con quel suo suono sordo. «Rainy Day» era davvero un capolavoro. Così lo percepiva il compositore. Forse il suo lavoro più comunicativo, sebbene anche «Awakening», come disco, fosse molto bello. L'autore pensò ai suoi momenti di inattività, quelli in cui riusciva a malapena a scrivere due righe e un accordo. Aveva imparato ad accettarsi con i propri limiti. «Prima o poi, dopo esperienze vissute di valore, io torno sempre a scrivere» scrisse su un post-it, a voler ricordare a se stesso che il suo processo creativo, sebbene potesse conoscere dei momenti no, scorreva, come il Corrib, verso la foce... Gli istanti di silenzio, di vuoto, in cui non creava, erano comunque parte del suo processo artistico, mentre lui, dedicandosi ad altro, dava il tempo alle esperienze di scendere in quella parte profonda di sé nella quale esse si sarebbero trasformate in immagini da dipingere successivamente con la tavolozza dei colori della Psiche, seguendo linee della sua ispirazione. Gli succedeva spesso, ad esempio, che, non appena tornato da Cork, avesse sempre delle note da scrivere in una nuova partitura. Così era nata la sua prima Sinfonia. L'uomo si accarezzò la barba in cerca di lemmi originali. Aveva già scritto, quella mattina piovosa, tre pagine di racconto. Si ritenne appagato. Era tempo di fare una passeggiata. Si vestì. Scelse un vecchio maglione di lana grigia che gli aveva regalato suo padre. Prese lo smartphone e si diresse verso il centro. Tornò e telefonò alla madre, che, quella mattina, avrebbe sentito lungo i vari momenti di pausa del viaggio. Sua madre voleva festeggiare il proprio compleanno, che era stato pochi giorni prima e che ancora non aveva celebrato. L'uomo fu contento dell'idea. Un'occasione per essere felici in buona compagnia era sempre una bella cosa. L'artista si rimise a scrivere. Voleva chiudere la pagina, sebbene stesse solo a poco meno della metà. Si andò a preparare il tè. Mentre attendeva che l'acqua bollisse, pensò ad Aindreas, che vedeva già come un giovane uomo valente. Lesse un messaggio Telegram di Shayla, che così recitava: «Buon viaggio marinero!». La ragazza era molto affettuosa e l'uomo la considerava la propria sorellina. «Incredibile il potere delle parole: ti fanno respirare il profumo di una persona anche a mille miglia di distanza» vergò l'autore, sulla metà pagina ancora da scrivere. L'uomo andò a sorseggiare il tè. Ne bevve un po'. La bevanda era forte, bollente, rilassante. Dopo poco più di un'ora, si sarebbe messo in cammino. La valigia era pronta lì, lungo il corridoio. Seán la aveva da anni. Era stata la sua compagna di viaggio, in tutti gli spostamenti degli ultimi tempi. Era stata con lui ed Aindreas due volte in Grecia ed una in Egitto. Si accese una sigaretta. Guardò la valigia, celeste, compatta, forte. Pensò a tutti i suoi viaggi. Pensò a come lo avessero portato lì dove era, in una dimora sicura, al riparo dalle intemperie. L'uomo era grato alla Vita: non avrebbe mai chiesto nulla di differente al suo mondo incantato. Non avrebbe mai desiderato una persona diversa da Sinéad. Mai un figlio che non fosse Aindreas. Mai un maestro altro dal suo Máistir. Quel giorno iniziava una nuova avventura. Ogni viaggio a Cork aveva rappresentato qualcosa da ricordare. Ogni volta, aveva aggiunto una tessera al mosaico della propria Vita. L'autore era felice, sebbene avvertisse un po' di ansia per il viaggio. Non era mai pronto veramente per quelle partenze. C'era sempre qualcosa che lo spingeva a pensare che, se avesse avuto una settimana in più per fare le cose, sarebbe partito in una migliore condizione psico-fisica, ma questa era una piccola illusione e Seán lo sapeva benissimo. Nel tempo, aveva imparato a non ascoltare tutti i suoi pensieri, dacché alcuni erano legati alle sue paure ancestrali di ragazzo di Belfast aggredito da una sorte malevola. Aveva anche imparato a non prendere in seria considerazione tutte le riflessioni sul proprio passato, che spesso, per un suo Super-Io troppo severo, lo facevano apparire colpevole. «Ho fatto errori, ma non sono colpevole, perché io, pur sbagliando, combattevo la mia battaglia per il vero Bene, mentre quasi tutti gli altri erravano perché non avevano intenzioni oneste. Il Máistir, tanti anni fa, mi fece capire che occorreva perdonarsi per tutte le volte in cui non si era stati perfetti, imparando che il proprio giudice interno possa essere, spesso, per chi lo ha, eccessivamente austero, in un processo che non porta a nulla di buono, perché crea una condizione mentale che non aiuta a divenire ciò che si è chiamati ad essere: Identità lucenti» scrisse alla sua Donna, in un forte messaggio Telegram. Lei gli rispose: «Hai ragione: la colpa non serve a nessuno. Abbiamo imparato dai nostri errori ed ora stiamo bene! Un bacio, viandante!». La colpa uccide. In quel giorno piovoso, Seán si sentì finalmente liberato da tutti i legacci di un sistema criminale che mira a demolire le basi su cui si fonda la Vita umana. Si percepiva leggero, come un bambino che cammina lieto in un giardino pieno di fiori colorati. Si sentì pulsare il sangue nel pollice della mano sinistra, dove teneva il magico anellino. Si percepì vivo. Attento. Lucido. Non era mai stato così bene in tutta la propria Vita. Il suo occhio ben guardava tutte le dinamiche, perché sapeva che, in ogni momento, potesse giungere una nuova tempesta. L'uomo aveva risorse, ma l'idea di un inaspettato problema serio lo impensieriva un bel po'. Si alzò dalla scrivania: aveva bisogno di riflettere. Giunse l'ora della partenza. Prese il treno, dopo aver fatto una bella passeggiata. Era in carrozza. Ascoltava il vocio indistinto dei viaggiatori. La pioggia lo stava seguendo lungo tutto il tragitto. Sorrise. Guardò fuori dal finestrino: gli si spalancò davanti l'immenso scenario della lussureggiante campagna gaelica, che, sotto le precipitazioni, suggeriva un'idea di prosperità assoluta, in un connubio perfetto fra cielo e terra. L'artista non si stancò di osservare il paesaggio, fino a giungere a Cork. Telefonò alla madre, per dirle che era arrivato. Chiamò Aindreas, per avvertirlo che quello sarebbe stato un fine-settimana di abbracci e chiacchierate; esperienze belle che padre e figlio vivevano con leggerezza e giocosità. Seán passò a comprare qualcosa per la cena con sua madre. Arrivò da lei. La abbracciò calorosamente. I due parlarono con vera letizia e poi condivisero il pasto, accompagnandolo con un buona pinta di Guinness, che la donna teneva rigorosamente al fresco in frigo. L'artista la trovò bene. Aveva sempre un gran bel viso. Poi arrivò Aindreas, che rimase un po' a conversare con suo padre e sua nonna. L'uomo osservava il suo ragazzo con ammirazione, mentre questi descriveva i propri progetti di giovane uomo. Aindreas era un ragazzo con una forte spiritualità. Sentiva molto il richiamo dell'anima, che lo spingeva a meditare. Il padre lo mandò a casa presto, perché non voleva che il figlio camminasse per strada con il buio e la pioggia. L'artista fu colpito dalla Bellezza dei pensieri del figlio. In serata, dopo la cena, quando Aindreas era già di ritorno verso la propria casa, il compositore annunciò alla madre di avere delle sorprese per lei. La madre reagì con meraviglia. L'uomo andò a prendere il regalo che Sinéad aveva fatto all'anziana signora e i due cd di «Rainy Day». Sua madre si emozionò e lo abbracciò, dandogli un bacio sulla guancia. Il dono di Sinéad era splendido: un bel pullover di lana verde irlandese, per coccolarsi, con un forte tepore corporeo, nelle dure giornate di un inverno gaelico davvero possente. La madre dell'artista corse subito a provarlo per poi esclamare: «È perfetto, ringrazierò Sinead dal profondo del cuore!». I due cd di «Rainy Day», invece, sua madre decise di ascoltarli la mattina seguente, in sostituzione della sua solita ora di radio. Seán era felice. Si fece una bella doccia, durante la quale ripensò al bel viaggio e a tutti i suoi cari. A Cork non c'era la sua Donna, che, quel sabato, sarebbe stata occupata con l'inventario annuale della sua azienda. L'uomo si asciugò e si vestì, decidendo, in quei momenti, che sarebbe andato a comprare dei dolcetti, per festeggiare la propria madre. Uscì e tornò dieci minuti dopo con cose da mangiare davvero succulente, che consumò con sua madre, fra chiacchiere ed allegria. I due risero e scherzarono amabilmente. L’artista aveva impiegato quarantatré anni per avere quel tipo di rapporto leggero e costruttivo con sua madre. Ora sì che la comprendeva. Stimava. Coccolava. I tempi della tempesta, in cui era stato allontanato da tutti, erano davvero un pallido ricordo, che, tuttavia, rimaneva come memoriale, nella Vita del compositore, affinché quel marasma indistinto di dolore ed angoscia non si ripresentasse mai più. L'autore era contento. Diede la buonanotte a sua madre e si addormentò pesantemente. Il mattino seguente si svegliò bene. Era sereno, in lui dimorava una eutimia gradevole. Pensò alla Possibilità di comporre un brano musicale sullo stare bene, che avrebbe intitolato «maith», «buono», «bene», in gaelico irlandese, che rispecchiasse il proprio stato d'animo. L'idea gli piacque. Forse, se avesse avuto tempo, l'avrebbe sviluppata al pianoforte con cui suonava Bach per suo padre... Non avrebbe permesso a nessuno di turbare quella dimensione interna di profonda calma. Si preparò il caffè e, mentre l'acqua giungeva ad ebollizione, scrisse alla sua adorata compagna. L'uomo era convinto che il lavoro fatto su se stesso fosse stato formidabile. Non era più neanche lontanamente l'essere umano di dieci anni prima. Era differente in tutto. Continuava ad avere un serrato dialogo con il proprio Io interno, in una danza accattivante dal sapore settecentesco. «È forse questa la tanto agognata Felicità?» si domandò, curioso. Era gaio. Questo lo sentiva nitidamente in sé... «Allora è questo il premio!» scrisse su un foglio di carta recuperato fra le cose che la madre teneva in cucina. Era l'alba, il cielo era porpora, con nuvole in rapido spostamento. Il compositore osservò l'empireo: era davvero bello. Da quando si sentiva riempito dalla Pulcritudine, ogni cosa aveva un buon sapore. Era per quello che scriveva della Nuova Era di Luce, dacché sapeva che l'essere umano potesse farcela.
13° Stralcio
L'attenzione
L'attenzione verso l'altro era, per lui, la più alta forma d'Amore che potesse esistere, una densa attitudine al rispetto, di cui Sinéad era l'incarnazione. Lei era attenta ad ogni respiro del suo compagno, e non si stancava mai di ascoltarlo ed interpretarlo. Seán era molto felice di ricevere le attenzioni della sua Donna, che si preoccupava anche solo se lui era vagamente triste. Quando poi lo vedeva addirittura sottosopra, lei riusciva, con tatto, a ricondurlo al suo metronomo naturale, senza troppi sforzi, con l'aiuto della sua grande dedizione. La sua compagna era abnegazione; lei, in tutti i momenti, gli comunicava che lui era importante e che voleva farlo stare bene. L'uomo non poteva desiderare altro. Con la sua Donna, lui era sempre al sicuro dalle intemperie... Era lei la sua Fortezza... Era lei la dimensione di un Amore infinito... Ci si salva nel rapporto e l'artista, nell'ambito di quella meravigliosa relazione, era tornato a respirare aria pulita, scacciando i mostri del suo passato. Attenzione è anche tutto ciò che non è bene dire o fare. Attenzione è cortesia. Attenzione è saper leggere gli stati d'animo dell'altro, per poi riuscire a metterlo nelle condizioni di essere lieto, sempre. Il compositore aveva scritto un brano musicale, su quella tematica, intitolandolo «cúramach», «attenta», riferendosi proprio alla capacità della sua compagna a non tralasciare mai nessun segnale che potesse provenire dagli atteggiamenti delle persone. Lei era davvero sorprendente. Leggeva tutto e dava un senso, in un processo psichico veramente profondo. Raramente poi sbagliava. «cúramach» era un bel brano, scritto con Amore e passione, da un uomo innamorato della propria Musa. L'uomo bevve il caffè e si accese una sigaretta. Decise che avrebbe scritto la sua prosa, che, oramai, non aveva più le dimensioni di un racconto, ma si stava sviluppando come qualcos'altro. L'autore era felice del suo lavoro letterario, lo considerava molto interessante. Sognava di scrivere il primo romanzo gaelico della Nuova Era di Luce, perché la sua opera era chiamata ad essere scintillante. Si mise alla propria scrivania ed iniziò ad imbastire qualche nuovo periodo, con tutta la franchezza di cui era capace. L'uomo stava vivendo un periodo della propria esistenza fortemente creativo. Da settembre, quasi tutti i giorni, non aveva mai smesso di creare suoni e parole, in un processo disvelante e inebriante. Sentiva che scrivere lo aiutasse molto. Gli chiariva le idee. Gli permetteva di leggersi. Lo aiutava a tenersi in contatto con la parte più profonda del proprio Io. Rimembrò la gioia con cui aveva posto, in partitura, l'ultima nota della Sinfonia n. 10, e l'attenzione che gli riservò la sua Donna nell'ascoltare tutta quell'opera, insieme, una sera di fine estate, abbracciati sul letto, nudi, dopo aver fatto l'Amore in modo intenso e poetico. La sua compagna era il compendio di tutto ciò che lui desiderasse da un membro dell'altro sesso; il suo corpo di Musa incantata si proponeva come lo specchio di tutte le sue istanze di vero uomo, che ardeva per i baci di quella Donna che lo aveva salvato da una esistenza grama, vedendo in lui l'essere umano integro che avrebbe potuto essere senza l'assillo dei problemi che lo stavano conducendo alla morte ontologica. Ricordò la prima frase del racconto, nato per caso, il giorno in cui volle iniziare a scrivere una storia irlandese. Rammentò come la sua Donna avesse accolto quella sua idea con entusiasmo, esortandolo a scrivere. Seán era un uomo molto fortunato, cui la Vita aveva dato una seconda esistenza da esperire. L'uomo fece un tiro di sigaretta. Guardò fuori. Era l'alba di un nuovo giorno della Landa verde e blu. Pensò all'aurora presso le Aran Islands, allo stupore di accogliere il nuovo Sole in uno scenario incantato. Quella mattina, l'artista si sentiva parte delle grandi scogliere d'Irlanda, percependosi figlio della sua lirica terra. L'uomo si sentiva in asse. Aveva tutto quello che desiderava per essere felice. Aveva imbastito, il giorno prima, un brano musicale sul bacio, che, per lui, era un atto davvero molto importante. Un momento di ricongiungimento di due menti e due corpi che bramano solo potersi compenetrare. Forse, nel corso della mattinata, avrebbe sviluppato ulteriormente quella composizione. L'artista aprì le finestre. Il cielo gaelico era tornato al suo celeste naturale, dopo le forti piogge. La cena della sera prima con la sua Donna era stata molto gradevole. I due avevano mangiato e chiacchierato con autentica allegria, poi si erano rilassati sul letto e avevano continuato a scherzare e ridere. All'uomo non sembrava vero di poter ridere con la persona che amava. Non gli era mai successo, prima di conoscere Sinéad. Lei era tutte le sue prime volte. Lui, era, per lei, l'uomo con cui camminare lungo il sentiero della propria Vita. I due erano attentissimi alle esigenze dell'altro. Non si sarebbero mai feriti. Non avrebbero mai permesso che qualcosa di brutto gli capitasse. Non avrebbero mai tollerato che un sistema nefasto li potesse uccidere. L'autore era all'ultima riga della nuova pagina. Chiuse gli occhi. Respirò nella sua profondità di uomo. Ascoltò l'incipiente brusio del viale pietroso. Sorrise: era nel tutto. Erano le otto e un quarto di mattina. Di lì a poco, l'uomo avrebbe dato il buongiorno a sua madre. Pensò ad Aindreas che era già a scuola. Ogni cosa fluiva. Ogni singolo gesto dell'artista aveva un senso. Ogni parola vergata era autentica visione sulle cose e sul mondo. L'uomo pensò alla sua Nuova Era di Luce, a come si sentisse il primo Lucente, che, nonostante i crimini del turbocapitalismo, scriveva per esortare il mondo a cambiare direzione, perché ancora non era troppo tardi. Crón, però, gli avrebbe suggerito, con tatto e passione politica, che occorreva far nascere un movimento nuovo, umanistico, capace di intercettare le eque istanze delle persone, per condurle a vivere nella dimensione della sanità mentale, che, in quel momento, era una vera e propria chimera. La sua sorella spirituale era sempre stata lucida nell'analisi dello status quo, veritiera, aulica nell'esposizione di ciò che avrebbe potuto essere un mondo altro con una visione capace di interpretare fedelmente le richieste che provenissero dal popolo. La gente non era cattiva, era solo disorientata. Non capiva come si fosse arrivati a lavorare tutte le domeniche senza poter stare mai un giorno intero con i propri cari. Meraviglie del neoliberismo sfrenato... Seán rimaneva sempre più attonito, dinnanzi alla strategia del libero mercato e della finanza. Non aveva neanche più parole. Sapeva solo che quel mondo era stato voluto da menti il cui operato era criminoso. La Nuova Era di Luce avrebbe richiesto molta attenzione verso l'altro. Verso i bisogni. I desideri. Le legittime aspirazioni. Nessun regno malvagio dura in eterno, dicevano gli antichi e l'uomo ne era consapevole. Si trattava solo di capire quanto ancora sarebbe durato quel sistema di cose tirannico, dove gli esseri umani venivano ridotti al rango di poveri schiavi consumatori. L'artista sospirò. Osservò il viale. Le sue pietre erano immacolate, di un bianco davvero candido. L'autore aveva scritto alla sua compagna, si erano dati il buongiorno con mille sorrisi. Lei era Lucente. La Musa perfetta. L'orgoglio del suo compagno... L'uomo continuava a scrivere, perché il processo di lettura e codificazione in segni d'Arte, per lui, era infinito. Non era ancora a metà pagina. Si era prefissato l'obiettivo di scrivere almeno due pagine di prosa. Fuori le biciclette andavano allegre per il viale alberato, con migliaia di foglie rosse e gialle sulla pavimentazione. L'artista ascoltava i suoni della nascente Galway, nell'abbraccio al nuovo Sole. Pensò all'amore fra James Joyce e Norah Barnacles, che aveva congiunto Dublino e Galway in una sorta di fratellanza irlandese. La casa di Norah, lungo il fiume Corrib, era splendida. Museo nazionale e grande punto di attrazione per i turisti. L'uomo pensò a quanto potesse essere impegnativo amare un genio come Joyce, che, vivendo in una dimensione di totale creatività, non si poteva certo contattare come un uomo qualunque... Ci vuole molta attenzione a trattare una intelligenza superiore votata all’Arte! L'uomo, tutte quelle cose, le sapeva molto bene e vedeva nella sua compagna la massima espressione della avvedutezza. Lei era sempre molto accorta, quando si rapportava all'artista. Comprendeva che il suo compagno fosse spesso immerso nei propri percorsi mentali e, con molto tatto, ci entrava, per poi meravigliarsi dei suoi lampi, in un abbraccio di anime belle, che desideravano fondersi totalmente, col corpo e con la mente. L'accuratezza dei gesti della Donna era davvero encomiabile. Lei non lo avrebbe mai fatto soffrire, in nessun modo, semplicemente perché non voleva. Lui, questo, lo sapeva molto bene. C'era stato qualcosa di inintelligibile, nove anni prima, mentre i due si scrivevano in chat, ancora prima di incontrarsi da vivo, che aveva spinto l'uomo a sentirsi libero e a casa, percependo che la persona, a cui donava le sue parole, non volesse minimamente scalfire la superficie dei suoi pensieri di artista e non intendesse uccidere la propria Psiche di individuo che voleva addire la propria esistenza alla Nuova Era di Luce. La Donna, altresì, aveva sentito che quell'uomo, che le dedicava le sue idee più vere, non l'avrebbe mai e poi mai sminuita o abbandonata. Il loro era stato un incontro di sensibilità sopraffine: l'accuratezza dei loro gesti parlò per loro. A Doolin, la prima volta che si videro, sotto alla grande scogliera di Moher, abbracciata dalla pioggia dell'Atlantico, l'uomo, la sera, nella loro camera, le aveva baciato la vagina ed il clitoride, con passione intensissima e lei, ponendo le sue mani sul capo di lui, gli aveva chiesto: «Ma tu chi sei?» e l'uomo, sollevando il viso dal caldo ventre di lei, le aveva risposto con un sorriso carico di emozione. Si erano scoperti. Si erano trovati. Si erano rispettati. Nulla li avrebbe potuti dividere. Erano l'uno la risposta dell'altra. Erano le loro aspirazioni di essere umani liberi. Erano la Bellezza che bramavano esperire. Avevano riscoperto, attraverso la loro Vita sessuale, di essere splendidi. Di meritarsi quell'Amore. Di saper giocare. Non chiedevano altro. Si trovavano nella condizione di godere appieno di un sentimento totalizzante di dedizione e scambio, con una prospettiva sul loro futuro, che, nella loro immaginazione, non si era mai prefigurato tanto bello. I loro corpi, dopo nove anni di rapporto, si bramavano ancora di più. Seán riteneva che non avrebbe mai smesso di desiderare la sua compagna, perché lei sapeva rinnovarsi costantemente ed essere sempre splendida. Quel «Ma tu chi sei?» era la scoperta delle Possibilità di rapporto autentico e creativo, che Sinéad, nell'istante della vera Passione, si era sorpresa a considerare reale, non più legato a sogni, ma concreto e fattibile. L'artista, dopo averle risposto con un sorriso, continuò a succhiarle il piccolo clitoride potente, per farle raggiungere un orgasmo forte, fra respiri affannati e grida di gioia. La loro storia d'Amore era tutto quello che i due potessero mai ambire ad avere nella propria Vita. La cautela, con cui sfioravano il mondo interno dell'altro, senza mai calpestarlo, ne faceva una coppia a prova di bomba. Avevano combattuto tante battaglie. Avevano anche corso il rischio di perdersi, ma, con la dedizione e l'abnegazione, si erano sempre ritrovati e ogni volta erano rinati insieme, in una fusione fortemente desiderata da entrambi, lungo un sentiero che portava, di tanto in tanto, a prodigiose rivelazioni sul proprio Io, nell'ambito del rapporto amoroso che si trasformava con loro. Si cresce nel rapporto, amava pensare l'autore, che di quell'idea aveva fatto un caposaldo della sua concezione sociale, capace di recare un messaggio universale, proprio per tutti quelli che avrebbero inteso intraprendere il cammino verso il benessere autentico. Erano stati davvero molto coraggiosi, sebbene, in certi frangenti, sarebbe stato più facile separarsi. Avevano tenuto duro. Non si erano mai rassegnati all'idea che il loro potesse divenire, in una progressione agghiacciante, un non-rapporto. In quel momento, Sinéad e Seán erano sulla cresta più alta dell'onda esistenziale della loro conoscenza. Lei sapeva esattamente quello che lui pensava solo guardandolo in faccia. Lui conosceva i percorsi mentali di lei e inventava ogni giorno come farla ridere e stare bene. I due non avrebbero mai finito di conoscersi, perché l'Amore è il sinonimo perfetto dell'infinito... La sera prima, la sua compagna era arrivata con l'intenzione di fargli una sorpresa: desiderava baciargli il pene. Lui la accolse in accappatoio, tutto profumato e lei non resistette alla voglia di farlo suo. Sinéad si tolse tutti i vestiti, e rimase nuda, ad osservarlo fremere per le sue coccole. Lo spogliò. Gli baciò il collo e poi scese lungo il petto ampio e odoroso, tornò a sfiorargli, col suo seno nudo, il viso. Gli disse: «Dimmi che sono il tuo Amore!», porgendogli i capezzoli rosei che lui tanto amava succhiare. L'uomo le afferrò i seni e li baciò avidamente. Lei si fece coccolare. Poi scese sul ventre del suo uomo, da dove percepì forte la fragranza che lei preferiva. La Donna iniziò a succhiargli il pene, che era già eccitato. Lei gli disse: «Guardami! Voglio che mi osservi mentre te lo prendo in bocca!» e Seán la vide lì, sotto al suo ventre, mentre, con la mano destra, gli massaggiava lo scroto, baciandogli il pene con potenza. «Voglio farti esplodere, Amore mio!» gli disse, con voce sensuale e carismatica. Dopo qualche minuto, l'uomo raggiunse l'orgasmo, ansimando e tenendo, con le sue mani, il capo della sua Donna, che bevve il suo sperma e si rilassò appoggiandosi alle gambe del suo estasiato compagno sdraiato sul letto. Sinéad rimase avvinghiata al suo uomo, per lunghi, interminabili istanti, nei quali Seán avvertì una energia femminile profonda e ammaliante. L'uomo rimase lì, fermo, sul letto, con la sua compagna che si era spostata lungo il suo ventre, per un istante, nel quale percepì, nell'aria, l'unico profumo che lo conquistava totalmente: quello della sua compagna; fragranza di mimosa, delicata, tenera, completamente sua. I due rimasero abbracciati. Lei gli sorrideva. Lui giocava con i suoi capelli lunghi castano scuri. Lui trovava la propria compagna bellissima. Lei lo considerava il suo amante perfetto. Non erano mai appartenuti a nessuno, prima di conoscersi. Non erano mai stati liberi di giocare con il proprio corpo. Non avevano ceduto alla tentazione di arrendersi, e il destino li aveva fatti incontrare proprio quando erano pronti per il grande Amore della loro Vita... L'uomo, prima che la sua Donna giungesse a casa sua, si era accorto che il suo Amico Poeta aveva condiviso su Facebook il proprio pezzo musicale sullo stare bene, con questa riflessione: «Adoro la musicalità del pianoforte... mi regalo cinque minuti e spiccioli di «Ciò che è bene»... respira profondamente ad occhi chiusi, lasciati cadere addosso le note... tanto il caos non scappa, ti aspetterà sempre ed ovunque. Sta a Te concederti una pausa... la scelta di variare il tempo, smussare angoli nascosti, vibrare assieme alla sconosciuta anima». L'artista fu enormemente colpito da quel pensiero del suo compagno di battaglie. Damien, legato al compositore da profonda stima, lo sorprendeva spesso con la Bellezza delle sue liriche intrise d'Amore e riservava, al suo amico musicista, frasi splendide, animate da una visione comune sugli eventi e la Possibilità di fare vera Arte in un mondo al collasso. Seán condivise il post e Sinéad, prima di addormentarsi, gli mise un «mi piace» davvero soddisfatto. L'avvedutezza era tutto. Non si può entrare nel mondo di qualcuno con le scarpe sporche. Non si può essere disattenti, quando si maneggiano le emozioni altrui. Non si possono calpestare i fiori selvatici che nascono fra le lastre pietrose del Burren, in Primavera, perché sono degli autentici prodigi, proprio come quelli di un'anima ferita che torna a sognare di essere felice. Occorreva accuratezza. Urgeva, nelle relazioni interumane, tanto tatto. Gentilezza. Dedizione. Solo così si sarebbe potuti procedere verso la rivoluzione antropologica che il compositore sognava. La mattina seguente, l'uomo bevve il suo primo buon sorso di caffè e si accese una Chesterfield rossa. Era sereno. Ogni volta che faceva l'Amore con la propria Donna, il giorno dopo era di ottimo umore. L'avvedutezza con cui lei ne abbracciava il mondo interno era senza pari. Il tatto, con cui lui le sfiorava l'anima, impareggiabile. I due erano destinati ad amarsi, per sempre. La loro era una storia infinita di intelligenza e passione. L'uomo pensò al brano musicale che aveva scritto il giorno prima, intitolato «il bacio» e si ricordò di non averlo concluso. Fece un tiro di sigaretta tenendo gli occhi chiusi e provò ad immaginare come si sarebbe potuta sviluppare quella sua nuova composizione. Era alla pagina centoventinove del suo racconto, che lui avrebbe continuato a chiamare così, fin quando la forma dello scritto non avesse assunto dimensioni più importanti. Comunque, l'idea di poter scrivere il primo romanzo gaelico della Nuova Era di Luce lo affascinava enormemente. Forse qualcuno avrebbe letto la sua prosa e ne sarebbe rimasto colpito, perché le parole dell'autore erano davvero universali; turibolo di squisita fattezza, cui affidarsi con fiducia. D'un tratto, durante la sua serata da solo, venne avvinto dalla tristezza, a causa di un pensiero sui non-rapporti e scrisse questa riflessione: «Io ci ho provato a stare in mezzo alla gente, ad avere rapporti umani, ma, quasi sempre, mi sono imbattuto in relazioni tossiche, dalle quali sono fuggito, inorridendo». Ricordò i tanti momenti di confronto con Shayla, che gli era sembrata sempre molto ricettiva nei confronti delle esigenze delle persone che incontrava. La dolce ragazza di Belfast aveva deciso di donare tutta se stessa ad un uomo pieno di inquietudini, che non sempre avrebbe potuto e saputo garantirle una continuità di presenza affettiva, ma quella era la scelta della sua Amica, che riteneva di non poter conoscere un uomo migliore, cui dedicare tutte le sue migliori attenzioni. Scrisse, di seguito, un brano musicale sulle relazioni tossiche, intitolandolo «tocsaineach» - «tossico». Un'orchestra d'archi in un allegro sfrenato, con idee che si ripetevano incessantemente, in una tempesta perfetta... Questo erano per lui i non-rapporti... Ne parlò con Sinéad, che gli diede ragione e lo esortò a vivere bene con ciò che avevano, all'interno di un Amore che non conosceva bugie... I non-rapporti gli facevano davvero schifo. Su Facebook, seguiva un gruppo di vittime di narcisisti, trovando le loro storie agghiaccianti. Non comprendeva come si potesse perdere la propria Vita dietro persone che, inevitabilmente, distruggono la dignità di essere umano di chi hanno intorno. Aveva anche composto un brano musicale sulla dedizione, elemento essenziale di tutto ciò che è vero rapporto. L'attenzione all'altro è già dedizione. Nell'arco del tempo, dalla nascita della prima frase del racconto al capitolo che stava vergando, aveva creato sedici composizioni musicali ispirate alla nuova prosa. Era soddisfatto. Lieto. Attento agli sviluppi della sua storia. Si staccò dalle sue parole. Si dedicò ad altro. Il compositore, il giorno dopo, era avvolto dal silenzio, in una mattina che si prospettava di Luce. Il brusio del viale gli teneva compagnia. Bevve un po' di caffè. Si accese una sigaretta. Si era alzato presto, pieno di energia. Aveva dormito molto bene. Riflesse sulla capacità di un individuo di prendersi cura del prossimo. Sorrise, dacché sapeva che, sulla Terra, c'erano tante persone capaci di vivere rapporti costruttivi. Iniziò a rileggere il racconto ed aggiungere parti. Voleva arrivare a fine pagina. Si concentrò. Desiderava trovare nuovi lemmi per una narrazione vergine. Fuori era ancora buio. Il Sole sorgeva circa un quarto d'ora dopo, ormai, tutte le mattine. La strada era avvinta dalla tenebra. L'autore cercò in sé un'idea originale. Voleva che il suo racconto divenisse un romanzo e sentiva che avrebbe impegnato tutte le sue energie per il progetto aulico di una incontaminata opera letteraria sulla Nuova Era di Luce. Era a pagina centoventinove. Avrebbe superato la barriera psicologica delle duecento pagine? Questo se lo chiedeva spesso, negli ultimi giorni... L'autore voleva che il suo lavoro fosse perfetto, nella forma e nel contenuto. Avrebbe poi eseguito una accurata operazione di labor limae. Ripensò a quanto fosse stato duro rielaborare il suo primo racconto del 2008. Una vera fatica titanica... Il racconto che stava scrivendo in quel momento, invece, gli pareva molto più fluido, ma forse si stava sbagliando. Magari era solo una sua percezione, legata al fatto che vergare nuovi lemmi da Lucente gli appariva molto più naturale. Inoltre, per quello che riguardava il suo primo racconto di anni prima, le operazioni erano state rese complesse dall'essere per la prima volta davanti ad un monitor a scrivere la propria prima storia autentica. L’artista doveva molto a quella sua prima opera letteraria, dacché l'aveva redatta non appena uscito dall'ultimo flutto della tempesta, in una condizione esistenziale nuova, da sopravvissuto, poco prima di incontrare la sua Musa. Forse avrebbe tribolato pure per la sua nuova prosa. Questo non lo sapeva con esattezza: solo il tempo glielo avrebbe confermato. L'uomo chiuse gli occhi. Riflesse sulla bontà delle parole della sua compagna, che, ogni volta, con una intelligenza di Vita davvero prodigiosa, gli forniva chiavi di lettura sempre più disvelanti. Seán era lieto, quella mattina. Tutto stava procedendo per il verso giusto. Il suo cervello era attento. Pensava a come rendere felici le tre persone del suo nucleo: Sinéad, Aindreas e sua madre. Non gli restava altro. Non aveva, in fondo, altri rapporti, se non qualche sporadico contatto con pochi Amici lontani, di cui però non conosceva poi molto... Era venerdì e la sua compagna avrebbe lavorato per poi concedersi un fine-settimana all'insegna della Bellezza e del recupero delle energie. L'uomo continuava a sognare di visitare il Donegal con la sua compagna. «Una terra incantata, fra oceano e castelli, montagne e pascoli, dove poter far riposare la propria anima» scrisse l'autore su quella Landa a nord che aveva visto solo in foto. Il compositore decise che avrebbe riascoltato gli ultimi due brani musicali. Iniziò l'ascolto. Prima decise che avrebbe risentito «tocsaineach» - «tossico». Era la descrizione di una furibonda tempesta, da cui nessuno potesse uscire vivo. Gli archi esprimevano tutta la furia, con rari sprazzi di gioia, che rappresentavano la consapevolezza di rifiutare tutto ciò che è portatore patogeno di morte. Le note rapide si succedevano in un allegro incalzante, metronomo centotrentadue bpm. C'era un tema di quattro battute, pieno di Vita, che si ripresentava, come a voler dire che anche dalla tossicità ci si potesse salvare, abbattendo il male. La composizione era molto bella, significativa, intensa. Quattro minuti di musica perfetti. Il compositore credeva fermamente nella capacità rappresentativa dei suoni. Riteneva che la Musica potesse essere sublimazione effettiva degli stati d'animo e dei pensieri di chi la scrivesse, cui dare un nome e una forma. L'autore era all'ultima riga della sua pagina. Raccolse in sé tutte le sue idee. Riascoltò, per la seconda volta in quella mattinata, il brano sulla tossicità. Ci trovava davvero tutto quello che sentiva riguardo i non-rapporti; distruzione perenne dell'Identità. Aveva avuto bisogno di comporre quel pezzo. Da giorni stava riflettendo su quanto fossero malati molti individui che gli erano stati vicino. L'uomo se ne era separato con disgusto. Non riusciva a comprendere come molti fossero incapaci di attenzione, dedizione, accuratezza ed avvedutezza, nel costituire relazioni interumane che sarebbero state destinate al dolore, alla perdita di sé e alla precarietà. Occorreva uno stato costante di Bellezza e Bontà, per vivere con gli altri, verso la Verità finale dell'uomo: la pura gioia. L'autore trovò il suo lavoro sulla tossicità dei non-rapporti davvero capace di incarnare tutto quello che lui pensava su come si potesse morire all'interno di una relazione. C'erano idee ripetute che volevano rappresentare la perdita del proprio Sé più sacro. Esigui momenti di una Bellezza che era rifiuto di tutto il moto orrendo che conduce alla regressione allo stato schizoparanoide di individui drammaticamente irrisolti, incapaci di sostenere qualsiasi sorta di rapporto vero ed edificante. Seán era davvero colpito dal suo ultimo pezzo. Lo aveva scritto tutto d'un fiato, nel pomeriggio precedente, animato da impeto. I non-rapporti lo atterrivano. Subito dopo, l'uomo ascoltò «dúthracht» - «dedizione», poco più di un minuto di Musica che lui trovò splendido, un sestetto con violino I, violino II, viola, violoncello, contrabbasso e pianoforte. La dedizione era tutto, per Seán... Non c'era rapporto senza di essa... Riflesse qualche istante sulla Bontà del proprio processo creativo, che si muoveva sul doppio binario di suoni e parole, proprio come recitava il titolo del suo sito personale. Gli venne il desiderio di scrivere una nuova pagina del suo spazio virtuale. Andò a comporla. Si alzò dalla scrivania con un quaderno in mano. Scrisse poche righe e le consegnò al web. Gli seppero essenziali. «Un musicista non suona mai una nota in più di quelle che servono a dipingere il suo mondo» vergò sul suo probo diario, testimone fedele delle sue idee di artista rivoluzionario. La sua creatività contestava tutto ciò che non era Vita. Tutti i messaggi pericolosi per l'Identità dell’individuo. Tutto ciò che avrebbe condotto quell'Umanità dentro l'abisso. Era a metà pagina del suo nuovo racconto. Bevve del caffè. Si accese una Chesterfield rossa. Guardò fuori dalla finestra aperta e trovò un viale splendido, tutto illuminato da un possente bagliore argenteo, che rifletteva un cielo plumbeo con venature cremisi e porpora. Decise di andare a guardare l'oceano. Aprì la finestra della cucina, lo sentì in lontananza bisbigliare e lo colse il desiderio di fare una passeggiata in riva al mare. Si vestì ed uscì. Percorse il breve viottolo che costeggiava il suo palazzo e si ritrovò, dopo pochi passi, davanti all'oceano, che gli sembrò subito meraviglioso, placido, lirico. Rimase per qualche istante in piedi, ad osservare l'orizzonte, poi si mise seduto sulla sabbia. Riflesse. Non poteva fare altro che ammirare la Pulcritudine di Madre Natura, sempre così generosa. Si accese una sigaretta. Scrutò i battelli lontani, che dalla baia di Galway, partivano per le Aran Islands. Si immaginò ad Inis Mor, una terra accerchiata dall'oceano, in cui, spesso, un vento imponente batteva l'isola. Camminò lungo la spiaggia nera. «Questo è il cielo della mia Landa!» esclamò tutto felice, osservando l'empireo... Tornò a casa, tutto soddisfatto, appagato dallo scenario naturale che aveva a pochi metri di distanza dalla propria dimora. Si rimise a leggere quello che, ormai, aveva deciso sarebbe stato un romanzo. Aveva scritto questo, nel suo sito:
«I non-rapporti generano morte.
Sono relazioni profondamente malate.
Chi sceglie questo genere di scambio interumano non vedrà mai la Luce della propria Identità di uomo felice.
Questo brano musicale vuole esserne una rappresentazione.
Urge dire basta a tutto il male di questi non-rapporti.
Occorre andare oltre e separarsi.
C'è una nuova aurora per chi sceglie di stare bene, recidendo tutti i legami mortiferi.
La Nuova Era di Luce inizia con la Verità su come ci rapportiamo col mondo che ci circonda.
Buon vento, Marineros!».
L'uomo era solo, in casa. Fece l'ultimo tiro di sigaretta. La spense nel suo posacenere argenteo e nero. Osservò la porzione vergine del foglio. Decise che avrebbe provato a concludere la pagina. Ma come? Con quali idee? Vergando quali lemmi rivoluzionari? Congiunse le mani, davanti al monitor del suo Mac. Diteggiò una melodia in La minore, nell'aria. Si voltò, guardandosi allo specchio del suo armadio e si trovò bello, con la barba in ricrescita. Era alla quinta pagina del tredicesimo capitolo. Percepiva, però, la stanchezza di non riuscire a scrivere. Pensò a Sinéad ed alla sua carica vitale davvero formidabile. Lei era tutte le sue gioie di uomo. Lei era ogni risposta. Tutto il suo mondo. L'attenzione con cui lei, ogni volta, entrava nel giardino incantato del suo uomo, non era possibile esprimerla a parole. Era prodigio. Incanto. Idillio. L'avvedutezza era, per l'artista, una forma altissima di Amore, il simbolo di un rispetto gentile che voleva l'altro libero e felice. Era in quell'atteggiamento positivo che Seán scorgeva l'interesse puro nei confronti del benessere dell'altro. L'attenzione era ascolto sincero. Igiene. Propensione. Rapportarsi con tatto era il primo passo verso la Sanità mentale, che l'artista cercava in quel mondo alla rovescia, trovandola, di tanto in tanto, nei meandri più nascosti, fra le pieghe di un sistema fatto di non-uomini che generavano non-rapporti. L'autore aveva terminato la sua pagina. Era felice. Si trovava a metà del capitolo. La fatica di scrivere, che, a tratti, lo invadeva, gli faceva apprezzare ancora di più il processo creativo, ora fluido e veloce, ora lento e stanco. Si chiedeva se avesse reale bisogno di amicizie, nel quadro di un inizio di terzo Millennio davvero scoraggiante. Contò i suoi Amici: erano quattro, quattro di numero. «Chi non è attento, non può essere mio Amico» scrisse su un post-it, che affisse al frigorifero, come memoriale. L'uomo, certe volte, avvertiva il desiderio di comunicare il suo vissuto a qualcuno in grado di comprenderlo, ma non c'era quasi mai nessuno, cui dedicare quei messaggi. I suoi amici erano quasi tutti lontani, a Belfast, presi dal lavoro e dagli impegni familiari. Come Shayla. Come il suo vecchio amico Aindreas, divenuto da poco papà. All'autore, la sua esigua schiera di rapporti andava bene, nonostante il fatto che avrebbe voluto che il suo operato d'artista potesse giungere ad un numero maggiore di persone. Sognò ad occhi aperti che la sua Musica potesse essere conosciuta da molti. Poi c'era il suo Amico Poeta, Damien, che era tutto tempesta ed assalto e difficilmente l'artista riusciva ad intercettarlo, perso come era nei suoi versi e nel suo folle Amore per una donna che lui considerava la sua Musa perfetta... Alla fine, quindi, se l'uomo non avesse avuto sua madre, Sinéad e suo figlio Aindreas, sarebbe stato completamente solo, cosa che lo avrebbe atterrito un bel po'... «Forse io riuscirei a vivere anche in totale solitudine» si sorprese a pensare, in uno slancio dovuto al suo forte orgoglio di uomo risolto. L’artista era alla sesta pagina della sua nuova prosa. Respirò profondamente e cercò in sé la propria frase più autentica. Gli sciocchi e irrisolti avevano migliaia di contatti virtuali, sulle piattaforme come Facebook, lui, invece, contava una cinquantina di contatti. Era il segno tangibile del mondo alla rovescia. I Lucenti accantonati. Gli immaturi sotto la Luce del riflettore, a dispensar lezioni di Vita. Seán si aprì in un sorriso amaro. Quell'epoca, se non fosse stato saldo, lo avrebbe ucciso di nuovo, come aveva tentato di fare la sua tempesta perfetta, vent'anni prima. L'uomo si era svegliato da poco, quel sabato mattina. Si era preparato il caffè e si era lavato, pensando alla fallacia dei non-rapporti del terzo Millennio. Come stavano andando le cose lo sgomentava. Scrisse, su Facebook, questo post, che non era stato intercettato da nessuno: «Ribadisco un pensiero di mesi fa, alla Luce di ciò che sento oggi: non si farà la rivoluzione, oggi». Già, ne era proprio convinto il compositore. Non si potevano ancora muovere i primi passi verso la Nuova Era di Luce, dacché quasi nessuno avrebbe seguito quel sentiero. C'erano ancora troppi non-uomini in giro, a dettar legge. Troppi falsi miti. Troppa pochezza. Nella mente dell'artista, i pensieri erano strettamente connessi con il suo umore, in un vortice senza soluzione di continuità e la considerazione che la rivoluzione non fosse per quel momento storico lo tramortì, gettandolo in uno stato di apprensione che lo affranse. L'autore bevve un po' di un nuovo caffè, comprato con la sua compagna e si accese una sigaretta. La sera prima aveva cenato con Sinéad ed era stato molto bene. Lei scacciava via tutti i suoi brutti pensieri sulla fine di un mondo e i chiaroscuri di ciò che avrebbe dovuto ancora manifestarsi. Lei era davvero il suo metronomo. Riconduceva il suo battito ad un valore di tempo adagio, sicuro, sereno, quando lui, talune volte, era tachicardico. Lei era il suo accordatore, perché intonava il canto dal mondo interno dell'uomo. Lei era tutto ciò di cui lui aveva bisogno per essere felice. Questo, Seán, lo sapeva molto bene. Aveva desiderio dei suoi baci di Donna conturbante. Aveva voglia di perdersi nella sottile linea fra i suoi splendidi seni e il ventre, percependo quel calore di amante immortale che la rendeva così adorabile.
14° Stralcio
La nostalgia
Quella domenica si svegliò presto, perché voleva scrivere. Si iniziò a preparare il caffè e, durante il tempo dell'ebollizione dell'acqua, cominciò a pensare a cosa avrebbe trattato nel quattordicesimo capitolo. Non aveva ancora in mente una tematica, così decise che avrebbe navigato a vista, in cerca di una idea chiara. La prima Luce dell'aurora si stava diffondendo lungo il viale. L'uomo la osservò per capire che tipo di giornata sarebbe stata. L'ottimo caffè lo mise di buon umore. Il pomeriggio precedente, era stato a fare compere con la sua compagna, che gli aveva regalato un paio di pantaloni blu e una maglia beige, che lui avrebbe indossato quel giorno, per vederla soddisfatta. L'artista si accese una sigaretta. Non erano ancora le sette di mattina. L'autore aveva pensato spesso alla stesura del suo nuovo capitolo, durante la serata del sabato, in compagnia della sua Donna, alla quale aveva raccontato sommariamente l'evoluzione della sua storia. Non riusciva a focalizzare, in sé, un argomento che potesse divenire il centro della prosa. Aveva solo vaghe intuizioni. Il flusso dei suoi pensieri si muoveva stanco nella sua mente, in ricerca. Sarebbe riuscito a scrivere? Questo ancora non lo sapeva. Aveva della musica in sospeso, cui si sarebbe dedicato quando ne avrebbe sentito il desiderio. Digitando con il suo Mac, trovò una parola chiave. Ne seguì il campo semantico, trovandola perfetta per il titolo del suo nuovo capitolo. Bramava i baci della sua Donna. Ne voleva una moltitudine. Tenera. Infinita. Dolce. Non era ancora a metà pagina, quando sentì forte il richiamo della pelle della sua compagna, sempre così calda e profumata. Lui la desiderava intensamente. Si dedicava al corpo di lei con massima attenzione. Lei era un codice, che lui leggeva nel chiaroscuro della loro camera da letto. Dai capelli ai piedi, era bello baciarla, senza soluzione di continuità. Certe volte, Sinéad si metteva sul letto nuda, con le ginocchia e le mani appoggiate al materasso e Seán, da dietro, le baciava la vagina e il sedere, entrando con la lingua dentro all'orifizio anale. Era qualcosa che gli dava grandi emozioni, lo faceva sentire completamente della sua Donna. Lei respirava profondamente, in quei momenti, e gemeva, con grande soddisfazione dell'uomo, che passava ad accarezzarle le gambe, i piedi e i polpacci, in un costante massaggio che mandava in estasi la sua compagna. L'artista aveva fatto un sogno, quella notte. Nella proiezione onirica, era solo in casa, mentre attendeva la sua Musa, dopo la doccia, avvolto dall'accappatoio di spugna bianca con le rifiniture in color oro. La sua compagna giungeva. Era bellissima, nel suo vestito lungo rosso. La Donna iniziava a scherzare con lui e, all'improvviso, sbattendolo sul letto, cominciava a spogliarsi lentamente, gettando i suoi abiti sul pavimento, con l'uomo che la osservava intensamente. «Guardami, Seán, questo spettacolo è solo per te!» gli sussurrava lei, mentre, con le mani, si tirava fuori il seno prosperoso dal reggiseno, lasciandosi l'intimo addosso. Poi lei si toglieva le mutandine e, tenendole in mano, le faceva odorare al suo uomo, dicendogli: «Amore, senti il profumo della mia vagina!». L'uomo chiudeva gli occhi e percepiva il profumo di quei tessuti candidi di cotone bianco. Di lì a poco, Sinéad, con solo il reggiseno addosso, raggiungeva il suo uomo sdraiato sul letto, ponendo la sua vagina sulla bocca di lui e dirigendosi con la propria testa sul pene del suo amante. «Lecca, Amore, leccami tutta!» gli diceva, estasiata all'idea che lui, con la sua lingua e le sue dita potesse penetrarla con passione ed attenzione. L'uomo iniziava a baciarle le grandi e piccole labbra, si aiutava con le due mani, per aprire la vagina della sua Donna e cominciava, avidamente, a succhiarle il piccolo clitoride potente, scivolando, di tanto in tanto, verso l'atrio del suo infinito, immergendosi con la propria bocca nella vagina di lei, che era turgida ed eccitata. Sinéad si stava concentrando sul pene dell'uomo, che era diventato quasi subito grande e possente, con carezze sui testicoli e baci ritmati sul glande del suo tenero amante. Poi la Donna, quando sentì che il momento fosse quello giusto, si spostò, facendosi penetrare la vagina dal pene dell'uomo, che, rimanendo sdraiato, aveva la sua Donna sopra di sé, con il viso e il seno rivolto verso il proprio corpo virile. La sua amante lo stava cavalcando selvaggiamente, sussurrando: «... E adesso ti faccio mio!», sorridendo, come una bambina che gioca. I minuti, in cui lei lo domava, erano splendidi, nel sogno. L'artista si sentiva completamente avvolto nel suo abbraccio di Donna passionale. Sinéad cambiava posizione. Si metteva sul letto come una cavalla, iniziando a masturbarsi con la mano destra, porgendo le terga al suo uomo. Ad un certo punto, lei gli diceva: «Amore, penetrami l'ano, ti voglio dentro di me in tutti i modi!» e Seán, con la massima accortezza di cui era capace, le cominciava a leccare l'orifizio anale con grande desiderio, introducendo poi il suo pene eretto e turgido nel sedere rotondo e profumato di lei, mentre la sua Donna ansimava incessantemente. Lei continuava a masturbarsi il clitoride mentre lui, con vigore, entrava ed usciva dal suo sedere, con il massimo dell'eccitazione. Continuavano così per interi minuti, poi, quando l'uomo stava per eiaculare, le disse: «Posso venire dentro al tuo culetto?» e lei, con le ultime forze prima del suo orgasmo di Donna conturbante, gli rispondeva: «Certo, Amore, vieni, inondami tutta!». L'esplosione dei loro due orgasmi era simultanea ed intensissima, con roventi grida di piacere. I due, alla fine del rapporto, si abbracciavano felici e Seán guardava estasiato la Donna che gli aveva insegnato a fare l'Amore... L'artista la sognava spesso nuda. Forte, nella sua Identità di Donna. Tenera come una bambina che gioca. Infinita, come i suoi abbracci di compagna fedele e leale. Era il Desiderio a tenerli uniti. Si cercavano costantemente. Si volevano. Si bramavano. Il sogno erotico di Seán era una rappresentazione del flusso che scorreva fra i due. Era Energia. Sangue. Intelligenza. L'artista non avrebbe mai potuto immaginare una Vita senza Sinéad. La Donna non sarebbe mai voluta tornare indietro a quell'epoca prima del suo compagno, quando era sola e triste. Dopo aver reciso ogni legame mortifero, la sua compagna viveva in una dimensione di speranza, seppure non avesse neanche un Amico. I due si erano rigenerati insieme, in una attenzione vicendevole allo stato di benessere del partner. Erano l'uno l'opera d'Arte dell'altra. Questo lo sapevano bene entrambi. Quella nostalgia che sentivano, quando erano soli, rappresentava il più autentico motore della loro esistenza. Non si stancavano mai di bramarsi. Si desideravano in continuazione. Parole, sorrisi, carezze, baci, tutto era una manifestazione d'Amore vero che li stava facendo vivere in un'altra dimensione. Loro, per il sistema, erano altrove. Indefinibili. Imperscrutabili. Fuori dalla gabbia. Nel loro rapporto, non c'era spazio per le malie della pubblicità del terzo Millennio. L'autore, dopo aver descritto a cosa tendesse la sua esistenza, si trovò a metà pagina del secondo foglio del nuovo capitolo. Fece un tiro di sigaretta. Chiuse gli occhi. Cercò nuovi lemmi. Riaprì gli occhi e osservò la metà pagina vuota, che lui voleva riempire di parole belle. C'erano due momenti che l'uomo adorava: quando faceva ridere la sua compagna e quando le procurava orgasmi intensi. Alla fine, poteva benissimo vivere solo per quelle due meravigliose manifestazioni di Bellezza. Sinéad era la quintessenza della Pulcritudine e la Nuova Era di Luce sarebbe stata il definitivo e conclusivo trionfo della buona Psicoanalisi sul male. Queste conclusioni, l'uomo le aveva partorite dopo aver fumato la prima sigaretta della sua giornata, osservando l'empireo. Si accarezzò la barba, davanti al monitor del suo Mac, crogiolo di tante battaglie vinte. Il suo computer era davvero importante, per lui. Ci aveva scritto nove anni di Vita. Musica. Sceneggiature. Composizioni estemporanee, come quella bellissima descrizione acustica che aveva creato di ritorno dalla Grecia, in compagnia di Aindreas, ancora piccino. Era stata quella l'occasione in cui, davanti al Monte Athos, aveva potuto esperire tutta la grazia e l'intensità della presenza di Crón, che preparava cene succulente e cantava, con voce adorabile, l'incipit del Concerto in Mi minore per Violino ed orchestra di Mendelssohn. Quanto gli mancava la sua grande Amica... Ancora non riusciva a capacitarsi della perdita... Ancora non la realizzava. Sapeva solo che le aveva dedicato una sua Sinfonia, per sublimare uno stato di angoscia... Crón era come Sinéad: una creatura possente, una Lucente, una mente eccelsa... Seán ripensò alla Pulcritudine del Sole che nasceva dal mare dietro al promontorio, in Calcidica. Aveva due centinaia di foto di quel momento della sua giornata in Grecia, quando, dopo essersi preparato il caffè, si metteva ad immortalare tutti i momenti dell'aurora, dal buio totale al primo raggio di Sole che proiettava il suo colore sul mare calmo, con gialli e rossi dalla tonalità intensa. Non avrebbe mai immaginato che quella sarebbe stata l'ultima vacanza con Crón... L'essere umano tende a rendere tutto infinito, ma, certe volte, l'esistenza termina prima che si possano realizzare tanti progetti di Vita. Ora, l'uomo lo sapeva. Era per questo che voleva sempre stare al meglio, perché non si conosce l'ora del proprio ultimo respiro. La scrittura scivolava veloce. L'autore ne era felice. Aveva scritto due pagine in assoluta scioltezza. Agile. Rapido. Efficace. Stava terminando il foglio, quando realizzò di sentire la mancanza della bella voce profonda della sua compagna, che, probabilmente, stava ancora dormendo. L'uomo pensò agli antesignani della Nuova Era di Luce: suo padre Connor e l'amica Crón: si commosse. Una leggera lacrima gli solcò il viso. Di suo padre ricordava benissimo il colore verde degli occhi, così espressivi e ingenui. Di Crón ricordava il timbro di voce, sublime, che viveva inscindibilmente con il proprio flusso di pensiero, in un'unione di grande integrità mentale. Era una Donna minuta, ma esprimeva una carica vitale davvero sorprendente. «Andandotene, Amica mia, ti sei risparmiata la coda letale di un turbocapitalismo davvero disumano!» pensò l'uomo, che, con Crón, aveva esplorato tutti i meandri più nascosti ed insidiosi del sistema che teneva soggiogato il Genere umano del terzo Millennio. Aveva conosciuto Donne incredibili, nel corso della sua esistenza; persone dal grande fascino, che lo avevano esortato ad esplorare tutte le Possibilità che lui aveva, in un turbinio di grande vitalità e senso dell'opportunità, grazie al quale poter provare a vivere da artista, cosa che lo aveva da sempre emozionato. Negli anni della tempesta, l'autore non era riuscito a scrivere come avrebbe voluto, dacché il senso di emergenza era costantemente impellente, sebbene lui avesse sempre saputo che sarebbe diventato un creativo. Seán voleva fare l'Amore con la sua compagna, per l'eternità. Non desiderava altro. Fondersi con lei per poi scrivere pagine memorabili di parole e suoni... Sinéad era tutte le sue prime volte. Era, in ultima analisi, tutto quello che l'uomo aveva sempre sognato, durante la tempesta che aveva tentato di castrarlo. L'uomo ascoltò il suono di notifica dei messaggi di Telegram. Era di sicuro la sua Donna. L'artista si mise a leggere. Sinéad era di una simpatia disarmante. Lo faceva spesso ridere. Lui aveva tanta voglia di essere leggero e godere. L'autore non era ancora a metà pagina. Provò a concentrarsi. Era necessario che trovasse in sé idee sempre nuove. Si accarezzò la barba con la mano sinistra, pensando a come fosse meraviglioso vivere con qualcuno che si ami follemente. Diteggiò nell'aria. Si scaldò le mani strofinandosele. C'era silenzio, nello studiolo dell'uomo. Una quiete che era sinonimo di Bellezza. Una dimensione di Pace, che l'artista aveva scoperto solo da poco e che rappresentava il risultato di una intera Vita spesa a cercare la Possibilità di essere felice. «Mi sembra di aver camminato per cent'anni» scrisse sul suo probo diario, ricettacolo di ogni sua esperienza di Vita. L'uomo decise che avrebbe telefonato a sua madre per darle il buongiorno. Si assentò. Il pomeriggio fu scandito da attimi meravigliosi insieme alla sua compagna. Gustarono un tramonto mozzafiato, con tonalità di colore dal porpora al cremisi, in uno scenario rosso davvero coinvolgente. Tornarono a casa e l'artista si crogiolò in un sonno profondissimo, come spesso gli capitava, da quando si alzava presto al mattino. Il Lunedì successivo, si svegliò alle sei e trenta, c'era già il Sole. Aveva freddo in pigiama, così decise che si sarebbe vestito con la sua immancabile tuta e il maglione che gli aveva regalato suo padre tanti anni prima. Riflesse, a mente fresca, sulla natura delle sue relazioni. Aveva quattro veri amici, tutti lontani e una cinquantina di contatti virtuali. Quindi, alla fine, i suoi legami erano quasi tutti digitali. Insoddisfacenti. Precari. Fatui. Non li avrebbe eliminati, ma considerava come, nel terzo Millennio, le cose andassero in quel modo. Eccetto Shayla, che sentiva spesso, gli altri tre Amici non li contattava quasi mai, persi, come erano, nelle loro attività di genitori e mariti. Ciò lo affranse. «Ma io ho davvero bisogno di Amici?» si chiese, cogitabondo. La Verità era che, in fondo, tutto quel caos di legami digitali all'artista andava bene così. Non sapeva neanche se avrebbe avuto tempo per un Amico in carne ed ossa. Si dispiacque di questo suo pensiero, ma, essendo sempre portato a raccontarsi il vero, si rasserenò, pensando a quanto fosse bello il suo nucleo fondativo. Alla fine, viveva per Sinéad, suo figlio e sua madre. Non c'erano altri, se non il ricordo della eco di risate lontane con gli amici di Belfast... Il turbocapitalismo era riuscito nell'intento di isolare ogni essere umano, fornendogli una Identità virtuale gratificante, che non era niente. Atomi impazziti, gli esseri umani godevano dei commenti di altri alle foto, ai video, alle frasi rubate a chissà quale poeta, in una dinamica spettrale di profonda solitudine e vuoto. Era la famosa società atomizzata; prigione nella quale ogni detenuto si masturbava con la propria immagine egocentrica, senza poter ambire ad un reale rapporto con gli altri, in una condizione di esistenza di plastica davvero inquietante. La dimensione virtuale, nella giornata tipo di un individuo, era onnipresente. Il mondo digitale stava sostituendo quello concreto. Contava quasi di più un commento su Facebook che una carezza di un Amico. Il compositore osservava questa dinamica molto preoccupato. L'Umanità stava celebrando il primato della tecnologia sulla Vita autentica e nessuno protestava, nessuno diceva nulla, tutti si erano adeguati a quella sorta di disordine che li voleva isolati e tristi, sconfitti e sudditi, castrati ed infelici. Ma quella era la Realtà, che andava sempre tenuta in considerazione. Il suo mondo era terribilmente piccolo, sebbene la sua visione fosse in grado di abbracciare tutta l'Umanità. L'uomo aveva dato già il buongiorno alla sua Donna, che gli aveva risposto con grazia e simpatia. Lei era tutta la carica umana che lui potesse contenere. Era lei tutte le sue risposte. Era lei il dono. L'artista non desiderava nient'altro. Stabilì che avrebbe potuto vivere benissimo anche con le sue poche relazioni. Non gli interessavano i non-rapporti virtuali di Facebook. Decise inoltre che i suoi viaggi a Cork non li avrebbe comunicati più a nessuno, dacché era sempre più difficile mettersi d'accordo per fare una passeggiata con qualcuno. Seán avvertì che quel quadro generale fosse stato davvero generato dal sistema. Egomaniaci e narcisisti prosperavano indisturbati. Il Tu dialogico sempre più recluso nella gabbia. I rapporti ogni istante più rari. Ognuno viveva, come poteva, nell'angusto spazio lasciatogli dal mondo della finanza. Ognuno triste, in fondo, ma con la brama di diventare ricco sfondato, per avere potere, fama, donne e auto di lusso. Ognuno irrimediabilmente senza una vera casa dell'Io sano. Il turbocapitalismo continuava a vendere il suo sogno di riscatto da una esistenza grama e molti, assetati, bevevano dalla fonte dell'eterno piacere neoliberista, per il quale la tua vittoria è sempre la sconfitta di qualcun altro, inevitabilmente. Così si procedeva: orde di egocentrici spazzavano via qualsiasi forma di Bellezza, in un processo senza soluzione di continuità. Seán era un uomo solo, non poteva fare altro che scrivere. Comporre nuove Musiche e vergare nuovi lemmi erano due atti fondamentali nella Vita dell'artista, che osservava, preoccupato, l'incedere trionfante dei dettami della forma più letale di vittoria del capitale sulle esigenze inalienabili del Genere umano. L'uomo aveva pochissimi amici, dunque, questo lo aveva rielaborato molto accuratamente. Non lo spaventava la dimensione di solitudine che spesso si trovava ad affrontare, specie nel giorno in cui rimaneva senza la sua Donna. Il sistema, non riconoscendolo come proprio adepto, non gli offriva niente. Era come morto, per il grande spot dell'egomania dilagante. L'autore scrutava tutto da lontano, da quel faro che era la sua Vita. Non sarebbe stato figlio di quel tempo neanche se l'avesse voluto. Lui era fatto di Luce. Non avrebbe mai trivellato l'oceano per qualche tonnellata di gas e petrolio... Quei pensieri andavano affastellandosi nella mente del compositore, proprio mentre egli pensava alle sue sedici battute della Musica sul mondo alla rovescia. Voleva scrivere il suo racconto, giunto a pagina centotrentanove. Andò in cucina a bere un sorso di caffè e si accese una sigaretta. Erano le otto. L'artista avrebbe dovuto fare diverse cose, nel corso della giornata, come riordinare la cucina, che aveva un po' trascurato nel fine-settimana. A parte il suo nucleo e l'immagine interna che aveva dei suoi cari amici di Belfast, non c'era nessuno, per lui, là fuori. Occorreva che Seán lo tenesse sempre presente. Nel mondo alla rovescia, gli artisti della Nuova Era di Luce non avevano amici e chi mostrava le natiche su Facebook era seguito da cinquemila persone... Questo era lo scenario dell'universo digitale nel quale naufragavano in tanti... L'autore voleva approfondire la sua scrittura. Desiderava spingersi oltre il suo limite. Voleva vergare parole di inusitata Pulcritudine. Certe volte, per le sue opere, avrebbe bramato una audience maggiore, ma non era possibile, dacché il suo mondo si rivolgeva davvero a pochi. «Un giorno, i miei lavori giungeranno a tutti quelli che avranno ricercato la Verità» si disse, lieto. Era nel brusio del viale. La Luce del primo Sole era tetra, come lo stato d'animo di chi, in quell'epoca, cercasse ancora tracce di intelligenza e sanità. Aveva superato da poco la metà pagina. Congiunse le mani. Sentiva forte il peso di essere un artista. Chiuse gli occhi. Si immaginò una schiera disumana di irrisolti comprarsi l'ultimo iPhone 8, per scrivere messaggi, quando la moglie non ci sarebbe stata, a quella bella collega di lavoro che era in grado di indossare quelle gonne un po' succinte che la rendevano tanto sexy... Ebbe nostalgia della sua antica Belfast, quando si divideva una mela con un Amico, con cui si aveva giocato a rugby... Il terzo Millennio era fortemente pornografico. Il capitale aveva deciso che la gente dovesse essere porca. Non c'era video musicale senza culi e tette in esposizione, con primi piani vertiginosi. Seán ogni tanto li vedeva quando andava a fare colazione in centro, sugli schermi delle televisioni dei locali. I proprietari del Pianeta Terra avevano deciso che l'Arte dovesse essere oscena. Per questo, il compositore si chiedeva sempre più intensamente come scrivere nuove strutture armoniche. Lui era l'opposto del turbocapitalismo. Se questo proponeva A, Seán scriveva non-A. Non lo faceva di proposito, era solo che alla morte, lui avrebbe sempre contrapposto la Vita, tutto qui. L'illusione di avere tante amicizie... Hai tanti contatti sulle piattaforme virtuali, non verrebbero da te ad aiutarti neanche se tu fossi in punto di morte... In ultima analisi, quello che proponeva il terzo Millennio era tutto fasullo... Relazioni, soldi, posizione sociale, Identità... Tutto era precario. Tutto irrisolto. Volevano gli uomini instabili per controllarli meglio. Tutto era al ribasso. Ogni forma di qualità veniva brutalizzata in favore di un mediocre surrogato. L'uomo si rattristava per tutte quelle cose, ma non cessava di sperare in una Nuova Era di Luce, capace di spazzar via ogni residuo di quella idiozia sadica voluta dall'un per cento della popolazione mondiale. L'autore aveva un forte desiderio: voleva vedere l'alba di una nuova epoca, cucita intorno ai diritti del bambino. Bevve del caffè. Si portò alla bocca una sigaretta senza accenderla. «Possibile che quasi nessuno si renda conto? Ci stanno togliendo tutto...» vergò l'artista nel suo probo diario, che, un giorno, avrebbe affidato ad Aindreas. La giornata era grigia. L'empireo insondabile, nelle sue sfumature chiaroscurali. L'uomo osservò con attenzione la tazza marrone con interno bianco con cui stava gustando il suo caffè della mattina. La trovò bella. I suoi occhi mai si stancavano di cogliere la Pulcritudine dentro alle piccole cose. Voleva chiudere la pagina. Era a poche righe dal traguardo. Il flusso della sua scrittura era ancora buono. Sostenuto. Allegro. Il turbocapitalismo era profondamente sbagliato: rappresentava la vittoria dell'uomo sull'uomo, del potente sull'oppresso, in una dinamica generale che vedeva un gruppo sparuto di non-uomini governare indisturbati le sorti di quasi sette miliardi di persone. Nessuno, però, aveva una soluzione. Quasi tutti erano dormienti, pensando solo a come arrivare a fine mese. Con Crón avevano spesso parlato di rivoluzione, ma era sempre mancato un piano di attuazione. Occorreva fare delle cose. Operare delle scelte. Compiere degli atti. L'uomo desiderava la Nuova Era di Luce più di ogni altra cosa. Forse l'avrebbero vista i figli di Aindreas, suo figlio, che, da tempo, si stava accorgendo della brutalità del sistema di potere, sebbene fosse giovanissimo... Forse il mondo altro non l'avrebbe visto mai nessuno, perché il turbocapitalismo si sarebbe rigenerato, di volta in volta, con una impressionante vitalità, sebbene Seán ed altri lo considerassero un organismo moribondo, tenuto in piedi dalla morfina dei capitali mondiali dell'alta finanza. I percorsi mentali dell'uomo forgiavano, in profondità, il suo umore, cosicché, quando giungeva ad una riflessione triste, tutto il suo mondo diventava cupo. L'analisi del turbocapitalismo era questo, per lui: un mare di delusione. Non concepiva come, nel 2017, i capi del mondo potessero ancora fare la guerra a questo o quello, seminando morte e distruzione. Non si capacitava di come si volesse sventrare il cuore del Pianeta, uccidere foreste, sversare inquinanti nei fiumi e in mare. Urgeva un nuovo rinascimento umanistico. C'era chi uccideva la Vita umana ogni giorno, andandosi a mangiare ostriche e caviale tutte le sere, per festeggiare un nuovo metanodotto di cui nessuno aveva bisogno. C'era chi decideva l'età in cui molti sarebbero andati in pensione, con l'intento di ignorare i reali bisogni di chi diveniva anziano. C'era gente che pensava a produrre armi, da scatenare contro popolazioni inermi. Seán bramava una rivoluzione delle menti. Una ribellione dei più. Un moto sincero che riaffermasse la tensione naturale del Genere umano: la gioia. Solo che, per fare questo, erano necessari tanti processi insieme. Non se ne vedeva all'orizzonte neanche uno. L'uomo era affranto per questo. Si chiedeva come si potesse continuare in quel modo, ingiustizia dopo idiozia, violenza dopo sadismo... La nostalgia di una casa comune, per tutti gli esseri umani di buona volontà, lo divorava. Era malinconico in quanto sapeva che il Pianeta Terra avrebbe potuto essere una dimora meravigliosa per tutti, se solo lo si avesse voluto. L'autore cercò, in sé, le sue migliori parole. Non aveva altro da aggiungere sul sistema del terzo Millennio, l'analisi era chiara, sotto alla luce del Sole... È che vedeva tanta gente assuefatta. Veniva lanciata la moda di un certo tipo di pantaloncino e, dopo una settimana, non vedevi altro che quel capo di abbigliamento addosso a tutti... E si aveva sempre più paura di dire qualcosa di personale: meglio trincerarsi dietro quello che aveva detto un tale del web, reso famoso grazie alle tante condivisioni su Youtube... C'era crisi di personalità. Di Identità propria. Di pensiero unico ed originale. C'era una moria intellettiva davvero svilente... E una marea di mascherine. Seán sapeva che non era con loro che lui avrebbe stretto amicizia. Lui desiderava menti pensanti dotate di senso critico, che, ogni tanto, intercettava nel web, sebbene fossero ormai rarissime. Il rimpianto della Vita spontanea che aveva lasciato nella sua Belfast, nonostante l'invasione britannica, lo spinse a considerare quanto avrebbe potuto essere meravigliosa una esistenza fatta di piccole cose e non di traguardi sterili come il primo milione di euro nel proprio conto bancario... Era davvero cupo il suo pensiero, quando rielaborava, con costanza, il progetto criminogeno del sistema. Doveva scacciare quella riflessione. Rendere infinitesimale quel pensiero. Non doveva permettere alla realtà liberista di turbare il suo mondo. Si concentrò. Preparò il secondo caffè della giornata. Aprì tutte le finestre di casa, perché aveva bisogno di aria fresca. Bevve un po' della sua buona bevanda e si accese una Chesterfield rossa, appena comprata nel suo immancabile giro in centro. Ripensò alle parole di qualche giorno prima dette con Sinéad, attraverso le quali si erano giurati di non lasciare che il mondo alla rovescia li potesse inquinare, in qualche modo. Promise a se stesso che il caos creato dal turbocapitalismo non avrebbe attecchito in casa sua. Lo scrisse nel suo diario. Focalizzò bene il senso delle parole. Era a tre quarti del nuovo foglio ed aveva intenzione di chiudere la pagina. Il giorno prima, davanti all'oceano, l'uomo aveva abbracciato la sua Donna, portando la sua mano destra sul sedere rotondo e corposo della sua Musa. Era stato un gesto naturale e bellissimo. Lui trovava tutte le risposte, nel corpo di lei. Dai dolci capelli castano scuro a quei piedini adorabili, che, la prima volta, a Doolin, l'avevano portata da lui. Dalle dita delle mani alla schiena. Il fisico della sua compagna era un tempio, cui solo lui poteva accedere. Il proprio corpo di uomo era un poema, che soltanto lei aveva la Possibilità di leggere. La fusione amorosa delle loro carni rappresentava il punto più alto di benessere di entrambi. Si cercavano. Si trovavano. Si desideravano più che mai. Il loro rapporto era cresciuto senza mai affievolirsi. In quel momento, lui era una creatura dai tratti splendidi. Un'opera d'Arte lirica e sublime. Era un incanto. Sinéad era tutto il suo mondo. Era lei che gli confermava la bontà del suo operato, nessun altro. Era lei che lo coccolava, quando lui aveva pensieri cupi. Era lei che lo abbracciava, per comunicargli che stava andando tutto bene. Lui la desiderava incessantemente. Aveva continuamente la nostalgia dei baci di Donna conturbante che lei gli donava con assoluta naturalezza, senza che lui glieli chiedesse. La cosa più bella che si potesse augurare, in quella nuova epoca di uomo sano, era stare dentro di lei con tutto il suo corpo, per esperire la gioia di varcare le porte della sua anima e camminare con lei nel suo giardino incantato di Musa dal colore viola... Sentiva addosso, sulla pelle, la sensazione di piacere totale che gli dava entrare, con il proprio pene eretto, dentro alla sua vagina turgida, per sentirla respirare con profondità, in una fusione perfetta di due corpi destinati a trovarsi. Aveva ben presente l'emozione di stare di fronte a lei in piedi e vedere la sua bocca baciargli i testicoli ed il glande, giocando con la lingua a solleticare gli appetiti più sfrenati della sua mente di uomo. Lei era la Dea dell'erotismo. Solo lei lo aveva fatto sentire, da subito, un uomo degno di questo nome. Solo lei lo aveva davvero desiderato. Solo lei poteva, con un gesto della mano, eccitarlo da morire. La nostalgia dei suoi baci e della sue carezze pervadeva ogni centimetro della pelle dell'uomo. Lui la bramava in una dimensione che gli era completamente nuova. La immaginava spesso nuda. La sognava masturbarsi per lui. Il desiderio lo teneva vivo. Non sarebbe stato capace di figurarsi motore dell'esistenza più poderoso. Era curioso. Ogni volta che la sua Musa lo catturava, lui scopriva qualcosa di nuovo del suo tempio. Una reazione singolare ad un bacio. Una consistenza particolare di qualche parte anatomica. Lo stupore di ascoltarla mentre diceva parole nuove per raccontare il desiderio del proprio uomo... Era tutto perfetto, nel loro Amore... Quando un'opera d'Arte è perfetta, non necessita di descrizioni. Era alla sesta pagina del suo quattordicesimo capitolo del racconto nuovo. Ripensò tristemente alla natura meramente digitale della maggioranza delle sue relazioni interumane. L'accettò. Non poteva modificare nulla dell'atteggiamento degli altri. Poteva però decidere di dare il giusto peso a ciò che lo circondava. Ad esempio, era libero di non scrivere più a nessuno. O rispondere con i propri tempi. Senza fretta, senza troppa partecipazione, tanto tutto era fasullo. C'era molto poco da salvare nei contatti digitali del terzo Millennio. L'uomo sentì forte quella sua considerazione. Stabilì che fosse autentica, veritiera. Sorrise: il campo minato del sistema si stava diffondendo sempre di più, e a lui non restava che il proprio nucleo, infine. Pensò alle belle gambe della sua Musa. A come le muoveva sinuose mentre facevano l'Amore. Gli venne la voglia di morderle delicatamente, per saggiarne la consistenza sempre vigorosa. Per Seán, la vita sessuale con Sinéad era un sentiero verso la grande porta dell'Identità di Donna della sua compagna. Rappresentava un modo per penetrare la sua Psiche rigogliosa di creatura meravigliosa. Era la fusione di due anime profonde... Fra i due si stabiliva un legame sempre più forte, ogni volta che si facevano le coccole. Lei lo sentiva sempre di più dentro di sé. Lui si percepiva ogni volta avvolto dal mondo della sua compagna, in un gioco sempre più intenso. L'autore era a metà pagina. Voleva provare a giungere alla fine del foglio. Osservò la metà vuota della pagina, che ancora non aveva deciso come riempire. Fece un tiro di sigaretta e si alzò dalla scrivania. Lo catturava una sublime malinconia, quando, solo nel suo studiolo, pensava alla profondità dei baci della sua compagna, che era il centro del suo mondo inconscio; architettura dai laterizi meravigliosi, dentro cui lui vagava nello spazio infinito delle sue istanze di Musa scintillante. Andò in cucina ad ammirare il piccolo albero del giardino, che stava crescendo rigoglioso. Le sue foglie arancioni coloravano un ambiente altrimenti destinato ad essere tetro. L'empireo era avvolto da una coltre grigia. Il Sole si era nascosto dietro ai nembi. La Landa tutta veniva disegnata da chiaroscuri potenti. Seán pensò ai fari d'Irlanda, al loro fascino immutabile.
15° Stralcio
La casa
Il primo Novembre, si svegliò relativamente tardi, alle otto. Cominciò a prepararsi il caffè, si lavò e decise quello che avrebbe fatto. Desiderava scrivere. Il viale era già nel suo brusio quotidiano, sebbene quello fosse il giorno dopo la notte di Halloween, in cui tutta la Landa aveva festeggiato un rito antichissimo. Seán pensò a sua madre. La voleva sentire, facendola ridere amabilmente con le sue battute pronunciate in perfetto gaelico. C'era un codice, fra la madre ed il figlio e l'uomo lo rispettava perfettamente. Parlare nella lingua dei nativi ne era parte. All'artista ciò faceva particolarmente piacere, perché poteva parlare irlandese con un numero davvero esiguo di persone. «Quando gli oppressori uccidono la tua lingua, distruggono anche la Possibilità che tu possa esprimerti, con la tua voce, e, alla fine, loro vincono e tu perdi» scrisse amaramente nel suo diario, che conteneva tutti i bagliori del suo mondo. L'artista voleva che sua madre, dopo tante lotte, fosse una persona serena, capace di gioire di ciò che aveva, senza rimorsi, senza rimpianti. L'uomo aprì le finestre dello studiolo e della cucina. Si soffermò ad ascoltare il suono della risacca dell'oceano Amico, di cui apprezzava il portamento regale. Amava sentire l'aria mattutina, così fresca e pungente. Aveva indosso il maglione grigio che gli aveva regalato suo padre. Era un indumento ormai logoro, ma perfetto per stare in casa, perché lo avvolgeva in un tepore davvero confortante. La sera prima, era stato con la sua compagna e avevano mangiato insieme, ridendo e scherzando. Lei era così bella... A Seán sembrava di avere una bambina in casa. Lei, con le sue affermazioni buffe, con i suoi giochi sullo smartphone, con i suoi capelli lunghi acconciati con fermagli dai mille colori. L'uomo era felice, quella mattina. Gli rimbalzava in testa una frase che aveva letto nel web, qualche ora prima, la quale asseriva che la pace interiore si raggiunge quando non si permette a niente e nessuno di turbare il proprio stato di quiete. L'uomo conosceva bene quella dimensione. Era per essa che aveva troncato una serie considerevole di non-rapporti. Era per essa che non frequentava i non-uomini. Era per essa che il pensiero centrale della sua giornata fossero Sinéad ed Aindreas. L'autore era a metà pagina dell'inizio del nuovo capitolo, cui, ancora, non aveva dato un titolo. Doveva superare la barriera psicologica delle centocinquanta pagine. C'era il Sole che illuminava la coltre di foglie rosse e gialle sulle chiome degli alberi del viale. Seán, dalla finestra, vedeva bene un tronco scarno, tutto marrone, nero e grigio del grande complesso arboreo della strada che aveva davanti casa. «La Natura ci indicherà sempre la via» riflesse. L'uomo era molto fiero del proprio percorso. Sentiva di essere cresciuto molto. Si percepiva cresciuto: «fear» - «uomo» come si diceva in gaelico. Sinéad gli scrisse sulla piattaforma Telegram. L'artista andò a leggere i messaggi. Quando l'uomo sentiva i suoni di notifica delle dolci frasi della sua compagna, si sorprendeva a sorridere da solo. Lei era tutta la sua allegria, in assoluto. La sua compagna si era svegliata da poco. Scherzava sull'ipotesi di fare un salto a casa del suo uomo, per prendere il caffè insieme. L'artista pensò a quanto fosse fortunato ad avere accanto a sé una Donna sublime come la sua Sinéad. «Io, lei, me la sono conquistata in anni ed anni di tempesta, non cessando mai di sperare in un mondo migliore» scrisse l'autore a metà pagina del suo nuovo racconto, che stava diventando sempre più importante, per lui. Erano le nove di mattina. L'artista ripensò ai suoi brani incompiuti, ma non sentiva musica in sé, dacché era tutto proiettato nella successione delle sue parole. Si accettò con quel momentaneo limite, senza preoccuparsi troppo. Le composizioni ispirate dal racconto erano tutte belle. Seán, questo, lo teneva bene a mente. Voleva chiudere la pagina e poi telefonare a sua madre. Gli mancavano poche righe. Riflesse sulla bontà della Vita, che, in ogni istante, ti offre la Possibilità di trasformarti in qualcosa di migliore. Si percepì bello guardandosi allo specchio dell'armadio. Aindreas, la sera prima, era stato in un pub con gli amici. Seán sorrise alla sola idea di immaginarselo bere una Guinness, come ogni vero irlandese. Il ragazzo stava diventando un bellissimo essere umano. Calmo. Posato. Attento. Doveva solo lavorare su qualche suo limite, ma, per il resto, le sue radici erano salde e il suo tronco maestoso. Il padre era davvero molto fiero di lui. Non essersi rassegnato mai, al deserto del sistema, aveva creato le condizioni per una esistenza lieta, attraverso la quale l'artista avrebbe saputo affrontare le difficoltà senza mai disperare. Si sentiva pronto. Attento. Vigile. Avrebbe fatto il meglio. «Le persone del mio nucleo devono stare tutte bene!» pensò. Era giunto a fine pagina. Telefonò a sua madre. Stabilì che il suo nucleo fosse anche la sua casa. Le braccia amorevoli dei componenti della sua famiglia erano pure la sua dimora. L'artista desiderava fare un giro in centro. Andare ad ammirare i colori di una Galway sorprendente. Osservare il flusso ininterrotto di acqua del fiume Corrib, che, impetuoso, giungeva all'oceano con una carica vitale imponente. Era cittadino della sua Landa. Era un vero irlandese. Era il primo Lucente che avesse avuto l'opportunità di creare opere d'Arte piene di folgori. L'uomo sorrise. Non avrebbe permesso a nessuno di alterare quel suo stato di quiete olimpica. Decise che si sarebbe tenuta stretta la propria Vita. Che non ne avrebbe desiderata un'altra. Che si sarebbe fatto in quattro per i suoi cari, ove ve ne fosse stato bisogno. Congiunse le mani. Diteggiò nell'aria. Decise che avrebbe scritto una composizione intitolata «fear» - «uomo». Quello era un momento in cui non percepiva suoni, in sé, ma sentiva forte il richiamo delle sue parole. Doveva seguire il flusso. Doveva ascoltarsi, senza mai forzarsi a fare ciò che non sentiva buono per sé in quel preciso momento. La Musica sarebbe arrivata, prima o poi. Si sciacquò il viso ed uscì. Lasciò la scrivania nella condizione di scrittura: la lampada accesa e il Mac aperto sulla applicazione con cui digitava lemmi. Il suo racconto avrebbe dovuto essere perfetto, una volta completata la stesura. Una marea di relazioni interumane alle spalle. Un forte lavoro su se stesso. Un abbraccio definitivo alla Possibilità di essere felice con una Donna strabiliante. Tutto questo era Seán... Si ricordò dell'esatto momento in cui il Máistir gli aveva detto: «Ma uno come te di che cosa deve avere paura?»... Già, uno, come lui, scampato alla tempesta, di cosa doveva avere timore? L'uomo sorrise, pensando a quanto fosse stato importante il suo Maestro nella propria presa di coscienza. Il Máistir era tutta la capacità maieutica che l'artista avesse potuto osservare in un altro essere umano. Era Musica. Era Bellezza. Era il trionfo del Bene sul male. L'autore tornò dalla sua passeggiata in centro e trovò, ad aspettarlo, la metà vergine del foglio, che lui avrebbe provato a riempire con morfemi originali e frasi improntate alla massima sincerità. Bevve un sorso di caffè. Si accese una sigaretta. Quel pomeriggio, sarebbero andati in gita lui e la sua compagna, alla scoperta di una Landa che non cessava mai di stupire, per la sua Pulcritudine. L'uomo pensò al faro di Fanad Head, nella contea di Donegal, una torre bianca di ventidue metri che si stagliava contro un oceano a volte impetuoso. «In fondo, siamo tutti fari. Eretti, quando possibile, di fronte ad un mare che può ucciderci...»... pensò l'artista, contemplando le foto di quel faro che gli piaceva tanto. Il ticchettio della tastiera del Mac gli teneva compagnia, scandendo il ritmo del proprio pensiero. Voleva chiudere la pagina, ma non sapeva ancora come. Lo attirò un pensiero bello, quello degli abbracci della sua compagna, che erano casa. Lo emozionarono i ricordi di Aindreas, che sorrideva e lo abbracciava dicendogli che stare con lui lo faceva sentire una persona migliore. Lo cullarono le immagini di sua madre che prendeva il caffè fatto da lui, in mattinate calme e gioiose. L'uomo era in grado di prendersi cura delle persone care, ne conosceva le potenzialità, le fragilità, i desideri e non avrebbe mai tralasciato l'opportunità di stare bene con loro, perché, alla fine, fuori, per lui, non c'era nulla e sentiva di dover tutelare il suo piccolo mondo, fino in fondo, con la massima attenzione e dedizione, per non perdere di nuovo tutto, come nella tempesta malevola che lo aveva costretto a subire una lunga flagellazione. L'artista non poteva bramare nulla di più bello della cura del giardino interno del suo nucleo fondativo. Ripensò ai frangenti della tempesta, quando tutto sembrava perduto, anche il più piccolo barlume di speranza. Il sistema lo aveva decretato «ribelle» e non gli aveva più offerto nulla. Tutto quello, che aveva, era frutto del suo duro lavoro, compresa l'opportunità di comprarsi il pane tutte le mattine. Seán sapeva quanto potesse essere crudele il mondo inventato dai non-uomini. Ne aveva saggiato la durezza. Non sarebbe mai stato un businessman. Non avrebbe mai venduto niente a nessuno. Non sarebbe mai stato in fila per il nuovo iPhone... Alla fine, la visione dell'artista era profondamente manichea: da una parte il sistema, dall'altra la Bellezza. Le due strutture non potevano avere punti di intersezione. «Devi scegliere: o sei dentro al turbocapitalismo, o ne sei fuori» scrisse su un post-it che affisse alla tastiera musicale, come memoriale. La Vita che aveva scelto era coerenza. Non lo affaticava. Non sarebbe mai stato un servo della televisione o della pubblicità. I proclami del terzo Millennio lo atterrivano. Sapeva che sarebbe morta la sua Psiche, se avesse seguito i sogni di un neoliberismo che bramava la crescita economica infinita, in un mondo dalle risorse finite. Riflesse su come l'Umanità si stesse perdendo in mille rivoli, generati da un mondo illusorio fatto di inganni e menzogne, che facevano diventare l'individuo uno schiavo. L'essere umano, che non segue la propria naturale propensione verso la Pulcritudine, che non vuole percorrere il sentiero che conduce all'Identità, sarà vittima di una concezione di Vita in cui esistono, come divinità da osannare, solo le merci e si dannerà per acquistare l'ultimo fuoristrada, quando la vera Vita dimorerà altrove... L'autore si sentiva bene. Era nel proprio flusso. Ripensò al Máistir ed alle sue parole profetiche. Loro erano una piccola minoranza, che, però, aveva avuto una visione sulle cose ed il mondo... Quasi sicuramente non sarebbero stati ascoltati da nessuno, ma questo faceva parte del loro destino, che, come Cassandre, li voleva schiacciati da una moltitudine urlante di egomaniaci alle prese con le proprie più mostruose spinte ancestrali. Qualcuno aveva già scritto che il terzo Millennio fosse la vittoria trionfale dei mediocri, e l'uomo, leggendo quegli articoli, aveva annuito. Qualcuno aveva già parlato di egomania. Ma nessuno, prima di Seán, aveva immaginato una Nuova Era di Luce, dopo il pandemonio del neoliberismo. L'autore aveva chiuso la pagina, essendone profondamente felice. Era a tre fogli dalla pagina centocinquanta, la soglia che desiderava superare in scioltezza. Udì le risa di ragazzi lungo il viale pietroso. C'era ancora speranza per quella Umanità vittima di un sistema carnefice. Casa era il posto dove i cuori, che lui amava, riposavano sicuri... Rimembrò Crón e il suo afflato umanistico, con cui abbracciava le sorti del Genere umano tutto. Gli mancava poter commentare i post della sua Amica, quando non appena sveglia, lei faceva riflessioni sull'attualità stringente, con una visione totalizzante sulla gioia e la Verità dell'essere umano. Crón era una persona speciale. Pensò a Yòrgos, che era rimasto solo, senza la moglie, che tanto amava. Nonostante le loro differenze, gli venne spontaneo prendersi cura di lui, coccolarlo, per vederlo finalmente sereno. Ognuno combatteva la propria battaglia. C'era bisogno di attenzione, dedizione, avvedutezza. Non si sarebbe giunti alla Nuova Era di Luce con la forza, ma con la grazia. La rivoluzione di Seán era intimamente pacifica. Risate di bambini e giochi all'aperto, nei cortili delle case, avrebbero seppellito il mondo del dio denaro... Il suo voleva essere un grande «Basta» sussurrato in tutte le piazze del mondo. Era un muro impenetrabile contro l'idiozia sadica e la furia psicotica dei quattro governanti del Pianeta. Era un abbraccio così dolce, che nessun bambino del mondo avrebbe rifiutato. Quella notte, aveva sognato la sua compagna. Erano in riva all'oceano, di sera. Camminavano lungo la spiaggia, soli, mano nella mano, felici come solo due superstiti sanno essere. La Luna illuminava con la sua luce chiara il paesaggio, ammantandolo con un fascio argenteo, mentre i due, in silenzio, ascoltavano il suono delle onde. In lontananza, un faro rischiarava lo scenario, con la sua calda Luce gialla. Bianco, forte, fiero, dettava ai marinai la posizione della terraferma. Nella proiezione onirica, lui e la sua Donna si dirigevano verso il faro. Giunti ai suoi piedi, entravano e salivano le scale, mano nella mano, ridendo e scherzando su come il padre di Seán diffidasse di tutti coloro che non conoscessero il gaelico. Arrivati alla sommità, con loro stupore, si accorsero del fatto che non ci fosse nessuno e che la luce del faro venisse prodotta da un automatismo elettronico. L'ambiente era gradevole. La stanza circolare con una vetrata a tutto tondo sul mare. Sinéad si meravigliò della Bellezza della vista, e abbracciò il suo uomo. Lui la strinse forte. Le sussurrò che era bellissima, sotto a quella luce, che, ad intermittenza illuminava l'ambiente con una forte sfumatura rossa, che illuminò un piccolo letto, dove, sicuramente, il guardiano del faro si riposava, durante le lunghe notti irlandesi.
16° Stralcio
Il segno
«Le opere d'arte, che rappresentano il più alto livello di produzione spirituale, incontreranno il favore della borghesia solo se verranno presentate come qualcosa in grado di generare direttamente ricchezza materiale».
- Karl Marx -
L'artista riflesse su tutta la sua opera, dagli esordi del suo primo racconto a «Rainy Day», passando per tanti brani singoli, la sceneggiatura per Cinema e la colonna sonora, le sue Sinfonie e i nuovi brani musicali che stava scrivendo per la nuova prosa. Trovò le parole di Marx quanto mai profetiche. Nello squarcio di inizio del terzo Millennio, che stava vivendo l'autore, ogni creazione doveva avere una precisa forma e un precipuo contenuto. Una canzone, ad esempio, per essere una hit, raramente poteva superare i tre minuti di durata complessiva. Il compositore pensò che una sua composizione di più di un'ora non sarebbe mai stata pubblicata da nessuno. Un articolo giornalistico, per essere virale nell'internet, difficilmente superava la pagina, perché altrimenti si rischiava di non essere letti da tutti. Ogni manifestazione artistica aveva dei dettami da rispettare. Già questa era una forte limitazione. Inoltre, le opere d'Arte erano diventate merce. Avevano un costo. Venivano fruite come una scatola di tonno o uno shampoo. Il turbocapitalismo aveva messo le sue mani immonde anche sull'Arte, riducendola a puro intrattenimento. L'autore, tutte quelle cose, le sapeva bene già da tempo, ma leggere che fossero state previste da Marx gli fece davvero bene. Quella mattina, Sinéad lavorava. L'uomo le aveva dato il buongiorno, invitandola, come sempre faceva, a correre da lui per prendere il caffè più buono di tutta Galway. Il loro era un continuo gioco. La Donna gli aveva risposto con entusiasmo. L'artista decise di scrivere. Si sedette alla scrivania, accese il Mac e rilesse l'inizio del sedicesimo capitolo. L'ideatore del Comunismo, già nell'Ottocento, sapeva benissimo che il capitalismo non avrebbe permesso che ci fossero alte tensioni dello spirito umano, lordando ogni cosa con la sua letale ottica mercantile. «Che se ne faranno poi di un mondo dove ciò che si spaccia per creatività è in realtà pornografia...»... L’autore analizzava spesso i video di Mtv, che imperversavano nei bar della sua città e li trovava ridicoli. Musica senza ricerca e immagini di donne in abiti discinti che ammiccavano. Ma dove era andata a finire la Musica? Era in atto una rimozione: nessuno doveva più pensare alla Bellezza infinita di un brano dei Genesis, o ad un cantato di Eddie Vedder. Non ci si doveva più perdere dentro un assolo di Gilmour o un'armonia di Keith Jarrett. Tutto doveva essere piatto. Volgare. Banale. «È il terzo Millennio, Baby: la definitiva consacrazione del turbocapitalismo!» scrisse l'autore, amareggiato. Certo che, fra la sua Nuova Era di Luce e lo stato penoso in cui versava il mondo, c'erano migliaia di miglia di distanza... L'uomo del terzo Millennio non doveva auspicare a sognare, ad emozionarsi, ad avere una visione, doveva solo comprare e produrre, ammorbato dall'effetto venefico di una droga mentale che lo teneva imprigionato nella caverna di Platone, raggiunto incessantemente dall'idea di realtà che i mass media gli propugnavano. Un quadro davvero avvilente... Si parlava di crescita economica, su un Pianeta Terra dalle risorse ormai esigue. Tutto era assurdo. Illogico. Votato al suicidio. L’artista avrebbe messo al riparo il suo nucleo, in qualche modo, questo lo sapeva bene. La sua pagina stava volgendo al termine. Rilesse tutti i periodi precedenti, trovandoli perfetti. Quando l'uomo pensava alla distruttività del mondo in cui viveva, veniva rapito da un gran desiderio di fuga. «La realtà prima di tutto!» gli aveva insegnato il suo Máistir tanti anni prima. La realtà narrava una storia di profonda sconfitta, di perdita dei propri Sé più intimi, di avvilente autodistruzione. Fin quando l'Arte non fosse tornata a splendere di Luce propria, per questa Umanità ci sarebbe stato ben poco da sperare. Il compositore sapeva benissimo che l'uomo non è fatto unicamente della brama di comprarsi l'ultimo paio di scarpe della nike... Che non vive per il più grande televisore che sia stato messo in commercio... Che non è detto sia felice alla guida del suv della lamborghini... La sera prima, dopo la cena con la sua compagna, i due erano stati a letto a giocare, tutti abbracciati e lui era stato davvero felice. C'è la dimensione della gioia di un abbraccio con la persona amata, che tutti i capitali del mondo non possono comprare! L'uomo bevve un sorso di caffè e si accese una sigaretta. Erano appena le otto di mattina e già aveva pensieri ribelli da vendere. Solo il Socialismo avrebbe condotto il Genere umano verso la Nuova Era di Luce. Non c'erano altri sistemi politici possibili, per l'autore. Certe volte, l'uomo entrava nei grandi store e vedeva ammucchiate tonnellate di merce. «Ma chi la deve comprare tutta questa roba?» pensava spesso. Il turbocapitalismo era frutto di menti malate votate all'odio verso l'Umanità. Andava arrestato, prima che finisse di distruggere il Pianeta. L'autore aveva varcato la soglia del nuovo foglio elettronico. Ascoltava il ticchettio dei tasti del Mac ed era felice. Il suo flusso era buono. Le parole venivano scandite da un ritmo rapido e sciolto. L'artista si interrogò su ciò che fosse essenziale. Non era necessario, per gli esseri umani, sognare una montagna di diamanti, ma era assolutamente indispensabile stare bene con se stessi e vivere in armonia con gli altri. Era vitale la Psiche, che il neoliberismo aveva deciso di mortificare costantemente, come se l'uomo non avesse un'anima. L’autore sognava che i responsabili mondiali di quello scempio venissero processati da un tribunale globale del popolo, non per una condanna, quanto piuttosto per fargli capire che il sistema mostruoso, che avevano progettato, fosse morto per sempre. Alla fine, l'artista non voleva il male di nessuno, nemmeno degli aguzzini, ma desiderava che ogni spinta distruttiva venisse estinta. L'Arte poteva fare molto. Occorreva però avere il coraggio di fuggire i dettami del ventunesimo secolo che aveva creato i reality shows. «Incredibile, vogliamo provare a comunicare con gli alieni, ma non abbiamo la più pallida idea di cosa voglia dire vivere in pace!» riflesse. La natura di alcuni esseri umani era precaria, volta alla distruzione, patogena. Paradossalmente, esseri in quel modo facevano carriere politiche vertiginose, giungendo a ruoli di potere davvero importanti. Platone disse: «Una delle punizioni che ti aspettano per non aver partecipato alla politica è di essere governato da esseri inferiori» ed era proprio così, nello scampolo di secolo che l'artista viveva. L'immobilismo totale della maggioranza delle persone stava creando una classe politica sempre più malata. L’autore sapeva che l'Arte avrebbe dovuto indicare la via, ma gli uomini si sarebbero dovuti risvegliare da una loro atavica forma di letargo della Psiche. Non sarebbe accaduto nessun miracolo: le cose non si sarebbero sistemate da sole. Era inutile attendere la magia. Lì c'era solo da ricostruire quasi tutto, perché il turbocapitalismo era un organismo morente da abbattere. L'artista ancora si commuoveva di fronte ad una quartina di Beethoven. Ad un acquerello di Klee. Alla scena iniziale di «Blade runner»... L'uomo era fatto di Arte. Tutto in lui era una ricerca attenta di Bellezza. «Pulcritudine traccerà il solco verso la Nuova Era di Luce» scrisse nel nuovo foglio del racconto, giunto alla pagina centocinquantasette. L'autore si interrogò sulla natura della sua nuova opera letteraria. Definirla racconto era riduttivo. Stava acquisendo le dimensioni di un romanzo, sebbene l'artista non si sentisse ancora in grado di immaginare tutto lo sviluppo successivo della storia. Aveva un po' paura. Non aveva mai superato un certo limite dimensionale. Non si sentiva del tutto pronto. Ce l'avrebbe fatta? Lavorava alla sua prosa da sei mesi, non sempre in modo costante, a dire il vero. All'inizio, era stata Sinéad ad invogliarlo a scrivere una storia gaelica, che potesse avere la propria Luce. L'uomo congiunse le mani. Se le strofinò. Voleva davvero scrivere qualcosa di memorabile e, forse, lo stava già facendo. Ricordò quanta paura ebbe nell'iniziare a scrivere la sua prima Sinfonia. Rimembrò la tensione nervosa nel tradurre la sceneggiatura per Cinema in suoni. La sua Vita era sempre stata una successione di appuntamenti con la novità. Una continua sfida a migliorarsi, animata dal forte desiderio di superare i propri limiti. Si era addentrato in terreni sconosciuti, fin da quando era stato adolescente, scrivendo brani musicali al pianoforte che gli aveva regalato suo padre. L'uomo si sorprese a ricordare attimi dell'esistenza insieme al suo genitore. Quei bei momenti in cui lui si sedeva sulla poltrona e esortava il figlio a suonare i preludi de «Il Clavicembalo ben temperato» di Bach ed un Notturno di Chopin che tanto amava. La Musica, per il padre di Seán, era respiro della propria anima, bagliore, Bellezza... «Chissà cosa avrebbe detto della mia nuova Musica mio padre?» si interrogò, sperando che Connor avrebbe apprezzato le sue composizioni. L'uomo sorrise. Era giunto il momento di dare il buongiorno a sua madre, l'allegra signora gaelica di un mondo altro. Le telefonò. La sua genitrice stava bene. Lui era confortato dall'idea che la madre potesse vivere una vecchiaia buona, decorosa. Ascoltò l'Ouverture che il Máistir gli aveva spedito e la trovò stupenda, un'orchestrazione davvero finissima. L'Arte non era in vendita. Non lo era mai stata. Non poteva in nessun modo essere ridotta a merce. La Musica del suo Maestro ne era la prova lampante. Seán scrisse una composizione di quattro minuti, intitolata «madre». La riascoltò, gli piacque. Era una unità iniziale, costituita da un trio: pianoforte, viola e chitarra classica. Aveva lavorato duramente, quella mattina e la stanchezza lo sopraffece. La giornata era uggiosa. La Luce dal cielo grigia, capace di avvolgere ogni cosa in un chiaroscuro stupefacente. L'uomo decise che avrebbe fatto altro, durante la giornata. Si sentiva vuoto. Sapeva benissimo quando era il momento di interrompere qualsiasi suo processo creativo. Lasciò le sue carte a fermentare. Non aveva mai scritto una virgola in più del dovuto. Non si era mai violentato. Non aveva mai composto un pezzo sull'identità di sua madre. Anche quella era una sua prima volta, come avrebbe detto la sua Musa. Si congedò dai suoi scritti. Andò a guardare il panorama dalla finestra del suo studiolo, con un viale pietroso davvero bello, in quei giorni, dalle mille tonalità di rosso, generate dalle foglie autunnali degli alberi che si stavano preparando per il rigido inverno gaelico. Il giorno seguente, dopo essersi svegliato bene e aver preso il suo immancabile caffè amaro, scrisse un brano musicale intitolato «cé», «mentre», perché pensò che quella congiunzione fosse molto importante, nell'ambito della nuova prosa. Il pezzo era costituito da una unità iniziale di orchestra d'archi. Ricordò le parole di Marx sull'Arte e sorrise, perché sapeva bene quanto fossero vere. Si accese una sigaretta e osservò il cielo. Era tutto grigio. Il Sole stentava a farsi vedere e lui era in asse con l'Universo. All'uomo piacque quello scenario, perché, in fondo, lui era un essere del freddo. La nuova composizione gli comunicò molto, quando la riascoltò per la seconda volta. Era proprio la descrizione di ciò che lui sentiva mentre aspettava qualcosa o qualcuno. L'autore non era ancora a metà pagina. Si concentrò per avere sotto mano i suoi concetti migliori. Erano le otto. Poco dopo, avrebbe telefonato a sua madre per darle il buongiorno. La sera prima, aveva prenotato il viaggio a Cork per Natale. Ormai i suoi soggiorni nella città del figlio erano scanditi da un ritmo mensile. In quel modo voleva stare vicino ai suoi. Si accarezzò il viso avvolto dalla folta barba. Non aveva grandi idee, in quel momento, ma sapeva che doveva provare a scrivere, perché il suo racconto meritava di essere sviluppato ogni singolo giorno, proprio come un atleta che si allena sempre, anche se non ne ha voglia. Era uno studio tecnico sulla sua scrittura, il suo. Era una sorta di sviluppo quotidiano delle proprie capacità espressive. Poi, magari, il giorno dopo, avrebbe cestinato tutto, ma, intanto, doveva procedere. Spalancò le finestre. Voleva aria fresca nella sua casa. Avvertì l'aria pungente dell'oceano, dalla finestra della cucina. L'autunno stava avanzando, con i suoi colori e l'atmosfera della Natura, che si riposa, vegliava su tutto. Le foglie danzavano nell'aria, sublimi ballerine. Il viale era ancora silente. Le persone dormivano, dopo la festa del sabato sera al pub. L'uomo realizzò che era tanto tempo che non beveva una Guinness in compagnia di un Amico, ma quelli erano tempi duri anche per i rapporti e vedersi stava diventando una sorta di epopea. L'artista ricordò quando, giovane, a Belfast, ci si incontrava per caso e si trascorreva tutta la notte insieme. Nel 2017, invece, erano necessari tanti messaggi virtuali e telefonate, prima di poter abbracciare qualcuno davanti ad un bar. Era cambiato tutto. I rapporti erano molto più complessi. Stare con qualcuno si stava trasformando in un dramma. Organizzare una cena con gli amici, poi, era di una difficoltà immensa... Ricordava le notti con gli amici, a bere e fumare davanti ai Murales che rendevano Belfast meravigliosa. Il vento faceva sentire la sua voce, quella mattina di una domenica dormiente e gli alberi, pian piano, si spogliavano delle loro vesti, per rimanere quasi nudi. Il viale pietroso era bellissimo, con le sue sfumature rosse, gialle ed arancioni, distribuite irregolarmente sulle lastre. L'Arte, per lui, era riscoperta di segni antichi: come concepire il rivolto di un accordo di nona, come usare un punto e virgola in un periodo. La sua ricerca verteva anche sulla forma. Per Seán, non ci poteva essere Arte se non in una forma meravigliosa. Forma e contenuto, dunque, erano due facce della stessa medaglia. Il connubio perfetto, che l'artista non avrebbe mai spezzato. «Non puoi servire un'ottima pietanza in un piatto di plastica!» pensò, proiettando la propria riflessione verso la sua opera. Non poteva esserci Arte senza un registro formale anch'esso bello. L'artista questo lo credeva fortemente. Occorreva che i segni d'Arte splendessero come tempi greci. Lui voleva tornare alla meraviglia classica. Ecco perché usava, nelle composizioni, i modi greci, antiche strutture armoniche che non contemplava quasi più nessuno, a parte i jazzisti. L'uomo sentì la necessità di esplorare i suoi concetti in modo più profondo. Ritenne dunque che fosse necessario far silenzio, per poi tornare a scrivere in modo più accurato ed avveduto. Si concesse una pausa. Si vestì ed uscì, per la sua solita passeggiata in centro, in una Galway ancora assonnata, con l'oceano in casa e le vestigia di un glorioso passato di città di mare. L'autore riteneva che i segni d'Arte andassero riscoperti; laterizi fondamentali per la costituzione di un'opera, vettori indispensabili, senza cui non ci sarebbe stata nessuna forma di creatività. I suoi codici artistici erano candidi e militanti: combattevano, con trasparenza, nell'arena del terzo Millennio, per la percezione di una visione di un mondo altro, possibile. L'artista era fiero del proprio operato; processo di cui non avrebbe cambiato mai neppure una virgola, per renderlo più cool agli occhi dei fruitori. L'uomo sapeva benissimo che la sua Arte non avrebbe mai riscosso successo come avrebbe meritato. Non scriveva per piacere, bensì creava per esprimersi. Questa era tutta la differenza fra sé e un dj in voga in quello scampolo di inizio secolo. L'autore era alla fine della pagina, con l'obiettivo di focalizzare, al meglio, ciò che sentisse dentro al proprio mondo interno. La questione «Arte» era nevralgica, per lui. Arte era anche ammirare un contrappunto di Bach e provare, con quei dettami barocchi, a scrivere una composizione nuova con gli strumenti del settecento. Urgeva riconsegnare all'antico splendore i segni d'Arte, troppo spesso maltrattati da una civiltà votata all'estinzione. «Non ci può essere Bellezza, senza segni belli» concluse l'autore, in cerca di parole veritiere che lo conducessero ad una sintesi perfetta. Non era riuscito ancora a scrivere una pagina intera, ma il tema che stava trattando era davvero complesso. C'era silenzio, nell'abitazione di Seán; un'assenza di suoni che lo avvolgeva come una calda coperta di lana irlandese. L'uomo ripensò alla Ouverture del Máistir che aveva ascoltato con tanto entusiasmo. Proprio a lui avrebbe voluto chiedere cosa fosse stata l'Arte nella sua esistenza. Gli scrisse con un trasporto notevole.
«Buongiorno, Máistir, come va? Oggi ti scrivo con una precisa richiesta. Potresti darmi la tua definizione di Arte? Io, in me, sto cercando la mia migliore sintesi, dopo aver letto il pensiero di Marx, che sosteneva che solo se l'Arte è merce può trovare il favore della Borghesia. Per il resto, la Vita fluisce. Aindreas si comporta da bravo ragazzo e Sinéad mi coccola molto. A che punto sei della stesura dell'opera lirica? Come si sta evolvendo il tuo flusso creativo? Fammi sapere, ti seguirò con attenzione. Tuo, Seán...».
L'uomo si accarezzò la barba, in cerca di lemmi. Sorseggiò il suo buon caffè solubile, amaro e bollente. Si accese una Chesterfield rossa. Era rimasto nudo, negli anni, come gli alberi del viale in autunno. Aveva troncato ogni forma di non-rapporto ed anche quella, per lui, era stata Arte. Era creatività vivere. Relazionarsi. Sognare. Era Arte il benessere psico-fisico, che andava cercando sempre di più con ogni suo slancio esistenziale. L'uomo si concentrò su ciò che avrebbe dovuto fare quella mattina, proprio mentre il suono di notifica della mail del Mac gli annunciava la risposta del suo Máistir, che l'artista andò a leggere con forte curiosità.
«Buona domenica, Ragazzo! Sto abbastanza bene, le cure non cessano, ma percepisco un forte miglioramento delle mie condizioni fisiche, che mi permette di dedicarmi alla mia opera lirica in assoluta serenità. Arte, per me, è dire sempre qualcosa di nuovo in un nuovo modo. Arte è originalità. È simbiosi perfetta fra forma e contenuto, inscindibili. Arte è un processo interno che diviene segno. È trovare, in se stessi, formule vergini che conducano alla Bellezza, di cui ogni creazione umana è figlia primogenita. Marx aveva ragione molto prima che il neoliberismo ci consegnasse i reality show come unica forma di intrattenimento culturale: la Borghesia deve fare i soldi su tutto, compreso il sogno e il desiderio degli uomini, che, sotto alle sue mani, diventano pornografia. Sono contento che la tua Vita vada bene; l'esistenza ti arride perché hai lottato tanto per essere un uomo felice. L'opera lirica è al secondo atto. Ti spedirò alcuni momenti musicali della storia che racconto. Sento che ho ancora delle cose da dire. La mia penna non si è stancata, ancora. Ti penso, figliuolo. Sei il mio allievo prediletto...».
Seán si emozionò, leggendo il suo Maestro, che era per lui un vero Padre amorevole. Le sue mani, sulla viola da gamba, erano la perfezione che si potesse ottenere da uno strumento ad arco. L'artista pensò di comporre un brano da spedire al suo Máistir. L'idea gli piacque molto. L'autore rilesse la definizione di Arte che gli aveva elargito il suo Maestro. L'Arte è rivoluzione. Altrimenti non è nulla. L'immagine dell'artista, dunque, se non è legata alla ribellione, è merce per il sistema, che, magari, lo soddisfa in tutte le sue necessità materiali, ma lo castra inevitabilmente come creativo. Negli ultimi anni, come spesso era successo anche in un passato più lontano, il sistema aveva preso qualche intellettuale rendendolo una miniera d'oro, per fargli incensare le magnifiche realtà del mondo come lo intendevano i potenti, ma, progressivamente, la creazione di quelle menti si era desertificata, giungendo al nulla, perché l'universo tetro e fosco, da loro dipinto, non aveva alcuna Luce e non poteva portare a niente di buono. Così, quei famosi intellettuali si erano tenuti soldi e fama, ma erano stati rigettati da Pulcritudine, che, con fierezza, non li ispirava più. Non ci potevano essere compromessi nell'Arte vissuta da Seán: o eri un servo del sistema, o un artista rivoluzionario con dardi incendiari. Il sistema andava abbattuto anche a colpi di Musiche magnifiche e parole di fuoco. L'uomo, questo, lo sapeva molto bene. La Nuova Era di Luce era un'utopia, una corrente artistica e un modo di vivere il mondo totalmente inaspettato. Lui era un Lucente. La sua Arte era guerriera. Il suo cosmo era Pulcritudine. I suoi rapporti armonia. Le sue scelte drastiche, non appena sentiva l'odore mefitico di patologia da terzo Millennio. Erano giorni che non sentiva Shayla, persa nei suoi viaggi mentali. L'uomo sorrise, dacché sapeva che la ragazza era davvero speciale, essendo legato a lei da un affetto fraterno. Shayla era, per lui, un vero vulcano di vitalità, una fonte di alta montagna, un luogo ameno legato all'idea di Bellezza che l'artista teneva sempre ben presente nella sua giornata. Lei era la sua sorellina, che lui stava portando nella Nuova Era di Luce. La scelta di campo dell'autore riguardava tutte le sfere della sua esistenza. Ogni elemento della sua realtà doveva narrare una storia di Bellezza. «Non puoi fare Arte, se vivi nella dissociazione del neoliberismo, se ne sei vittima e arranchi per una posizione socio-economica che è solo illusione effimera di benessere» scrisse sul suo probo diario, che teneva dai giorni di Belfast, quando girava con il «Libretto rosso» di Mao dentro allo zaino. Il suo diario, ormai, era un tomo di centinaia di pagine, che, di tanto in tanto, l'autore sfogliava per leggere, fra le righe, come si era potuto evolvere il suo pensiero dall'adolescenza alla maturità. Seán aveva sempre avuto un rapporto intimo con la scrittura. Ricordava una poesia scritta a dieci anni. La scrittura, poi, si era rivelata ligia compagna, durante la tempesta, per non far perire le sue riflessioni fra i flutti bui di una tragedia cui solo la forza dell'uomo aveva saputo porre fine. L'autore bevve l'ultimo sorso di caffè e si accese una sigaretta, dopodiché il suo pensiero tornò all'analisi di una sintesi perfetta del sostantivo Arte, che, per lui, era Donna, in quanto capacità generativa. L'Arte era anche femmina, perché nulla la poteva allontanare dalla sua carica sessuale primitiva. L'Arte era anche erotismo, per lui: una forma di investimento primordiale cui nessuno uomo avrebbe dovuto rinunciare. «Non puoi essere un creativo, se non vivi esperienze che sappiano penetrare nel tuo mondo interno». Non c'era Arte senza conoscenza della Vita. Non c'era Arte senza decodificazione degli eventi e delle emozioni. Non c'era Arte senza sublimazione. Il primo ed indispensabile attributo era sentire. Se non percepisci, non puoi vivere una Vita all'insegna della Bellezza. Il secondo carattere dell'uomo artista era la capacità di far entrare dentro di sé l'esistenza, impedendo che rimanesse lungo la superficie fallace della routine quotidiana. Il terzo aspetto fondamentale del creativo, per Seán, era saper tradurre, in segni d'Arte, il cosmo interno, così come dipinto dalla propria mente. L'autore era a metà pagina. Stava scrivendo, con molta accuratezza, proprio perché, per lui, quella era la missione più autentica della propria Vita. Anche prendere un caffè in compagnia, per l'uomo, era Arte. Più ogni gesto era creativo e maggiore era la probabilità di fare Arte. Occorreva rigore, però... La propria Vita non doveva cedere alle malie del sistema, altrimenti tutto il proprio processo creativo ne avrebbe risentito. Arte era scelta. Arte era saper dove stare, perché, come diceva Lenin, se non stai da una delle due parti della barricata, allora sei la barricata e questo, l'uomo, lo sapeva molto bene. Arte era attenzione. Avvedutezza. Disciplina ed austerità, in tutto. «Non puoi fare Arte, se le tue relazioni sono patogene» scrisse lungo le curve della sua nuova pagina di racconto... L'Arte esigeva igiene. L'uomo della Nuova Era di Luce era, per Seán, integrità e rifiuto dell'idiozia sadica. Non avrebbe mai contemplato un essere umano a metà, scisso in due, fra la pornografia del neoliberismo e la voglia di purezza. Il Genere umano del suo mondo altro era candido. Non conosceva corruzione. Per stare bene, occorre chiarezza in ogni sfera dell'esistenza. Non puoi essere felice da immondo. Era nel suo studiolo, pensava all'Arte, mentre, avvolto dal suo pesante maglione di lana gaelica, lanciava strali al sistema imperante. Lui era solo un uomo. Non poteva fermare la deforestazione dell'Amazzonia. Non poteva impedire che Trump invadesse l'Iran o la Corea del Nord. Non poteva arrestare l'ondata marcia di psicopatia che, a poco a poco, stava coprendo la superficie del Pianeta. Era in grado però di comporre. Di scrivere parole. Di far emozionare un Amico con una melodia di corno inglese... Il tempo era tetro. Sembrava che fosse ancora il momento prima dell'alba, quando tutto è avvolto da una tenebra. La borghesia del neoliberismo non avrebbe mai permesso la diffusione di una nuova forma d'Arte che lasciasse immaginare alla gente un nuovo mondo altro. Il sistema di controllo diffuso su tutto il Pianeta era strettissimo. Alla fine, il luogo più sicuro, dove far vivere la propria Arte, era lo studiolo della sua casa. Pochi Amici cui spedire Musica e parole. Sinéad ad amarle inesorabilmente. Il cielo era minaccioso. Portava con sé il carico di pioggia dell'Atlantico. Era un giorno perfetto per stare in casa e scrivere, con il fascio luminoso della lampada della scrivania. L'uomo venne rapito dal desiderio di sentire al telefono il suo ragazzo. Aindreas, forse, ancora dormiva. L'Arte, per il compositore, era la rappresentazione della Bellezza interna di un individuo. Questo era, non altro. Era tutto lì il suo concetto di creatività. «Produci quello che sei!» riflesse. Cominciò a piovere. Il Sole era totalmente nascosto dalle nuvole gravide di acqua. L'autore si ritrovò nel suo studiolo, con una idea di Arte che forse nessuno aveva mai espresso prima. Si sentì coccolato dalla pioggia. Il suo maglione grigio lo teneva al caldo. L’artista percepiva che ci fosse molto da fare, al mondo. C'era una novità da esperire. Per questo era fortemente contro l'immobilismo e il lassismo di molti. «Si può vivere felici su questa Terra» pensò, mentre osservava le gocce di pioggia irrorare il viale pietroso, coperto da un manto poderoso di foglie, ancora vivide, nel loro colore autunnale. L'autore non si stava stancando di scrivere. Era a pagina centosessantuno. Davanti a sé, aveva la barriera delle duecento pagine, ancora lontana. Ripensò all'entusiasmo con cui il padre accoglieva la pioggia, lui, fiero indipendentista, che non avrebbe mai affidato la sua Landa alle mani degli invasori. «Il mondo è sporco, Seán: mantieniti pulito» gli disse una volta il padre, osservando la polizia inglese che perquisiva i manifestanti di uno sciopero a Belfast, dalla finestra della propria abitazione. Probabilmente, l'Irlanda non sarebbe mai stata una. L'artista lo sapeva benissimo, perché, oltre a sognare, aveva i piedi ben piantati per terra. Sinéad era la sua opera d'Arte pulsante. La vibrazione umana della sua Musa era davvero potente, lui la percepiva in modo netto. Era la persona più sana che lui conoscesse, insieme al Máistir. Lei non subiva corruzione. Aveva reciso tutti i legami insani. Viveva di Bellezza. Era il canto d'Amore più bello che l'autore potesse ascoltare. Era lei tutti i suoi segni d'Arte. Non si sarebbe mai stancato di scrivere della sua compagna, delle sue mani e dei suoi pensieri rivoluzionari di Donna ribelle di fronte alle ingiustizie del potere... L'uomo si iniziò a preparare un buon tè. Dopo l'infusione ne bevve un sorso, ancora bollente, e si accese una sigaretta, pensando al valore dell'Arte nella propria Vita di allegro superstite. Il compositore aveva riscoperto, con la sua compagna, una dimensione bambina di gioco che era davvero importante. A quarantatrè anni, era libero di ridere e scherzare, ballare in modo buffo, cantare con la voce da bambino, come, in fondo, aveva sempre voluto. Si chiese se il fanciullo, che era stato, sarebbe stato soddisfatto dell'adulto che era diventato. Si interrogò su cosa avrebbero detto suo padre e Crón del suo mondo di artista rivoluzionario. Sorrise. In fondo, quelle risposte, se le poteva tutte determinare da solo. Continuava a piovere e l’autore si immaginò l'acquerugiola cadere sul grande faro di Fanad Head, nella contea di Donegal, dove, prima o poi, avrebbe portato la sua Donna. Il compositore era a metà pagina. Si sentiva bene. Era appagato dalle sue stesse parole, trovandole specchio autentico del proprio sentire. Si accarezzò la barba con la mano sinistra, mentre rileggeva gli ultimi periodi. Arte, per lui, era tutto quello che faceva, dal comporre al lavare i piatti, dallo scrivere la nuova prosa a preparare la cena per Sinéad... «Tutto può essere Arte, in questa Vita, basta volerlo!» pensò, con un occhio alle precipitazioni copiose che inondavano la Landa gaelica, avvolta da una tenebra grigia. L'artista continuava a scrivere per orchestra perché riteneva che quella forma non fosse morta con Stravinsky. C'era ancora una marea di cose da dire dentro ad una partitura. L'uomo lo sapeva e non avrebbe mai cessato di provare a trovare nuovi mondi fra i righi delle composizioni. Arte è anche non smettere mai di sognare che qualcosa di bello possa essere possibile. Un tuono irruppe fragoroso nel silenzio dello studiolo della casa dell'autore. Il compositore ripensò alla Ouverture del Máistir, che trovava sublime, lirica, struggente, specie nella parte degli archi, di cui il suo Maestro era grande conoscitore. L'uomo ricevette un messaggio dal suo Amico Poeta Damien, che lo esortava a leggere la sua ultima poesia postata su Facebook. Seán gli rispose e poi andò a scovare quel componimento. Lo lesse. Lo trovò magnifico. Anche Damien era un ricercatore della Verità. Forse avrebbero collaborato di nuovo insieme, come era successo tempo prima, quando il compositore aveva scritto un brano per pianoforte su un lirica del suo Amico Poeta. «Una creazione può nascere anche dall'osservazione di un cucchiaino da caffè» scrisse l'autore nel suo probo diario, turibolo delle sue più ardite conquiste. Era quasi mezzogiorno, l'uomo scriveva da cinque ore. Aveva però ancora desiderio di chiudere la pagina. Per lui, Arte era trovare un modo nuovo di baciare il collo della sua compagna. Potenzialmente, ogni gesto può essere artistico, se si ha uno sguardo nitido sulle cose e si vuole star bene, lontano dalla sociopatia... Non c'era quasi nessuno in giro. La pioggia aveva scacciato tutti. L'artista sorrise. La sua Landa era intimamente legata all'acqua, come lui, che, in riva all'oceano, percepiva emozioni di grande forza. Si sfregò le mani. Aveva un po' freddo. La fine del foglio era vicina. Si concentrò. Cercò di trovare le sue parole migliori e più sincere. Riflesse. Telefonò a suo figlio, che lo accolse con entusiasmo e gli raccontò tante belle cose. L'uomo annunciò al figlio che sarebbe stato a Cork sia a fine Novembre che per Natale, ed il ragazzo ne fu davvero felice. Fra i due c'era un legame di Amore autentico che nessuno avrebbe potuto spezzare. L'autore aveva chiuso la pagina. Era felice di ciò che aveva costruito, negli anni, con il suo Aindreas. Era stanco. Si congedò dalla sua scrittura.
«Buongiorno, Máistir, come va? Oggi ti scrivo con una precisa richiesta. Potresti darmi la tua definizione di Arte? Io, in me, sto cercando la mia migliore sintesi, dopo aver letto il pensiero di Marx, che sosteneva che solo se l'Arte è merce può trovare il favore della Borghesia. Per il resto, la Vita fluisce. Aindreas si comporta da bravo ragazzo e Sinéad mi coccola molto. A che punto sei della stesura dell'opera lirica? Come si sta evolvendo il tuo flusso creativo? Fammi sapere, ti seguirò con attenzione. Tuo, Seán...».
L'uomo si accarezzò la barba, in cerca di lemmi. Sorseggiò il suo buon caffè solubile, amaro e bollente. Si accese una Chesterfield rossa. Era rimasto nudo, negli anni, come gli alberi del viale in autunno. Aveva troncato ogni forma di non-rapporto ed anche quella, per lui, era stata Arte. Era creatività vivere. Relazionarsi. Sognare. Era Arte il benessere psico-fisico, che andava cercando sempre di più con ogni suo slancio esistenziale. L'uomo si concentrò su ciò che avrebbe dovuto fare quella mattina, proprio mentre il suono di notifica della mail del Mac gli annunciava la risposta del suo Máistir, che l'artista andò a leggere con forte curiosità.
«Buona domenica, Ragazzo! Sto abbastanza bene, le cure non cessano, ma percepisco un forte miglioramento delle mie condizioni fisiche, che mi permette di dedicarmi alla mia opera lirica in assoluta serenità. Arte, per me, è dire sempre qualcosa di nuovo in un nuovo modo. Arte è originalità. È simbiosi perfetta fra forma e contenuto, inscindibili. Arte è un processo interno che diviene segno. È trovare, in se stessi, formule vergini che conducano alla Bellezza, di cui ogni creazione umana è figlia primogenita. Marx aveva ragione molto prima che il neoliberismo ci consegnasse i reality show come unica forma di intrattenimento culturale: la Borghesia deve fare i soldi su tutto, compreso il sogno e il desiderio degli uomini, che, sotto alle sue mani, diventano pornografia. Sono contento che la tua Vita vada bene; l'esistenza ti arride perché hai lottato tanto per essere un uomo felice. L'opera lirica è al secondo atto. Ti spedirò alcuni momenti musicali della storia che racconto. Sento che ho ancora delle cose da dire. La mia penna non si è stancata, ancora. Ti penso, figliuolo. Sei il mio allievo prediletto...».
Seán si emozionò, leggendo il suo Maestro, che era per lui un vero Padre amorevole. Le sue mani, sulla viola da gamba, erano la perfezione che si potesse ottenere da uno strumento ad arco. L'artista pensò di comporre un brano da spedire al suo Máistir. L'idea gli piacque molto. L'autore rilesse la definizione di Arte che gli aveva elargito il suo Maestro. L'Arte è rivoluzione. Altrimenti non è nulla. L'immagine dell'artista, dunque, se non è legata alla ribellione, è merce per il sistema, che, magari, lo soddisfa in tutte le sue necessità materiali, ma lo castra inevitabilmente come creativo. Negli ultimi anni, come spesso era successo anche in un passato più lontano, il sistema aveva preso qualche intellettuale rendendolo una miniera d'oro, per fargli incensare le magnifiche realtà del mondo come lo intendevano i potenti, ma, progressivamente, la creazione di quelle menti si era desertificata, giungendo al nulla, perché l'universo tetro e fosco, da loro dipinto, non aveva alcuna Luce e non poteva portare a niente di buono. Così, quei famosi intellettuali si erano tenuti soldi e fama, ma erano stati rigettati da Pulcritudine, che, con fierezza, non li ispirava più. Non ci potevano essere compromessi nell'Arte vissuta da Seán: o eri un servo del sistema, o un artista rivoluzionario con dardi incendiari. Il sistema andava abbattuto anche a colpi di Musiche magnifiche e parole di fuoco. L'uomo, questo, lo sapeva molto bene. La Nuova Era di Luce era un'utopia, una corrente artistica e un modo di vivere il mondo totalmente inaspettato. Lui era un Lucente. La sua Arte era guerriera. Il suo cosmo era Pulcritudine. I suoi rapporti armonia. Le sue scelte drastiche, non appena sentiva l'odore mefitico di patologia da terzo Millennio. Erano giorni che non sentiva Shayla, persa nei suoi viaggi mentali. L'uomo sorrise, dacché sapeva che la ragazza era davvero speciale, essendo legato a lei da un affetto fraterno. Shayla era, per lui, un vero vulcano di vitalità, una fonte di alta montagna, un luogo ameno legato all'idea di Bellezza che l'artista teneva sempre ben presente nella sua giornata. Lei era la sua sorellina, che lui stava portando nella Nuova Era di Luce. La scelta di campo dell'autore riguardava tutte le sfere della sua esistenza. Ogni elemento della sua realtà doveva narrare una storia di Bellezza. «Non puoi fare Arte, se vivi nella dissociazione del neoliberismo, se ne sei vittima e arranchi per una posizione socio-economica che è solo illusione effimera di benessere» scrisse sul suo probo diario, che teneva dai giorni di Belfast, quando girava con il «Libretto rosso» di Mao dentro allo zaino. Il suo diario, ormai, era un tomo di centinaia di pagine, che, di tanto in tanto, l'autore sfogliava per leggere, fra le righe, come si era potuto evolvere il suo pensiero dall'adolescenza alla maturità. Seán aveva sempre avuto un rapporto intimo con la scrittura. Ricordava una poesia scritta a dieci anni. La scrittura, poi, si era rivelata ligia compagna, durante la tempesta, per non far perire le sue riflessioni fra i flutti bui di una tragedia cui solo la forza dell'uomo aveva saputo porre fine. L'autore bevve l'ultimo sorso di caffè e si accese una sigaretta, dopodiché il suo pensiero tornò all'analisi di una sintesi perfetta del sostantivo Arte, che, per lui, era Donna, in quanto capacità generativa. L'Arte era anche femmina, perché nulla la poteva allontanare dalla sua carica sessuale primitiva. L'Arte era anche erotismo, per lui: una forma di investimento primordiale cui nessuno uomo avrebbe dovuto rinunciare. «Non puoi essere un creativo, se non vivi esperienze che sappiano penetrare nel tuo mondo interno». Non c'era Arte senza conoscenza della Vita. Non c'era Arte senza decodificazione degli eventi e delle emozioni. Non c'era Arte senza sublimazione. Il primo ed indispensabile attributo era sentire. Se non percepisci, non puoi vivere una Vita all'insegna della Bellezza. Il secondo carattere dell'uomo artista era la capacità di far entrare dentro di sé l'esistenza, impedendo che rimanesse lungo la superficie fallace della routine quotidiana. Il terzo aspetto fondamentale del creativo, per Seán, era saper tradurre, in segni d'Arte, il cosmo interno, così come dipinto dalla propria mente. L'autore era a metà pagina. Stava scrivendo, con molta accuratezza, proprio perché, per lui, quella era la missione più autentica della propria Vita. Anche prendere un caffè in compagnia, per l'uomo, era Arte. Più ogni gesto era creativo e maggiore era la probabilità di fare Arte. Occorreva rigore, però... La propria Vita non doveva cedere alle malie del sistema, altrimenti tutto il proprio processo creativo ne avrebbe risentito. Arte era scelta. Arte era saper dove stare, perché, come diceva Lenin, se non stai da una delle due parti della barricata, allora sei la barricata e questo, l'uomo, lo sapeva molto bene. Arte era attenzione. Avvedutezza. Disciplina ed austerità, in tutto. «Non puoi fare Arte, se le tue relazioni sono patogene» scrisse lungo le curve della sua nuova pagina di racconto... L'Arte esigeva igiene. L'uomo della Nuova Era di Luce era, per Seán, integrità e rifiuto dell'idiozia sadica. Non avrebbe mai contemplato un essere umano a metà, scisso in due, fra la pornografia del neoliberismo e la voglia di purezza. Il Genere umano del suo mondo altro era candido. Non conosceva corruzione. Per stare bene, occorre chiarezza in ogni sfera dell'esistenza. Non puoi essere felice da immondo. Era nel suo studiolo, pensava all'Arte, mentre, avvolto dal suo pesante maglione di lana gaelica, lanciava strali al sistema imperante. Lui era solo un uomo. Non poteva fermare la deforestazione dell'Amazzonia. Non poteva impedire che Trump invadesse l'Iran o la Corea del Nord. Non poteva arrestare l'ondata marcia di psicopatia che, a poco a poco, stava coprendo la superficie del Pianeta. Era in grado però di comporre. Di scrivere parole. Di far emozionare un Amico con una melodia di corno inglese... Il tempo era tetro. Sembrava che fosse ancora il momento prima dell'alba, quando tutto è avvolto da una tenebra. La borghesia del neoliberismo non avrebbe mai permesso la diffusione di una nuova forma d'Arte che lasciasse immaginare alla gente un nuovo mondo altro. Il sistema di controllo diffuso su tutto il Pianeta era strettissimo. Alla fine, il luogo più sicuro, dove far vivere la propria Arte, era lo studiolo della sua casa. Pochi Amici cui spedire Musica e parole. Sinéad ad amarle inesorabilmente. Il cielo era minaccioso. Portava con sé il carico di pioggia dell'Atlantico. Era un giorno perfetto per stare in casa e scrivere, con il fascio luminoso della lampada della scrivania. L'uomo venne rapito dal desiderio di sentire al telefono il suo ragazzo. Aindreas, forse, ancora dormiva. L'Arte, per il compositore, era la rappresentazione della Bellezza interna di un individuo. Questo era, non altro. Era tutto lì il suo concetto di creatività. «Produci quello che sei!» riflesse. Cominciò a piovere. Il Sole era totalmente nascosto dalle nuvole gravide di acqua. L'autore si ritrovò nel suo studiolo, con una idea di Arte che forse nessuno aveva mai espresso prima. Si sentì coccolato dalla pioggia. Il suo maglione grigio lo teneva al caldo. L’artista percepiva che ci fosse molto da fare, al mondo. C'era una novità da esperire. Per questo era fortemente contro l'immobilismo e il lassismo di molti. «Si può vivere felici su questa Terra» pensò, mentre osservava le gocce di pioggia irrorare il viale pietroso, coperto da un manto poderoso di foglie, ancora vivide, nel loro colore autunnale. L'autore non si stava stancando di scrivere. Era a pagina centosessantuno. Davanti a sé, aveva la barriera delle duecento pagine, ancora lontana. Ripensò all'entusiasmo con cui il padre accoglieva la pioggia, lui, fiero indipendentista, che non avrebbe mai affidato la sua Landa alle mani degli invasori. «Il mondo è sporco, Seán: mantieniti pulito» gli disse una volta il padre, osservando la polizia inglese che perquisiva i manifestanti di uno sciopero a Belfast, dalla finestra della propria abitazione. Probabilmente, l'Irlanda non sarebbe mai stata una. L'artista lo sapeva benissimo, perché, oltre a sognare, aveva i piedi ben piantati per terra. Sinéad era la sua opera d'Arte pulsante. La vibrazione umana della sua Musa era davvero potente, lui la percepiva in modo netto. Era la persona più sana che lui conoscesse, insieme al Máistir. Lei non subiva corruzione. Aveva reciso tutti i legami insani. Viveva di Bellezza. Era il canto d'Amore più bello che l'autore potesse ascoltare. Era lei tutti i suoi segni d'Arte. Non si sarebbe mai stancato di scrivere della sua compagna, delle sue mani e dei suoi pensieri rivoluzionari di Donna ribelle di fronte alle ingiustizie del potere... L'uomo si iniziò a preparare un buon tè. Dopo l'infusione ne bevve un sorso, ancora bollente, e si accese una sigaretta, pensando al valore dell'Arte nella propria Vita di allegro superstite. Il compositore aveva riscoperto, con la sua compagna, una dimensione bambina di gioco che era davvero importante. A quarantatrè anni, era libero di ridere e scherzare, ballare in modo buffo, cantare con la voce da bambino, come, in fondo, aveva sempre voluto. Si chiese se il fanciullo, che era stato, sarebbe stato soddisfatto dell'adulto che era diventato. Si interrogò su cosa avrebbero detto suo padre e Crón del suo mondo di artista rivoluzionario. Sorrise. In fondo, quelle risposte, se le poteva tutte determinare da solo. Continuava a piovere e l’autore si immaginò l'acquerugiola cadere sul grande faro di Fanad Head, nella contea di Donegal, dove, prima o poi, avrebbe portato la sua Donna. Il compositore era a metà pagina. Si sentiva bene. Era appagato dalle sue stesse parole, trovandole specchio autentico del proprio sentire. Si accarezzò la barba con la mano sinistra, mentre rileggeva gli ultimi periodi. Arte, per lui, era tutto quello che faceva, dal comporre al lavare i piatti, dallo scrivere la nuova prosa a preparare la cena per Sinéad... «Tutto può essere Arte, in questa Vita, basta volerlo!» pensò, con un occhio alle precipitazioni copiose che inondavano la Landa gaelica, avvolta da una tenebra grigia. L'artista continuava a scrivere per orchestra perché riteneva che quella forma non fosse morta con Stravinsky. C'era ancora una marea di cose da dire dentro ad una partitura. L'uomo lo sapeva e non avrebbe mai cessato di provare a trovare nuovi mondi fra i righi delle composizioni. Arte è anche non smettere mai di sognare che qualcosa di bello possa essere possibile. Un tuono irruppe fragoroso nel silenzio dello studiolo della casa dell'autore. Il compositore ripensò alla Ouverture del Máistir, che trovava sublime, lirica, struggente, specie nella parte degli archi, di cui il suo Maestro era grande conoscitore. L'uomo ricevette un messaggio dal suo Amico Poeta Damien, che lo esortava a leggere la sua ultima poesia postata su Facebook. Seán gli rispose e poi andò a scovare quel componimento. Lo lesse. Lo trovò magnifico. Anche Damien era un ricercatore della Verità. Forse avrebbero collaborato di nuovo insieme, come era successo tempo prima, quando il compositore aveva scritto un brano per pianoforte su un lirica del suo Amico Poeta. «Una creazione può nascere anche dall'osservazione di un cucchiaino da caffè» scrisse l'autore nel suo probo diario, turibolo delle sue più ardite conquiste. Era quasi mezzogiorno, l'uomo scriveva da cinque ore. Aveva però ancora desiderio di chiudere la pagina. Per lui, Arte era trovare un modo nuovo di baciare il collo della sua compagna. Potenzialmente, ogni gesto può essere artistico, se si ha uno sguardo nitido sulle cose e si vuole star bene, lontano dalla sociopatia... Non c'era quasi nessuno in giro. La pioggia aveva scacciato tutti. L'artista sorrise. La sua Landa era intimamente legata all'acqua, come lui, che, in riva all'oceano, percepiva emozioni di grande forza. Si sfregò le mani. Aveva un po' freddo. La fine del foglio era vicina. Si concentrò. Cercò di trovare le sue parole migliori e più sincere. Riflesse. Telefonò a suo figlio, che lo accolse con entusiasmo e gli raccontò tante belle cose. L'uomo annunciò al figlio che sarebbe stato a Cork sia a fine Novembre che per Natale, ed il ragazzo ne fu davvero felice. Fra i due c'era un legame di Amore autentico che nessuno avrebbe potuto spezzare. L'autore aveva chiuso la pagina. Era felice di ciò che aveva costruito, negli anni, con il suo Aindreas. Era stanco. Si congedò dalla sua scrittura.
17° Stralcio
Scrittura
Il mattino seguente, si svegliò presto, con il desiderio di scrivere. Si era già preparato il caffè e si era lavato il viso accuratamente. Amava il senso di fresco che l'acqua lascia sul volto. Il viale era avvolto dalla tenebra e non c'era nessuno in giro. Nella sua casa, la eco lontana della strada gli teneva compagnia. Il tenero martellio della pioggia lo cullava. L'artista sognava un mondo altro, dacché quello in cui viveva gli appariva profondamente sbagliato, per la Vita umana. Non si sarebbe mai dato per vinto; avrebbe continuato a sperare in qualcosa di veramente bello per le sorti dell'Umanità. Il destino, per lui, era la sommatoria delle scelte operate, null'altro. Se, nel 2017, ci si trovava sull'orlo dell'abisso, era perché si erano operate scelte davvero funeste negli ultimi trent'anni. Il silenzio era padre attento delle sue parole, che, digitate con velocità, rispecchiavano il suo sentire ed i suoi pensieri. Non avrebbe mai scritto qualcosa in cui non credeva. Il ticchettio dei tasti del Mac si diffondeva nell'aria incessantemente, come un basso continuo. Aveva dato il buongiorno a Sinéad, con alcuni messaggi Telegram. Voleva che la propria giornata fosse bella. Vera. Buona. Dopo un'ora circa avrebbe telefonato a sua madre, per sentire come si fosse svegliata. Il suo mondo era fatto di azioni cristalline. «Non puoi essere autentico, se i tuoi gesti non lo sono» pensò, fra sé e sé. Viveva in una Identità fra pensiero ed atto. Il 2017 lo avrebbe ricordato come l'anno della sua Verità, l'epoca di «Rainy Day». Il momento storico della sua consacrazione di artista. Chi non ricercava la purezza, non poteva essere suo Amico. Questo, Seán, lo sapeva molto bene. Gli era quanto mai chiaro che non potesse rapportarsi con i non-uomini. La sua era una scelta di campo: aveva deciso di stare dalla parte di Pulcritudine. La sera prima, gli aveva scritto Shayla, che, negli ultimi giorni, si era un po' persa nei meandri dei suoi viaggi mentali. L'uomo le avrebbe risposto quella mattina, conscio che, alla fine, anche quella ragazza, in fondo, desiderasse una Vita bella, nonostante la sua innata capacità di mettersi nei guai. L'autore era a metà pagina. Si fece coraggio. Desiderava scrivere almeno un foglio intero. Fece un tiro di sigaretta e chiuse gli occhi, per immaginare il proprio flusso creativo diffondersi su tutto quello che toccava, in una complessa vibrazione che, dal suo cervello, si propagasse in tutto lo spazio. Non sempre l'uomo aveva qualcosa da dire. Certe volte, lasciava agire su di sé un profondo silenzio, dal quale riemergeva sempre rinfrancato e attento, con un messaggio da consegnare agli uomini. Era il suo processo creativo ad essere fatto in quel modo. La barra spaziatrice, dopo il punto, separò i suoi pensieri l'uno dall'altro. Non aveva ancora trovato il titolo per il diciassettesimo capitolo, che stava scrivendo in quel momento, ma sapeva che lo avrebbe individuato procedendo con la stesura. La lampada della scrivania diffondeva la sua Luce calda su tutta la superficie del tavolo. Sulla tastiera musicale, c'erano due fogli scritti a mano con la musica di un brano che aveva composto al pianoforte della casa della madre; strumento con il quale studiava, da ragazzo, «Il Clavicembalo ben temperato» di Bach. Adorava il Preludio n. 2 in Do minore, che molti studiosi avevano definito di sensibilità pre-beethoveniana, per la sua natura tempestosa. Bach, per l'uomo, era il suono della matematica. In ogni sua composizione, c'erano strutture geometriche davvero mirabili. L'Arte, a livello formale, per Seán, era anche un sistema di regole che, tutte insieme, determinavano la natura di una creazione, attraverso una Poetica che liberasse il mondo interno di un creativo. L'artista era molto attento alla forma. La considerava la metà imprenscindibile di un'opera d'Arte. Forma e contenuto andavano a braccetto, dunque. L'uomo sentiva di avere qualcosa da dire, ma non sapeva esattamente come. Stabilì che avrebbe continuato a scrivere seguendo i propri pensieri mattutini. Il viale era avvolto dall'oscurità del cielo della pioggia. Lo scroscio delle gocce sulle lastre pietrose del viale era soffuso e, in lontananza, si sentivano i ragazzi, che andavano a scuola, scherzare, con le loro inconfondibili voci piene di vitalità. Seán pensò a Sinéad che sarebbe andata a lavoro in bicicletta. L'uomo sentiva di amarla ogni giorno di più. Era lei la risposta a tutte le domande che, ogni tanto, lo assillavano. Le soluzioni proposte dalla sua compagna divenivano poi enunciati del sistema di pensiero dell'uomo, che, facendoli propri, ne riscontrava la Bontà. Lei era la sua Pace. Il suo idillio. La sua Arte. Non avrebbe mai voluto una Musa diversa. La sua compagna era tutto quello che lui potesse mai desiderare per una Vita completa, sotto tutti i punti di vista. Aveva letto un pensiero di un regista, che sosteneva che l'immagine stereotipata dell'artista, che soffre, fosse solo un vecchio cliché romantico, e che, in realtà, al creativo era necessaria solo la comprensione della sofferenza, di modo che potesse sempre avere l'opportunità di lavorare con entusiasmo e brillantezza. Seán fu d'accordo con questa tesi. Si può scrivere e fare Arte in tanti stati d'umore diversi, dall'euforia all'angoscia, ma non è indispensabile soffrire: necessaria però è la comprensione del dolore, per saperlo rappresentare. L'autore era a pagina nuova. Pensò a quanti legami aveva reciso dal proprio mondo. Ora si sentiva più leggero. Aveva rifiutato tutte le situazioni tossiche. Non le avrebbe potute accettare nella sua maturità di uomo. Il compositore, il giorno prima, aveva scritto un pezzo sull'immagine dell'artista. Lo avrebbe voluto continuare, sebbene non sapesse ancora in che modo. I brani musicali legati alla nuova prosa iniziavano ad essere molti. L'artista li stava raccogliendo tutti in una cartella del suo Mac. «Scrivo ancora un'altra pagina!» considerò l'autore. L'uomo si vestì ed uscì, con il suo ombrello rosso. La pioggia lavava via i residui di un passato tempestoso, nel quale aveva avuto un rapporto muscolare con la realtà, perdendo puntualmente per k.o. tecnico, dopo poche riprese. Aveva trasformato il conflitto in danza, e, da quel giorno, la realtà non era più stata un nemico, divenendo una tenera amante. Seán era avvezzo al combattimento, ma aveva potuto appurare quanto esso fosse vano. Certamente, nella tempesta aveva dovuto guerreggiare, ma, successivamente, aveva deciso di seguire la realtà nelle sue forme e curve, allontanandosi dai dissidi, per scoprire, con vibrante vitalità, quanto fosse bello essere un ballerino nella propria Vita, accompagnato dalla Musica dell'esistenza. Erano lontani i giorni di Belfast, quando il sistema aveva deciso che, agli indipendentisti, non dovesse essere data la Possibilità di vivere dignitosamente, venendo spiati e controllati in ogni singolo atto della loro giornata. Seán, da ragazzo, era stato spesso interrogato dalla polizia inglese, che voleva sapere se lui facesse parte di certe nuove cellule dell'IRA, distribuite sul territorio dell'Irlanda del Nord... L'uomo ricordava ancora il tono minatorio delle domande e il ricatto di far vivere la propria famiglia nel terrore... Il ragazzo non aveva mai preso parte a nessuna organizzazione, ma il suo cuore era per una Irlanda unita... Ad ogni buon conto, la polizia lo teneva sott'occhio, come aveva fatto a suo tempo con il padre, il pescatore indipendentista. «Fuggi Seán, non c'è niente per te qui!» gli aveva consigliato una sera il padre, dopo essere stato trattenuto dalle autorità, che ritenevano che lui trasportasse un carico sospetto di armi sul proprio peschereccio. La violenza è sempre stupida. L'uomo, questo, lo sapeva molto bene. Il terrore imposto dal sistema, poi, aveva un qualcosa di aberrante. L'uomo era tornato a casa. Si trovava alla sua scrivania, in cerca di lemmi originali. Ascoltava il suono della pioggia cadere in terra e diffondere quiete, su una Landa verde, che bramava essere irrorata. L'autore era a metà pagina. Si arrestò. Guardò la parte vuota del foglio. Non sapeva ancora cosa avrebbe scritto e ignorava il titolo del capitolo che stava vergando. Ancora doveva rispondere a Shayla, cosa che gli metteva un po' di ansia, perché sapeva benissimo che la ragazza gli avrebbe parlato del suo folle Amore per un essere umano ad intermittenza; sentimento che Seán riteneva patologico. Come diceva sempre Sinéad «Tutti sono patologici, difettosi», quindi una persona può scegliere di frequentare gli esseri umani, oppure chiudersi nella propria solitudine, ma questo è. Non si poteva aspettare il rapporto perfetto, sano, che forse non sarebbe mai arrivato, perché la gente non stava bene, vivendo attanagliata da varie forme di sofferenza della Psiche, le quali tendevano a crescere a dismisura, non avendo affrontato gli individui un sano percorso terapeutico. Seán voleva bene a Shayla, la considerava sua sorella, ma non poteva ritenere buono il rapporto d'Amore malato che lei teneva in piedi con un uomo che non le avrebbe mai garantito una relazione matura, continua, reale. Era come se la sua dolce Amica si fosse innamorata di un ologramma autonomo, che vedeva nello spazio intorno a sé, senza poterci minimamente interagire. Una sensazione davvero tragica. Una dinamica sterile. Una continua perdita di significato... Il compositore aveva imparato ad accettare le persone nonostante le loro molteplici limitazioni, ma lui guardava oltre, verso la Nuova Era di Luce, che avrebbe riportato i legami dell'essere umano al loro valore di costruzione e Bellezza, cancellando le patologie del neoliberismo dilagante. Per l'autore, quello che nutriva Shayla era un non-rapporto, quindi lui non la poteva appoggiare. Aveva però appreso l'Arte di non giudicare nessuno, perché ognuno aveva il diritto di vivere all'interno delle opportunità che gli si profilavano innanzi. Tutti gli esseri umani avevano il diritto di vivere come potevano. Ciascuno meritava di sperimentare la Bontà di determinati sentieri, anche con il rischio di perdersi. C'era molto di più, però e l'artista lo sapeva molto bene. C'era la Verità. C'era la generosità. C'era la Bellezza. L'Umanità immobile, sfamata dal sistema, gli sembrava assurda. Non comprendeva come nessuno alzasse la testa e facesse dodici ore di fila per comprare l'iPhone nuovo. Si era atomi, nel 2017. Tutti scissi gli uni dagli altri. Tutti impauriti. Tutti preoccupati dal mutuo della macchina e dall'affitto di casa. Il sistema sapeva benissimo che nessuno avrebbe fatto altro, se non brontolare. La rivoluzione si fermava con le proteste degli appassionati, sui social network, che promettevano fuoco e fiamme, salvo poi accontentarsi di poter comprare un nuovo paio di scarpe o l'ultimo suv, in comode rate... Il sistema si era espanso in modo tale, da non permettere a nessuno di concepire un nuovo spazio fuori di esso. Tutto era dimora del potere. Ogni cosa. Non c'era nulla al di fuori. Fuori, come Seán, c'erano gli artisti che sognavano un mondo altro, giusto, sano, liberato. L'autore era alla fine della pagina. Volle scrivere qualcosa di nuovo. Quando lui baciava la sua compagna, era già nel mondo altro. Quando le preparava la cena, era già nella Nuova Era di Luce. Quando aiutava Aindreas a risolvere un problema, stava già varcando le porte di una nuova dimensione di Bellezza. L'artista ne era conscio. La barra spaziatrice si produsse in un suono sordo, che chiuse le sue conclusioni e l'uomo si sentì improvvisamente bene, al centro del suo mondo, felice di poter camminare per le vie di un cosmo che lui vedeva già trasformato in Landa della beatitudine. La scrittura lo stava aiutando a focalizzare meglio gli oggetti interni della sua Identità di uomo libero. Continuava a piovere e la pioggia rendeva la sua stesura cristallina, trasparente. L'uomo pensò al suo Máistir, che non lo aveva mai deluso. Bevve un po' di caffè nero amaro e si accese una Chesterfield rossa. Mentre fumava, realizzò di essere stanco, del resto, aveva già scritto due pagine di racconto ed il suo flusso di pensieri si stava affievolendo. Sognò ad occhi aperti di poter portare al mondo un romanzo complesso, capace di scintillare nella sua Bellezza, che indicasse la via per la Nuova Era di Luce, con uno spirito libero e coraggioso, attraverso parole estatiche, in una architettura bella, all'interno di una Poetica che fosse capace di contemplare la visione di un mondo altro, possibile, doveroso, in cui vivere in armonia gli uni con gli altri.
18° Stralcio
Sistema
Si svegliò alle otto di mattina e, dopo il caffè, si mise all'opera. Davanti a sé aveva la prima pagina vergine del nuovo capitolo, il diciottesimo. Si accese una sigaretta. La Luce poderosa della lampada da scrivania illuminava ogni oggetto, lungo la superficie di quel tavolo di legno che Seán aveva costruito anni prima con l'aiuto della sua compagna. Non aveva un titolo per quella unità compositiva e non aveva più Musica in sé, tanto che l'autore decise che avrebbe atteso nuovi agglomerati acustici in assoluto silenzio, senza minimamente forzarsi a comporre. Era la sua Vita, quella. L'uomo conduceva la sua esistenza in profondo ascolto del proprio mondo interno, dal quale, di tanto in tanto, emergevano parole e suoni, dopo quell'attento processo di decodificazione che caratterizzava ogni suo atto creativo. L’autore era in asse. Sapeva quello che desiderava. Voleva essere un artista Lucente, innamorato della Vita e del suo nucleo fondativo. Il desiderio di esistere, con qualcosa di autentico da dire, lo avvolgeva. «C'è necessità di Arte nuova!» scrisse su un post-it, che attaccò alla parte posteriore della sua tastiera musicale. Si dovevano palesare risposte creative all'assoluto deserto del turbocapitalismo. Alle ingiustizie. Alle prevaricazioni. Ai soprusi. L'essere umano sarebbe dovuto tornare a respirare Bellezza, ogni singolo istante della propria Vita. Questo, il compositore, lo sapeva molto bene. C'era tanto da fare. Occorreva la buona volontà di molti. La Nuova Era di Luce non si sarebbe potuta raggiungere, altrimenti. L'uomo era nella quiete mattutina del suo studiolo. Aveva iniziato a scrivere, bramando una stesura fluida ed attenta. C'era bisogno vitale di evoluzione della mente degli individui, di Arte, di trasformazione dei comportamenti. La distruttività era la padrona indiscussa del terzo Millennio. Ad essa sottostava la moltitudine indistinta che affollava i centri commerciali. L’artista, dal suo osservatorio, poteva soltanto indicare la via per la Bellezza. Poteva scrivere della Verità. Poteva fare in modo che la propria scrittura fosse buona. «Un giorno qualcuno ritroverà le mie opere e le giudicherà degne» riflesse l'autore, che sognava che, in punto di morte, avrebbe affidato le proprie opere a Sinéad ed Aindreas. L'uomo era già a metà pagina. Tanti i concetti che avrebbe voluto enucleare. Si avvicinò l'ora di telefonare a sua madre, per darle il buongiorno e l’uomo si assentò per chiamarla. Tornò soddisfatto dalla chiacchierata con la sua genitrice, che stava bene. Il compositore la considerava la memoria storica di una Irlanda che non c'era più. La sua stessa lingua gaelica era testimonianza di un mondo che era stato costretto a cedere il passo ad una globalizzazione disumana, che aveva imposto una lingua tecnica, il globish, a tutto il mondo, con il conseguente impoverimento dei segni degli idiomi autoctoni. Al turbocapitalismo serviva una lingua: esso decise di impoverire l'inglese e di renderlo globale, di modo che, a tutte le latitudini, si potesse parlare un solo idioma in un mondo uguale in ogni dove. Anche quella era una dimostrazione di forza. Un atto violento. L'uccisione delle lingue. Un popolo, senza il proprio idioma, è costretto a non saper più parlare. Viene messo nelle condizioni di usare la lingua dell'invasore, fino a non avere più voce. L'uomo conosceva molte delle tecniche usate dal sistema per tacitare tutte le diversità, con l'obiettivo di produrre masse consenzienti che si muovessero tutte nella medesima direzione: il consumo forsennato ed il lavoro sempre meno garantito. Tutto era precarietà, nel terzo Millennio. Si aveva uno smartphone, ma pochissime persone da chiamare in caso di necessità. Si compravano potenti computer, relegandosi alla solitudine più nera. Si viaggiava in possenti suv, su strade che una politica corrotta aveva reso inaffrontabili. La gestione della cosa pubblica era, da troppo tempo, affidata a un manipolo di avventurieri dediti all'arricchimento personale, agli scandali, che producevano negligenza, disimpegno e cattiva amministrazione. L'uomo si chiedeva come il mondo fosse arrivato a quel punto. C'era la responsabilità di tanti, in ballo. Molti avevano per anni scelto dei rappresentanti politici idioti, di cui il sistema si era avvalso per il proprio tornaconto. Il mondo alla rovescia era lì, si era sviluppato e non aveva alcuna intenzione di estinguersi. L’uomo pensò che quella creatura infernale avrebbe portato con sé nel baratro tutta l’Umanità. Seán ripensò alle tante chiacchierate con Crón, dalla quale aveva imparato l'Arte di costruire, passo dopo passo, l'avvenire. Ci sarebbe voluto molto tempo. La Nuova Era di Luce non sarebbe potuta sorgere accanto alle macerie del sistema. Era necessaria una operazione di rivolta totale. Mondiale. Di quartiere in quartiere. I Lucenti avrebbero agito seguendo la Pace, ma sarebbero stati inarrestabili. Doveva nascere una percezione collettiva globale di Umanità nuova, che smascherasse gli inganni del sistema e li rifiutasse. Non c'era altra via. L'autore lo sapeva benissimo: o rivoluzione o sistema, rassegnandosi, nella seconda delle ipotesi, a nuovi secoli di schiavitù. Il viale pietroso brulicava di Vita. La giornata era grigia. L'autunno gaelico possente. L'uomo si sorprese a pensare a tutto il dolore di un Genere umano sconfitto. Piegato. Sempre più rassegnato. Era per esso che scriveva. Era per esso che componeva nuovi suoni. Era per esso che il suo racconto brillava. L'autore era certo della funzione rivoluzionaria dell'Arte, che, altrimenti, sarebbe stata solo accessoria, sfruttata dal potere per incensarsi. Il processo creativo dell’artista era militante. Combatteva per un mondo altro, senza violenza. Trovava raccapricciante l'abuso di potere dell'individuo su chi è più debole. «La forza non dovrebbe essere questo» riflesse l'autore, lungo le curvilinee onde del suo pensiero, in una vibrazione affettiva davvero potente. Non c'era più Fratellanza. Il sistema era riuscito, attraverso varie strategie, a frammentare la collettività in atomi. Quindi l'individuo non si sentiva più parte di nulla. Non era figlio di nessuno. Non era fratello di un altro individuo che, magari, versava nelle sue stesse condizioni sociali o lavorative. Alla fine, il vero capolavoro del potere era stato quello di dividere la gente. Uccidere la coscienza di classe. Inaugurare un'era di io ululanti, senza alcun legame esterno con il prossimo. In tutto questo, il sistema aveva anche inventato un'epoca di mediocri. Molti studiosi avevano già parlato di mediocrazia. Individui, senza particolari propensioni dello spirito, si erano impossessati delle posizioni di potere, con il plauso del sistema, che se ne serviva allegramente per i propri laidi intenti. Il mondo non era dei più bravi, ma dei mediocri. Soggetti con un io ipertrofico, mossi dall'ambizione smodata, guidavano le sorti del Pianeta. Quella strada non avrebbe mai potuto ascendere alla Luce, Seán lo sapeva molto bene. Occorreva sbaragliare tutto. Non c'era nulla da salvare nel sistema di potere imperante. Chi si emozionava ancora davanti alle stille di rugiada di un fiore era destinato ad essere deriso. Il potere non contemplava il diverso. Ciò che era differente andava ucciso. Doveva solo vedere l'immagine riflessa di se stesso in ogni luogo. La figura di un modo di concepire l'esistenza davvero sporco. Più l'autore scriveva e maggiore era in lui la consapevolezza che sarebbe stato molto difficile attuare il progetto della Nuova Era di Luce, perché l'Umanità era davvero molto distante. Il potere si era insinuato nelle menti dei più, producendo individui troppo centrati su se stessi, per rendersi conto del fatto che il Pianeta Terra li stesse abbandonando. La vittoria del neoliberismo era sancita ovunque. Non v'era sfera della Vita umana in cui non si registrasse il trionfo del sistema. L'uomo scrisse del potere, in un modo così appassionato da rendersi conto della forte difficoltà a pensare qualcosa di diverso dal mondo così come era percepito dai più. Come aveva scritto, in qualche passaggio precedente, il sistema aveva occupato ogni luogo, e non c'era nulla fuori da esso. Anche questo aspetto preoccupava molto l'autore. Il potere tentacolare si era distribuito sul Pianeta in modo uniforme, fino ad entrare nell'ultima isola dell'ultimo atollo del Pacifico. La Landa della Nuova Era di Luce era, in quel momento, solo una dimensione della mente. Un luogo psichico. Una terra dello spirito. C'era molto da fare. Il compositore sarebbe stato attento a captare segnali nuovi dal mondo. Intanto scriveva. La sua stesura era candida. Lineare. Composita. Lui la vedeva come un mirabile contrappunto, in cui diverse voci si intrecciavano, per giungere ad un'armonia definitiva. L'uomo aveva iniziato a vergare lemmi con il desiderio di scrivere qualcosa di bello. Il suo flusso era poderoso. Le parole si dipingevano sulla tela della sua opera in un sorprendente allegro. Era lieto. Pensò alla sua Sinéad, che celebrava il suo ultimo giorno di lavoro settimanale. Nel fine-settimana, l'avrebbe avuta tutta per sé. Desiderava stare bene con lei. Giocarci. Vederla ridere, appagata da quel rapporto d'Amore che entrambi vivevano con dedizione totalizzante. Fuori dal sistema, c'era solo la dimensione intrapsichica degli individui che ne avevano intravisto il disegno perverso. Come l'autore. Come la sua compagna. Come tanti, che, magari, proprio in quel momento storico, stavano cercando legami con chi aveva la loro stessa visione del mondo... Era difficile la Vita nel ventunesimo secolo, per chi era dotato di senso critico, sensibilità ed empatia. La crisi economico-finanziaria che perdurava da dieci anni, aveva ucciso tante persone, mutilandone una moltitudine. Troppa gente, inoltre, si era vista mancare il proprio piano di realtà, fatto di casa, denaro e automobili, ed era completamente impazzita. Lo scenario di violenza e sopraffazione, che si notava in giro per le città, era figlio di una costante operazione di precarizzazione dell'esistenza umana. I pochi, che sapevano di vivere per Verità, Bontà e Bellezza, si erano chiusi nel loro mondo, con il rischio di rendere difficile qualsiasi comunicazione con l'esterno. L’artista, invece, rimaneva aperto verso i suoi simili. Restava in ascolto. Sperava che qualcosa di meraviglioso potesse nascere nel deserto di un sistema liberticida. L'autore bevve un po' di caffè. Si accese una sigaretta, facendo un giro in cucina, dalla cui finestra ammirava il buffo alberello con le sottili foglie rosse. Avvertì improvvisamente la necessità di fare silenzio in se stesso. Andò a leggere le news dal mondo degli appassionati di Facebook, per avere una visione sempre più chiara sugli accadimenti del cosmo. Ma, in quel momento, ciò, che stava più a cuore all’uomo, erano le risposte possibili che l'Umanità avrebbe potuto dare alle proprie esigenze. Il sistema era il sistema, con tutto quello che ne derivava. «Noi cosa possiamo fare?» si domandò l’autore. Loro, i Lucenti, fuori dalla macchina del potere, potevano star bene. Ne avevano l'obbligo. Non ci poteva essere Rivoluzione senza benessere. Potevano dimostrare che, senza le malie del sistema, si potesse essere felici. Lieti. Propositivi. I loro gesti dovevano brillare di Luce propria. Seán ne aveva parlato con Sinéad, che gli aveva risposto: «Dobbiamo fare l'Amore per resistere agli urti del potere!», con tono scherzoso, dicendo però una grande Verità. Loro dovevano essere in grado di vivere la gioia. Al potere, nulla dava più fastidio delle persone gaie, capaci di dimostrare, con i propri atti, che un altro sentiero potesse esistere. La loro rivoluzione sarebbe stata coloratissima. Sinfonica. Artistica e avrebbe sbaragliato il sistema con una marea di suoni belli e parole vere. Questo sognava il compositore. In quelle notti, nella contea del Donegal, la Luce del Nord aveva raggiunto l'Irlanda, generando una vera e propria aurora boreale. L'uomo aveva visto le foto: erano incantevoli. Madre Natura non si stancava mai di indicare la via agli uomini e questo incoraggiava molto l'autore, che vedeva Bellezza. L'uomo stava attendendo che la sua compagna si alzasse, per scriverle il buongiorno. Il tempo era clemente. Forse i due sarebbero andati in gita. L’artista non era ancora a metà pagina. Aveva però riletto l'inizio del capitolo, giudicandolo interessante. La sua scrittura era leale testimone dei suoi sforzi per vivere una Vita degna. L’uomo sapeva quanto fosse importante farsi trovare eretti di fronte alle intemperie. Conosceva la probabilità che altre sfide importanti lo attendessero e si sentiva pronto. Il viale pietroso brillava. Il Sole lo illuminava e le lastre candide rilucevano. Le foglie rosse volavano, cadendo in terra silenziosamente. Tutto aveva un senso, anche il suo silenzio di artista nel suo mondo interno. Aveva in mente, da giorni, la Possibilità di comporre un pezzo musicale sulla sua scrittura. Non aveva però scritto neanche una nota. Attendeva nuovi segnali. Nuovi agglomerati. Nuove armonie. La Vita del compositore era complessa. Si muoveva su accordi e lemmi. Vibrava con la sua stessa creatività.
19° Stralcio
Differente
Si avvinse al suo silenzio, immaginandolo come una soffice coperta di lana bianca, col desiderio di essere puro, come l’acqua cristallina di una sorgente d’alta quota. Aveva molto pensato, dopo aver chiuso il diciottesimo capitolo, elucubrando su rapporti, potere, tendenze della storia recente del Genere umano. Non gli parve, tuttavia, di essere giunto a delle conclusioni significative: l’unica cosa che sapeva, difatti, era che avrebbe vissuto per sé ed il suo nucleo, lasciando tutto il mondo fuori da casa sua. Era strano il suo isolamento, nato per necessità, trasformatosi per un suo desiderio di igiene. Ascoltò la voce della bambina del palazzo di fronte e sorrise, perché credeva fermamente che il mondo sarebbe stato salvato pure dai bambini. Era differente, come la sua compagna, che, nel profilo della piattaforma Telegram, usava quell'aggettivo per segnalare a tutti la propria diversità. Sinéad viveva in una dimensione che l'aveva resa altra da tutto il resto della collettività. Aveva costruito un mondo intero fatto di Bellezza. Non sarebbe mai tornata indietro. Le piaceva troppo quello che era diventata. In quel momento, lei era la Musa di un artista. Non avrebbe mai desiderato qualcosa di più bello. Lei era Musica. Uno splendido ciclo di Sinfonie, che, ancora, Seán non si era nemmeno sognato di saper scrivere. Lui era conscio che lei avrebbe sempre superato la propria fantasia di creativo, stupendolo con gesti di Bontà sublime. Il compositore era dunque nella condizione di seguire le azioni della sua Donna, provando ad immortalarle in partiture ogni volta più elaborate e cariche di pathos. Faceva freddo quella mattina e l'uomo aveva deciso di lasciar penetrare l'aria dalle finestre, per una sua esigenza di profonda freschezza, senza la quale non avrebbe avuto le idee chiare. Il suo racconto non era più un racconto. Alla pagina centottantasei, l'autore realizzò che stava componendo un vero e proprio romanzo. Sorrise, perché si stava avventurando in un territorio inesplorato. Cosa avrebbe scritto? Come? Che forma dare ai suoi contenuti? Bevve il suo caffè amaro, per festeggiare il cambio di forma, da racconto lungo a romanzo. Era determinato a rendere magnifica quella sua opera letteraria, assolutamente. Avrebbe dato il meglio di sé. Non si sarebbe stancato di leggere, correggere e rielaborare. Si accese una sigaretta e, guardando fuori, vide il cielo mutevole della Landa. Aveva riletto la Prefazione della sua opera, che aveva imbastito qualche giorno prima, ritenendola molto bella. «Le opere di una mente, che ha rifiutato le tenebre, devono essere necessariamente tutte molto comunicative» scrisse su un post-it giallo, che decise di attaccare alla parte posteriore della sua tastiera musicale, silente da un po'. L'uomo era in grado di provare profonda empatia per il destino degli altri, proprio perché aveva conosciuto la portata maligna di una tempesta omicida e, da quel giorno, aveva compreso quanto la sofferenza fosse straziante. Aveva in mente due brani musicali, uno sulla scrittura e uno sulla natura differente della sua Musa. Non sapeva ancora bene quando avrebbe iniziato a comporli, perché la stesura del romanzo lo assorbiva totalmente. Stava trascurando anche il suo sito personale, per la medesima ragione. I suoi pensieri gli tenevano compagnia. Riflesse sull’aggettivo differente che, non a caso, la sua Donna aveva scelto per rappresentarsi. Lei aveva scelto la Vita. Abbandonando tutte le relazioni tossiche, con coraggio, si era posta nella condizione di affrontare l'esistenza da sola, senza più nessuno intorno che potesse inquinare i propri pensieri di Musa incantevole. Non era stata per niente facile la Vita di Sinéad. A quarantadue anni, aveva conosciuto Seán, desiderando che fosse lui l'uomo giusto. Il loro incontro fu stupendo. Lei voleva far entrare l'artista nel suo giardino segreto, lui desiderava una Musa di cui cantare ogni singolo gesto vitale. La Donna lo aveva conquistato con la sua sorprendente intelligenza. Lui ne era rimasto folgorato. Quella mattina, alla scrivania, l'autore, nel ricordare, sentiva che il proprio flusso creativo fosse buono. Chiuse le finestre, osservò la Luce diffondersi attraverso le tendine arancioni dello studiolo e realizzò quanto quel suo mondo interno, che andava descrivendo, fosse veramente incantevole. Autentico. Pulsante. Loro erano diversi. Differenti in tutto, altrimenti il loro cosmo avrebbe collassato sotto la scure infernale del sistema. «Quando sei in grado di esperire la Bontà della Luce, poi non vuoi tornare indietro verso le tenebre che ti sei lasciato alle spalle» riflesse l'uomo, sempre più certo della Verità che era insita nelle sue parole. Continuava ad avere in testa la canzone degli U2 che la radio stava trasmettendo da giorni. La sua mente era avvinta da una precisa idea di perfezione della forma, cui non sapeva rinunciare perché sapeva quanto fosse importante, nell'ambito della propria produzione artistica. Era a metà Novembre e il suo cuore batteva come un metronomo, regolare, attento, candido. Si trovava nella Possibilità di spiegare al mondo la sua idea di Umanità. Era certo che, prima o poi, sarebbe stato letto. L'incrollabile speranza che le proprie opere non andassero perdute nel tempo lo cullava amorevolmente. L'uomo pensò alla sua Donna. Lei meritava il maiuscolo sempre. Era una vera e propria opera d'Arte di mente e muscoli. Sinéad non aveva provato terrore nel rimanere senza alcun contatto. Sola, nel suo grande giardino, dove piantava fiori e piccoli alberi. Non l'aveva impressionata quella sua dimensione di solitudine totale e quello era stato il primo passo verso la sua salvezza. Aveva avuto modo di riflettere. Rielaborare. Dare un posto ai pensieri. Quando Seán l'aveva conosciuta, lei era completamente libera. Non lo aveva incontrato per bisogno, ma per desiderio di una storia d'Amore degna di questo nome. Le parole scivolavano lungo il foglio con assoluta naturalezza. L'autore, scrivendo di lei, raccontava a se stesso l'unione che, più di ogni altra, aveva trasformato la sua Psiche di ricercatore. Era stata la sua compagna la risposta a tutto il suo naufragare. Era stata la Donna il suo approdo certo. Era stata lei a iniziare a farlo dormire sereno sul suo seno accogliente. L’artista l'aveva conosciuta in un luogo dove si scrivono parole ed aveva immediatamente intuito che lei fosse differente, candida come una bambina, solida come una vera guerriera. Tutto quello, che avevano vissuto, li aveva condotti dove erano, in una dimensione della Psiche di totale fiducia e pace. Il compositore veniva, di tanto in tanto, attraversato da una perturbazione fastidiosa. C'era in lui un pensiero triste, che era legato alla tempesta che aveva vissuto a Belfast. Era come se il passato bussasse alla sua porta, con vigore. L'uomo aveva imparato a tacitare quella paura, che, sovente, lo preoccupava. Era un accordo dissono cui lui non avrebbe mai dovuto dare ascolto. Lo imbrigliava, allora, lo relegava in un posto nascosto della sua mente, dacché sapeva benissimo che il suo passato non avesse nulla di nuovo da comunicargli. Doveva altresì reggere la realizzazione di essere felice. Non doveva cedere al richiamo distruttivo di un'era della sua Vita in cui aveva provato solo angoscia e disperazione, sconfitte gravi della sua Identità di essere umano che anelava alla Bellezza. Anche Seán era stato coraggioso, come Sinéad. La piattaforma Telegram notificò l'arrivo dei messaggi della sua compagna. L'uomo andò a leggerli. La sua Donna gli consigliava una nuova ricetta culinaria. Il compositore sorrise. Lei aveva davvero sempre un pensiero gentile per lui. L’artista, improvvisamente sentì freddo. Si tolse il pigiama e si mise la tuta. In cucina, l'orologio a muro, nel silenzio, scandiva il suo passo sessanta volte al minuto, creando, con il piacevole ticchettio, l'atmosfera perfetta per le riflessioni dell'autore. Il compositore aveva cambiato anche la propria percezione del tempo, grazie alla sua Musa. Prima di lei, lui era come ossessionato dal fluire del tempo, perché, durante la tempesta, ogni secondo sembrava eterno. Da quando c'era lei nella sua Vita, invece, l’autore viveva un tempo diverso. Erano le sue azioni gaie a scandire il susseguirsi dei minuti. Era la sua attività di composizione a segnare l'alternanza della mattina e del pomeriggio. Erano le sue imprese culinarie a determinare l'avvento della sera. Il tempo non era più tiranno, ma Amico. Non indossava mai l'orologio da polso. Era nel flusso temporale senza soffrirne. Sinéad lo aveva trasformato in tutto. Prima di conoscersi, l'uomo era pieno di paure. Temeva un rifiuto da parte di quella ragazza così amorevole che sentiva ogni giorno al telefono ed in chat. Allora il compositore chiese aiuto al suo Máistir, che gli rispose:
«Se questa persona è le sue parole, allora fidati. Mostrale il tuo mondo, se ne innamorerà. Non credo voglia ingannarti. Sono molto belle le frasi che ti dedica ogni giorno. Potrebbe essere lei la ragazza che tu stai attendendo da anni».
Crón, dopo aver conosciuto Sinéad, fu addirittura più lapidaria. Scrisse il giorno dopo al suo Amico artista e gli dedicò queste poche parole:
«È lei la tua svolta. Con Sinéad, camminerai lungo il sentiero che porta alla Bellezza. Lei è la tua Musa. Non tornerai più indietro».
L'uomo sorrise, pensando a quanto i suoi due Amici avessero visto giusto. La sua Musa era differente. Chiunque conoscesse la sua compagna ne rimaneva affascinato. Il suo sguardo luminoso diffondeva Bellezza. La sua intelligenza Bontà. I suoi gesti Verità. Ovviamente, nel mondo alla rovescia, la Donna era considerata una pericolosa sovversiva... L'autore, vergando quei lemmi, si sorprese a riflettere, dacché le persone belle, nel ventunesimo secolo, spesso, venivano stigmatizzate come anomalie del sistema, individui da non frequentare... La sera prima, dopo aver mangiato insieme, i due si erano fatti le coccole a letto. Lui aveva rappresentato il bambino giocoso e lei aveva riso. Erano una bellissima coppia. Nulla avrebbe dovuto alterare quel loro stato di intensa quiete creativa. Tutto fluiva lentamente, nella giornata di Seán. Quella sera sarebbe stato solo e avrebbe dovuto pensare a cosa preparare per cena. Silenzio e lentezza erano i suoi due migliori alleati. Non voleva frenesia nella sua Vita. Sapeva benissimo che il tempo non è denaro. Il tempo è Vita. C'era qualcosa di davvero prodigioso, quando l'uomo toccava il seno della sua Musa. Un desiderio di totale abbandono. Una brama di morire fra le sue braccia, senza ansie o paure. Sinéad conteneva tutto il mondo del suo compagno. Lo amava. Lo riteneva preziosissimo. Non lo avrebbe mai esposto alle intemperie. Lui aveva imparato ad accettare la propria fragilità. Il compositore unì le mani. Rilesse gli ultimi periodi. Si emozionò, perché descrivere il suo Amore per la sua Donna lo toccava sempre in profondità. Occorre coraggio per troncare le relazioni tossiche, sapendo benissimo che per un certo periodo, magari, si starà soli, senza nessuno che ti telefoni per sapere come stai. Senza poter brindare un venerdì sera con una Guinness al pub in compagnia di qualcuno che ti stimi. Alla fine, Seán e Sinéad avevano percorso lo stesso sentiero. Avevano compreso se stessi. Si erano isolati da tutto. Avevano atteso che la marea cambiasse, fiduciosi. Si erano trovati, con pazienza. Erano due superstiti, tacciati, dal sistema, di essere ribelli. L'autore sentiva che la propria scrittura stesse maturando con lui. Crescesse insieme alla definizione progressiva degli oggetti interni del proprio mondo incantato. Sapeva benissimo che, fuori dal proprio nucleo, era solo una unità persa nella moltitudine. Lo accettava. Accettare era un verbo molto importante per la Vita dell'uomo. Aveva accettato la finitudine della propria persona. Aveva accettato la patologia del sistema. Aveva accettato che ognuno, a suo modo, fosse difettoso. «La perfezione non è di questo mondo, ma si può imparare ad amare» scrisse sul suo probo diario, dalla copertina rosso fuoco. Quanta strada aveva percorso il compositore con le sue scarpe... Quanto era stato rischioso perdersi nell'angoscia della tempesta... Quanto era stato bello riscoprirsi creativo e pieno di Vita... L'autore si riteneva molto fortunato, ma era altresì convinto che quella benevola sorte lui se la fosse meritata, con scelte opportune e una visione corretta sul mondo e le persone. Alla fine, era sempre stato lucido, scorgendo il valore delle cose per quello che realmente erano, senza artifici, illusioni o inganni. Aveva smesso di raccontarsi bugie dieci anni prima. Non si era più indorato la pillola. Aveva accettato tutta la gravità di una realtà arcigna, decidendo cosa volesse essere e scegliendo di divenire un Lucente. Tutte le sue opere erano animate da questo slancio. Luce. Calore. Forza. Verità. Non voleva venire a contatto con nient'altro. Non gli interessavano le scorciatoie. Sapeva di essere un uomo grazie alla scelta di non aderire al progetto criminoso del potere. L'autore era nella sua casa, alla sua scrivania, vergando lemmi sulla diversità. La sua Musa era differente, come lei stessa aveva deciso di definirsi, tempo addietro. Lui viveva con la forte intenzione di mantenersi puro. In fondo, i suoi pensieri, le sue parole, i suoi suoni, i suoi gesti avevano tutti la medesima matrice e questa, per lui, era felicità. Viveva in perfetta armonia con il suo sentire interno, si ascoltava, si modulava, percependo la frequenza dei suoi pensieri, seguendoli, in una danza settecentesca carica di grazia e leggerezza. Percorsi mentali in antitesi con il proprio agire generano dissociazione e la definitiva morte psichica dell'individuo. Questo, Seán, lo sapeva molto bene. Urgeva coerenza, in quel mondo alla deriva che si chiamava neoliberismo. Una lineare consequenzialità fra pensiero ed atto. Fra parole e gesti. Fra essere e mostrarsi. L'uomo era candido: non aveva maschere da esibire in pubblico; era drammaticamente i suoi pensieri, che si trasformavano in opere... L'autore aveva scritto quasi tre pagine, quella mattina ed era molto soddisfatto. Andò a festeggiare in cucina con un sorso di un nuovo infuso che gli aveva regalato la sua Donna. Il rito di festeggiare una piccola vittoria gli si era sempre mostrato propiziatorio, da quando aveva concluso la stesura del suo primo racconto, ormai un decennio prima. L'artista era convinto che celebrare una piacevole conquista attivasse un circuito di Bontà. L'autore sentiva che non avrebbe pagato la scelta di essersi isolato da tutti. Era convinto che quella decisione fosse per il suo bene. Non poteva portare, nella Nuova Era di Luce, relazioni tossiche. Il mondo altro esigeva trasparenza, freschezza e rapporti veri. Venne rapito dal desiderio di scrivere Musica sulla sua compagna. Non sapeva bene se ne sarebbe stato all'altezza. Il compito era arduo. Aveva tanto scritto di lei, ma gli sembrava di non averne mai colto davvero l'essenza, gli pareva che qualcosa della sua Identità di Donna gli sfuggisse sempre. Stabilì, in quel mentre, che si sarebbe preparato un altro caffè. Si diresse in cucina. Si percepì ricco, perché aveva una ragione per cui vivere e, stavolta, non era un sogno o una speranza, ma realtà. Scelse come scrivere il brano musicale sulla diversità di Sinéad. Lo intitolò «differente» in irlandese. Poi decise il tempo della prima unità: un affettuoso adagio con il metronomo sessanta battiti per minuto, come lo scorrere della lancetta dei secondi dell'orologio. Scrisse per una orchestra d'archi: violini I, violini II, viole, violoncelli e contrabbassi. La stesura fu lineare. L'unità si sviluppò con naturalezza. Successivamente, compose una unità B per pianoforte solo, in un tempo allegro, centoventi battiti per minuto. La mattina dopo, riascoltò tutto il brano, che era giunto a quattro minuti di durata, trovandolo bello. C'erano degli accordi dissonanti, che creavano suspence. Il compositore sentì di avere ancora qualcosa da dire, quindi si prefissò l'obiettivo di continuare a sviluppare il pezzo. Il cielo gaelico era limpido. La giornata fresca. L'uomo stava proprio bene nella sua tenuta domestica, con la tuta grigia che lo avvolgeva. Si rimboccò le maniche ed iniziò a scrivere.
20° Stralcio
Consapevolezza
Un lunedì di fine Novembre si alzò dopo aver dormito molto, lieto, gaio. Il fine-settimana era stato gradevole, in compagnia delle risa della sua compagna, in riva all'oceano, come sempre più spesso gli succedeva. Lui e la sua Donna, infatti, avevano eletto un tratto di costa, da esplorare. Il mare era stato calmo e l'atmosfera bella, nonostante il freddo pungente. L'artista tornò a casa, quella domenica sera, totalmente appagato dalla Bellezza della Landa e dal fascino conturbante della sua Sinéad, la quale, con assoluta naturalezza, parlando del romanzo, gli suggerì il titolo del ventesimo capitolo. L'autore, in macchina con lei, rimase davvero colpito, perché la sua compagna, non avendo letto molto del romanzo, tuttavia ne intuiva le tematiche, in progressione. L'uomo si ripeté il titolo nella sua mente, trovandolo davvero disvelante. Il giorno dopo, nel suo studiolo, avvolto dal silenzio, rotto solo dal ticchettio dei tasti del Mac, decise di scrivere quel titolo. Ne osservò la fattezza. Ne analizzò il significato. La sua Donna aveva avuto una intuizione davvero bella. Era tempo, nel flusso del romanzo, di parlare di consapevolezza. Molti agivano senza consapevolezza di sé. Avvinti da una spirale di bisogni impellenti, non avevano coscienza né delle conseguenze delle proprie azioni, né della loro immagine interna. Il club dei differenti era, invece, consapevole. Decise di comporre un pezzo sulla consapevolezza. Aprì una partitura nuova. Partì per Cork, il giorno dopo. Visse un fine-settimana davvero significativo, bello, pulito, fra gli abbracci di suo figlio e quelli di sua madre. Ebbe modo di riflettere e tutto il mondo, fuori dal suo nucleo, gli parve di plastica. Ogni relazione, che non fosse nell'ambito del club dei differenti, gli sembrava irreale, vacua, sciocca. Durante il viaggio, ammirò la Pulcritudine della sua Landa, sempre così magnifica e generosa. Il soggiorno nella città fu davvero splendido. Aindreas gli parlò molto di sé. Il ragazzo enucleava concetti veramente profondi. Era un giovane uomo originale. Non si sarebbe mai accontentato delle stupide ricette del sistema per una Felicità totalmente illusoria. Seán ebbe modo di comporre al pianoforte che lo legava indissolubilmente al ricordo di suo padre. Scrisse trentadue battute, in Sol maggiore, intitolate «Sole», perché si sentiva attratto dalla stella che irradia la Luce sulla superficie del Pianeta Terra. Stando con i suoi, il mondo fuori gli sembrò così sciocco, così privo di anima. Ogni tanto, mentre teneva compagnia alla madre e leggeva Facebook, era assalito dalla forte sensazione di vivere in un sistema totalmente privo di significato. C'era stato il black friday, un'occasione creata dal potere per vendere di più, a prezzi che dovrebbero essere scontati e la gente si era scatenata. Ogni proposta del sistema veniva accolta con entusiasmo dalla massa. Il gregge voleva che il potere pensasse per sé. A posto suo. Non c'era nessuna speranza di fare la rivoluzione. Non con quelle persone. Non in quell'epoca. Non con quei presupposti. L'artista lavorava quindi, in modo incessante, sulla propria consapevolezza. Voleva essere sempre più conscio di sé, della propria missione, delle proprie parole. Aveva eseguito varie volte le trentadue battute di «Sole», a casa di sua madre e le aveva fatte ascoltare alla sua genitrice, che le aveva accolte con profonda soddisfazione. Lei era contenta che suo figlio componesse. Era felice della natura creativa dei gesti del proprio virgulto. Il fine-settimana procedé bene, con una atmosfera positiva di collaborazione ed affetto. L'artista, di lunedì, tornò a Galway. Il viaggio di ritorno fu splendido. Attraversò la Landa gaelica in tutta la sua lunghezza. Pascoli vergini e cieli immacolati gli tennero compagnia, lungo tutto il tragitto. Ripensò ad Aindreas, ai suoi contenuti e si meravigliò, guardando fuori dal finestrino del treno, sorridendosi. Aveva lavorato quarantatré anni, per avere quel sorriso, piacevole curva delle labbra che significava consapevolezza. «Sole» era una composizione particolare: verteva sul concetto di successione di accordi, che viravano dal maggiore al minore, in un moto all'interno del quale gli agglomerati creavano una continua sorpresa. Damien, la sera in cui l’artista tornò a casa, gli spedì due splendide poesie brevi, che il compositore lesse attentamente più volte, decidendo che le avrebbe messe in Musica. Il suo Amico Poeta era davvero bravo. Le sue liriche strepitose. Dense. Piene di significato. In una forma perfetta. Parole nettare di un'anima in continua ricerca di risposte. L'uomo apprezzava molto l'opera del suo Amico. Ogni sua poesia era come un bagliore intenso. L’autore gli aveva scritto quanto lui fosse un Poeta Lucente e Damien gli aveva risposto con affetto. Fra i due c'era una sincera stima. Il compositore aveva voglia di scrivere Musica. Era tornato da Cork con una moltitudine di sensazioni positive che voleva immortalare in partiture vergini. Avvertì profondamente il senso di lotta che le sue opere dovevano avere per contrastare il dilagare di un sistema di potere che, nel ventunesimo secolo, ancora procedeva con la tratta degli schiavi, come ultimamente testimoniato da un reportage su ciò che stava avvenendo il Libia, in quei giorni. L’uomo non si stupiva più. Sapeva quanto fosse perverso il mondo nel quale viveva. Proprio per quel motivo, sentiva che la propria Arte dovesse essere perfetta. I suoi occhi erano stanchi di fissare il male, che non aveva nulla di nuovo da dirgli. Tutto era, inevitabilmente, la ripetizione violenta dello stesso schema. Il compositore sentiva suoni in sé. Era una splendida sensazione. Era consapevolezza. Era desiderio di un mondo altro. Venne rapito dalla voglia di osservare la sua Galway al mattino. Decise che avrebbe fatto la sua immancabile passeggiata per i vicoli di una incantata città sull'oceano, fra l'odore dei bar e la brezza del mare. L'uomo era in asse. Conosceva il suo destino di creativo. Era conscio di cosa avrebbe fatto tutta la Vita. Pensò al suo Máistir, che tanto gli aveva insegnato sulla Musica e l'esistenza. Decise che gli avrebbe scritto una mail, in quei giorni. Alla fine, era stata Sinéad a donargli la consapevolezza del suo stato di essere umano che ricerca la Verità. Lei, con la sua maieutica. Lei, con il suo Amore. Lei, con la sua calma. L'artista era avvinto dalla forte sensazione di essere felice. Gaio, in un mondo alla deriva. Immobile. In coma irreversibile. Putrido. Aveva scritto una nuova composizione musicale, intitolata «Se», ispirata al nuovo componimento che Damien gli aveva spedito la sera prima, poco dopo che il compositore era tornato da Cork. «Se» era un brano musicale in tre unità. La prima sezione era affidata ad un pianoforte solista, che si muoveva su agglomerati accordali dinamici, con dissonanze che creavano movimento, nella tonalità d'impianto di Si minore, che rimaneva costante per tutto il pezzo. La sezione per pianoforte solo era piena, densa, e sprigionava gioia, con una continua alternanza di accordi maggiori e minori. Il passo era veloce, cadenzato, forte. L'uso dello strumento a tastiera, che Seán aveva creato, ricordava alcuni momenti del Romanticismo tedesco. Seguiva una parte dialogante, in cui un sintetizzatore si alternava ad un quintetto d'archi, con regolarità. Tornava quindi la parte per Pianoforte, in una successione A – B – A. Il pianoforte ripeteva la sua parte, come a rafforzare le idee già esposte. La sonorità degli accordi era profondamente intensa. Il suono complessivo del pezzo risultava candido e forte, lineare e caldo, intenso e comunicativo, come il componimento del Poeta. Damien era in ogni nota che Seán avesse composto. L'artista aveva molto pensato il suo Amico e la musica lo dimostrava. Alla fine della seconda esposizione del pianoforte, c'era una coda di archi, di poche battute, con un accordo finale maggiore. Il compositore aveva prima creato tensione emotiva e poi aveva sciolto ogni dissonanza nella coda conclusiva, che mitigava ogni agglomerato dissono. L'artista riascoltò più e più volte «Se», giudicandola perfetta. La lirica di Damien era breve, ma il suo significato, per l’autore, era profondo, e, scrivendoci una Musica, si era accorto di quanto fosse intenso il mondo che quella poesia sottendeva. Damien non si stancava mai di cantare il suo Amore, ed era un Lucente che aveva la propria idea di Nuova Era di Luce. L'artista ed il suo amico Poeta parlavano spesso di Possibilità, in chat. Di passioni. Di Vita. L’artista era davvero soddisfatto della sua conoscenza con quel suo compagno di viaggio. Voleva esplorarla con calma. Senza fretta. Con trasparenza. L'uomo riflesse su che razza di mondo fosse quello, in cui ci si vendeva per un grammo di Felicità illusoria, perdendo dignità, calpestando persone, umiliando i più deboli. Cose che, a pensarci, lo facevano diventare furioso. Ma era lì, nella sua calda casa, amato da persone splendide, con delle ottime risorse per affrontare le vicissitudini dell'esistenza. Non gli mancava nulla. Era davvero lieto nel suo piccolo mondo incantato. Aver riabbracciato Aindreas gli aveva riempito il cuore di gioia. Il ragazzo era davvero un incanto. Una mente complessa che non si sarebbe mai accontentata delle risposte fallaci di un mondo di plastica. Artificiale. Lurido. Agghiacciante. Seán era molto fiero di suo figlio. Lo reputava un giovane uomo dalle grandi potenzialità. Scherzando, gli ripeteva spesso: «Aindreas, corri il serio rischio di avere una Vita magnifica!». Gli orrori del suo passato erano ormai lontani, rimanendo in una parte remota della sua mente, come monito, come severo «Mai più!». L'autore era prossimo alle duecento pagine e ciò lo rallegrava davvero tanto. Si svegliò al mattino, intenzionato a scrivere tutto ciò che aveva nel cuore e nell'anima. Bevve il suo buon caffè e telefonò alla madre, che trovò bene. Sarebbe tornato a Cork per il Natale. Aveva più chiaro il suo destino. Si sentiva più forte. Capace. Conscio della sua missione. Desiderava proseguire lungo il proprio cammino, senza perdersi in strade che non fossero le sue. Con l'immagine di Sinéad nel suo mondo interno, poteva ritenersi davvero fortunato. Aindreas gli aveva dato modo di verificare che il suo operato di padre fosse corretto e ciò non era poco. Il compositore voleva essere un buon padre, assolutamente. Si percepiva in grado di poter dare molto al ragazzo che stava crescendo bene, specie sotto il profilo dello sviluppo della creatività del giovane uomo, che aveva molto da dire. L'autore aveva avuto modo di riflettere sul suo passato, durante il suo soggiorno a Cork, fra una cosa e l'altra. Era giunto ad una sintesi: il mondo, così com'era, gli faceva davvero schifo. Era un enorme ammasso di merda. Non gli rimaneva che la cura del proprio nucleo familiare. Questo pensiero, però, non lo rattristava, perché sapeva che occuparsi delle persone care era la forma di Amore più alta che lui potesse vivere. C'era quindi Sinéad, Aindreas, sua madre e qualche raro amico. Il resto era tutto fuori dal suo mondo, in atroce agonia. Non sentiva Shayla da un po' di tempo, perché l'Amore che lei provava per il suo uomo stava diventando, per l’autore, difficile da accettare. Lui non poteva rassegnarsi all'idea che quella sua meravigliosa Amica potesse dedicare i suoi anni migliori ad un uomo ad intermittenza, incapace di garantirle un vero rapporto umano. Un ologramma autonomo, che non rispondeva ai richiami di lei, che lo osservava con Amore, nonostante non potesse minimamente influenzare la Vita di quell'uomo. Inoltre, Shayla, spesso, riversava sull'autore tutto il suo malcontento, e l'uomo, in quei momenti, non voleva sentirsi addosso tutta quella negatività. Lungi da lui, la probabilità di essere usato come una pattumiera. Con Sinéad, avevano spesso analizzato la situazione di Shayla, e, alla fine, non avevano scorto una soluzione diversa da quella che la ragazza potesse vivere un'ossessione, dacché la realtà di avere un chiodo fisso era connaturata nell'Amica dell'autore, che si percepiva dunque affranto, a tratti, perché lui non vedeva l'utilità di confrontarsi con Shayla che aveva già deciso tutto, consegnandosi ad un Amore univoco, senza speranza di vivere una storia appagante, bella, pulita. Il compositore non voleva essere testimone di una tragedia. Non desiderava essere visto, dalla sua dolce Amica, come il depositario di tutte le sue sconfitte, dacché l'ossessione amorosa di Shayla era un non-rapporto e non poteva portare a nulla di buono. Non aveva mai detto nulla alla sua Amica, ma si stava separando progressivamente anche da lei, che non riusciva ad avere una Vita affettiva sana. L'uomo era diventato, nel tempo, molto esigente. Selettivo. Attento. Sapeva benissimo che, nel suo mondo, non potessero entrare in molti. Aveva composto un bellissimo brano musicale per Damien, e sperava che il Poeta potesse apprezzare il proprio lavoro. Nel pomeriggio precedente, aveva scritto anche una nuova Musica intitolata «Light», una unità Rock sperimentale, che gli era piaciuta molto, durante la fase di ascolto. Era tutto in asse, nella Vita dell'autore. Uno schema semplice voleva il suo mondo splendido e la realtà amara fuori da esso. Il potere continuava imperterrito a seminare morte e distruzione. L’artista vedeva la rassegnazione dei più, che non alzavano minimamente la testa, di fronte a decisioni che avrebbero reso l'esistenza di tutti un vero inferno. L'uomo era a metà pagina. Si concentrò. Raccolse a sé tutte le sue idee migliori. Scelse con cura i suoi lemmi. Bramava scrivere la sua frase più autentica. Viveva nella consapevolezza. Sapeva benissimo cosa accadeva dentro e fuori di sé. Era in continuo ascolto della Musica creata dalla sua Identità di uomo equilibrato e fattivo. Tutto era vibrazione, nell'esistenza del compositore. Si accese una sigaretta. Era lieto, quella mattina. Non sapeva ancora bene cosa avrebbe scritto. La Musica, che stava derivando dal romanzo, era tutta magnifica. L’autore pensò che la Felicità fosse per tutti dietro l'angolo, oltre il primo passo compiuto verso la Verità, dopo aver perso per un istante l'equilibrio, oltre le proprie paure. Di questo, l'uomo era profondamente convinto. Occorreva uno slancio del cuore. Urgeva saltare al di là. Oltre le proprie certezze fittizie forgiate dal sistema, c'era la gioia. Quella piena. Autentica. Liberatoria. L'autore vedeva, purtroppo, una Umanità ancora troppo asservita al potere. Immobile. Affranta, perché, nonostante facesse tutto quello che le venisse detto, non era mai felice. «Ma non si può essere felici in una gabbia!» chiosò il compositore, che spesso pensava alle sorti del Genere umano. Lo sgretolamento di ogni forma di crescita, individuale e collettiva, era sotto gli occhi di tutti. Il potere non voleva che l'individuo si evolvesse. Non permetteva alle persone che queste lo smascherassero, per vederlo definitivamente per ciò che esso era: un intricato sistema di accumulo di ricchezze di pochi, che sottometteva un pianeta intero, con la precisa intenzione di dominare ogni aspetto della Vita umana. L’artista si riteneva molto fortunato, conscio del perché fosse al mondo. Sapeva bene che tutti sarebbero potuti giungere a quello stato di consapevolezza. Occorreva solo volerlo e lavorare per liberare la propria dimensione interna di Verità, Bontà e Bellezza. L'autore era un grande osservatore dell'Umanità. Viaggiare verso Cork lo aveva sempre abituato a riflettere su tutto ciò che viveva. Rivedere sua madre, che lo abbracciava calorosamente, scherzare con Aindreas lo avevano sempre riempito di una forma poderosa di energia umana, calda, rossa, dolce. L'uomo era lieto, ripensando a quella gioia. Un anno prima, in quel periodo, sua madre aveva avuto una emorragia cerebrale e lui aveva rischiato di perderla. In quel periodo, era stato a Cork a lungo, verificando quanto la madre avesse voglia di riprendersi velocemente. La sua genitrice era tornata alla sua normalità in fretta, recuperando perfettamente l'uso della parola e dei movimenti fisici. Era stato un brutto colpo per il compositore, che si era prodigato con tutto se stesso, per la riabilitazione di sua madre. Aveva anche avuto modo di riscoprire l'affetto dei suoi zii ed aveva parlato al telefono con una donna che gli aveva voluto bene come una mamma, sua zia. La quota delle duecento pagine era vicina. L'autore sentiva di poter scrivere ancora. La luce della lampada irradiava tutta la scrivania. Sulla tastiera, in ordine casuale, c'erano le partiture scritte a mano, quando, a Cork, l'uomo rubava un foglio di un quaderno alla madre per iniziare a scrivere suoni improvvisati al pianoforte che segnò la sua adolescenza. L’artista si accarezzò la barba corta. Congiunse le mani, in attesa di pensieri che vagavano lieti nella sua mente. Il soggiorno a Cork aveva ridisegnato tratti della sua consapevolezza. L'uomo si era ascoltato molto, giungendo alla conclusione che si sarebbe occupato in modo sempre più attento del suo nucleo, club dei differenti. Non c'era niente, per lui, fuori dall'ambito dei suoi rapporti sani. Non lo attendeva nessuno. Non avrebbe mai visto la gloria delle sue opere. Era un destino ben preciso, quello di Seán. In fondo, non ne avrebbe voluto uno diverso. La scrittura fluiva allegra, con una certa rapidità. Il compositore vedeva egomaniaci esaltati dal potere. Incensati dal sistema. Proiettati verso il successo. Al compositore, tutto ciò, faceva ridere, onestamente. Il regno della mediocrità avanzava inesorabile. Tutto era di plastica. Non aveva odore. Non aveva sapore. Non aveva anima. Era solo la costante ripetizione dello stesso messaggio. Un segnale mortifero attraversava tutta la Terra. La mediocrazia si diffondeva a livello globale ed ogni mediocre si costruiva il suo bel castello di oro ed argento. Quelli come Seán, invece, vivevano in una piccola casa, con pochi rapporti, nessuna ricchezza accumulata e l'incertezza che le proprie creazioni potessero giungere a dieci persone, in tutto. «Se le mie opere piacessero a molti, dovrei preoccuparmi» pensò l'autore, sempre più conscio del suo ruolo di creativo. Era nel poco che l'uomo viveva. Una dimensione in cui tutto era esiguo, piccolo, ridotto all'osso. Era da quell'osservatorio che monitorava il mondo. Era con poco che scriveva il suo mondo. Gli vennero in mente alcuni acquerelli di Klee, nella dimensione del piccolo. Un artista sa fare anche con una matita e un foglio di un quaderno. L’uomo ne era profondamente convinto. Era a metà pagina. Desiderava continuare a vergare lemmi, in assoluta libertà. Lui si era posto al di fuori del sistema, da anni. Quando la tempesta cessò e lui poté provare l'emozione di respirare a pieni polmoni un'aria salubre, decise che non avrebbe mai più seguito le malie del potere. Lui, il figlio del pescatore indipendentista... Lui, il ragazzo ribelle... Lui, il giovane con il flauto e i libri in mano... L’artista rifiutava ogni forma di vessazione dei pochi sui molti, tutte le bugie del potere le lasciava fuori dalla sua casa, ogni spinta psicotica degli egomaniaci la faceva cozzare contro il suo sistema di pensiero monolitico, scartandola con disgusto... Pensò al suo Máistir, cui voleva scrivere una bella mail. Fuori da ogni schema predefinito del potere, l’autore aveva la seria opportunità di vivere libero. Sentiva che non gli mancasse nulla. Era fiero del proprio percorso. Molti avrebbero pensato che la sua Vita fosse povera. Lui, invece, la considerava ricchissima. «Meglio avere pochi rapporti sani che una miriade di relazioni tossiche» scrisse sul suo probo diario rosso, dall'inestimabile valore. Era solo, in casa, e lo studiolo gli parve perfetto per il suo processo creativo: libri, dischi, strumenti musicali, fogli scritti a mano, tutto richiamava la sua Arte. Era rigore, Seán. Austerità del segno. Sapeva bene cosa implicasse scrivere un suono in una partitura. Conosceva bene il sacrificio dello studio. Dell'abnegazione. Dell'attenzione dovuta ai vettori della sua creatività. L'uomo decise che avrebbe fatto la sua solita passeggiata in una Galway incantata, nel freddo pungente di un autunno inoltrato, che, con un cielo assai mutevole, disegnava, nell'aria, architetture di nuvole e stralci di Sole. Tornò a casa, con le verdure per la cena con Sinéad. Si rimise all'opera. Voleva oltrepassare la barriera psicologica delle duecento pagine. Riflesse su come quello che stava diventando il primo romanzo gaelico della Nuova Era di Luce fosse fortemente psicoanalitico. In fondo, era una successione progressiva di pensieri ed emozioni dell'autore. Galway era la sua città. Non l'avrebbe cambiata con altre realtà irlandesi e non avrebbe mai abbandonato la Landa dei Celti. Lui era un autentico irlandese. Non sarebbe mai riuscito a vivere senza il suo irish stew. Amava una terra che era stata consacrata alla Bellezza. Desiderava morire ed essere sepolto in un cimitero gaelico, in riva all'oceano, magari vicino ad una scogliera delle Aran Islands. Era la terra di Joyce. La terra del flusso di coscienza. La terra di una nuova forma di lingua... Congiunse la mani davanti alla tastiera del suo Mac, compagno inossidabile da nove anni. Scrisse alcune parole, ascoltando il suono rotondo dei tasti del suo computer. Osservò di nuovo la pagina scritta. Lesse dei messaggi di Sinéad, sempre così allegri e vivi. Bevve un sorso di caffè e riordinò le idee. Aveva davanti a sé una pagina da scrivere. Sperava che la sua scrittura potesse esprimere ancora dei bei concetti.
21° Stralcio
Sinfonia n. 11 - Flusso di coscienza
L'artista dormì bene, quella notte. Si svegliò l'indomani pieno di energia. Si iniziò a preparare il caffè, e, durante il tempo che serviva alla macchina per far giungere l'acqua ad ebollizione, si lavò, pensando al proprio romanzo, che era arrivato alla significativa dimensione di duecento pagine, tutte sudate fino all'ultimo punto. L'uomo era soddisfatto del proprio operato di creativo. Sentiva che il suo romanzo fosse buono. Autentico. Forte. Pronto per vivere nell'arena del ventunesimo secolo, senza avere nulla da invidiare alle altre opere che vagavano nel web. C'era talmente tanta immondizia, nell'internet, spacciata per Arte, che l'autore inorridì al solo pensiero. Quello che voleva esprimere lui, con la sua prosa nuova, era la Possibilità di essere felici, operando le giuste scelte. In questo senso, il componimento verteva su alcuni concetti psicoanalitici fondamentali. L'uomo era davvero contento delle sue parole. Le trovava veritiere. Espresse in una forma compiuta. Solida. Incontrovertibile. Il suo romanzo non sarebbe stato schiacciato da niente. Come la sua mente, che non si sarebbe più prestata ad essere schernita dal sistema. L'artista si trovava nella sua casa, seduto alla scrivania del suo studiolo, ove aveva tutto l'indispensabile per fare Arte. Aveva composto Musica, in quei giorni ed il risultato sonoro delle sue partiture lo convinceva sempre di più. Aveva determinato aspetti importanti. Si era distaccato da tutto e da quel punto di osservazione aveva potuto iniziare a cantare il proprio inno alla Vita. Solo. Con pochi mezzi. Davanti a fogli vergini da riempire di parole e partiture vuote, su cui scrivere i propri suoni. In totale silenzio. Accorto. Vigile. Nel più intimo raccoglimento. Questo era lui: rigore ed austerità, che si smorzavano in una natura giocosa da bambino, quando entrava in contatto con le persone che amava. L'uomo non avrebbe mai potuto cambiare la propria indole. La amava troppo. Aveva impiegato quarantatré anni, per poterla mostrare al mondo. Non invidiava nessuno. Non avrebbe mai voluto essere qualcun altro. In fondo, lui aveva usato tutta la sua energia vitale per diventare ciò che era. Aveva sempre avuto profondo rispetto per l'Arte, in tutte le sue forme e ne era diventato un artefice. Rimembrò il primo periodo del racconto che nove anni prima gli era stato pubblicato. Ricordò con affetto la notte in cui vergò, su un foglio di carta, le prime parole di quel lavoro letterario. L'emozione di realizzare che quei lemmi non li avesse mai scritti nessuno prima di lui. La gioia di scoprire di avere un segno originale da proporre al mondo. Suo. Unico. Autentico. Da allora, erano accadute tante cose, quasi tutte belle. L'autore aveva lottato ogni giorno per la propria creatività. L'aveva coltivata. L'aveva nutrita. L'aveva coccolata. Il suo processo artistico non lo aveva mai abbandonato, facendogli raggiungere un livello di scrittura sempre più affinato, sempre più orgogliosamente veritiero. La sua scrittura era trasparente: seguiva il moto dei suoi pensieri più candidi. Non conosceva menzogna. Evitava ogni forma di moda. Si stagliava contro le nefandezze del mondo. La sua Arte, dunque, era sempre stata militante, combattendo per la Nuova Era di Luce. Il ticchettio dei tasti del Mac gli teneva compagnia, mentre rifletteva sulla natura del proprio operato. Si percepiva puro. La sua mano, stesa sopra i suoi segni, era forte. Lui sapeva benissimo di essere un esule. Conosceva il proprio destino di artista fuori dalla mischia del terzo Millennio. Sapeva che la propria Arte si rivolgesse sempre di più ad una esigua schiera di persone pensanti, dotate di sensibilità e senso critico. Pensò a Crón, che non aveva mai nascosto a se stessa di scrivere per pochi. Le rivoluzioni possono anche partire da un piccolo gruppo di persone, che il sistema avrebbe ritenuto sparuto, con quella derisione tipica del potere che offende i propri oppositori. Seán sapeva che c'era una Umanità in cerca di risposte. A quella realtà si rivolgevano i suoi segni d'Arte. L'uomo era consapevole del fatto che, per chi non si accontenta del consumismo sfrenato del turbocapitalismo, c'era un premio importante e, oltre le barriere del sistema, si trovava una forma d'Arte meravigliosa che si manifestava in gesti vitali e opere degne di questo nome. In definitiva, oltre gli angusti ricettacoli del potere, c'era una Vita nuova ad attendere l'individuo. C'era l'Arte. Saper vivere. Saper amare. Saper scegliere. Oltre il buio della mente, c'era una Luce intensa capace di irradiare ogni elemento di realtà in una danza senza limiti, al di là dei confini di un pensiero mortifero che vuole l'uomo incapace di star bene. Spezzate le catene, c'era una speranza incrollabile di poter essere felici. Bastava operare le scelte giuste e cessare di credere alle bugie. Fatto ciò, la realtà, in un primo momento, può sembrare troppo dura, ma, con pazienza, essa si rivela madre amorevole, per chi esige igiene da se stesso e le proprie relazioni interumane. In definitiva, la scelta di non conformarsi, alle insane idee del potere, veniva sempre premiata. Questo, l'autore, lo riteneva quanto mai vero. Seán, questo, lo auspicava per tutti quelli che avevano sete di Verità. Aveva scoperto sulla propria pelle quanto il destino cambiasse con una giusta prospettiva sulle cose e ne era davvero felice. Riflesse sul proprio processo creativo, che era cresciuto con lui, con le sue progressive conquiste, con la sua Identità di uomo ed artista. Per scrivere un minuto di Musica, quando aveva una idea, impiegava un'ora. Per completare un foglio del suo romanzo, nel momento in cui aveva qualcosa da dire, altrettanto tempo. Pochi si chiedono quanto tempo un artista impieghi per scrivere qualcosa. L'uomo lo sapeva molto bene, invece, perché ogni giorno si spingeva sempre più in là con il suo flusso d'Arte. Comporre ogni giorno era diventato un allenamento formidabile. L'autore pensò, solo per un istante, alla Possibilità di scrivere la sua undicesima Sinfonia. Fu soltanto un breve balenio della sua mente. Voleva scrivere. Comporre. Edificare. Desiderava che le sue opere narrassero la storia della opportunità di un uomo, eletto simbolo di tutta l'Umanità. Sentiva che la propria storia avesse molti tratti universali. Forse non era ancora pronto per l'undicesima Sinfonia. Forse doveva ancora vivere. Forse qualcosa di nuovo stava maturando in lui. Si pose in attesa di segnali. Non aveva fretta. La frenesia era nemica dell'Arte che lui sentiva scorrere in sé. Sinéad gli aveva risposto ai messaggi Telegram che lui gli aveva spedito quella mattina per augurarle il buongiorno. La sua Donna era sempre così allegra che l'uomo sorrideva ad ogni sua parola. Lei era tutta la gioia che l'artista potesse contenere. Sentì la voce della bambina del palazzo vicino. Era squillante. Tenera. Festosa. L'uomo sorrise, perché c'era una forte speranza per quella Umanità soggiogata ad una forma di potere davvero liberticida. «Se solo ci unissimo... Se solo ci riconoscessimo fratelli... Se solo cancellassimo il male dalle nostre Vite...» riflesse l'uomo, convinto della Possibilità di un futuro migliore per il Genere umano. Il componimento stava crescendo con lui. All'inizio, quello che, in quel momento, si stava sviluppando come un romanzo, non era che una piccola raccolta di pagine, un breve racconto di pochi fogli, che la sua Musa gli aveva proposto di redigere, invogliandolo a scrivere con uno spirito nuovo, fresco, leggero, dopo un lungo periodo in cui si era dedicato solo alla sua Musica. Pian piano, però, l’autore aveva sentito la libertà di poter narrare la propria visione del mondo e delle cose e il racconto si era trasformato in qualcos'altro, sempre più intenso e profondo, sia nella forma che nel contenuto. In fondo, lui aveva avuto bisogno di pagine dove esporre una concezione di Vita. L’artista, in quel momento della sua esistenza, necessitava di un romanzo da scrivere. Sentiva che, nelle curve libere della sua narrazione, scorressero i moti della sua anima. Le sue emozioni. I propri concetti. Provava Amore per la sua nuova prosa. Sentiva quanto essa gli stesse facendo da specchio. Creare segni d'Arte lo aveva sempre accompagnato, in tutta la sua nuova Vita da liberato. Non avrebbe mai rinunciato alla opportunità di edificare templi fatti da segni. Non si sarebbe mai rassegnato all'idea che la propria Vita fosse un consumo sfrenato di cose da accumulare. Il sistema non lo avrebbe corrotto. L'uomo era nelle condizioni di fare della propria giornata un'opera d'Arte. Allora, come in tutti i giorni in cui sarebbe stato sulla Terra. Ripensò a Crón, che, con infinita maestria, aveva sempre delineato per tutti la Possibilità di essere felici. L’uomo la considerava l'antesignana della Nuova Era di Luce e riteneva che il proprio padre fosse stato il primo Lucente che lui avesse conosciuto. Il mondo era di sicuro pieno di Lucenti, che, con la propria testimonianza, illuminavano l'esistenza propria e quella di chi gli stava vicino. L'artista sorrise. Un giorno si sarebbero incontrati tutti, chissà dove, chissà come... I Lucenti non potevano rimanere nelle tenebre. Dovevano brillare, là, sulle cime delle montagne... L'autore pensò alla sorte del suo romanzo. Sarebbe stato apprezzato? Pubblicato? Gambizzato? In quel momento, forse, non gli interessava poi tanto sapere quelle cose. Gli premeva scrivere. Enucleare concetti. Far brillare i propri pensieri. Esaltare le sue emozioni. Alla fine, componeva lemmi solo per la sua Musa. Era lei che avrebbe dovuto amare le sue parole. Era a lei che erano dirette le vibranti tematiche del romanzo. Era lei che ci si sarebbe dovuta ritrovare. Nessun altro. Seán riteneva che l’Amore per la propria Donna potesse ambire ad essere universale, simbolo compiuto della dedizione di un uomo verso la compagna. Questo pensiero lo cullava. Lo faceva stare bene. Gli permetteva di continuare a scrivere. L'autore era alla fine della sua pagina. Osservò il piccolo spazio vuoto del foglio. Fino a quel punto, aveva trovato le migliori parole per esprimere il suo mondo interno. Decise che avrebbe telefonato a quella allegra signora di sua madre, per sentire come si sentisse quel sabato mattina di un Dicembre che prometteva neve. Andò a chiamarla. Dopo una breve chiacchierata i due si salutarono. L'uomo si vestì e uscì. In centro, trovò tutte le decorazioni della città per il Natale. Fu rapito da una forte percezione di tonalità che gli ronzava in testa. La sondò. Era un Re diesis minore; stava pensando in quella tonalità. Decise di comporre, una volta tornato a casa. Giunse nella sua dimora, spalancò le finestre, facendo entrare il freddo pungente. Stabilì il titolo della sua nuova creazione. Lo sfiorò l'idea di un lavoro sinfonico compiuto. Trovò il titolo: «Flusso di coscienza» e iniziò a scrivere i suoni più autentici che aveva in mente. In pochi giorni, la sua undicesima Sinfonia prese corpo. Quattro Movimenti di ineffabile splendore. In quel lasso di tempo non si dedicò al suo romanzo, dacché era in lui troppo forte l'esigenza di fare Musica. Scrisse però dei post su Facebook e sul suo sito, durante la stesura dell'opera. La Sinfonia n. 11 - «Flusso di coscienza» in Re diesis minore necessitava di commenti sinceri da parte dell'autore, che comunicò al mondo la nascita di quella sua nuova composizione, con gaiezza. Questo il suo primo post sulla nuova Sinfonia:
«Stamattina ho composto musica. Ora ho salvato il file e riascoltato il brano e devo dire di sentirmi completamente appagato. Domani, se avrò ancora un'idea nuova in testa, continuerò a scrivere agglomerati acustici in una partitura vergine. Il desiderio è quello di portare alla luce una Sinfonia intera, l'undicesima della mia produzione: tonalità d'impianto Re diesis minore, struttura armonica a me cara, dacché rappresenta il centro della colonna sonora che scrissi tempo fa. È una nuova sfida quella che mi attende. Dopo il doppio cd «Rainy Day», ho iniziato a comporre brani musicali derivanti dalle riflessioni sul mio nuovo romanzo, che, varcata la barriera psicologica delle duecento pagine, sta assumendo una dimensione importante. Da giorni, ho percepito il desiderio di dedicarmi ad un lavoro sinfonico, capace di rappresentare i miei stati d'animo odierni, in un Dicembre austero, ma pieno di emozioni, per me. Sto sentendo che mio figlio cresca in modo armonioso. Sono attento alle esigenze delle persone che amo e che costituiscono il mio nucleo fondativo. Guardo con affetto i miei amici, che, con forza, lottano per avere una Vita appagante. La Sinfonia n. 11 reca un titolo: «Flusso di coscienza», perché da lungo tempo sto ripensando a quel genio di James Joyce. Ogni Movimento dei quattro costituenti il lavoro avrà un suo titolo. Ora sono nel silenzio della mia piccola dimora. Penso alla mia produzione, trovandola sempre genuina ed autentica. Ho cominciato il ventunesimo capitolo del romanzo, che intitolerò «Sinfonia n. 11», perché, da ormai nove anni, le mie parole procedono di pari passo con i miei suoni. Io credo che per me questa corrispondenza biunivoca sia essenziale, per il mio processo creativo. Sento di essere lungo il giusto sentiero, per me ed i miei cari. C'è energia nella mia nuova Musica, nata da un desiderio di vitalità e trasparenza totali. Non ho mai scritto una parola in cui non credessi. Non ho mai ceduto alla tentazione di piacere a tutti i costi. La mia Arte è militante: combatte perché un giorno non troppo lontano, abolito il sistema del turbocapitalismo, si possa tornare ad essere sereni, lieti, gai. Non ho mai voluto che un mio pezzo musicale riscuotesse il plauso dei più. Ho sempre e solo bramato esprimermi, in quanto sto vivendo una storia umana che sento il desiderio di comunicare, in suoni e parole, i vettori artistici che mi tengono compagnia dall'adolescenza. Ora mi congedo. Buon vento, Marineros!».
In rapida successione un altro aggiornamento sull'evoluzione della scrittura:
«Oggi scrivo per comunicare di aver portato alla luce questo nuovo lavoro musicale: la mia Sinfonia n. 11, in Re diesis minore. Era nell'aria un lavoro sinfonico, dacché, mentre stavo scrivendo il mio nuovo romanzo, percepivo dei suoni dall'interno, che ho avuto l'esigenza di immortalare in una partitura vergine. Ognuno dei quattro Movimenti della Sinfonia ha un proprio titolo e l'opera, nel suo complesso, porta il nome di «Flusso di coscienza». C'è un percorso, all'interno di questi agglomerati acustici, un sentiero che muove da una infinità di parole alla dimensione della diversità. L'opera è degna. Lucente. Camminerà nell'arena del ventunesimo secolo come foriera della Nuova Era di Luce. Sono appagato dal mio lavoro. Lo sento sempre più complesso e mio. Mi rappresenta. Io sono i miei suoni e le mie parole, in una trasparenza candida. Nel processo creativo, ho cristallizzato una triade eccedente, un accordo che crea dissonanza, che ho trovato perfetto per descrivere la diversità. Questo accordo torna molte volte, nell'arco della Sinfonia ed il suo intento è quello di creare movimento, dinamismo armonico. Nell'opera, c'è l'orchestra in tutto il suo splendore. Ho inoltre usato diversi strumenti nuovi, come tastiere e chitarre, batterie e pianoforti. Quest'ultimi, in alcuni tratti del lavoro, svolgono quasi un ruolo da solisti, dialogando con l'orchestra. Questa è la mia dimensione odierna. Io non so chi ascolterà questa Sinfonia, ma sono certo che un messaggio lo lascerà a chiunque. La Sinfonia n. 11 - «Flusso di coscienza» intende essere militante, dacché dipinge, a tinte forti, un mondo di differenze, che cozzano con il colore buio del turbocapitalismo imperante. È in corso una battaglia, come afferma il titolo del secondo Movimento dell'opera. È il momento di schierarsi. La mia musica vuole vedere oltre. Non mi accontento di guardare dall'altra parte. Io voglio essere altrove, in un mondo fatto di Verità, Bontà e Bellezza. Questi i miei tre fari. L'opera che affido oggi al web rappresenta pienamente i concetti e le emozioni legate al romanzo che sto scrivendo. Libertà di vergare nuovi lemmi. Libertà di percepire nuovi agglomerati accordali. Libertà di essere. Nel cosmo musicale dell'opera, le dissonanze, usate come vettori, creano un cammino verso un finale armonico pieno di sorprese acustiche. Il ritmo è fondamentale. Ho esplorato nuove combinazioni nel flusso del tempo musicale. La tonalità d'impianto, Re diesis minore, che mi è cara, in quanto è stata l'ispirazione fondamentale della colonna sonora che scrissi qualche anno fa, rivela, con le sue possibili combinazioni armoniche, un universo acustico misterioso, cangiante, che sento particolarmente vicino alle mie esigenze attuali di compositore. L'opera, nel suo insieme, la trovo fortemente comunicativa. Rappresenta bene ciò che vivo in questo Dicembre, con i miei pensieri, le mie idee, i miei valori e le mie sensazioni. Dentro la Sinfonia, c'è tutto il mio mondo, che è un piccolo scrigno, come afferma il titolo del terzo Movimento, lo Scherzo, che, in un tempo ternario, muove da dissonanze per poi procedere verso rassicuranti consonanze. In questo tempo, il pianoforte dialoga con il violino solista e la viola, cristallizzando un moto che procede con rapido passo. Sono lieto della Possibilità che mi dà questo giorno, dopo aver scritto il quarto Movimento e postato la Sinfonia n. 11 nel web. Sono tanti i colori che mi vengono in mente riascoltando l'opera. Tanti i pensieri. Ora lascio la mia Musica in mano a chi vorrà ascoltarla ed esserne partecipe. Questo lavoro sinfonico è nato, da parte mia, con il desiderio di creare linee musicali nuove e belle, con i timbri dell'orchestra classica. Il risultato mi appaga. Questa Sinfonia è piena di movimento, ritmico, armonico, timbrico. È un itinerario della mente. Una storia da narrare. Un inno a chi è differente, come me e le persone che amo. C'è una precisa intenzione, che emerge dai quattro titoli dei Movimenti: «Distesa», «Battaglia», «Scrigno» e «Differenza», che creano, di per sé, un piccolo flusso di coscienza. Si parte da una prateria di parole, si combatte per la propria Identità, si crea un mondo interno da custodire gelosamente per poi concludere con l'affermazione della propria Diversità di essere umano che ha detto un no definitivo all'omologazione alienante. La Vita dipinta dentro le note della Sinfonia profuma di buono. È narrandosi il vero che si inizia a sentire la Bontà. È camminando nel rifiuto delle aberrazioni, che si comincia a percepire il buono. Questa opera vuole essere Luce. Il tessuto della Sinfonia è complesso. La scrittura dei suoni è articolata. C'è la precisa intenzione di rendere alcuni accordi fondamentali, come vere e proprie idee autonome, temi da presentare e rielaborare. La dimensione complessiva del lavoro è significativa: più di un'ora di musica. Parti del lavoro, sono pensate come momenti per pianoforte solista ed orchestra, come un piccolo concerto all'interno della Sinfonia. Sono gli accordi dissoni a creare la sensazione della lotta. Un combattimento che porta l'uomo verso il vero bene: il riconoscimento del proprio mondo interno come creatura da proteggere sempre contro ogni forma di attacco esterno. L'armonia complessiva dell'opera è ricca. È la tonalità d'impianto di Re diesis minore ad avermi suggerito alcune soluzioni, che, forse, in altre tonalità, non avrei immaginato e scorto. Mi sono sentito profondamente ispirato, nel comporre questo lavoro sinfonico. Volevo dire qualcosa e sono convinto di esserci riuscito. Dono ora quest'opera a chi vorrà abbracciarla. La stesura del mio romanzo si è fermata per quattro giorni, perché era per me prioritario dedicarmi ai suoni, in questo momento. Ora riprenderò in mano la mia nuova prosa, incentrando il capitolo, che ho davanti, sulla narrazione della genesi di una nuova produzione musicale. La Sinfonia si chiude con una coda per archi, che rievoca il dinamismo armonico di tutta l'opera e lo dissolve in una cadenza in maggiore, perché, alla fine del percorso, c'è la gioia di sentirsi uomini autentici. Buon vento, Marineros!».
Per concludere:
«Sto pensando a come, vent'anni fa, avevo in testa un modulo compositivo che era in nuce e che solo ora, nella mia Sinfonia n. 11, nata da poche ore, trova piena realizzazione. Sto riascoltando quest'opera prima di prepararmi per andare a cena fuori con la mia compagna per festeggiare la genesi di un questo nuovo lavoro sinfonico. Tanti anni fa, desideravo che il pianoforte si fondesse con l'orchestra. Volevo che le tastiere commentassero le melodie di un violino o una viola. Bramavo che un'orchestra d'archi si muovesse su accordi misteriosi. Prima di comporre, ho immaginato a lungo, specie dieci anni fa, quando scrivevo il mio primo racconto, poi pubblicato da un editore coraggioso. Ora sono nella condizione di saper scrivere segni come lo sognavo. Ora mi sento in grado di fare Arte, traducendo in suoni e parole quello che è in me. Sono soddisfatto della mia Sinfonia n. 11, la sento perfettamente inserita nella mia produzione. Questo lavoro rappresenta appieno la mia crescita musicale. Spero comunichi qualcosa anche ai vari Marineros che navigano nell'oceano del web!».
L'autore aveva accompagnato alla Musica le sue parole, perché voleva che la corrispondenza biunivoca fra i suoi segni non si sfaldasse. Comporre Musica lo aveva emozionato. Ogni mattina, per giorni, aveva scritto suoni. Si era sentito ispirato. La sua mano, lungo le linee delle partiture, non si era mai arrestata, in quel momento storico della sua Vita. Aveva creato con fluidità. Aveva sentito linfa buona scorrere nei suoni che immortalava nei quattro Movimenti della Sinfonia. Riascoltando più volte il nuovo lavoro, non gli era passata la voglia di far risuonare quei suoni a lungo in tutta la sua casa. Si era innamorato della sua composizione. Forse la più complessa mai scritta, da un punto di vista armonico. Forse la più rappresentativa del suo stato di artista. Forse la più matura. Della Sinfonia, Seán apprezzava particolarmente l'uso delle dissonanze, che facevano muovere in avanti la narrazione musicale. All'autore era mancato anche scrivere parole nel suo romanzo, ma sapeva che sarebbe tornato ad occuparsi di esso non appena donata al web la sua nuova Sinfonia n. 11 - «Flusso di coscienza», i cui Movimenti, come detto, recavano altrettanti titoli. Il primo Movimento era intitolato «Distesa», il secondo «Battaglia», il terzo, lo Scherzo, «Scrigno», il quarto e conclusivo «Differenza», in onore del club dei differenti, di cui l'autore faceva orgogliosamente parte. Anche le indicazioni metronomiche era state pensate con grande attenzione. Tutto, all'interno di quella sua nuova composizione, era perfetto. Una creatura armoniosa. Bella. Forte. L'uomo aveva imparato che un essere umano è ciò che fa. Lui creava e quindi era un artista. Non c'erano altre considerazioni da fare. La Sinfonia n. 11 - «Flusso di coscienza» recava agli uomini il messaggio della Possibilità, come tutte le opere di Seán. L'uomo pensò al suo Máistir, che sarebbe stato lieto di ascoltare la sua nuova composizione. Gli scrisse, in una mattinata illuminata da un timido Sole nascente, spedendogli i quattro file dei Movimenti della Sinfonia, in formato mp3. L'artista si sentiva davvero bene. Era felice. Non doveva avere più paura di pronunciare quell'aggettivo. La Felicità non gli doveva incutere più alcun timore. Quando sei nella tempesta per troppi anni, temi anche il bene, credendo di non poter reggere la realizzazione di essere gaio. Invece, l’uomo desiderava essere lieto, con picchi di gioia, dall’esatto frangente in cui aveva realizzato di essere un membro della tribù della Luce. Quella mattina, l’artista era appagato dai suoi sforzi creativi. Nel silenzio della mattina, con il viale che, progressivamente, si stava popolando di allegre signore anziane che passeggiavano, l'autore riprese a dedicarsi alla sua nuova prosa, incentrata sulla descrizione attenta e meticolosa della sua nuova Musica. Ripensò a Crón e a Damien, suoi autentici Amici. Della sua cara sorella spirituale, l'uomo ricordò la grazia e si chiese se la Sinfonia n. 11 le sarebbe piaciuta. Di Damien, che gli aveva scritto la sera prima, rimembrò il candore e l'indomabile spirito da combattente. Era in attesa di una riposta da parte del suo Maestro. Le sue parole sarebbero state di sicuro illuminanti. Era importante, per il compositore, che il suo Máistir ascoltasse il suo nuovo lavoro sinfonico. L'uomo teneva in massima considerazione i commenti del suo Maestro. In fondo, senza quell'antico signore, il giovane ragazzo ribelle di Belfast non avrebbe mai cominciato a prendere sul serio l'ipotesi di diventare un vero musicista. Seán sapeva di dover molto al suo mentore, che non gli aveva solo insegnato l'Arte della composizione, ma lo aveva anche aiutato molto a livello umano. Inaspettatamente, dopo quasi due ore, giunse la risposta del suo grande insegnante. L'anziano signore aveva ascoltato tutta la Sinfonia, mentre faceva la sua ginnastica mattutina. Queste le sue parole:
«Buongiorno, Figliuolo! Che bello avere tue notizie! Allora, ti aggiorno: io sto sempre meglio, combatto ancora con alcuni malanni, ma credo che il peggio sia passato. Stamattina, non appena mi hai inviato la tua Sinfonia, mi sono messo ad ascoltarla, durante i miei esercizi giornalieri e devo dire che l'ho trovata davvero meravigliosa! Hai talento, Seán, hai sempre avuto qualcosa da dire. Mi piace molto il modo in cui scrivi le dissonanze. Gli accordi, così concepiti, creano molto dinamismo. È estremamente convincente l'uso dei timbri dei vari strumenti. È incalzante il ritmo, vivace e forte. Questo tuo nuovo lavoro sinfonico brilla, anche perché ha un suo concept, che gli deriva dal titolo: «Flusso di coscienza» e si articola all'interno delle definizioni dei quattro Movimenti, in un percorso che va da un punto A ad uno B. Ormai, usi l'accordo come tema. Le melodie sono, di fatto, frutto della successione orizzontale dei vari agglomerati accordali. È una tua esigenza di scrittura, che ti sta accompagnando nella tua fase matura. La mia opera lirica procede bene. La sto componendo con grande slancio e mi sento vivo. Ti invio adesso un'aria del primo Atto. Scrivendo, ho bene in mente la Bellezza della nostra Landa. Ah, dimenticavo: grazie di avermi introdotto nel club dei differenti, ne sono molto onorato! Del resto, Seán, come avremmo potuto accontentarci di accumulare ricchezze e consumare fino a crepare? Non era per noi. Noi abbiamo sempre visto oltre. Ci ha sempre affascinato l'idea di tendere all'infinito, come poeti del Romanticismo... Quindi, in poche parole, bravo davvero per la tua Sinfonia n. 11! Continua così, poi, quando hai tempo, spediscimi pure qualcosa del tuo nuovo romanzo, lo leggerò con attenzione! Ciao, buona giornata!».
Seán lesse la mail del suo Maestro con Amore. Amava quell'uomo come aveva amato suo padre. Era felice di saperlo bene. Era contento di poterselo immaginare ancora molto attivo. Corse ad ascoltare l'aria che il suo Máistir gli aveva spedito. Scaricò l'allegato in formato mp3. Si mise nella miglior posizione di ascolto, con le cuffie alle orecchie e fece partire la Musica. Un grande agglomerato accordale di archi e fiati, in un tempo largo. Una risposta degli ottoni. Una piccola melodia di corno inglese. Un cambio di ritmo. L'inizio di un allegro sfrenato. Una pioggia di note. Il ritorno del Tempo I e la coda degli archi, in una dissoluzione lenta e progressiva. All'artista piacque molto quel brano. Lo avrebbe scritto al suo Maestro nella mail successiva. Il suo club dei differenti stava combattendo. Nessuno era fermo.
22° Stralcio
Requiem
Seán si svegliò presto, il mattino seguente. Sapeva di dover scrivere. Si preparò il caffè e si lavò il viso, indossò la sua confortevole tuta grigia e accese il Mac, mentre fumava la sua prima sigaretta della giornata. Ancora non era in grado di affermare nulla sull'evoluzione della sua stesura, ma sentiva che, scrivendo, gli sarebbero venute delle idee, dacché era sempre stato così, per lui, e sempre sarebbe stato. Lasciò la riga del titolo del capitolo vuota, visto che non aveva ancora scelto una tematica da trattare nella nuova unità compositiva. Fuori, il viale era ancora avvolto dalla tenebra notturna, che rendeva nulla la visione delle cose. Il desiderio di comporre lo avvolgeva. Il giorno prima, ad un certo punto, gli era venuta in mente la Possibilità di scrivere un Requiem ed il progetto gli era sembrato molto buono. Aveva la necessità di ricordare almeno due persone importanti, antesignane della Nuova Era di Luce: suo padre, morto sei anni prima e Crón, venuta a mancare qualche mese prima. L'idea del Requiem gli piaceva molto, perché gli donava l’opportunità di guardarsi dentro con uno spirito di Verità davvero disvelante, che sentiva fondamentale, all'interno della propria Psiche. Era pur vero che lui avesse scritto molto, nel corso della sua storia, per suo padre e che avesse dedicato una Sinfonia alla sua sorella spirituale, ma un Requiem rimaneva comunque la realizzazione di un'opera a sé stante. Era un saluto definitivo. Un modo per lasciar andare il passato e tornare a pensare al presente. L'uomo stava analizzando, in sé, l'esigenza di comporre quel tipo di Musica. A livello formale, ciò rappresentava una vera e propria sfida, dacché l'artista non si era mai cimentato prima in una produzione di quel genere. Per quanto riguardava la significazione, invece, l'autore sentiva di avere molto da dire. Il suo Requiem avrebbe dovuto essere bello. Stava pensando, dal giorno prima, alla forma dell'opera. Avrebbe potuto usare un testo latino da mettere in musica, ma l'ipotesi non lo convinceva. Dividere poi l'opera in tanti brani distinti, che seguissero la sequenza di un testo, non era, in quel momento, nelle sue corde. Pensò, tuttavia, alla Possibilità di concepire una composizione solo strumentale divisa in quattro tempi, ognuno dei quali con un titolo. Questo lo ispirava molto di più. Pensava già che il primo Movimento o il quarto si potesse chiamare «Lux aeterna», che gli ricordava un bellissimo pezzo di Gyorgy Ligeti, uno dei suoi compositori preferiti, padre della micropolifonia. La tonalità d'impianto, che lo stimolava di più, rimaneva, in quel periodo, Re diesis minore. L'artista già si era immaginato l'esordio dell'opera: una nota lunga cui seguiva un accordo dissonante. Era una immagine sonora davvero potente, che si era manifestata il giorno prima, mentre cercava di focalizzare meglio la natura di una composizione la cui stesura, per lui, rappresentava un vero e proprio banco di prova. L'uomo si sentiva pronto. Il suo Máistir, tanti anni prima, gli aveva chiesto: «Ma uno come te di che cosa deve avere paura?»... Aveva fatto, nel corso degli ultimi anni, tante cose nuove. Aveva scritto un racconto non sapendo da dove iniziare. Aveva scritto una sceneggiatura per Cinema non avendo la minima idea di come fare. Aveva composto una colonna sonora chiedendosi come rappresentare con i suoni le scene del film. Si era prodotto nella successione di ben undici Sinfonie non avendo mai composto prima di allora un lavoro così articolato. Era tutte le sue prime volte, come diceva spesso la sua compagna. Il compositore era nella condizione di avventurarsi per sentieri vergini e sconosciuti. Non doveva temere. Non doveva vacillare. Non avrebbe permesso a niente e nessuno di deviare il corso del suo processo creativo. L'autore era vicino alla fine della prima pagina del nuovo capitolo. Si concentrò. Congiunse le mani davanti al monitor del suo computer. Stava attendendo la Luce del nuovo giorno. Venne rapito da una forte sensazione di neve. In quel periodo, c'era neve ovunque. Il candore lo avvolse. Voleva un Natale all'insegna della Bellezza. Sarebbe stato con suo figlio. Aindreas lo avrebbe contagiato con la sua naturale vivacità. Lui ne sarebbe stato felice. L'ipotesi di scrivere un Requiem diventava sempre più robusta, in lui. Voleva farlo. Desiderava cimentarsi. Fece un tiro di sigaretta e riflesse. C'era bisogno di un Requiem per celebrare gli antesignani della Nuova Era di Luce... Il mondo altro che sarebbe giunto, aveva la necessità di sapere che per tutti c'era la Possibilità di essere ricordati come Lucenti. La nuova epoca avrebbe avuto salde radici. Avrebbe celebrato i suoi fondatori. Nessuno sarebbe caduto nell'oblio... L’autore sorrise, dacché quelle sue parole gli facevano bene al cuore. Gli scaldavano l'anima. Lo rinfrancavano dopo tanti sforzi vissuti per giungere nella posizione del sentiero in cui era. «Non lontano dalla gioia!» si disse l'uomo, certo che un giorno si sarebbe svegliato un nuovo mondo, ove la violenza fosse stata bandita, per non tornare mai più. Sognava un cosmo fatto di uomini lieti, abbracciati, gli uni agli altri, in uno slancio fraterno. Lui voleva avere memoria di tutto quello che era stato. Non poteva permettere che l'immagine di suo padre e della sua meravigliosa Amica naufragasse in un mare di ricordi sempre più sbiaditi. Non avrebbe mai accettato che quelle due Vite venissero dimenticate. Non avrebbe mai tollerato che il messaggio d'Amore e vitalità, creato da quelle due potenti menti, potesse perdersi nei meandri di una routine alienante escogitata da un sistema di potere disumano. C'era bisogno di rimembrare. Non si doveva cancellare tutto il bene. Era tempo di edificare un nuovo tempio con fondamenta stabili e forti. Quindi, l'idea di un Requiem aveva senso. L'uomo aprì le finestre. Fece entrare aria fresca e pungente. La Luce del nuovo giorno era bellissima, nonostante le nuvole. L'artista non avrebbe mai accettato l'idea che la propria Arte fosse mediocre. Nel web, leggeva di tanti pseudo-artisti, con i loro prodotti, e, spesso, provava una forte repulsione nei confronti di quei presunti geni. Il capitale sponsorizzava la propria merce, la incensava, la proponeva a tutti. L’artista, invece, sapeva bene dove abitasse l'Arte ed era consapevole che non dimorasse presso i palazzi dei potenti. L'autore si era messo all'opera. Aveva composto un brano musicale che aveva chiamato «Lux Aeterna», concepito come il primo Tempo del Requiem che aveva in mente dal giorno prima. Stava riascoltando il suo pezzo, quando gli venne in mente di scrivere della mediocrità, che è sempre rubare a qualcuno qualcosa. Non esplorare. Non avventurarsi, preferendo un qualcosa di banale, scontato, falso. Il ventunesimo secolo, a parte rare eccezioni, era iniziato con una notevole produzione di merci fasulle che il potere intendeva ergere a grandi opere d'Arte. L'uomo era sconsolato, quando pensava a tutto ciò. Non avrebbe mai considerato la propria Arte una merce, un passabile momento di rilassamento e svago: la propria produzione era impegno e sentimento autentico. Ricordò di come Chopin venisse considerato “musica da salotto” e sorrise amaramente, dacché, in tutte le epoche, fare vera Arte era stato sempre un compito per pochi. Il compositore sentì il bisogno di bere dell'acqua, andò in cucina, con le idee in subbuglio, per aver toccato una tematica tanto delicata come quella dell’autenticità dei propri lavori. Nessun artista è uguale all'altro, come nessun uomo potrà mai definirsi identico ad un altro. C'era in ballo il vissuto, le emozioni provate, le tappe del sentiero che conducevano una persona ad essere e creare. Seán, c'è da dire, non aveva mai voluto assomigliare a nessuno. Aveva un Gotha, nel quale erano presenti tanti artisti, ma non si sarebbe mai sognato di copiare qualcuno del passato o del presente. Lui desiderava che la propria Arte brillasse di Luce propria, come una stella. Si accese una sigaretta. Era normale, tuttavia, che l'uomo traesse ispirazione da un quintetto di Brahms o dalle parole di Joyce. L'autore non accettava la mediocrità, che lo avrebbe ucciso ad ogni piè sospinto. Il terzo millennio era cominciato con l'assassinio dell'atto creativo. La demolizione del salto dell'intelletto. Chi voleva fare Arte era relegato al ruolo marginale di comparsa, nello sterminato palcoscenico del grande fratello globale, dove si preferivano signorine discinte a poeti, l'uso di una certa pornografia a chi perdeva il sonno per comporre inni alla Vita. Il messaggio complessivo che giungeva alle persone era alienante: meglio sfondare con poco talento, che creare vera Arte in un angolo sperduto del mondo, facendo la fame. Era il famoso mondo alla rovescia, descritto abilmente dalla sua Musa. Il ribaltamento dei valori. La crocifissione dell'Arte... L'autore stava riascoltando la sua «Lux Aeterna», che gli sembrò bella, affascinante, lunare. Erano suoni per coloro che non possono udire più. Era un abbraccio definitivo e consolatorio. Era la confessione di tutto ciò che non si era mai detto ad una persona che, purtroppo, non avrà più occasione di ascoltare. L'uomo era fiero della propria creazione. Non avrebbe mai permesso che qualcuno potesse affermare che la sua Arte fosse banale. L’artista avrebbe voluto pronunciare alcune parole essenziali in un dialogo profondo con suo padre e la sua Amica, con l’intenzione di affidar loro un messaggio sacro ed inviolabile, ma non gli era stato possibile. Poteva solo augurarsi che quelle due persone così importanti avessero intuito ogni particolare della vita che lui stava conducendo, alla ricerca della Luce. Avrebbe difeso i suoi lavori dagli attacchi. Era perfettamente consapevole della portata rivoluzionaria della sua opera omnia. Sapeva bene quanta fatica avesse compiuto per giungere fino al punto di creare parole e suoni tutti suoi. Aveva camminato per quarantatré anni, per i sentieri più irti e scoscesi. Aveva mangiato la polvere. Si era quasi dissanguato, lungo il tragitto, in una tempesta assassina. Era consapevole di quanto fosse prezioso il nettare dei suoi segni d'Arte. Aveva completato il secondo ascolto di «Lux Aeterna» e gli sembrò che, al brano, mancasse una coda finale, che generalmente scriveva per archi. Il pezzo iniziava con due bellissimi accordi degli ottoni, cui seguiva una nota lunga dei violini e due agglomerati dissonanti degli archi tutti, accompagnati da timpani e piatti. In «Lux Aeterna», nella stessa tonalità della Sinfonia n. 11, erano presenti moduli e costrutti che l'artista aveva usato anche nel suo ultimo lavoro orchestrale dato alla Luce il giorno prima. Era quindi davvero evidente l'influsso della sua Sinfonia, di cui, probabilmente, il Requiem era figlio, perlomeno da un punto di vista armonico. L'uomo, in «Lux Aeterna», aveva scritto una unità per organo, uno strumento che raramente usava e che gli restava di difficile interpretazione. Tuttavia, il risultato gli parve buono. Era soddisfatto. «Lux Aeterna» era un bel brano. Lo aveva sognato delicato e misterioso. Gli si era plasmato fra le mani come intenso e avvolgente, una preghiera laica. Avrebbe voluto dire tante cose a suo padre, se non fosse morto in una gelida giornata di un Gennaio arcigno di anni prima. Gli avrebbe voluto raccontare come aveva vinto. Come era diventato un uomo. Come volesse provare ad essere felice. Avrebbe voluto abbracciare la sua Amica Crón per comunicarle con quanto entusiasmo stesse vivendo nella dimensione intrapsichica della Nuova Era di Luce, ma una sorte, feroce e carnefice, non gli aveva dato tempo, né con suo padre, né con la sua sorella spirituale. Tuttavia, lui sentiva di affidare al vento un messaggio, con la sua Arte, con i suoi segni maturi e consapevoli... Alla fine, quello che importava era che Seán fosse pienamente cosciente del fatto che i suoi due antesignani sarebbero stati molto fieri di lui. Lo sentiva nella pelle. Lo percepiva nella profondità del proprio essere uomo. I legni e gli ottoni giocavano a dialogare: «Lux Aeterna» era un lavoro ben fatto. Al terzo ascolto consecutivo, l'uomo si sorprese a riflettere. I suoi pensieri vagavano. La Nuova Era di Luce la stava vivendo in autonomia, nella sua condizione di solitario, fra le pieghe di giornate dedite alla creazione e alle sue passioni. «Chissà che ne penserà Sinéad?» si interrogò curioso l'uomo, che, ai commenti della sua Musa, conferiva la massima considerazione. Erano le ore tredici. L'uomo sentì di aver fatto abbastanza per quel giorno. Si sarebbe dedicato alla casa e alla preparazione di una cena con i fiocchi. Non riusciva a smettere di ascoltare «Lux Aeterna». Rimase qualche secondo in silenzio. Fece una pausa. Durante il pomeriggio, ebbe l'intuizione di continuare il Requiem con un brano intitolato «Dies irae», di cui aveva già immaginato l'esordio, in 4/4, in Si bemolle minore, con una successione rapida di note degli archi. La mattina dopo, si svegliò col buon umore, e, dopo il caffè, si mise a scrivere. Amava il silenzio della mattina, che lo aiutava a cristallizzare le sue idee. Pioveva, quel giorno. L'autore fece la sua solita passeggiata, e trovò il fiume Corrib con una grande portata d'acqua. Iroso. Temibile. Selvaggio, come la natura più intima della sua Landa. L'uomo osservò le decorazioni natalizie e le luminarie. Gli mettevano allegria. Lui, così austero, aveva bisogno di qualcosa che lo facesse costantemente sorridere e la città addobbata a festa rivelava, in lui, qualcosa di remoto, che aveva vissuto da bambino, in qualche circostanza lieta. Il viale era quasi deserto. Molti ancora dormivano. Mancavano dodici giorni al suo viaggio a Cork. Desiderava stare bene con sua madre e suo figlio. Voleva calore intorno a sé. Non avrebbe per nulla al mondo rinunciato alla festa, che era occasione per essere felici e ricordarsi quanto la Vita sia davvero bella. L'uomo ripensò a tutte le relazioni tossiche che aveva tenuto in piedi nella sua esistenza, nella speranza che qualcosa cambiasse. Nel tempo, le persone non erano migliorate, mostrando, brutalmente, quello che realmente erano: delle unità psicotiche che vagavano per il mondo inquinando coloro con cui entravano in contatto, in una spirale mortifera. L'artista era saturo. Non avrebbe mai più avuto a che fare con gli irrisolti, non-uomini che procuravano sofferenza. Seán era determinato. Al primo segnale di contorsione mentale, mollava il suo interlocutore, congedandosi con classe. Aveva verificato quanto la sua Vita fosse migliorata, da quando era rimasto senza nessuno che gli rubasse energia psichica. Aveva visto quanto l'esistenza diventasse più sana. I pensieri più belli. Le azioni più pulite. Non avrebbe mai rinunciato a quello stato di cose. La ricerca della purezza passa attraverso l'eliminazione drastica di tutto ciò che è patogeno. È come dare ossigeno. Come acqua per un albero. Energia mentale. L'autore pensò a quante persone aveva lasciato lungo il cammino. Erano davvero tante. Non le avrebbe recuperate mai. Anche quello rappresentava una crescita. Lui aveva operato una scelta ben precisa: mai più con i patologici. Se ne stava solo, nella sua piccola dimora, certo che la sua decisione fosse dettata da un profondo desiderio di Bontà. Sosteneva la propria solitudine, non ne avvertiva il peso, dacché essa era piena, ricca di contenuti... Alla fine, nel club dei differenti, lui ci stava benissimo. Il compositore aveva scritto trentadue battute dell'inizio del «Dies irae», che gli parvero belle. Archi, legni ed ottoni, in questa precisa successione. L'idea di Seán era quella di alternare quella unità allegra con una piccola unità in un adagio sentito, con delle ripetizioni, il cui numero gli era ancora ignoto. Avrebbe deciso la dimensione del brano riascoltandolo. L'uomo, certe volte, si guardava indietro. Vedeva un campo di battaglia dove si erano smarrite tante persone. Vedeva sé in grave difficoltà. Vedeva un popolo che si era fatto soggiogare dal male... Dopo la tempesta, era stato sbalzato dalle onde su una spiaggia incontaminata e lì aveva ripreso fiato. Lì, gli era apparsa la sua Sinéad, in tutto il suo splendore di Musa. Lì si era innamorato dell'esistenza, giurando a se stesso che avrebbe provato a star bene con tutte le risorse di cui era a disposizione. Era stata la sua compagna a trasmettergli la Possibilità di essere felice. Era stata lei a curarlo ed amarlo. Era stata lei ad insegnargli a vincere, perché, quando inizi a farcela, ogni cosa ti appare diversa.
23° Stralcio
Vuoto
Nel pomeriggio, scrisse questo post nel suo sito personale, dal titolo «Suoni per gli assenti»:
«Oggi comunico al web la nascita del mio Requiem. Sono trascorsi diversi anni da quando ho perso mio padre e, ultimamente, è venuta a mancare anche una mia carissima Amica. Questa composizione nasce dalle viscere della Sinfonia n. 11, di cui è figlia per molteplici ragioni. La tonalità d'impianto, innanzitutto, quel Re diesis minore che mi sta accompagnando da molto tempo, nella stesura di opere complesse che si riverberano in me con forza e vigore. C'è anche un uso particolare del pianoforte, che, sebbene si muova su un tessuto nato nel Romanticismo, ha molto di attuale. Il Requiem vuole essere un ponte fra i vivi e coloro che hanno abbandonato questa esperienza terrena. Da parte mia, è un inno che vuole celebrare la possanza delle immagini interne di coloro che hanno esaurito la loro esistenza. Penso a tutti. Credo che sarebbe opportuno fermarsi a ricordare. Il Requiem nasce dalla medesima spinta propulsiva del mio ultimo lavoro sinfonico e ne è virgulto in un modo così intimo da sembrare un naturale prolungamento sonoro della Sinfonia n. 11. Sto ricercando risposte. Sto chiudendo un ciclo durato nove anni. I miei segni d'Arte vivono nella trasparenza, come cristalli. Avevo la necessità di scrivere quest'opera già da tempo, ma il mio stato d'animo non era ancora pronto per comporre suoni di questa natura. Nella mia mente il Requiem di Mozart ed alcuni lavori di Ligeti. Mi sento leggero, ora. Dono al web un mio nuovo lavoro a poche ore dalla conclusione della Sinfonia n. 11. La Vita è così ricca che ci sono sempre nuovi segni d'Arte della cui portata esperire la consistenza. Oggi il mio sentiero mi ha portato fino a qui. La Musica è mia fedele Amica. Il romanzo è giunto a pagina 225 e presto inaugurerò il 23° capitolo. Nel primo Tempo del Requiem, si muove aulico un organo. Raramente scrivo per organo, sebbene sappia quanto fosse caro a Bach. Anche questa è una sperimentazione, che spero risulti degna. Il passo del Requiem è scandito da ritmi che si alternano, ora in tempi adagi, ora in successioni rapide. L'idea complessiva del lavoro è quella di una intima connessione col proprio passato, di cui si rimembrano tutte le persone autentiche che hanno contribuito, con parole ed esempio, alla costruzione di un'Identità sana. Non avrei saputo comporre il Requiem in un altro modo, ora. Questi suoni mi appagano. Li sento miei. Li sento veri. Li percepisco vettori del mio pensiero e della mia immagine interna. Nel secondo Tempo, il «Dies Irae», c'è un tema cantabile, perché questo lavoro tende alla vittoria. Le armonie, che si susseguono, sono frutto di un'accurata scelta. Suoni vibrano. Si diffondono nell'aria. Recano un messaggio. C'è un percorso che riconduce l'uomo alla sua innata tendenza a ricordare persone, attimi di folgorazione, luoghi, circostanze. Tutto questo dimora nel mio Requiem. Voglio rimembrare con cura ciò che è stato, per vivere nella Bellezza. Credo di aver fatto tutto bene. Sono stato mosso da spirito di Verità. Ho sublimato le percezioni potenti di una esistenza condotta sempre desiderando il bene. Sento di essere pronto per una nuova epoca, quella della Nuova Era di Luce, che rappresenta per me, in primis, una dimensione intrapsichica di gioia collettiva, grazie alla quale, un giorno che spero non troppo lontano, le persone scenderanno in piazza abbracciate e canteranno un nuovo inno alla Bellezza. Mi sono voltato e ho riconosciuto coloro che mi hanno amato. Quelli che giubilavano per le mie vittorie. Non li dimenticherò mai. Ora sono anche grazie al loro affetto. Il terzo Tempo, «Lacrimosa», nasce dal ricordo del Lacrimosa del Requiem di Mozart, una pagina che mi ha sempre colpito per la profonda Pulcritudine. Tuttavia, la mia composizione non la emula, tracciando un altro solco. La composizione è viva. Questi suoni li riconosco come laterizio di una costruzione interna cui prendo parte ogni giorno, fra le diverse intuizioni che animano il mio cammino. Nel «Lacrimosa», c'è un uso particolare degli ottoni, il cui squillo si riverbera nell'aria. Sono davvero lieto della Possibilità che ho, in questo tempo storico, di scrivere ciò che sento, su cui rifletto con attenzione. Sono molti i pensieri che si affastellano nella mia mente, tanti i ricordi di persone speciali che mi hanno reso davvero ciò che sono oggi: un uomo libero. La rimembranza è dolce. L'intenzione di continuare a stare bene ferrea. I suoni, in alcuni tratti della composizione, paiono portare alla luce un interrogativo. Nel quarto Tempo, il «Tuba Mirum», c'è un esordio affidato alla prima tromba, cui, nel giro di poche battute, rispondono tutti gli ottoni. Il meraviglioso suono della tromba si diffonde ovunque. Questo vuole dire la frase affidata a questo splendido strumento. Un timbro pieno, rotondo, dolce, si muove su un tessuto ricco, che cede il passo ad agglomerati accordali degli archi che riempiono tutto lo spazio. Il lavoro è ben fatto. Non aggiungerei o toglierei una sola singola nota. È qualcosa che mi rappresenta. È mio. È comunicazione profonda. Il ritmo che si sviluppa nel corso della composizione descrive diversi stati d'animo, per tendere ad una conclusiva pace. Riascoltando il Requiem ho avuto diverse riflessioni da fare. Mi ha comunicato molto. Nel «Tuba Mirum» c'è una tastiera, che accompagna la tromba solista, ad un certo punto. Oggi si apre, per me, un nuovo periodo, che mi porterà a Natale fra le braccia di mio figlio e di mia madre. Ho impiegato nove anni a descrivere, con i segni d'Arte, ciò che avevo vissuto nei 34 anni precedenti. Ora guardo verso il futuro. Ora mi congedo da tutto ciò che è stato. Porto con me tutte le persone buone che ho incontrato e lascio tutti coloro che, invece, hanno voluto operare il male. Sono lieto di poter alzare la testa, osservare l'oggi e sognare un domani pieno di gioia. Questi ultimi nove anni sono stati pieni di vittorie, cosa che mi ha insegnato ad essere felice. In questo Requiem c'è tutto ciò. C'è lo slancio di un uomo che non si è dato mai per vinto. C'è l'Amore per i propri cari. C'è il desiderio di vivere nella Verità. I miei lavori li percepisco sempre più pieni di idee e di emozioni, sorretti da una costruzione generale fatta di segni che vibrano di una propria Bellezza. La Poetica delle mie opere è ricca. Non c'è spazio, qui, per le menzogne del sistema. Non ci sono mistificazioni. C'è solo un individuo davanti a se stesso e la propria Identità di creativo. Con la Sinfonia n. 11 e il Requiem porto alla luce due lavori conclusivi, che tracciano il sentiero di una nuova concezione della mia Arte. Lo stile si è raffinato. La forma è sempre più capace di sorreggere il contenuto. Io sono fiero. Non scambierei i miei segni con quelli di nessun altro: sarebbe come rinnegare la mia storia personale, che mi ha fatto giungere alla creazione di questi suoni. Nel romanzo, c'è un capitolo dedicato al Requiem, dacché i miei suoni vanno di pari passo con le mie parole. Ho fatto abbastanza per oggi. Ho scritto qualche pagina della nuova prosa e ho postato il mio Requiem. Mi auguro che questo lavoro possa comunicare qualcosa di originale a tutti coloro che lo ascolteranno. Buon vento, Marineros!».
Con queste parole chiudeva un ciclo durato nove anni, incentrato sulla rielaborazione costante del suo vissuto, passato e presente, aprendosi alla novità del futuro, di cui non sapeva nulla, se non che l'avrebbe accolto con Amore e fiducia. Era convinto, in base alle sensazioni che aveva provato componendo il Requiem, che esso rappresentasse uno spartiacque, dopo il quale non sarebbe stato più lo stesso. Con quell'inno a chi non c'era più, lui affidava al mondo nove anni di vita artistica, per poi guardare oltre, in una nuova vibrazione, con una nuova frequenza della Psiche... Il mattino seguente, si svegliò presto, quando il viale era ancora buio. Aveva sognato suo padre, nel corso della nottata. Se lo era immaginato mentre si abbracciavano con forza. Era contento. Aveva affrontato tutto il suo vissuto, con suoni e parole ed in quel momento poteva provare a costruire qualcosa di fresco e appagante. Era stato in grado di sublimare ogni fase trascorsa. Era nella condizione di vivere. Aveva impiegato vent'anni per uscire dalla tempesta e nove per raccontare la sua storia con segni d'Arte. Bevve il suo adorato caffè amaro. C'era una nota di trionfo, nel suo umore. Sapeva di avercela fatta, conscio del fatto che avrebbe lottato in ogni successiva sfida. Si accese una sigaretta. Non era mai stato in quella situazione, prima d'ora. Era nudo di fronte ad un destino che avrebbe forgiato con la scelta di atti magnifici. Voleva correre da tutte le persone del suo nucleo ad annunciare loro quella sua nuova posizione lungo il sentiero. Era davvero soddisfatto. Mentre aveva scritto, in quegli anni, non si era preoccupato della fine del processo di rilettura del proprio passato. In quel momento, invece, sentiva che non avrebbe più scritto nulla della tempesta, del sistema e delle sue difficoltà, che, forse, sarebbero rimasti come tematiche da ricordare, ma nulla di più. Vergando segni d'Arte, si era congedato da tutto quello che non c'era più. Non sapeva ancora bene come fosse giunto a quella conclusione, ma il suo cuore gli diceva di scrivere parole nuove per una Vita vergine, ancora da esperire. Era davvero una novità, per lui. Era così abituato a scrivere del suo passato, da non credere alla opportunità che si era maturata negli anni: vivere per il presente. Creare per ciò che sarebbe stato. Attendere la Luce di una nuova aurora. Il Requiem gli aveva dato quella Possibilità. Aveva salutato tutti. Si era congedato, portando con sé tutte le immagini delle persone buone che aveva incontrato, sbaragliando, con rifiuto dell'idiozia, una folta schiera di maschere. Era lindo. Nudo, davanti al suo futuro, a braccia aperte. Certo della sua Identità. Le parole da scrivere gli parvero tante. Voleva chiarire in sé quel nuovo concetto, ma sapeva che lo avrebbe vissuto nel tempo e che, con il volgere delle ore, quell'idea avrebbe contribuito a rendere speciale lo scorrere del tempo. Per quel momento, non restava che gustarsi la sensazione di aver chiuso un ciclo. Non aveva ben chiaro cosa avrebbe fatto, se non che si sarebbe dedicato alla scrittura, come potente strumento per una analisi progressiva sempre più approfondita della sua interiorità. Era il giorno dopo la nascita del Requiem. L'autore era in cerca di lemmi sinceri che rappresentassero appieno quello che stava percependo. Il mondo gli sembrava così psicotico... Le istanze della gente inascoltate. I diritti dei bambini costantemente schiacciati sotto il peso di un sistema che non si occupava più dei suoi cuccioli. Il potere era alla deriva. Seán, questo, lo sapeva molto bene. Cosa sarebbe successo quando il sistema avrebbe collassato su se stesso, crollando a terra come un mostro morente? Questo, ancora, non lo sapeva nessuno, neanche il miglior economista del mondo. L'uomo sentiva che avrebbe corso il serio rischio di essere testimone di una svolta epocale. Questa sua percezione non aveva dati oggettivi di realtà a corroborarla, ma solo una voce interna che gli proveniva dall'intuito. Non aveva deciso ancora il titolo del nuovo capitolo, ma aveva osservato come si stesse modellando come un ponte, un tratto di sentiero che conduceva da A a B. Aveva gettato il suo cuore oltre ogni forma di ossessione e possesso, era entrato nella dimensione della Possibilità, aveva ricostruito la propria immagine interna partendo dalle cose buone che, durante la tempesta, avevano corso il rischio di perdersi fra i flutti più perigliosi. Era salvo. Probabilmente, altre difficoltà lo attendevano, ma, in quel momento, lui sapeva di avere delle risorse. Non era più un ragazzino nelle fauci del sistema. Era un uomo. Era un creativo. Era un Lucente. Era cresciuto come individuo. La Nuova Era di Luce imponeva la conoscenza delle proprie radici, ma offriva l'opportunità di aprirsi al nuovo, al futuro, alla percezione interna di una gioia che non lasciava mai l'individuo da solo, nell’abbraccio con i propri cari. «Ecco cosa ho dovuto fare io per resistere alla tempesta: mi sono costruito un mondo in cui essere salvo!» scrisse l'uomo, su un post-it, che affisse al frigorifero, come monito. L'autore ricominciò a scrivere la sua nuova prosa. Il romanzo che stava sviluppando gli piaceva molto. Lo considerava un compendio di tutto quello che aveva imparato a pensare e sentire. Era conscio della difficoltà della sua scrittura, che non voleva essere il diario di pose pseudo-artistiche, ma autentica rivoluzione, braccio proteso verso un futuro radioso... Inoltre, il suo componimento rappresentava anche un racconto delle conquiste di una mente artistica, cosa che inorgogliva l'autore. Quello, che, all'inizio, era solo un racconto breve, era cominciato con la chiusura di una Sinfonia e si era costruito sulla descrizione di una serie di brani musicali davvero portentosa. La scrittura del romanzo e la Musica dell’artista stavano evolvendo insieme. Scegliere le parole da immortalare gli faceva bene. Sentiva che era una operazione sana. Sapeva guardarsi dentro. Non temeva. Era consapevole che la ricerca fosse infinita. Era conscio del fatto che non avrebbe finito mai di sorprendersi. Di amarsi. Di essere lieto. Ogni giorno, potenzialmente, gli offriva l'opportunità di fare bene e star bene. L'uomo aveva superato la metà della pagina. Si guardò indietro e lesse i suoi ultimi periodi. Sapeva che erano dettati da Verità. Lui non desiderava niente di meglio per la sua Vita. Si sentiva davvero bene. Era convinto di saper amare tutte le persone del suo nucleo fondativo. La giornata era plumbea. L'odore della neve si diffondeva nell'aria, sebbene tutto fosse immobile, in attesa di un qualche fenomeno che scatenasse gli elementi di Madre Natura. Gli alberi, completamente spogli, sembravano quasi neri. L'uomo decise che avrebbe fatto la sua solita passeggiata. Si vestì ed uscì. Tornò a casa pensando alla sua Sinéad, all'Amore che lei aveva infuso nella sua Vita. Si sorprese a sorridere, dacché lei era il suo pensiero felice. La sua Musa rappresentava la risposta a tutte le sue legittime aspirazioni di uomo, era il turibolo del suo desiderio, viveva, con naturalezza, il suo ruolo di costante fonte di ispirazione...
24° Stralcio
Invisibile
Il mattino seguente, si svegliò riposato, si preparò il caffè, si lavò e si accese una sigaretta. Decise, negli istanti di attesa della sua bevanda preferita, che, in quel nuovo anno, non avrebbe interagito con nessuno dei suoi contatti Facebook, diventando invisibile. Era un suo desiderio nato dagli ultimi scampoli dell'anno precedente, che si era lasciato alle spalle con profonda soddisfazione. Il suo era un processo che tendeva a farlo scomparire dai radar del sistema e della gente. Avrebbe continuato a scrivere, di tanto in tanto, negli spazi virtuali, ma senza legare con nessuno. La diagnosi che lui aveva prodotto della gente gli era chiara. Erano quasi tutti patologici. Veri schiavi di un regime di potere agghiacciante. Vittime della loro stessa egomania. Potenziali distruttori. Seán non voleva che le sue parole si intrecciassero con quelle di costoro. Si sentiva ricco. Sinéad, Aindreas, il suo Máistir erano persone che rappresentavano una vera e propria miniera d'oro di cui lui non si sarebbe mai stancato di cantare le lodi. Era un individuo fortunato. Non aveva bisogno di approvazione da parte di nessuno. Non voleva rientrare in quel gorgo letale con cui la gente si incensava, ricevendo il plauso degli astanti. In fondo, Facebook era, per lui, un osservatorio dal quale monitorava la febbre del mondo, nulla più. Inoltre, non veniva cercato mai da nessuno, fatta eccezione per Shayla, che gli voleva davvero bene e Damien, che, ogni tanto, gli spediva una sua poesia, aggiungendo parole di pura stima. Desiderava non farsi più sentire. Il suo era un legittimo diritto alla sparizione. Non sarebbe poi stato tanto male da invisibile, dato che lo era già, solo che voleva che quella sua condizione fosse il frutto di una sua scelta, non delle circostanze. Aveva tanto da dare. Molto da dire, con le sue parole ed i suoi suoni. Aveva un cosmo bello fatto di persone vere di cui ammirare i gesti e le azioni. Non necessitava di essere apprezzato fra le pieghe di un software, dentro un algoritmo che alimentava l'egocentrismo. Il suo destino era segnato. Il suo isolamento sempre più progressivo. Aveva accettato che una persona bella come lui fosse relegata ai margini della società, gli idioti avessero una marea di contatti e le ragazzine discinte fossero seguite da una grande moltitudine di persone. «Questo è il prezzo da pagare per essere artisti nel ventunesimo secolo» pensò, mentre osservava la porzione di cielo che si vedeva dalla finestra del suo studiolo. Invisibile, come si sentiva di essere. Non era però triste. Accettava quella sua dimensione nuova con grande coraggio. In fondo, non avrebbe mai permesso che le sue parole si potessero fondere con quelle di chi viveva con il mito dell'ultimo smartphone. Conosceva bene la stazza della solitudine. L'uomo si accarezzò la barba. Sapeva che avrebbe vissuto in una condizione di isolamento, che non era più dettato dal mondo, ma voluto fortemente da se stesso. Il suo rifiuto nei confronti del mondo era netto. Decise che avrebbe provato a scrivere la prima pagina del nuovo capitolo. Era anche giunto alla conclusione che un rapporto, finito anni prima, non potesse germogliare di nuovo. In fondo, se qualcosa era morto, la sua fine aveva un senso. Se uno scambio interumano aveva cessato di progredire verso stati di condivisione sempre più profondi, era inutile provare a rianimarlo. Tutto ha un senso, anche la fine. Facebook e gli altri social network alimentavano una droga pesante, di cui il popolo si cibava allegramente. Ogni interazione provocava una scarica di dopamina. Ogni commento ad un proprio post era progressiva costruzione di un Io ipertrofico. Il mondo stava esplodendo sotto la carica di una sconfinata marea nera di individui acciecati da un ego cannibalico. La capacità d'ascolto era quasi inesistente. Il Tu dialogico era stato fatto a brandelli. Non c'era ricerca. Non c'era reale condivisione. C'era solo un Io abnorme che cercava applausi. Seán non sarebbe potuto stare in quella dimensione. Lui non era così. Lui era altrove. L'uomo si rammaricò che le cose stessero scivolando verso un quadro d'insieme aberrante. Occorreva però prenderne atto. Non illudersi. Rimanere con i piedi ben piantati per terra. Sarebbe stato invisibile, orbene. Avrebbe continuato ad essere gentile, nei confronti di tutti, ma da un punto fuori dal sistema. «Questo mondo di Io ululanti non porterà nulla di buono» si sorprese a pensare l’autore, mentre osservava le sue partiture scritte a mano, lasciate a dormire sulla sua tastiera musicale. Non doveva permettere che la devastazione dei rapporti umani lo potesse rendere triste. Lui sapeva bene da dove provenisse la propria ricchezza. Il suo nucleo era tutto quello per cui valesse la pena combattere. Non necessitava di altro, per essere felice. In lui non v'era rassegnazione, ma forte consapevolezza del proprio destino di artista, di fronte alle nefandezze di un potere genocida... In quell'anno, Aindreas avrebbe affrontato l'esame finale della sua scuola e il compositore sarebbe stato davvero orgoglioso di lui, al di là dell'esito conclusivo della sua prova. L'uomo doveva fare in modo che tutto, intorno a sé, parlasse di gioia. Doveva riempirsi di Bellezza. Doveva ammirare i semi di una Nuova Era di Luce germogliare, sparsi in ogni dove. Sapeva benissimo che la Felicità non sarebbe venuta da un commento di qualcuno su una pagina virtuale. Lui amava la sua realtà. Non ne desiderava un'altra sostitutiva. Era un uomo fiero della sua creatività. C'era così tanta meschinità in giro che l'autore non credeva alla percezione dei propri sensi. Si poteva respirare nell'aria. Era il simbolo più alto della vittoria del turbocapitalismo imperante. Quella che stava vivendo il compositore era un'epoca davvero buia, in cui la speranza di una Vita bella veniva costantemente derisa ed umiliata dagli accadimenti, dalle idee che giravano per le strade delle città, dalla continua uccisione dell'intelletto, di alti ideali e di una visione del mondo possibile, ove ogni elemento parlasse di armonia e Bellezza. L'invisibilità, dunque, non rappresentava una condanna, ma una scelta. Era stufo di leggere bruttezze. Era stanco di notare comportamenti maleducati, privi di ogni forma di grazia. Voleva contemplare stati di Pulcritudine sempre più significativi. Per fare ciò, però, doveva staccarsi da tutto il protocollo psicotico del sistema. Doveva allontanarsi e osservare ogni cosa da un punto sufficientemente lontano. Nella giusta distanza. Aveva riflettuto su quella sua scelta e, nel corso dei giorni, gli sembrò davvero efficace. Il suo desiderio di mantenersi puro passava anche attraverso quella sua presa di posizione. Il mondo, così come concepito dal potere, non era solo sociopatico, ma aveva dei tratti di totale stupidità, che l'artista aborriva. Il male stava vincendo, ancora una volta. Attraverso la sua storia, superstite di una tempesta letale, si era conquistato il diritto di scomparire. Era felice di quella vittoria. Il mondo, forse, non lo avrebbe mai conosciuto, ma, per chi lo amava, sarebbe stato per sempre importante. La sera prima, aveva letto una pagina del nuovo capitolo alla sua Sinéad, che lo aveva ascoltato con attenzione. Il ribrezzo che provava per come stessero andando le cose lungo ogni latitudine del globo, lo aveva spinto alla scelta estrema: sparire. L'uomo ne aveva viste tante. Aveva visto gente uccidere le legittime aspirazioni di un bambino, per la propria cecità. Aveva visto il male in azione. Aveva visto il dolore negli occhi degli innocenti. Era tempo di rifiutare tutto questo. Era l'ora adatta per rendersi invisibile agli occhi dei più. Era giunta l'epoca di guardare altrove. Fiducioso. Ottimista. Lieto. Le finestre spalancate facevano penetrare un'aria frizzante. Il viale assolato era splendido. Seán non si considerava un estremista, per la sua decisione di porsi al di fuori del coro. Stabilì che tutto avesse un senso, nella sua Vita, pure la sparizione. Non era triste, quella mattina, ma fiero della sua dimensione totale di artista. Non poteva porre sullo stesso piano le sue creazioni con i culi delle appassionate di Facebook. Non avrebbe permesso che qualcuno le considerasse alla stessa stregua. Non doveva permettere di finire nello stesso tritacarne, ove ogni parola durava al massimo dodici ore, per venir poi fagocitata da un mostro che l’avrebbe ingoiata nei gorghi di un software che allatta la mediocrità. Non si sarebbe mai perso nella folla. Lui era un creativo della Nuova Era di Luce, questo l'aspetto più significativo della sua nuova Vita. Si sarebbe sentito raggelare il sangue se qualcuno avesse considerato le sue opere come piacevole momento di relax, mero intrattenimento... Da dieci anni, aveva rifiutato la distruttività. La meschinità. La brama di potere. Non comunicava quasi con nessuno. Era un solitario in cerca di amicizie belle. Voleva crogiolarsi nella sua concezione artistica di mondo altro, di là da venire, che, forse, sarebbe rimasto nella sua testa, o forse avrebbe mosso i primi passi proprio in quello scampolo di secolo. Bevve del caffè e si accese una sigaretta. Sapeva che la nuova condizione di invisibile gli calzava a pennello. Era un abito su misura creato dalla migliore sartoria. «Se vuoi che tutto intorno a te parli di Bellezza, non puoi vivere fra gli empi» considerò l'autore, che, scrivendo quelle parole, si sorrise, lieto della sua posizione. In quel momento, per lui, si trattava di reggere la solitudine e la sua crescente percezione della Felicità. La sua condizione di isolamento, in un regime tirannico votato alla distruzione di ogni forma di intelligenza sul Pianeta Terra, non era poi così brutta. Era nella Possibilità di accettarla. Non disprezzarla. Considerarla buona. Un giorno avrebbe banchettato con coloro che avrebbero operato le sue stesse scelte, questo lo sperava dal profondo del cuore. Oppure sarebbe morto con le persone care accanto. Questo non lo poteva sapere, con esattezza. Pensò a Sinéad, che lo aveva trattato sempre con infinito Amore. Era fortemente riconoscente alla sua Musa, che gli aveva indicato, fin dall'inizio, la genesi di un sentiero nuovo, fatto di tenerezza e Bontà. Attenzione e capacità d'ascolto. Passione e fusione. L'uomo non avrebbe mai fatto del male alla sua Donna. Non si sarebbe mai trasformato in distruttore. L'avrebbe sempre sostenuta ed amata. L'autore era alla fine di una pagina del lungo percorso del suo nuovo romanzo. Rilesse alcuni periodi scritti. Si percepì buono. Nell'isolamento cercato, nella scelta di operare sempre il bene, nella capacità di rimanere lungo il proprio cammino, egli aveva scoperto la gioia. Si sorprese a riflettere su come, alla fine, rifiutando il male, una nuova Vita fatta di bene fosse alle porte di chi la cercasse. I passi verso la Felicità erano precisi, determinati, per tutti uguali. L’uomo considerò come la Nuova Era di Luce, se lo si fosse voluto, sarebbe stata veramente prossima. Doveva sostenere il suo sforzo. Era nella giusta direzione. Era lieto di aver trovato una dimensione di Bellezza, Bontà e Verità. Non si raccontava più bugie da lungo tempo. Non giustificava i comportamenti lesivi. Non si accontentava della mediocrità. La Luce accesa della scrivania irradiava ogni singolo oggetto del suo studiolo. L'artista si sorprese ad osservare la custodia del flauto traverso che era stato amico fedele per tanti anni. Guardò le sue partiture scritte a mano, nei momenti in cui, a casa di sua madre, improvvisava accordi al pianoforte che era stato il più grande regalo di suo padre Connor. Il suo era un mondo di affetto puro. Era ricca la tavolozza dei suoi sentimenti. Teneva in sé una infinita serie di immagini delle persone care, che non avrebbe mai sacrificato alle divinità oscure di un libero mercato che uccideva i sentimenti e banalizzava le emozioni. Si stava combattendo una guerra dalle dimensioni globali, sottile come la fibra di una connessione internet, il cui esito avrebbe condizionato le Vite delle generazioni future. Era in ballo la stessa idea di Identità, di possibile realtà interna non distruttiva degli esseri umani, di Vita che profumasse di Bellezza. Le forze del male erano organizzate ad un livello pazzesco. Quelle del bene arrancavano, ma Seán era sicuro di una cosa: lo scontro sarebbe stato fondamentale per le sorti del Genere umano. Quindi, o altri secoli di tenebra, o la Nuova Era di Luce, non c'era spazio per altre vie. La sera prima, si era addormentato, ringraziando la Vita, raffigurandosi una meravigliosa aurora sull'isola di Ammoulianì, davanti al monte Athos, in Grecia. Si immaginava sempre il primo raggio di Sole riverberare sulla infinita distesa dell'acqua, per renderla brillante, in uno scintillio davvero suggestivo. Aveva preso sonno e sognato un ragazzo che, come età e aspetto, poteva benissimo assomigliare a suo figlio Aindreas. Il giovane, nella proiezione onirica, era davanti ad uno psichiatra, che gli faceva diverse domande, mentre lui sapeva benissimo di essere sano. Alla fine, il ragazzo, che, pazientemente, stava rispondendo a tutte le richieste dello specialista, perdeva la calma e interrogava il medico, chiedendogli: «Ma quando andrete a psicoanalizzare quelli che vendono i bambini al mercato? Quelli che autorizzano lo scempio delle spose bambine? Quelli che bombardano le città uccidendo i civili? Io sono stufo di tutto questo marciume!». Lo psichiatra rimaneva un attimo in silenzio e poi rispondeva: «Probabilmente mai, perché quelle persone non vengono da noi»... Il sogno si concludeva con il ragazzo che salutava il dottore con l'intenzione di non vederlo mai più, dacché il giovane era conscio che la sua rabbia ed indignazione, per le sorti del mondo, fossero quanto mai giuste e liberatorie. L'artista aveva conosciuto la disperazione, negli anni della tempesta, ma non aveva mai smesso di credere nella Possibilità di poter essere felice. La sua scrittura lo aveva sempre sostenuto, e, in quel momento, gli stava facendo concepire un isolamento totale. Non si scende a patti col sistema. Esso può divorarti in qualsiasi momento. Lo si rifiuta. Ci si pone in una condizione di alterità, uscendo dal regime ossessivo del potere, per poi vivere in un punto lontano lontano... L'uomo era nella situazione ideale. Fuori da tutto. Con i suoi affetti. Con la sua scrittura. Stava elaborando concetti, che, di lì a poco, avrebbe immortalato in segni d'Arte. La mattinata scorreva allegramente. Lui era alla sua scrivania a redigere un atto rivoluzionario. Lui sapeva, dal profondo delle sue radici di essere umano originale e creativo, che una Vita altra fosse quanto mai possibile. Doverosa. Auspicabile. La solitudine dell'invisibilità non doveva fargli paura. Iniziava a far freddo, nella sua casa, ma lui decise che avrebbe fatto entrare ancora un po' di aria sottile. Ascoltò il suono rassicurante di campane lontane. Nel 2018, l'imperativo categorico era, per lui, non aver paura. Decise di fare la sua immancabile passeggiata in una Galway ebbra delle feste del nuovo anno. Camminando, riflesse su come la sua nuova condizione di invisibile fosse il naturale esito della sua ricerca esistenziale. Non si sarebbe chiuso a riccio. Non avrebbe rifiutato i contatti. Avrebbe avuto occhi nuovi per ogni forma di possibile rapporto umano, senza però doversi far piacere tutti ad ogni costo. Davanti ad un locale, gli venne in mente uno spunto, tirò fuori lo smartphone e prese un appunto, che recitava così: «Io non sono per tutti e tutti non sono per me!». Ripensò a quel giorno, quando Sinéad danzò allo Spanish arc, in una Galway silenziosa, nella quale il tempo pareva essersi arrestato. Lei era molto sensuale, in ogni gesto che compiesse, perché la sua grazia svettava sopra le menzogne del mondo. Lei aveva il merito di non aver mai dimenticato l'incanto della sua infanzia, che la rendeva ancora capace di slanci vitali di bambina. L'uomo tornò a casa e decise di continuare a scrivere quel romanzo, che, nella sua testa, stava procedendo verso la conclusione, ad un ritmo sostenuto, in un andante spianato di chopiniana memoria. L'artista si mise all'opera. Ascoltava i rumori del viale, che, a quell'ora, pullulava di gente a spasso. Il fumo della sua sigaretta riempiva lo studiolo, mentre lui pensava a quanto fosse stato fortunato come essere umano. Era inoltre convinto che la sua sorte potesse toccare ad ogni individuo capace di resistere e sperare, evolvere e maturare. «C'è un grande premio, oltre la sofferenza, che attende chi rifiuta il male!» pensò, sospirando, con tutta l'energia che la Vita gli offriva, in una dinamica che non era più quella del dolore, ma della Possibilità di essere davvero felice. L'uomo non si sentiva straordinario. Non credeva di essere una eccezione. Pensava altresì che la sua sorte di uomo realizzato fosse alla portata di chiunque volesse averla. Il suo sentiero avrebbe dovuto essere la norma. La Possibilità di esperire pace e serenità non avrebbe dovuto essere preclusa a nessuno. L'autore si soffermò a pensare, davanti ai tasti argentei del suo Mac. Era a metà della terza pagina del nuovo capitolo. Si percepiva già invisibile, ai più. Era lieto. Sentiva la vicinanza del suo nucleo. Il 2018 avrebbe dovuto essere l'anno del suo romanzo. Lo avrebbe cesellato. Lo avrebbe riletto più volte, con tutta la sua capacità di analisi. Con equilibrio. Senso critico. Stando attento ad ogni singola virgola. Poi lo avrebbe spedito a vari editori, sebbene ancora non sapesse quale fosse quello che faceva di più al caso suo. Tuttavia, riteneva che il suo componimento dovesse sottoporlo, come prima cosa, a quel coraggioso editore che, dieci anni prima, lo aveva pubblicato. Lo sfiorò, con leggerezza, il ricordo delle risate di Aindreas, che erano piene di vitalità. Ricordò i sorrisi della sua Musa alle Cliffs of Moher, il primo giorno in cui si videro dal vivo. Sinéad era intimamente legata all'acqua. Era per questo che aveva girato il mondo in cerca del mare perfetto. L'uomo non poteva chiedere di più a se stesso. Aveva lavorato molto per giungere dove era. Aveva rischiato di perdersi. Continuando però a lottare, aveva conquistato il premio da lui più ambito: la propria Identità di uomo non distruttivo. L'artista pensò alla sua Musica recente: «Storia di una guerriera» era un bellissimo brano, che, forse, avrebbe pubblicato in rete. Quel giorno, sentiva forte il richiamo dei baci della sua compagna. Voleva perdersi in lei, nel suo profumo, nella consistenza della sua pelle. Non c'era cosa più bella, per lui, del tocco delle sue mani sul corpo della sua Sinéad... Quando lei lo baciava o lo toccava, lui si sentiva a casa. Erano le sue piccole mani di Donna meravigliosa la sua dimora. Erano i suoi occhi castani la porta della meraviglia. I suoi seni ricchi il suo vero cibo. La sua Musa era un edificio. Un tempio antico, fatto di pietre preziose. Lui varcava l'atrio e si sentiva infinitamente bello, amato, coccolato. Era questo l'effetto che lei gli faceva. Lei, dal canto suo, si concedeva al suo compagno con tenerezza e passione. L'incontro dei loro corpi era poesia. Armonia. Arte. L'uomo, quel pomeriggio, l'avrebbe attesa con trepidazione. Voleva baciarle tutto il corpo sinuoso di Donna conturbante. Non avrebbe dimenticato neanche l'ultimo centimetro di quel poema di muscoli e pelle che lo faceva vibrare di pura emozione. L'autore guardò la porzione vuota della sua pagina. Voleva che ogni parola scritta fosse il laterizio di una costruzione architettonica bella e complessa. Almeno, nel suo piccolo mondo di artista, le cose dovevano essere autentiche e straordinarie, al loro posto, in un ordine non casuale. Lesse i messaggi Telegram della sua compagna. Lei era sempre così scherzosa, così ironica, che lui non poteva far altro che essere di buon umore, leggendola. Lei era forte. Aveva combattuto tutta una Vita ed era diventata invisibile ai più. Lei, però, non si crucciava di questo. Non aveva mai cercato il plauso degli astanti. Non le era mai interessato avere una cerchia consistente di amici. La sua Musa era per pochi, per chi aveva gli occhi per vederla in tutto il suo splendore di essere umano integro. L'uomo, vergando quei lemmi, riflesse. Congiunse le mani e il pensiero lo portò da lei. Non aveva mai conosciuto una persona più buona di Sinéad. L'intreccio delle loro due menti era un capolavoro. Non si era mai sentito uomo, come nel momento in cui lei lo aveva baciato per la prima volta, in una Doolin meravigliosa, al tramonto sulle Cliffs of Moher. Tutta la loro Vita insieme era stata Poesia, sebbene ci fossero stati dei momenti difficili. L'autore non era ancora a metà pagina. Desiderava continuare a scrivere, per quanto non sapesse ancora bene cosa avrebbe trattato, ma, seguendo il flusso del suo pensiero, era convinto che avrebbe prodotto ancora qualcosa di degno. La sua Musica era bella. Complessa. Evocativa. Il suo romanzo era fortemente psicoanalitico e non avrebbe stancato chi fosse alla ricerca di una voce fuori dal coro. Le sue parole ed i suoi suoni rappresentavano l'approdo di una ricerca durata anni. La spirale perversa del sistema non aveva attecchito, fra le pagine della sua produzione. Non era in vendita la sua Arte. Non si sarebbe mescolata a null'altro. Non avrebbe fatto ballare giovani ubriachi sulle spiagge di Ibiza. L'autore era conscio della sua missione. I suoi messaggi, trasformati in segni d'Arte, non sarebbero stati recepiti da tutti. Questo lo sapeva benissimo. Come gli era noto che non si fa Arte per piacere. Si crea per un innato, irrefrenabile desiderio di esprimersi veramente. Di sublimare. Di rappresentare. La metà vergine della pagina lo fissava. Per l’autore, ogni vuoto era una sfida. Sarebbe riuscito a creare una successione inarrestabile di segni d'Arte? Pensò alla sua Musica. Nelle partiture che aveva consegnato alla rete, c'era tutto se stesso. In ogni pausa. In ogni suono. In ogni intreccio di voci.
25° Stralcio
Máistir
L'indomani si svegliò, dopo una nottata in cui aveva sognato molto, riposato e sereno. Si preparò il caffè, si lavò il viso, bevve la sua bevanda preferita e si accese una sigaretta, pensando a cosa avrebbe scritto nel nuovo capitolo del romanzo. Nonostante le notizie dal mondo fossero aberranti, lui non si rassegnava alla tristezza e, con un moto indomito della Psiche, ricercava, nella realtà, qualcosa per cui stare bene ed essere propositivo. Era nella condizione di poter ammirare, con gli occhi pieni di stupore, un raggio di sole, apprezzare un buon caffè, ridere con sua madre al telefono, per qualcosa di buffo che l'anziana signora gli raccontava. Seán sapeva benissimo quanto fosse bella la Vita e come fosse necessario goderne, in quanto essa era una sola e non c'erano seconde opportunità, dopo la morte. L'uomo viveva il suo ateismo da molti anni, da quando aveva letto Nietzsche al liceo. Era in questa esistenza che andava fatto qualcosa di grandioso, come amare le persone ed essere un Amico leale. Era qui, sulla Terra, che andava contemplata la Pulcritudine. Era lungo il cammino che si poteva creare qualcosa di davvero bello. L'artista si soffermò ad osservare il suo ambiente. Tutto, intorno a lui, narrava la vittoria del suo incedere maestoso verso la Verità. Tutto era chiaro. Tutto raccontava, nel suo mondo, la totale assenza di bugie, sintomo particolare di quelle forme patologiche di relazioni che l'uomo aborriva. Aveva impiegato una intera esistenza per rendere lindo il suo mondo. Non c'erano sotterfugi, nelle sue ore. Non c'era ipocrisia. Non c'era senso di dominio e potere sugli altri. Desiderava scrivere. Era quella la sua missione per il 2018. Parola dopo parola, avanzava verso il grande risultato di ultimare il primo romanzo gaelico della Nuova Era di Luce, cui stava affidando tutto se stesso, in una sequenza di folgorazioni e sentimento, pensiero ed elucubrazioni. A tratti, percepiva stanchezza. Il flusso delle sue idee rallentava, per cedere il passo a riflessioni estemporanee su tutto quello che lo circondava. Era un attento osservatore, Seán. Gli balenò alla mente l'idea di scrivere al suo Máistir, che, da un po', non sentiva. Preparò la mail. Oggetto: «Buon anno». Gli scrisse queste parole:
«Buon anno, Máistir! Come stai? Come procede la terapia? Io ho trascorso il Natale a Cork, con mia madre e mio figlio e devo dire di essere stato davvero bene! Ho ripreso in mano il mio romanzo, di cui ti invio il primo capitolo in allegato, desideroso di un tuo parere. Sei riuscito a trovare tempo per la composizione? Se vuoi, quando hai tempo, puoi mandarmi le tue nuove partiture, che io analizzerò con molta cura. Non ho ancora scritto suoni nuovi, in questo scampolo di Gennaio, dacché la stesura del nuovo romanzo mi assorbe completamente. I miei cari stanno tutti bene. L'altro giorno, parlavo di te a Sinéad, che ti ricorda con vivo affetto. Sarai per sempre il mio Máistir e spero che ciò ti possa rendere lieto. Spero di avere tue notizie quanto prima. Un abbraccio...».
Seán si dedicò poi ad alcune faccende domestiche. D'un tratto, sentì il suono di entrata di una mail, andò a controllare e scoprì che il suo Maestro gli aveva risposto nel giro di pochi minuti, così:
«Buon anno, Seán! Sto bene! La terapia è quasi conclusa e noto dei miglioramenti progressivi davvero significativi. Mi fa piacere sapere che a Natale sei stato dalla tua famiglia e ti leggo entusiasta. Leggerò con calma il primo capitolo del tuo romanzo. La composizione mi tiene sempre compagnia. Sono giunto alla chiusura del secondo atto e ti spedisco due nuovi brani, in allegato. Non ti preoccupare se non hai ancora scritto Musica, perché, evidentemente, in questo momento, per te, è prioritaria la stesura del tuo progetto letterario. Sono felice di sapere che le persone, che ami, stiano bene. Salutami Sinéad, di cui ho un ricordo vivido, nelle lunghe passeggiate autunnali a Dublino. Sono fiero di essere il tuo Máistir. Lo sarò sempre. Non a tutti è dato di avere un allievo come te. Ora ti saluto e mi leggo un po' le news da questo mondo governato da assassini. Siamo una minoranza. Un abbraccio, Seán, a risentirci!».
L'artista giunse alla fine della mail del suo Máistir e trovò i due allegati musicali. Fece silenzio intorno a sé. Chiuse le finestre e si portò alle orecchie le cuffie. Avviò la riproduzione del primo brano, che si apriva con due accordi ripetuti, affidati agli archi, cui rispondeva una melodia isolata di clarinetto per poi giungere ad una brillante fanfara di ottoni, ritmicamente ricca. Seán ascoltava quei suoni e riconosceva l'inconfondibile stile del suo Maestro, così moderno eppure così tanto legato a strutture compositive di inizio Novecento, perché, come amava dire il suo Máistir: «Nessuno di noi, era stato più lo stesso dopo la «Sagra della Primavera» di Stravinsky». L’autore, ascoltando un certo modo di intendere l'orchestra, ripensò alla grandezza del messaggio di Igor Stravinsky e riflesse su quanto fosse vero quello che aveva letto pochi giorni prima in rete, ossia che lo sviluppo della scrittura del grande compositore russo rappresentasse pienamente l'evoluzione tutta del pensiero musicale contemporaneo. Dopo questa constatazione, l'autore si immerse di nuovo nell'ascolto del brano del suo Maestro, trovandolo splendido. Composite armonie. Ricchezza timbrica. Ritmi incalzanti. Di seguito, ascoltò il secondo brano, che iniziava con una melodia di flauto, in cui lo strumento sembrava piangere. Il compositore si stupì. Non aveva mai pensato ad un flauto traverso in quelle vesti. L'orchestra lo seguiva, lenta ed armoniosa. D'un tratto, una sezione ritmica per timpani, come il risveglio da un sogno intenso. Note che si riverberavano auliche nel silenzio orchestrale. L'uomo pensò che il suo Máistir stesse dando il meglio di sé, nella stesura di quella sua nuova sfida musicale. Tutto era al suo posto, dove era logico che fosse. Ogni strumento aveva un suo canto. Le armonie erano piene. Il ritmo mai uguale a se stesso. Il suo Maestro era un genio. La sua parola al mondo originale e densa. Il suo inno alla Vita prezioso. L’artista riascoltò entrambi i brani, non più con il rigore logico-matematico della costruzione, ma con il cuore, e ci scorse un infinito Amore per l'esistenza. Ricordò il primo tè caldo che, molti anni prima, aveva preso a casa del suo Maestro, in centro a Dublino, quando la tempesta, che lo attanagliava, era ancora fortissima. Máistir non era stato mai soltanto un insegnante di composizione musicale, ma un Amico e una fonte di ispirazione, un padre. Era stato lui a fargli conoscere l'importante figura storica di Bion, genio della Psicoanalisi. Il suo Maestro era stato il primo, fuori dal cerchio della sua famiglia, a credere nella Possibilità che il ragazzo ribelle potesse un giorno vivere in pace, lontano da un sistema sanguinario. Con infinita calma, il Máistir aveva indicato al suo pupillo il sentiero della Verità, senza mai fornirgli risposte, cui, poi, il ragazzo sarebbe dovuto giungere da solo. L’autore si accarezzò la barba, mentre, seduto alla sua scrivania, ricordava tutti quei momenti di rivelazione, scaturiti dall'incontro con il suo Maestro. Congiunse le mani e rilesse i periodi. Sorrise. Si guardò allo specchio dell'armadio e si trovò bello, condizione che gli era costata una intera Vita di lotta. Il sistema avrebbe potuto ucciderlo. Assassinare la sua Psiche. Mutilare i suoi pensieri, ma non avrebbe mai potuto spazzare via quell'idea di bello che il compositore conservava nel cuore. La storia, però, era stata diversa: il ragazzo ribelle di Belfast era diventato un uomo. Aveva scelto. Era un cristallo. Si era separato dal male, giudicandolo mortifero. Aveva inaugurato una Nuova Era di Luce in sé, proteggendola gelosamente da qualsiasi attacco esterno. «Se non vuoi farlo entrare, il male non ha accesso nel tuo mondo» riflesse. Poi, fatte tutte queste operazioni, era arrivata Sinéad, che lo aveva amato dal primo momento. Lei non lo aveva mai reputato strano. Le idee di lui le sembravano tutte brillanti e positive. La sua Musa, fin da subito, aveva intuito che lui fosse buono. Sincero. Incapace di manipolare la realtà per suoi secondi fini. Lei si era presa immediatamente cura del bambino che, dentro di lui, aveva visto troppo dolore. Máistir e Sinéad erano due immagini vivide nella mente dell'artista. L'autore sapeva bene che, senza di loro, non avrebbe mai potuto scrivere nulla di bello. Era conscio del fatto che era diventato uomo grazie a loro due. Uno, maestro di Vita e l'altra, Musa, Donna per sempre. L'uomo lavorava da un po' al suo romanzo, scorse le due pagine elaborate e si sentì felice. Decise di festeggiare con un buon sorso di caffè, ancora caldo. Bevve. Si accese una Chesterfield rossa. Il suo studiolo, così piccolo, era il luogo di nascita di una rivoluzione, che, ancora, non era nota quasi a nessuno. La Nuova Era di Luce era una dimensione della Psiche. Era uno scorcio mozzafiato sull'oceano. Era una casa per gli uomini. Tutti, nessuno escluso, potevano tendere alla sua immagine di Libertà. Tutti potevano rifiutare l'idiozia. Tutti potevano vivere nella Verità. Questo, Seán, lo sapeva benissimo. La Possibilità esisteva per tutti. Ogni individuo nasceva per la gioia. Era così sciocco perdere prezioso tempo vitale dietro alle lusinghe del sistema! Erano così meschini i giochi di potere! L'autore sapeva che l'Umanità era chiamata a vivere in armonia, ogni uomo a riconoscere come suo fratello l'altro, ma non sapeva ancora quando questa realtà sarebbe stata evidente a tutti. Accese la grande candela rossa che aveva nello studiolo, pensando a suo padre Connor e alla sua dolce Amica Crón. Fece silenzio, in sé. Decise che avrebbe dedicato qualche minuto a quei grandi rivoluzionari di Facebook che, dalla loro scrivania, erano più potenti di Guevara. Il Máistir, per il compositore, non era solo un uomo, bensì un simbolo. Era l'emblema della Possibilità, colui il quale aveva sempre rappresentato, con i suoi gesti, l'opportunità che l'Umanità potesse essere felice, sempre. L'artista, nel riascoltare gli ultimi due brani che il suo Maestro gli aveva consegnato, aveva provato profonda beatitudine. La musica del Máistir era potente, una tela dipinta con pennellate vigorose, eppure così tenere e leggere. Nelle composizioni del suo Maestro, l'autore trovava l'intera Identità di quell'anziano signore che aveva fatto della grazia e del tatto il suo tratto più riconoscibile. L’uomo si sentiva davvero fortunato ad aver avuto un insegnante come lui, che non gli aveva solo svelato i misteri più arditi della Musica, ma anche un modo di pensare il mondo. Era in una Belfast in cui echeggiavano i rumori assordanti degli ordigni e la furia repressiva degli inglesi che il giovane figlio dell'indipendentista aveva ricevuto le prime lezioni da parte del suo Máistir, in una casa arredata con gusto, in cui ogni elemento narrava la grandiosità di una Musica vissuta appieno. L’artista ricordava il pianoforte del suo Maestro, una infinità di libri sugli scaffali della biblioteca e un immancabile vaso di rose rosse, che, più tardi, lui scoprì essere il dono per la Donna che il Máistir aveva amato tutta la Vita. L'autore si trovava nella propria casa e, ricordando, sorrise di tutte quelle immagini che portava nel cuore. Leggere che il suo Maestro stesse bene lo riempiva di gioia. La Musica del suo Máistir era sempre stata rivoluzionaria. Anche lui non aveva mai compreso cosa ci facessero gli inglesi in terra d'Irlanda. Il Maestro che aveva scoperto il talento di Seán non era meramente un grande musicista, ma un grande esempio da seguire. Fu lui ad invitarlo a leggere libri di Psicoanalisi. Fu quell'uomo con la viola da gamba a seguire il percorso di Seán dalla tempesta alla libertà. L'artista, nel ricordare tutto, si commosse. Era solo in casa e a stento tratteneva poche lacrime che gli scendevano dagli occhi, rigando il suo viso gentile. Era stata dura la battaglia. Aveva rischiato di perdere quasi tutto. Avrebbe potuto essere ingoiato dai flutti, per non ritrovarsi mai più. Invece, con molta attenzione e con uno spirito indomito di ricerca, lui era vivo e molto si doveva al suo Máistir, che lo aveva seguito come un padre, dopo la morte di Connor, il pescatore indipendentista. Il Maestro era legato all'artista da un Amore paterno, che veniva ricambiato da uno slancio vitale autentico. I due erano in sintonia. Usavano pure lo stesso linguaggio, mutuato dalla Psicoanalisi. Seán non avrebbe mai rinunciato alla presenza del suo Máistir, che era intelligenza ed affetto, ricerca e trasparenza. L'uomo si ricordò di una bellissima giornata in riva all'oceano, in compagnia del suo Maestro, quando videro l'ultimo raggio di sole scendere su una immensità di acqua. L'artista aveva avuto due fortune, in vita sua: conoscere a diciassette anni il suo Maestro e intercettare, in una terra dedita alla scrittura, la bellezza ammaliante della sua Sinéad... Nessuno esce dalla tempesta uguale a prima. Per questo, l'autore provava profonda empatia per chi era nel dolore. Scriveva per testimoniare all'Umanità che una Vita migliore, dopo aver rifiutato il male, fosse possibile. Era un dovere cercarla. Amarla. Goderne. Seán e Sinéad erano accomunati dal medesimo destino: si erano eclissati da tutto per riscoprire il valore di un abbraccio vero. Máistir, dal canto suo, era fuggito da ogni sorta di riconoscimento del potere per essere libero di scrivere la sua Musica e proclamare la propria Identità di uomo sano al mondo. Il club dei differenti era così. Non aveva mai accettato compromessi. Non si era mai venduto. Non si era mai illuso che un quarto d'ora di fama potesse rispondere adeguatamente alle istanze del bambino interno che desiderava essere amato ed evolversi verso una fase adulta. Per il compositore, la cura poteva esistere per tutti, nessuno escluso, ma era necessario intraprendere quella strada, guardarsi dentro con onestà, lasciare che un bravo terapeuta potesse interpretare i propri codici interni. Lui vedeva una Umanità arresa. Incapace di sussulti. Schiacciata sotto il peso di un sistema di potere disumano. Il Genere umano doveva rendersi conto, in primis, che il regime tirannico globale non voleva la Felicità dell'individuo e la gioia collettiva. Non la calcolava proprio. La sua, invece, era una accecante bramosia di vedere, in ogni angolo della Terra, la riproposizione continua e mortifera della potenza del capitale, che era ossessione per il potere e dominio incontrollato su ogni forma di Vita... Questa sarebbe stata la base fondamentale da cui partire, da accettare, per poi tentare di abbozzare un nuovo progetto per l'Umanità. Da lì, poi, si sarebbe potuto iniziare a sognare un cosmo nuovo, come quello che emergeva dalle note del suo Máistir. L'artista, insieme a pochi altri, si sentiva capace di descrivere una nuova realtà, fatta di rispetto ed Amore, empatia e fratellanza. La Terra avrebbe continuato a donare frutti meravigliosi, ma urgeva cambiare rotta rispetto al totale sfruttamento cui essa era sottoposta per arricchire l'un per cento della popolazione mondiale. Il sistema era sociopatico. Era tutto sbagliato. Era profondamente malato. L'autore continuava a scrivere e le idee si chiarivano, in lui, sempre più nitidamente. Un giorno, forse, qualcuno avrebbe letto quelle sue pagine, trovandole buone. L’autore non creava segni d'Arte per il plauso degli astanti. Non ricercava gloria, né compensi. La sua era una forte spinta ad esprimersi. Non sarebbe mai stato nelle classifiche mondiali. Non avrebbe mai rilasciato interviste in televisione, ma, per chi fosse stato in grado di ascoltare un messaggio d'Amore, lui sarebbe stato importante. Lo era già per il suo nucleo. I giorni si susseguivano lieti e l'artista pensava a tante cose, che riguardavano se stesso ed il mondo che lo circondava. Non sarebbe stato lo stesso uomo, senza i preziosi insegnamenti del suo Máistir, che lo seguiva, da una Vita, con lo sguardo amorevole di un padre. La sera prima, era stato con la sua Musa, e, chiacchierando, mentre lei guidava, la sua Donna gli aveva rivelato un particolare della loro storia d'Amore che lui non ricordava, ma che ritenne veritiero da subito: Seán, nella prima fase del loro rapporto, mentre la sua Sinéad rideva di gusto delle cose che accadevano e si raccontavano, non rideva mai. Sorrideva spesso, ma non rideva. La sua lei si era spesso interrogata su questo aspetto e un giorno glielo fece notare e la risposta dell'uomo la spiazzò. Lui le disse: «Vero, ma a pensarci bene, io non ho mai riso, da sempre». L'artista, quando conobbe la sua compagna, aveva un disperato bisogno di ridere, di leggerezza e la Donna, che lo amò da subito, se ne rese conto. Fu lei a condurlo nel grande altopiano della leggerezza. Fu lei a iniziare a farlo ridere. Fu lei che gli insegnò che il suo bambino interno aveva bisogno di divertirsi. Imparando a ridere, l'uomo aveva trovato un importante antidoto alla distruttività di molti. L’autore era solo in casa, in quella giornata di Gennaio 2018. Dopo tre giorni, sarebbe partito per Cork, per riabbracciare sua madre e suo figlio, come ormai faceva tutti i mesi. La sua leggerezza gli avrebbe tenuto compagnia. Ridere, fare ironia, non erano solo un modo brillante per stare bene, ma anche uno strumento intelligente grazie al quale riuscire a superare le prove, a volte insidiose. Lui stava riflettendo sul fatto che dieci anni prima non fosse riuscito mai a ridere. La tempesta gli aveva tolto quasi tutto e lo aveva lasciato in una tristezza senza fine. Volle dipingere i suoi pensieri su una tela vivace. Afferrò il Mac e si mise a scrivere. Ricordò come anche il suo Máistir ridesse di gusto, con un timbro dolce e rotondo, che gli aveva sempre ricordato quello di suo padre Connor. L’uomo trovava il riso delle persone intelligenti molto sensuale. In quel momento lui non era più l’essere umano di dieci anni prima. Aveva imparato a navigare. Non sarebbe mai tornato indietro. La cosa che gli dava più soddisfazione, in ambito comunicativo, era riuscire a far ridere la sua compagna e a far riflettere suo figlio, che aveva il diritto di comprendere la realtà, per spiccare il volo... Quando creava ilarità con la sua compagna, l'autore rideva con lei e spesso lui la baciava sul collo e le diceva cose buffe, che tanto divertivano la sua Sinéad. L'artista aveva il caffè caldo, ne bevve un po', gustò l'amaro nelle note di gusto della sua bevanda e si accese una sigaretta. Era vicino al centro del capitolo. Non sapeva ancora cosa avrebbe scritto, ma il pensiero del suo Máistir era fortemente presente nella sua mente. Si immerse nel suo silenzio. Da lontano, giungevano le voci delle persone che animavano il viale. Il compositore considerava quel piccolo distretto pietroso un forte simbolo del cammino nella sua Landa. Gli venne in mente il Burren, regione in cui rocce maestose, in primavera, ospitavano un tripudio di fiori selvatici. Una terra lunare, come era sempre sembrata all’uomo, un deserto di roccia dal grande fascino. La sua Landa era meravigliosa. Un posto dove vivere in armonia con Madre Natura. Un luogo per creare. L'autore abbracciò, col pensiero, tutti i posti in cui era stato bene. Ricordò con immenso piacere l'istante in cui vide Sinéad, al loro primo incontro dal vivo, fra i raggi di sole di una Doolin incantata, alle pendici delle grandi scogliere di Moher. I due, allora, si guardarono per un po'. Lei gli parlò subito, sorridendo e muovendo le sue piccole manine nell'aria. Lui la osservò, la guardò negli occhi e comprese all'istante che lei non lo avrebbe mai tradito, ferito, deluso. Non lo avrebbe fatto soffrire. Non lo avrebbe voluto diverso da come lui era. Sinéad era totalmente le sue parole scritte. I suoi morfemi non ingannavano. Lei era ciò che era, in una danza di pensiero ed emozioni di grande Bellezza. Máistir, che aveva seguito la loro relazione virtuale, aveva, per primo, compreso la Bontà della ragazza, esortando Seán a non temere. L'anziano signore, in una mail, gli aveva scritto: «Ragazzo, se questa Donna è le sue parole, non devi aver paura di nulla. È giunto il tempo che tu gioisca!» ed erano state proprio quelle parole fiduciose ad aver portato l'artista sulla porta di quella locanda ad incontrare quella che sarebbe diventata, nel giro di un solo fine-settimana, la Donna della sua Vita. L'uomo, quando conobbe la sua Musa, era di una fragilità inaudita e lei, prendendosi cura di lui dal primo momento, sapeva bene quanto la sua missione di condurlo alla gioia fosse davvero importante. Lui, dal canto suo, aveva percepito che la sua Donna fosse stanca di combattere. Lei voleva pace e serenità ed un uomo che non la facesse più soffrire. Il gioco, presto, si era sviluppato con grande armonia, ed in quel preciso momento, l’artista aveva iniziato a saper ridere. Aveva avuto un disperato bisogno di mostrare il suo lato bambino a qualcuno, ma mai nessuno, durante la tempesta, aveva accolto quella sua dimensione di pargolo giocoso. L'uomo forse aveva anche smesso di provare a comunicare quella parte della sua Identità. Con l'aiuto del Máistir, che lo ascoltava sempre con attenzione, era riuscito a comprendere che la persona giusta della sua Vita non avrebbe rifiutato nulla di sé, ma l'avrebbe apprezzato a prescindere. Giunse Sinéad e il bambino interno di Seán, per troppo tempo inespresso, cominciò a giubilare. Trovarsi, nelle pause delle parole, nei silenzi dopo una carezza, fu fondamentale. I due, insieme, risero di gusto di ogni cosa. Fu liberatorio. Quella dinamica di leggerezza sarebbe poi diventata la cifra del loro stare insieme. Erano l'uno per l'altra leanbh, fanciullo e fanciulla e quel titolo affettuoso lo avevano conquistato attraversando le tempeste più spaventose. Era giusto che si godessero il loro status di giocosi bambini. Se lo erano meritato. In tutto ciò, la presenza del Máistir era stata autorevole. Il Maestro aveva intuito che la loro unione fosse buona, solo dalle descrizioni che il suo allievo gli faceva. L'anziano signore aveva visto le cose prima che si palesassero. Aveva avuto una folgorazione. Aveva benedetto un Amore prima che realmente nascesse. Tutto merito della sua intelligenza fortemente psicoanalitica. A Seán balenò in mente l'immagine calda di una gita a Dublino con la sua Musa e il suo Máistir. Era già fresco, in un autunno del 2009 dalle forti tonalità cromatiche, e il suo Maestro era impegnato in una serie di concerti con la sua viola da gamba. I tre bevvero qualcosa a Temple Bar, in una cornice davvero colorata e chiacchierarono amabilmente. Sinéad indossava la sua maglia rossa e dei pantaloni scuri e si fece ironia sul fatto che tutta l'Irlanda avrebbe dovuto essere uno stato comunista, rosso, rivoluzionario. All’autore non sembrò vero di avere al tavolo le due persone che lo avevano condotto fuori dalla tempesta. Anche in quella occasione, l'uomo riuscì a ridere di gusto. Nel ricordare quella bellissima gita, l'artista volle condividere con la sua compagna quel frammento di memoria e le mandò le poche righe che aveva scritto in merito. La sua Musa le lesse quasi subito e commentò con un vibrante messaggio, pieno d'affetto. L'Amore aveva seminato. Le Identità erano cresciute, liberandosi da ogni possibile seme malvagio.
26° Stralcio
Arte testimone leale
La vigilia della partenza, si svegliò con il buon umore. Andò a fare i biglietti per i treni del giorno dopo e fece colazione in un bar. Telefonò alla sua mamma, che attendeva sue notizie, con quel bell'entusiasmo che la contraddistingueva. Scrisse a Sinéad, alla quale aveva promesso che si sarebbe scattato delle foto dopo il parrucchiere, spedendogliele con slancio e vitalità. Tutto era in ordine. Doveva solo preparare il suo trolley e ricordarsi le poche cose da portare a Cork. Fuori da casa sua, segni di maleducazione, che avanzava inesorabile, erano presenti in ogni dove. «Alla fine – pensò l'autore – non è neanche tanto colpa della gente. È colpa di un sistema di cose che porta le persone a fregarsene di tutto». L'uomo era felice, quella mattina. Voleva essere gaio, a Cork, con i suoi. Desiderava godersi la compagnia di sua madre e suo figlio, creature forti che, però, avevano bisogno di cure amorevoli. La sera prima, sulla porta di casa dell'artista, la sua compagna gli aveva detto: «Mi raccomando, fatti le foto dopo il parrucchiere!» e quell'invito lo aveva colpito molto, dacché lei partecipava ad ogni suo momento piacevole. La sua Musa lo voleva vedere bello. Lo considerava stupendo e lui, come un bambino, si crogiolava in quella dinamica. Il loro rapporto era fatto di una infinità di carezze e coccole, attenzioni e dichiarazioni d'Amore, che si snodavano in un quotidiano di grande tenerezza e passione. L'autore era nel silenzio del suo studiolo, osservando, dalla finestra, un'atmosfera spazzata da un forte vento oceanico, che odorava di salsedine. Bevve il caffè che si era preparato qualche minuto prima, dopo la passeggiata per i biglietti dei treni, si accese una sigaretta e guardò il suo spazio vitale racchiuso negli oggetti posizionati sulla scrivania. Il suo vecchio metronomo nero, grazie al quale aveva preparato un esame al conservatorio, molti anni prima, gli parve bellissimo, così regale nella sua capacità di indicare sempre la corretta scansione temporale. Era molto affezionato anche ai fogli cartacei che, di tanto in tanto, scriveva e lasciava sopra la tastiera. C'era una moltitudine di partiture scritte a mano, tutte poi trascritte al computer, confluite successivamente nelle sue composizioni. Nell'ultimo anno aveva scritto molto. Musica, per lo più. Erano nove mesi che lavorava a quello che, in un primo tempo, era stato l'inizio di un racconto, per poi diventare un romanzo, il primo della Nuova Era di Luce, come amava definirlo lui, che non si stancava di sperare di saper costruire qualcosa di davvero grande. Aveva imparato a conoscersi: non si preoccupava più di tanto di momentanee assenze di creatività e, in quei frangenti, si limitava a cercare di rendere più gratificante possibile la sua giornata. Aveva appreso che, prima di codificare segni d'Arte, era, per lui, fondamentale vivere esperienze, che, in un tempo seguente, si sarebbero trasformate, all'interno del suo crogiolo inconscio, in intuizioni da immortalare con parole e suoni. Quindi, si concedeva momenti di attesa. Non si forzava. Una idea scritta a qualunque costo non sarebbe mai stata buona e non avrebbe potuto aspirare ad essere Arte. Il suo processo creativo era chiaro: le esperienze di Vita diventavano un distillato che solo in un secondo tempo avrebbe sublimato in note e morfemi. Aveva parlato di questa dinamica anche con il suo Máistir e con Damien, altro uomo dedito alla Poesia, e i suoi Amici gli avevano confermato che, quando si porta la Vita nell'Arte, il risultato può essere grandioso. Era necessario, per essere creativi, avere una esistenza piena di reali accadimenti, che potevano benissimo sintetizzarsi nell'osservazione di un fiore selvatico per una strada di campagna. L'artista, in generale, era chiamato a vivere, per poi trasformare. Una esistenza povera avrebbe generato un'Arte dimezzata. Per Seán, tutti quei concetti erano cristallini, frutto prodigioso di una ricerca durata una intera esistenza. Avrebbe voluto trasmetterli tutti a suo figlio, che aveva una vena creativa in formazione. L'uomo voleva soprattutto dire ad Aindreas di non avere mai paura, dacché, per ogni problema, c'è sempre una soluzione da percorrere. L'autore non era preoccupato per lo sviluppo dell'Identità nascente di suo figlio, perché vedeva che era un albero dalle radici sane, che anelava a tendere verso la Luce. Aindreas era un ragazzo intelligente e buono. Il padre, per queste due sue peculiarità, si emozionava sempre. La Vita doveva essere bella, per l'autore ed il suo nucleo. A Cork, avrebbe coccolato molto anche sua madre, che viveva sola e tendeva ad essere un po' triste, alcuni giorni. L'uomo si sentiva bene. Forse, un giorno qualsiasi di un'altra era passata della sua esistenza, non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato così felice, a quarant'anni. La sua vera Vita era cominciata dieci anni prima, scrivendo il suo primo racconto, cui era legato da profondo Amore. Aveva scritto molto della tempesta, come era normale che fosse. Ora, però, quell'ente distruttivo era lontano. Dal 2008, lui era un uomo libero da ogni forma di schiavitù. Gli ultimi dieci anni erano stati intensissimi: dalla condizione di soldato ferito a quella di essere umano autonomo che poteva contare su precise risorse psichiche per vivere al meglio un presente ed un futuro fatto d'Arte e Amore. In questo netto percorso, chiaramente, Sinéad era stata pura taumaturgia. Era stata maieutica. Aveva condotto alla Luce l'uomo dentro al bambino che chiedeva aiuto, leggendo, a quel nascente essere umano adulto, un poema scritto nel proprio Sé più profondo d'artista. In fondo, lei era stata la prima Donna a dirgli che lui ce l'avrebbe potuta fare. Unendo la lezione di Vita del suo Máistir all'Amore incondizionato di quella meravigliosa Donna che stava scommettendo tutto su di lui, Seán nacque di nuovo, questa volta non per soffrire, ma per gioire. L'uomo era molto legato alla sua esistenza. La desiderava. La amava. La voleva vivere. Non poteva sapere quali insidie si celassero dietro l'angolo, ma poteva finalmente contare sulle proprie forze ed energie, essendo certo che avrebbe combattuto fine alla fine. L'imperativo categorico per lui era: «Non avere paura». La tempesta, anche quando finisce e svanisce nell'ultimo scroscio d'onda, ti lascia una sensazione terrificante addosso, che spinge l'individuo a pensare di dover aver sempre timore di qualcosa di brutto e inarrestabile, capace di gettarlo nell'abisso. L'autore, quella idea, la conosceva davvero molto bene e la combatteva ogni giorno, sforzandosi di camminare nel mondo come un soldato spartano. Doveva scacciare da sé tutte le paure. Non poteva trascorrere il suo tempo pensando a cosa avrebbe potuto farlo soffrire: doveva vivere nella Bellezza dei rapporti del suo nucleo fondativo e fare Arte, esperendo l'oggi con lo stupore di un bambino innamorato dei suoi giochi preferiti. In fondo, l'uomo sapeva benissimo che la lezione della tempesta era una bugia, dacché non era poi così automatico che la Vita fosse costellata da sofferenza. Quella era solo una proiezione verso il futuro, che chi ha sofferto troppo produce in quanto disperato. La marea era cambiata, come diceva il testo di una canzone di Roger Waters. Le tenebre avevano ceduto il passo ad una Luce costante, vivifica. I dubbi erano stati annichiliti da una sempre maggiore coscienza dei propri Sé buoni... Seán, con la sua opera, voleva ribaltare il verdetto. Desiderava poter dire che anche per chi ha avuto una esistenza di dolore ci potesse essere un premio, una Vita fatta di gioia da affrontare con coraggio, senza rovinare sempre tutto per la paura che le cose belle svanissero. L’artista era a metà pagina, la seconda del nuovo capitolo cui ancora non aveva dato un titolo, lasciandolo in sospeso. La sera prima, rilassato sotto alle coperte, aveva pensato per qualche minuto alla sua Musica, immaginando strutture da immortalare in una partitura nuova. Probabilmente, non avrebbe continuato a scrivere «Storia di una guerriera», reputando il pezzo concluso. Lo sfiorò addirittura l'idea di una Sinfonia, per la quale aveva una forte idea di tonalità d'impianto: Re minore. In quel momento, però, non aveva ancora suoni, in sé. L'idea di tornare a comporre Musica lo accarezzava dolcemente; balsamo salvifico, che, in ogni era della sua Vita, gli aveva permesso di continuare a vivere e sperare, in un processo creativo che, alla fine, non si era mai interrotto, dacché essenziale nelle dinamiche interne dell'artista, il quale desiderava produrre un romanzo di cui andare fiero; un componimento letterario di grande spessore, fortemente psicoanalitico, specchio fedele del suo sentire, in cui far confluire tutti i suoi pensieri di mente che sa vedere oltre, al di là delle menzogne, fuori dal coro, in una giusta distanza dal sistema imperante, incapace di occuparsi con Amore delle istanze della tribù umana... Il fumo della sigaretta si levava alto, nello studiolo e l'uomo osservò gli alberi spogli del viale, con quella loro fisionomia nuda. Ascoltò i suoni del traffico della vicina strada. A Cork, gli sarebbe mancata la voce del suo Amore. Lei era così musicale, in tutto quello che faceva. Aveva senso del ritmo e si muoveva nella grazia ogni suo slancio vitale. L’artista la considerava una danza bachiana. La sua Musa era un'opera d'Arte palpitante. L'autore era prossimo ad uscire da casa, avendo l'appuntamento con il suo parrucchiere di fiducia. Osservò le righe scritte. Sapeva benissimo come ogni sua parola fosse una goccia di distillato della sua Verità sull'esistenza degli uomini sulla Terra. Portava con sé, ovunque andasse, il dolce ricordo dei baci della sua compagna, che erano teneri e sinceri. La sua sessione di scrittura, quella mattina, stava procedendo leggera e continuativa, in una progressione che lo stava conducendo al limite dimensionale più importante della sua intera produzione letteraria. L'artista riflesse su come il suo romanzo fosse interamente uno scavo interiore, introspezione pura. Ogni virgola posizionava un laterizio interno alla descrizione attenta e veritiera del suo mondo inconscio di individuo innamorato della Vita. Lui era i suoi pensieri. Le sue parole. Le note che, coraggiosamente, affidava ad una tromba solista su un tessuto di archi caldo ed avvolgente. Era trasparente. Voleva essere un cristallo. La Luce era la sua maestra di Vita. Certe volte si immaginava un fascio policromatico capace di squarciare le tenebre più buie. Sapeva benissimo che ogni individuo avesse la Possibilità di ascendere alla luminosità di una esistenza davvero votata alla Bellezza. Era conscio della missione dell'Arte, che, sebbene nelle mani di pochi, era un potente strumento di rivelazione, per tutti; specchio complesso grazie al quale far brillare le proprie immagini di fieri esponenti del Genere umano. I codici creativi erano comprensione. Spinta verso una Vita capace di regalare gioie, in una successione sbalorditiva. Non ci può essere gioia, senza sapienza... Il compositore pensò al titolo da dare al suo nuovo capitolo del romanzo. Non aveva ancora idee. L'uomo era tornato dal parrucchiere. Aveva un taglio di capelli moderno, con la barba appena accennata. Si fece una foto e la spedì alla sua Sinéad, che aveva espresso il desiderio di vederlo. L'artista riflesse sul bene che era nella sua esistenza. Sua madre, che lo incoraggiava sempre, e con la quale era bello fare le cose insieme. Aindreas, che cresceva come un giovane uomo nella fase di esplorazione di tutto ciò che potesse renderlo felice. La sua compagna, che non si stancava mai di prendersi cura di lui in qualsiasi ambito. Era davvero fortunato. Lo scrisse. Voleva vederlo nero su bianco. La sua scrittura lo aveva condotto a nuove, poderose conquiste, che, in momenti salienti, lui aveva immortalato come testimonianza di una consapevolezza progressiva ed entusiasmante. Era la sua stesura ad essere fedele testimone della sua crescita, dal momento di dolore e perdita a quello della conquista e della gioia. Aveva descritto, in segni d'Arte, tutta la sua Vita, da quando era nato al giorno che stava vivendo. Aveva fatto della sua esistenza una storia artistica. Un unico grande poema che sapesse inneggiare alla realizzazione dell'individuo, membro dell'Umanità, emblema della Possibilità di star bene. Aveva ben presente il senso profondo di precarietà che sa atterrire l'individuo, ne era ben cosciente, ma non voleva permettere ad oscure proiezioni di turbarlo. L'uomo si ricordò di un ultimo sorso di caffè lasciato in cucina prima di uscire. Lo andò a bere e si accese una sigaretta. Si sentì lieto, osservando il trolley in cui avrebbe posto tutti gli indumenti per quella gita a Cork. Aveva sentito sua madre. La anziana signora era in forma. Il suo cervello di grande programmatrice era reattivo e vigile. Era lontano il giorno di un anno prima, quando una emorragia cerebrale stava per toglierle il sorriso dalla bocca. Il suo formidabile recupero, per il figlio, aveva rappresentato una realtà fondamentale: sua madre voleva ancora vivere. L’uomo sapeva che la sua genitrice fosse una leonessa. L'aveva coccolata molto, dopo il suo ritorno dall'ospedale ed aver trascorso del tempo con lei, gli aveva dato modo di conoscerla meglio, di apprezzarne l'intelligenza, di sentirla per ciò che era: una adorabile signora gaelica, fiera, attenta, scherzosa. L'uomo ricordò quanto aveva temuto di perderla per sempre. Da quel momento, aveva deciso di voler coccolare la propria madre sempre, con mille attenzioni, con la simpatia che gli era propria e che tanto faceva ridere quell'anziana signora che sapeva cucinare per un esercito di invitati. L'artista ricordò con quanta passione suo padre Connor mangiasse i piatti cucinati dalla propria moglie. Sorrise. Il suo mondo interno era buono. Era pieno di ricordi, immagini, colori, sapori, aneddoti ed esperienze. Erano le tre e mezza del pomeriggio. Aveva fatto tutto bene, per quel giorno. Doveva solo preparare il trolley, cosa che avrebbe fatto in serata. La sera prima, mentre immaginava nuove costruzioni musicali, giunse alla conclusione che la qualità di un'opera artistica non potesse essere sminuita da nulla. «Se crei qualcosa di bello e buono, poi non ti deve interessare null'altro. Non devi chiederti che uso ne farà il fruitore. Non devi chiederti cosa ne penserà la gente. Non devi chiederti chi tenterà di sfregiarla, provando ad ucciderla» concluse, dopo un lungo ragionamento fra sé e sé, che, ancora non aveva esposto a nessuno. Un individuo sano sa quando una sua creazione è buona. Non necessita del suffragio di nessuno. Che essa possa essere recepita, oppure no, non è cosa che lo debba riguardare. Il suo pensiero stava virando verso la valutazione di una serie di note da scrivere in Re diesis minore. Magari, a casa della madre, davanti al pianoforte che gli aveva regalato suo padre Connor e a cui era legato da profondo Amore, avrebbe potuto avere l'opportunità di comporre Musica. Era alla terza pagina del capitolo e ancora non ne aveva deciso il titolo. Scrisse questo post sul suo sito personale:
«Salve, Marineros!
Oggi ho lavorato a quello che, da breve racconto, si è trasformato in un romanzo, che, con mio stupore, al momento, consta di oltre duecentocinquanta pagine. Ho iniziato il capitolo ventisei, con profonda soddisfazione. Attualmente, non ho costrutti musicali da scrivere, solo una vaga idea che mi tiene compagnia da ieri sera e che spero di poter sviluppare in questi giorni. Le giornate dedite alla scrittura della nuova prosa sono dense, piene di scavo interiore. Con questa mia opera letteraria porto alla Luce il mio mondo interno, in una nudità assoluta, col desiderio che i miei pensieri e le mie emozioni siano cristalline, proprio come le avverto dentro di me. Ho deciso che il 2018 debba essere l'anno di questa mia fatica creativa. Non ho fretta. Non mi chiedo se qualche editore vorrà pubblicarmi. Non mi interrogo sull'impatto che le mie parole potranno eventualmente avere. Non si fa Arte per il plauso di nessuno. Io so per chi scrivo. Faccio parte di un club dei differenti cui i miei pensieri sono rivolti. Domani partirò per ricongiungermi con mia madre e mio figlio in un fine-settimana che spero possa essere lieto e piacevole. Tuttavia, il mio processo creativo non si arresta. Anche momenti di silenzio possono rappresentare l'evoluzione di una scrittura, che mi rendo conto essere sempre più psicoanalitica, in quanto ricerca interna e costituzione di immagini inconsce buone. Persone preziose mi accompagnano lungo il sentiero di uno scampolo di secolo che, nelle menti di molti, solleva interrogativi seri. Non saprei cosa rispondere se non che sia necessario ripartire dalle legittime aspirazioni dell'individuo, troppo spesso ignorate da un sistema che ha altre priorità rispetto alla Felicità degli individui e alla gioia della tribù umana. Ogni epoca ha presentato delle difficoltà: quelle odierne sono legate alla stessa concezione mentale dell'esistenza sul Pianeta Terra. Nel romanzo, sto affrontando tutte queste tematiche, cercando di trovare in me i pensieri migliori. So solo che un'altra esistenza, lontana da fama e potere, è possibile, è qui, a portata di chiunque la desideri esperire. So che una Nuova Era di Luce potrebbe fiorire. So che l'altro può essere sempre una risorsa. Nella nuova prosa, scrivendo, realizzo come l'Arte sappia indicare una via inesplorata, che conduce al vero bene. La ricchezza che ho in mente io non è di certo avere un milione di euro in banca... Non ho mai scritto per piacere a nessuno. Non mi sono mai preoccupato di essere primo nella classifica dei best sellers. Creo segni d'Arte per esprimermi, lieto se poi qualcuno potrà rispecchiarsi nei miei suoni o nelle mie parole. Un grande assolo di tromba rimane splendido, anche se lo ascoltano poche persone, o nessuno. Io desidero che la mia Arte sia stupore e meraviglia. Candore e significazione. Sublimazione e introspezione. Da diversi giorni, rifletto sul valore di tante cose. Mi sembra che il passo rapido di questo sistema di cose viri verso lo svuotamento generale di ogni valore delle comunicazioni umane, nell'era in cui si può parlare comodamente con una persona che sta dall'altra parte del mondo, sotto l'egida dell'informazione globale. Vedo tanta mediocrità eletta ad aulico prodotto artistico. Vedo persone perdersi in dinamiche assurde. Vedo una Umanità ferma al palo, fatta eccezione per un manipolo sparuto di esseri umani che hanno una visione e vivono per essa. Si deve fare Arte nel ventunesimo secolo. È sano. È giusto. È doveroso. È una fonte di ispirazione che non può essere abbandonata. Sono trascorsi cinquant'anni dal 1968, quando molte coscienze si erano risvegliate, sognando la realizzazione di un mondo migliore. Ora a me sembra che tutti quei messaggi siano stati schiacciati e l'Arte ne abbia sofferto. Io non posso rassegnarmi all'idea che l'unica cosa creata dal 2000 siano i reality shows. L'uomo avverte la necessità di nutrirsi di ben altro. La sua Psiche deve poter volare. Non è troppo tardi. La Possibilità c'è sempre. In ogni istante. In ogni circostanza. Io, questo, lo so molto bene. Il romanzo sta diventando importante, per me. Gli dedico le mie migliori energie. Lo voglio nudo. Cristallino. Innocente, come la voce di un bambino che gioca felice. Non ci sono mistificazioni. Non c'è bugia. Non ci sono manipolazioni mentali. C'è solo un uomo eretto di fronte al proprio destino di creativo che spera di ascendere alla Luce. La tenebra la lascio agli uomini che oggi decidono il disboscamento dell'Amazzonia per i propri interessi imprenditoriali. Più vivo e maggiore è in me la consapevolezza che gli individui distruttivi dovrebbero essere posti nella condizione di non nuocere più a nessuno. Non è una intenzione crudele, ma pura logica. Se sei lesivo, devo allontanarti dalla comunità. Gli empi, invece, imperversano. Occupano ruoli di potere. Decidono le sorti di molti. Uccidono la spontaneità nei rapporti, che, a causa loro, sono diventati dei non-rapporti allucinanti. Nel mondo altro che sogno io, questi fenomeni, semplicemente, non esistono più. Sono estinti, per lasciare spazio alla Possibilità che la comunità umana viva bene. La Nuova Era di Luce, tuttavia, non salterà fuori dal nulla, come il coniglio dal cilindro del prestigiatore. Sarà necessario un cammino. Decisioni serie. Sforzo dei più. Visione. Affetto. Empatia. Rispetto. Amore. Il sistema di potere capitalistico è sotto gli occhi di tutti, non c'è nemmeno bisogno di sprecare una sola parola per descriverlo. Fra l'altro, è in ballo il futuro di coloro che ora sono bambini. Non possiamo perdere più tempo. Nel romanzo, tutte queste idee vengono alla Luce. Nascono. Fioriscono. Diffondono il loro profumo fra le pagine. Domani sarò in treno, ma rifletterò su tutte queste cose, in un viaggio che mi auguro possa essere piacevole. Mi assumo l'incarico di portare a compimento la stesura di questa mia nuova prosa, che ha raggiunto un grado di complessità nuovo, nell'ambito della mia produzione letteraria. Poi spedirò il lavoro agli editori. Potrei anche contattare l'editore che pubblicò il mio primo racconto nel 2008. Sono passati dieci anni e la mia penna scorre rapida verso nuovi segni d'Arte. Ho scritto molta Musica, in questo tempo della mia esistenza. Sono nate le mie undici Sinfonie, i miei long-playing e una colonna sonora, sempre all'insegna dell'evoluzione umana che stavo vivendo, passo dopo passo, verso la mia Identità di uomo libero. Come dicevo, la Possibilità esiste per tutti, nessuno escluso. Occorre però desiderarla e muoversi di conseguenza. Sono molti i miei pensieri. Quasi tutti lieti. Ho fatto quanto dovevo. Il progetto, nato con il mio primo libro, è concluso. Ha occupato gli ultimi dieci anni della mia Vita. Il romanzo, infatti, è un'opera a sé stante, originale, che non ha la sua radice nello sviluppo di materie passate. Con il Requiem ho chiuso il ciclo dedicato a tutto ciò che è stato. Ora il mio sguardo è rivolto al presente, con qualche interrogativo sul futuro. Nonostante la cifra stilistica delle mie opere sia rimasta intatta, tuttavia i tessuti disegnati nelle varie forme si sono arricchiti. Sono diverso io, rispetto a dieci anni fa. È diversa anche la mia produzione, di conseguenza, pur rimanendo coerente con il mio modo di pensare parole e suoni. Affronterò una fase di serio labor limae fra le pieghe delle parole della mia nuova prosa. Farò in modo che tutto sia perfetto. Chiaro. Lucente. Penso al mio Maestro, che, forse, leggendo questi pensieri, sarebbe fiero di me. Buon vento, Marineros!».
Partì per Cork e visse un fine-settimana splendido, in compagnia di sua madre, che amava ridere e di suo figlio, che era un adorabile ragazzo brillante. Le emozioni provate a Cork furono davvero belle. Il lunedì mattina si recò in stazione, controllò l’orario del suo treno, fece colazione e si fumò una sigaretta. Poi si mise seduto su una panchina e iniziò a scrivere con lo smartphone. In quei giorni, pacifico e rilassato, seduto al pianoforte che lo legava indissolubilmente al ricordo di suo padre Connor, che lo ascoltava sempre suonare con vibrante commozione, improvvisò in Re diesis minore ed accordo dopo accordo, nota dopo nota, realizzò di essere sul punto di creare quella che lui sentiva più prossima ad una meditazione, formula musicale da lui mai esplorata. Trovò un titolo, per quella sezione, così pensato: 1. Meditazione: «Martoriata landa». Poi sentì la necessità di modulare in maggiore, creò un ponte e giunse nella nuova tonalità, con tre potenti accordi. La nuova unità la chiamò «2. L’approdo» e fu soddisfatto del suo lavoro. In tutto, nel corso del fine-settimana, scrisse più di cento battute per un totale di oltre sei minuti di Musica, che, nella sua testa, non potevano rimanere a sé stanti, ma avevano il diritto di far parte di qualcosa di più ampio. Seán pensò ad una nuova Sinfonia, la numero dodici, intitolata «Nel sentiero», che potesse rappresentare compiutamente il suo percorso umano dalle tenebre alla Luce. Il viaggio fu splendido. Quando arrivò a Galway, sentì il suo cuore pieno di gioia. Sua madre e suo figlio stavano bene e lui poteva tornare alla sua Vita di artista sapendo di aver fatto tutto nel miglior modo possibile. L’idea della Sinfonia nuova lo attraeva molto. Giunto a Galway, era lungo il tragitto verso casa ed ascoltava le voci dei passanti. Si guardava intorno e vedeva tutto bello. Era felice e non doveva avere paura di esserlo o di comunicarlo alle persone care. L’estate successiva, dopo l’esame conclusivo della scuola di Aindreas, avrebbe voluto fare una vacanza. Sognava sempre di esplorare la contea del Donegal con la sua Sinéad. La sua Sinfonia stava occupando il centro dei suoi pensieri dalla mattina del suo ritorno, in un Lunedì nel quale i verdi paesaggi della sua Landa gli parvero animati da una Pulcritudine dall’intensità disarmante. Stava cercando di imparare ad accettare ogni forma di precarietà, sperando che, un giorno, se si fosse ripresentata una nuova tempesta, avrebbe avuto tutti gli strumenti per non soccombere, attraversare le tenebre con la Luce nel cuore ed approdare a una dimensione di benessere, che immaginava essere più bella e significativa che mai, dacché riteneva che l’unica crescita infinita fosse quella dell’Identità, struttura palpitante dell’esistenza, vera Possibilità dell’individuo.
27° Stralcio
Gli abbracci
Scrisse Musica. Articolò un suo pensiero, donandolo a se stesso, lungo il sentiero che portava alla conclusione della sua Sinfonia n. 12. Queste le sue parole:
«La nuova Sinfonia, la dodicesima della mia esistenza, è giunta al terzo Movimento, lo Scherzo, nella tonalità d’impianto di La diesis minore, nel ritmo ternario che contraddistingue la suddetta forma. I primi due Movimenti, che recano i titoli «Martoriata landa» e «La successione dei passi» li ritengo conclusi. Oggi ho imbastito alcuni orditi per il terzo Movimento e, sebbene non l'abbia concluso, sono a buon punto. La Sinfonia è piena di suoni diversi. C’è anche un pianoforte che dialoga con l’orchestra. I miei costrutti armonici li sento carichi di sfumature policromatiche. Il suono complessivo delle varie linee crea un’atmosfera intensa, che ben si adatta alla sublimazione dei miei pensieri. C’è un mondo di emozioni in questa composizione».
Aveva letto una considerazione di Mahler su come dovesse essere una Sinfonia e l'aveva trovata particolarmente interessante, perché quello era il modo in cui lui intendeva la Musica. Era giunto, quella domenica, a chiudere il terzo Movimento della sua Sinfonia «Nel sentiero», ed era davvero fiero dei suoi suoni. Quel genere di composizione, come lo intendeva lui, doveva essere pieno di Vita. Celebrare un mondo. Racchiudere un cosmo. Svelare una visione. L'artista era nel suo studiolo, protetto dalle solide mura della sua casa, avvolto nell'affetto dei ricordi della sua nuova esistenza, che gli pareva così bella. Stava riascoltando il terzo Movimento della Sinfonia, che aveva intitolato «Gli abbracci», perché lui, lungo il tratturo della sua crescita, alla fine del periodo di difficoltà, aveva trovato gli abbracci preziosi della sua Sinéad e di suo figlio, riscoprendo la Bontà della propria madre. La composizione gli sembrò perfetta. Non aveva altro da aggiungere o modificare. Il giorno dopo, si svegliò bene e dopo la colazione si mise a comporre il quarto Movimento. Trovò un tema iniziale, che gli piacque molto e si ritenne soddisfatto. Poi aggiunse altre unità compositive, alcuni ritornelli e, in totale, scrisse più di mezz'ora di musica. Salvò il file e lo riascoltò. Era davvero bello. Si emozionò. La sua scrittura si era raffinata, in tutti quegli anni, grazie ad un duro lavoro di ricerca. Corse a scrivere su Facebook la sua gioia, vergando queste parole:
«Oggi pomeriggio ho concluso la mia ultima opera, Sinfonia n. 12 - "Nel sentiero", terminando il quarto Movimento. Ho riascoltato il lavoro provando una profonda sensazione di benessere. Prossimamente posterò questa Musica. Ho realizzato che, negli ultimi dieci anni, il mio linguaggio musicale si sia evoluto. Sono più libero ritmicamente. Scrivo armonie con più sfumature che creano un senso di moto. Scelgo gli strumenti con maggiore consapevolezza. Credo che nelle mie composizioni sia nato un cosmo, fatto delle emozioni che vivo. Gli stessi pensieri dimorano dentro e dietro le note. Sono convinto che non potrei fare di più, in questo momento. Domani chissà? La Sinfonia è degna. I temi si succedono fieri, congiunti da ponti, a tratti, mentre, altre volte, le idee musicali si alternano con possanza, senza apparenti legami interni. C'è una speranza in questa composizione. C'é il desiderio di una Vita bella per tutti, con un messaggio universale di coraggio e forza. Auguro ai miei amici buona cena! Buon vento, Marineros!».
Quella mattina, era nel silenzio del suo studiolo, che lui adorava. Era giunto il momento di mettere in rete la sua opera. Voleva riascoltare il quarto Movimento scritto meno di ventiquattro ore prima. Era ancora presto per condividere la sua Musica. Voleva essere certo che non vi fossero parti da correggere, sebbene nelle sue composizioni, di solito, una nota scritta era per sempre, perché lungo era il processo che portava a concepirla. Raramente cancellava qualcosa che aveva scritto. Di solito, quando concepiva un suono, aveva una idea dominante che lo aveva portato a sentire dentro di sé quel tipo di nota, con quel valore ritmico, con quella frequenza, affidata a quel preciso strumento. Come aveva scritto sul social network, la sua fase creativa musicale si stava sviluppando. A furia di provare e osare, i suoi costrutti erano diventati sempre più arditi. Sempre più espressivi. Sempre più cristallini. Nella Sinfonia n. 12, c'era il cosmo cui faceva riferimento Mahler: un mondo intero di emozioni. Quel lavoro aveva anche una dimensione significativa. Raggiungeva la durata complessiva di un'ora, quarantanove minuti e quarantotto secondi. Il primo e il quarto Movimento erano degli adagi, mentre il secondo si palesava come un Allegro e il terzo, lo Scherzo, come un Andante. Seán aveva avuto così tante cose da dire che la Sinfonia aveva assunto una estensione ragguardevole. Sognò ad occhi aperti che le sue note riecheggiassero lungo tutte le scogliere d'Irlanda... Affidò la sua ultima opera al web e scrisse queste parole sul suo sito personale:
«Oggi posto la mia nuova Sinfonia, la dodicesima della mia produzione. Sono orgoglioso di questa ultima opera, che si è sviluppata negli attimi di libertà durante un fine-settimana a casa di mia madre ed è proseguita poi a casa mia, in una decina di giorni di attività intensa. La Sinfonia ha una estensione importante: quasi un'ora e cinquanta minuti di durata. L'opera reca un titolo, «Nel sentiero», dacché è lungo il percorso che mi ha condotto fino a qui che io mi sono scoperto creativo. Il primo Movimento si intitola «Martoriata landa», perché ritengo che, nei secoli, la mia terra sia stata calpestata in nome di un progresso che non ha portato la gente a stare bene. Dopo una apertura affidata agli archi, si erge una sezione per pianoforte solo con note ribattute e accordi potenti, cui rispondono gli ottoni, dipingendo agglomerati intensi, che cedono il passo ad una successione discendente delle viole. La risposta di tutti gli archi è immediata. Inizia quindi una parte che ho pensato come meditazione, dandole il titolo di «Martoriata landa», che poi ho mutuato per definire l'intero primo Movimento. È una sezione in tre. Si creano onde, in cui le dissonanze sono in primo piano. Questa è la parte che ho composto a casa di mia madre, al pianoforte che mi lega indissolubilmente all'immagine di mio padre, che me lo regalò quasi trent'anni fa, con mio immenso stupore. Lui amava sedersi sulla sua poltrona ed ascoltarmi suonare Bach e Chopin, con qualche canzone dei Pink Floyd a spezzare l'equilibrio dotto delle mie esecuzioni. L'unità per pianoforte, concepita come meditazione, è il fulcro del primo Movimento. Tutto ruota intorno ad essa, in un forte assetto sinfonico. Alla prima parte, «Martoriata landa», in minore e piena di sfumature dissonanti, si contrappone una seconda struttura, che ho intitolato «L'approdo», in maggiore, perché ogni cammino dovrebbe concludersi con la prospettiva della Luce, calda, avvolgente, rassicurante, alla quale esporre il proprio corpo nudo di essere umano. Gli agglomerati accordali del pianoforte sono tutti densi, forti, carichi di vitalità. Ad un certo punto, lo strumento solista riprende la successione discendente delle viole, per poi lasciare campo ai legni, che ergono un maestoso muro di elementi acustici, con una breve parte solista affidata ad uno strumento a fiato. Si ripropone quindi il primo Tema del pianoforte, che definirei «Idea A». Le note ribattute hanno una loro natura intrinseca che rimanda ad alcune pagine del Romanticismo tedesco. In una sorta di grande ritornello, torna la sezione per archi con cui il Movimento si apre. Gli archi, successivamente, rielaborano il Tema di «Martoriata landa» che era stato affidato al pianoforte, come a dire che quell'unità abbia un peso rilevante nell'economia complessiva del Movimento. «Martoriata Landa» intende essere la descrizione di una Possibilità: quella di vedere fiorire la propria terra e i suoi abitanti. Continuano le note ribattute del pianoforte, cui rispondono i legni con melodie raffinate e un solo di corno inglese, su cui si installa un intero tessuto di suoni. Una nuova idea per pianoforte prende corpo, in un ritmo ternario, che, di fatto, è il metro ritmico fondamentale dell'intero Movimento, alternato a parti in quattro che lo bilanciano. A riascoltare ora i legni, mi sembra che piangano, con quelle loro successioni di semitono. Si apre una unità per archi, in tre, cui segue la parte per pianoforte con le note ripetute e gli accordi pieni di carica vitale. Il Movimento è un Adagio, scandito dalla successione dei secondi in un minuto, metronomo sessanta. Gli ottoni, in tutta la Sinfonia, avranno sempre la medesima configurazione, attraverso la quale splendono in architetture maestose, dipingendo un affresco dalle forti tonalità cromatiche. Sono le trombe, i corni e le tube che danno al Movimento un senso di grande speranza. Segue la coda, affidata, come spesso faccio, agli archi, con lunghe note tenute. Il secondo Movimento è invece un allegro sostenuto, con figurazioni ritmiche che sobbalzano, fra i tasti di un pianoforte saltellante. Il titolo dell'unità è «La successione dei passi», dacché solo muovendosi nello spazio dell'esistenza si possono raggiungere mete. La stasi non porta da nessuna parte, se non ad affermare la propria zona di appartenenza, in cui non succede mai nulla. Al pianoforte segue una parte per archi, rapida, leggera, come nuvola. È nei passi che ho trovato benessere, anche quando la destinazione sembrava lontana. Gli ottoni rispondono con note lunghe. Dopo una breve successione con il violino solista, torna il pianoforte, su cui si ergono due strumenti ad arco: la viola, che, con il suo timbro scuro, commenta le armonie dello strumento a tastiera ed il violino, che si muove in una linea melodica piena di dissonanze. Si ripropone l'idea iniziale del pianoforte, il «Tema A» del Movimento. «La successione dei passi» è piena di vigore. Serpeggia l'indecisione dell'individuo, a tratti, davanti alle decisioni importanti del suo sentiero, ma le risposte sono tutte positive. Un solo di flauto traverso brilla per lucentezza. La risposta degli altri legni è maestosa. Riprende il «Tema A» del pianoforte, vigoroso, ritmato, in un tempo allegro attraverso il quale le note rapide si alternano ad attimi di riflessione con lunghi accordi. Nella seguente sezione dei legni, si trova una successione modale, affidata a tre strumenti che si rincorrono, per poi lasciare spazio ad una piccola parte di accordi tenuti. In tutto il Movimento sono presenti parti di note ribattute, che creano un preciso momento di moto, verso l'approdo, che è la completa realizzazione dell'individuo: l'Identità. Gli ottoni rassicurano l'ascoltatore, prima della riproposizione del «Tema A» del pianoforte, che è la sezione che conduce in avanti tutte le forze insite nella partitura. Ho fatto ampio uso del principe degli strumenti a tastiera, perché mi trovo molto bene ad affidargli i miei costrutti. Lo faccio cantare, fra melodie ed armonie, e questo mi gratifica non poco. Le successioni veloci delle note, nel Movimento, sono tutte funzionali alla descrizione degli istanti in cui l'essere umano si muove rapidamente lungo il suo sentiero, con il desiderio di vedere ove conduca il proprio cammino. Il solo di flauto traverso è nato da una improvvisazione del momento. Mi sembrava giusto affidare allo strumento, che ho tanto studiato, una idea importante. Nel terzo Movimento, «Gli abbracci», l'individuo scopre la Bellezza di donarsi pienamente ad un altro essere umano, cingendolo con le proprie braccia. La tonalità d'impianto è abbastanza desueta: La diesis minore. Il Movimento si apre con una progressione per archi cui rispondono gli ottoni. C'è stupore, dietro alle note. L'essere umano, dopo un lungo peregrinare, trova un altro individuo, che gli fa da specchio, gli narra la Bellezza del proprio codice interno, leggendolo, con profonda meraviglia. In questa Sinfonia, i legni costruiscono le mura di un edificio splendido, un vero e proprio tempio. Il terzo Movimento è in forma di Scherzo, in un ritmo ternario ed in esso si succedono diverse idee, molte delle quali hanno tratti consolatori. È un Andante sostenuto, metronomo cento. Il Tema conduttore rimane quello dell'apertura degli archi, riproposto più volte, fino alla fine. I contrabbassi danno profondità alle armonie, ben radicate, come a voler significare che l'individuo debba ben sapere quale sia la propria origine, prima di spiccare il volo. Il ritmo ternario torna un po' ovunque, nella Sinfonia e, probabilmente, ne è il metro fondamentale. Lo Scherzo si muove su una serie di armonie capaci di spingere in avanti l'intera struttura portante del Movimento. Gli abbracci vengono descritti con Amore. Agli archi viene affidata la parte più affettuosa dello Scherzo. Segue una sezione in cui il ritmo è caratterizzato da timpani e batteria. Il tempo della Sinfonia è variopinto. Ho lavorato molto sulla concezione ritmica dei vari Movimenti. È al pianoforte che viene affidata la parte in maggiore, quella che esprime la felicità degli abbracci. C'è una sorta di incredulità, nell'uomo, quando, dopo tanto patire, egli incontra l'Amore vero. Lo Scherzo intende sottolineare questa condizione, che l'individuo supera quando percepisce l'autentico calore umano dell'unione con chi ha deciso di amarlo senza alcuna resistenza, dinamica che gli fa decidere di affidarsi completamente a quella dimensione di estasi. Il quarto Movimento si intitola «Identità», perché ho pensato molto a ciò che rende un individuo sano e non distruttivo. A dire il vero, lungo la partitura, il mio pensiero è andato alla Possibilità che ogni essere umano possa vivere felice e, in questo senso, tutta la composizione è animata da una forte speranza, irriducibile. Questa parte della Sinfonia contiene anche una sezione per tastiera, violino e viola, in Mi bemolle maggiore. Il tema iniziale torna diverse volte nel corso del Movimento, accompagnato dal suono aulico dei timpani. L'uso dell'orchestra è pieno. Gli ottoni creano armonie ardite. Il «Tema A», con cui il Movimento esordisce, è affidato agli archi, in un ritmo puntato. Seguono poi i legni, in una unità nella quale un breve inciso viene affidato al clarinetto in Mi bemolle, strumento che amo. «Identità» rappresenta un combattimento e in essa vi è la certezza che si possa vivere tutti insieme nella Bellezza, contemplando Pulcritudine in ogni sua forma. Il «Tema A» si ripropone sempre con lo stesso vigore. È esso a creare il passo del Movimento, con la sua natura forte. I legni rispondono costituendo un muro di suoni. Al «Tema A», si alternano ottoni e legni, che, rispondendo, forgiano una serie di agglomerati che stemperano la natura combattente dell'esordio degli archi, che d'un tratto, si producono in una serie di note in ritmo ternario, che sfociano in sezioni di legni ed ottoni. L'Identità è, di per sé, una dimensione nuova dell'essere, ma non può essere raggiunta se non con un percorso. Riprende il «Tema A», che, ad ogni riproposizione, diventa sempre più incisivo, caratterizzando definitivamente il Movimento. C'è anche una sezione affidata a flauto, viola e tastiera, in cui si espone una idea musicale nuova. Nella parte conclusiva del Movimento, nasce una sezione Rock, con chitarra elettrica solista. L'atmosfera descritta è quella di una rivelazione, dacché l'Identità è un prodigio che tutti siamo chiamati ad esperire. Alla parte Rock segue la coda finale dell'intera Sinfonia, affidata agli archi, che delineano quattro armonie prima di affermare l'accordo ultimo del lavoro, maggiore, come la gioia di essere vivi e poter fare belle esperienze. L'opera, nel suo complesso, narra di Vita vissuta. Di crescita individuale. Di Possibilità. C'è un cosmo al suo interno, proprio come insegnava Mahler. Sono soddisfatto della mia opera. C'è un concept al suo interno. C'è un percorso. C'è la gioia. Affido questo lavoro al web, nella speranza che qualcuno ci si possa ritrovare dentro. Buon vento, Marineros!».
La sua Arte lo abbracciava. Sinéad lo abbracciava. Suo figlio Aindreas lo abbracciava. Non poteva immaginare vita affettiva più bella. Aveva scoperto l'importanza degli abbracci solo dopo la fine della tempesta, quando, ancora ferito, aveva ricevuto le amorevoli cure della sua compagna. Quella mattina, il giorno dopo aver postato la sua Sinfonia n. 12, si svegliò bene, rinfrancato, e decise di rileggere tutto quello che aveva scritto negli ultimi giorni. Era avvolto dal silenzio, proprio come piaceva a lui e si guardava intorno, in casa, alla ricerca di un pensiero che lo guidasse. La giornata era gradevole, sebbene fredda nella sua austerità gaelica. Per lui, non c'era Identità senza gli abbracci. Non c'era realizzazione senza lo specchio dialogico dell'altro, dotato di intelligenza ed empatia. Come spesso diceva: «È il rapporto umano a salvarti!»... Era stato l'Amore a condurlo alla sua dimensione di adulto libero e creativo. Erano state le mani di Sinéad, che, con tanta dedizione, avevano curato il suo mondo di uomo straziato dal dolore. Erano stati gli abbracci di suo figlio a fargli comprendere che ci potesse essere pace dopo la tempesta. Erano state le parole di sua madre a lenire ogni sua sofferenza ed indicargli la via nella quale non aver più paura di nulla. Seán era un uomo fortunato, che non si era mai arreso. In quel momento della sua Vita, gli abbracci erano frequenti. Amava stringere a sé il corpo di suo figlio e sentirne il calore. Adorava giocare con la sua compagna e percepirne la fragranza. Aveva un grande significato, inoltre, cingere, con le sue braccia, il corpo delicato e fragile di sua madre, che era un distillato di saggezza. La sua Arte era una vera e propria terapia, cui non avrebbe rinunciato per nessuna ragione al mondo. Lui ne era ben conscio. Quando pensava alla produzione degli ultimi dieci anni, da quando aveva conosciuto la sua Musa, realizzava che ogni parola e tutti i suoni erano stati creati per liberarsi. Per vivere sereni. Per proclamare un Io capace di abbandonare il male. Era tornato dalla sua immancabile passeggiata in centro e aveva trovato, lungo un vicolo, un trio che suonava vecchie canzoni irlandesi, sull'amore, l'oceano e la nostalgia di casa. L'artista aveva sorriso, dacché molti di quei pezzi li conosceva perché gli venivano cantati, quando era bambino, da suo padre Connor, fiero di essere gaelico. Camminando, ricordò con piacere, gli abbracci di suo padre, scomparso troppo presto. Connor vibrava tutto, quando cingeva suo figlio, per il grande Amore che lo legava al suo ragazzo. «Si cresce nel rapporto, con gli abbracci, con l'amore, con il rispetto, con l'empatia» riflesse l'uomo, che, ad ogni passo del suo cammino, sentiva la propria concezione del mondo perfezionarsi, cristallizzarsi in un sistema di pensiero incontrovertibile. Era solo, quella mattina. Il silenzio, interrotto dal suono dei tasti dell'Amico Mac, gli teneva compagnia e gli permetteva di chiarire le sue idee su tutto. L'autore era giunto, in quegli anni, a rivelazioni progressive, che lo facevano tendere ad uno stato di benessere sempre più avvolgente. Era diventato abbastanza saggio. Si teneva lontano da ogni possibile relazione tossica. Sapeva bene quanto fosse importante rimanere lungo il proprio cammino. Non avrebbe barattato mai quella sua Vita con null'altro. Era alla metà del suo nuovo capitolo, con suoni sinfonici nella testa, in secondo piano. La montagna di effetti acustici, che aveva caratterizzato la sua Sinfonia n. 12, si stava lentamente dissolvendo, aprendo il paesaggio psichico dell'autore a nuove percezioni. Adorava la sua Arte. Ne andava fiero. Non avrebbe voluto essere diverso da com'era. Sentì sua madre al telefono e constatò quanto l'anziana signora stesse bene, fosse vigile, attenta. Il suo mondo, fatto di pochi affetti saldi, non doveva andare incontro a sventure. L’uomo sapeva quanto occuparsi del proprio nucleo fondativo fosse vitale: non sarebbe mai stato bene, se uno del suo gruppo di affetti, avesse riversato in cattive condizioni psico-fisiche... Sua madre stava invecchiando, e con lei, pian piano, anche un pezzo d'Irlanda appassiva. Tuttavia, l'uomo desiderava che la sua genitrice fosse lieta di vivere fino all'ultimo dei suoi giorni, senza rimpianti, senza quella sensazione di fine imminente che accompagnava molti anziani alla morte... L'autore si sedette alla sua scrivania, mise ordine alla sue idee e iniziò a scrivere. Il giorno prima, a quella stessa ora, stava confezionando il post con cui affidava la sua ultima opera al web, e, pensando questo, l'uomo sorrise, perché sentiva che il suo processo creativo fosse in costante avanzamento. In quel momento, gli premeva occuparsi della sua nuova prosa, giunta ad una dimensione molto significativa, alla quale avrebbe donato il meglio di sé, in una costante ricerca di vibrazioni mentali in grado di accompagnare il lettore verso la visione finale dell'opera, oltre i ricatti, le menzogne, il senso di schiacciante potere che si respirava fuori, nelle strade del mondo, accecato dalla folle bramosia di possesso di tutto... Il suo componimento, scritto fieramente con coordinate marxiste, stava rappresentando il compendio della sua esistenza, era uno specchio d'acqua di alta montagna, grazie al quale lui lasciava riflettere la propria immagine interna di artista innamorato della Vita, militante, che osserva gli esseri umani proponendo una soluzione: la chiarezza dei percorsi interni di individuo, l'igiene delle scelte, il rifiuto ferreo di ogni forma di sopraffazione... Aveva scritto una composizione di quasi due ore: i suoni che aveva concepito in partitura gli riecheggiavano nella testa, a sprazzi, tutto d'un tratto, per poi scomparire nel canto interno del suo cervello. Ripensò a quel giorno in cui, tanti anni prima, parà inglesi, ad un pacifico raduno irlandese, avevano sparato sulla folla, uccidendo tredici ragazzi inermi. C'era stato troppo sangue versato, in Irlanda, in nome di una guerra sporca, giocata sulla pelle degli innocenti. Qualsiasi forma di potere non avrebbe mai avuto a cuore la gioia degli esseri umani, dacché essa è fine a se stessa e produce, in continuazione, la aberrante figura della propria estensione su tutto il pianeta. Il ventunesimo secolo era iniziato con lo sviluppo di un regime mondiale, figlio del liberismo reaganiano degli anni '80, cui tutti gli stati si erano adattati. Enti superiori alle nazioni, infatti, decidevano cosa avrebbe mangiato la gente, dove avrebbe messo i propri risparmi, come sarebbe andata in vacanza. Il tutto, garantito da un totale sistema di controllo dei dati della gente. Tutti erano schedati, negli archivi delle multinazionali. Qualsiasi cosa si scrivesse su Facebook, rimaneva nel web per l'eternità. C'era stato lo scandalo reso noto da Edward Snowden, che aveva rivelato come la NSA controllasse una infinità di dati dei cittadini americani e non. Ovviamente nessuno aveva approfondito, nei media mainstream, sebbene le dichiarazioni di Snowden avessero fatto il giro del mondo e lui si fosse dovuto rifugiare in Russia, accolto da Putin, ricercato da quasi tutte le polizie di tanti stati occidentali. La tirannide del male, che non si era mai stancata di evolvere, era giunta al dominio assoluto a tutte le latitudini. Inoltre, non c'era più un nemico visibile: non esisteva più il soldato nazista, ma un considerevole numero di servi in giacca e cravatta, che, ogni giorno, giocavano in borsa a spostare capitali enormi sopra la testa dei popoli. Dalla caduta del muro di Berlino, nel 1989, il capitale, non avendo più, come rivale, la visione socialista del blocco sovietico, si era ripreso tutto quello che aveva provvisoriamente garantito alle masse operaie, cominciando a togliere diritti acquisiti, impoverire la sovranità monetaria degli stati, precarizzare il mondo del lavoro, con la consequenziale instabilità esistenziale di una cospicua parte del Genere umano, quella che non sarebbe mai salita su uno yacht da milioni di euro... Era il miracolo della classe dominante, che imponeva sacrifici ai popoli, come quello greco, e, inesorabile, tracciava la rotta di una società sempre più povera e allo sbando. Il diffuso senso di precarietà, nel proletariato e nella impoverita media borghesia, non era soltanto materiale. Non si aveva solo paura di non avere i soldi per le bollette, o per mandare i figli a scuola, c'era qualcosa di diverso. La gente aveva cominciato ad avere paura di vivere: i pilastri su cui poggiava la propria esistenza erano tutti instabili, le certezze erano crollate, non si facevano progetti per un futuro, che, invece di essere una prospettiva, si stava trasformando in minaccia costante. Molti avevano il terrore di non riuscire a mettere insieme, nello stesso giorno, il pranzo con la cena. Genitori, angosciati per la sorte dei propri figli piccoli, cercavano disperatamente un aiuto materiale e morale. La crisi economico-finanziaria del 2007, esplosa prepotentemente negli States con la bolla dei mutui subprime, aveva contagiato tutto il globo. Era da allora che si sentiva parlare di tagli alle pensioni, riduzione del diritto allo sciopero, manovre lacrime e sangue, estinzione di alcuni diritti che gli operai si erano guadagnati sul campo con decenni di proteste e lotte. Le società umane erano quindi state fatte a brandelli. I diritti sociali stavano sparendo. Non c'era più nulla di sicuro. Tutto ciò aveva avuto una ripercussione importante sullo stare bene psichico della gente. Il senso di perdita costante e l'angoscia per il futuro avevano generato un malessere così diffuso che le persone vagavano nel buio. Era essenziale, dunque, una sana Psicoterapia di intervento, per aiutare le persone a tornare a sperare... In compenso, c'era stato un florilegio di inutili rivendicazioni radical-chic che il sistema pompava per distogliere le masse dall'unica vera battaglia che fosse necessario combattere: quella fra sottoposti e classe dominante. L’uomo vedeva la gente in sofferenza. Sapeva quanto fosse indispensabile un cammino di liberazione, ma doveva riconoscere, perché la realtà viene sempre prima di tutto, quanto il potere stesse vincendo a mani basse, senza alcuno sforzo. Per questo, riteneva che la sua Nuova Era di Luce dovesse essere il trionfo di una visione socialista del mondo. Lui non era comunista per moda. Lui era comunista, perché non trovava, sulla faccia della Terra, una concezione di Vita migliore, che potesse garantire all'Umanità una convivenza fattiva e lieta, amorevole e creativa, bella e serena, sempre sorretta dall'ideale di pace ed armonia fra gli individui... Il potere non ha cura se non di se stesso. Il potere uccide, per i propri fini. Il potere non tollera individui sani e pensanti. Riflesse sulla sua Arte. Era da tanto tempo che cercava parole per esprimerla. Sapeva bene che i suoi segni d'Arte fossero la trasformazione del suo vissuto. In fondo, tutta l'Arte è autobiografica. Il creativo non può rappresentare ciò che non conosce. Egli descrive ciò che vive, ciò che ama, ciò che lo tormenta, ma mai qualcosa che è lontano dal campo delle sue esperienze vissute. Almeno così la vedeva l’artista. Era a metà pagina, in un capitolo consacrato alla Pulcritudine. Si era scoperto leggero, in quegli anni. Si era percepito capace di volare come una libellula. Aveva sconfitto il peso della tempesta, che lo schiacciava costantemente sotto il giogo di un destino crudele, che il ragazzo non aveva scelto. Tuttavia, l'uomo non desiderava vendetta. Tutti gli attori di una sinistra tragedia avrebbero fatto i conti con se stessi, o forse no, ma al compositore non interessava, dacché, poco dopo la tempesta, aveva iniziato a vivere pienamente. L'autore, sempre più convinto della bontà della Cura, augurava, agli uomini dell'esercito del sistema, una piena guarigione. Non c'era cosa più bella che potesse pensare. Sperava che tutti potessero un giorno varcare l'arco di trionfo della Nuova Era di Luce, certi di essere liberi e creativi. L'uomo non voleva nutrire sentimenti negativi come l'odio. Desiderava solo la pace, dopo aver tanto vagato per sentieri impervi. La sua condizione di artista si espandeva nel suo spazio vitale, rilasciando, nella sua Vita, un senso profondo di Bontà. Era nella Verità che l'autore aveva scoperto la propria capacità di camminare fiero da solo. Era nella Bellezza che aveva scorto, per la prima volta, la sua attitudine all'Amore totale... Era negli abbracci che aveva dimenticato il male... Fece un tiro di sigaretta. Pensò al suo Máistir, che non sentiva da qualche giorno. Decise di scrivergli una mail. Oggetto: «Gli abbracci».
«Buongiorno, Maestro!
Come stai? Come procede la terapia? Mi auguro che tu stia sempre meglio. Hai avuto modo di comporre? Nell'ultimo periodo, sono stato a Cork da mia madre e ho visto mio figlio. Ho scritto al pianoforte una meditazione, che, subito dopo essere tornato a casa, ho rielaborato. Ne è nata una composizione sinfonica, che mi ha portato a scrivere la mia dodicesima Sinfonia, che troverai nel mio sito personale. Ieri ho anche scritto dei pensieri sulla mia Musica. È un'opera complessa. Dentro c'è un mondo, proprio come diceva Mahler. Mi auguro di avere tue notizie e spero che un giorno io e Sinéad ti verremo a trovare nella tua amata Dublino, la città che ospitò tanti dei tuoi concerti. Ora ti lascio. Immagino che sarai impegnato. Ti stringo in un forte abbraccio... Tuo, Seán».
L'artista si mise a fare un po' di cose in casa. Preparò una lavatrice, lavò i piatti, spolverò un mobile della cucina, lasciando lievitare le proprie parole scritte nel turibolo della propria mente. Trascorsero un paio di ore, quando, all'improvviso, l'autore sentì il suono di entrata di una mail e, sperando che fosse il suo Máistir, si tolse i guanti con cui stava dando lo straccio e si avvicinò alla scrivania dove c'era il suo computer ad attenderlo. Con suo immenso stupore, vide la risposta del suo Maestro, che gli aveva scritto queste parole:
«Ciao, Ragazzo!
Che piacere sentirti! Proprio l'altro giorno ti pensavo e mi chiedevo se fossi andato a Cork in Gennaio. Sto bene. La terapia, che mi ha fatto molto bene, è alla fase finale. Non ti nascondo che riconquistare il mio benessere giorno dopo giorno è stata una esperienza incredibilmente positiva. Sto componendo senza sosta. Ho chiuso un Atto. La storia degli eroi d'Irlanda mi appassiona e sento che mi spinge a trovare le mie migliori armonie! Da quando mi hai scritto, ho subito visitato il tuo sito, che, fra l'altro, trovo veramente ben fatto. Ho ascoltato la tua dodicesima Sinfonia e devo dire di trovarla molto bella. Mi piace come estendi i suoni negli adagi e come li tratti negli allegri con quelle rapide successioni, piene di armonie, che quasi sempre sfociano in costruzioni verticali stabili. Mi piace molto anche il percorso, da «Martoriata landa» ad «Identità», perché le tue opere sono davvero sempre legate a qualcosa di letterario e profondamente psicoanalitico. Ora mi accenderò la mia pipa, per festeggiare le tue note, dopo aver sorseggiato un buon whiskey irlandese. Bravo Seán! Continua così! Poi mi dirai anche come procede la stesura del tuo romanzo che io vorrò acquistare, una volta che sarà pubblicato. Sei cresciuto molto, musicalmente, negli ultimi dieci anni, da quando hai trovato l'Amore onesto e liberatorio della tua compagna. Aindreas come sta? Come va il grande avvicinamento all'esame finale della sua scuola? Raccontami di lui, quando puoi. Sì, nelle tue Sinfonie, c'è un cosmo. C'è una storia da raccontare. C'è una grande voglia di pace e vitalità. I tuoi duri anni a Belfast non ti hanno tolto il sorriso. Sei riuscito a sconfiggere un sistema che ti voleva amputare le membra, uccidendo il tuo spirito indomito di ragazzo pieno di Bellezza. Sono proprio contento del tuo percorso. Scrivimi tutte le volte che vuoi e ricorda che qui a Dublino ci sono io che aspetto te e la tua Musa a braccia aperte. Ti abbraccio, figlio mio... Sei la mia gioia... Tuo, Máistir».
L’autore rilesse due volte la lettera del suo Maestro. La commozione gli vibrava lungo tutta la schiena. Vedersi riconoscere, proprio dal suo vecchio insegnante, tutta una serie di qualità psichiche era stupendo. Aveva lavorato quarantaquattro anni per leggere una mail del genere... L'uomo pensò che il bambino, che era stato, sarebbe stato fiero dell'adulto che lui era diventato. Questo pensiero lo rincuorò non poco. Bevve un sorso di caffè amaro e si accese una sigaretta. Tornò a scrivere, ritenendo le sue faccende domestiche esaurite. Il viale pullulava di scampoli di esistenze dirette ovunque. L’artista sorrise, dacché sapeva bene di essere parte di quella Umanità in movimento. Ricordò nitidamente la fatica del giorno prima, nel redigere un articolo da abbinare alla nascita della sua Sinfonia e pensò alla stanchezza mentale con cui aveva scritto la coda finale dell'opera, affidata ad archi che inneggiassero al trionfo. Il compositore donava tutto se stesso alla sua Arte. La viveva in modo fisico, come uno slancio d'atleta e, alla fine di ogni scrittura, era sfinito. Del resto lui sapeva bene che Arte è dono del proprio Io. Se gli fossero rimaste delle energie, si sarebbe interrogato sulla Bontà del suo operato. Per lui, l'Arte ti doveva lasciare completamente vuoto, come una puerpera che partorisce un bambino. Non c'è descrizione di un mondo interno, senza sforzo. Non ci può essere creatività, senza un faticoso scavo nella dimensione più intima dell'essere umano. Arte è ricerca. Arte è osare. Arte è introspezione. L'autore era ancora lì, nel suo studiolo, con i suoi pensieri in testa, cui cercava di dare un ordine. Leggere il suo Máistir gli aveva fatto davvero bene. Non poteva essere più soddisfatto. Sognava ad occhi aperti il giorno festoso in cui sarebbe andato a trovarlo a Dublino con la sua dolce compagna. Decise che sarebbe andato a vedere l'alberello spoglio nel giardino dietro alla sua cucina, che lui stava osservando da quando, in estate, era stato pieno di fiori viola. La nuova opera era aulica, sontuosa. Lui gli riconosceva quelle qualità. I suoi suoni del 2018 erano puri, cristallini, come la sua anima. Sapeva che, nei giorni successivi, avrebbe avuto immagini sonore intrapsichiche di tutto quello che aveva composto. Si rilassò, pensò al proseguimento della giornata e si sorrise allo specchio, perché si sentiva davvero bello. L'idea di andare a Belfast, per rivedere i suoi compagni di liceo, lo emozionava, dacché aveva vissuto momenti intensissimi della sua adolescenza in presenza di molti di loro. L'uomo assaporò l'emozione di sentire che ogni cosa stava muovendosi nella corretta direzione. Il sogno che il sistema si potesse dimenticare di lui prendeva sempre più corpo. Aveva abbracciato la Vita, in quegli ultimi dieci anni, da quando Sinéad aveva deciso di essere la sua Donna. Lei aveva sempre visto l'uomo felice nel bambino doloroso. Aveva avuto una fede incrollabile nella Possibilità che il suo compagno divenisse un uomo libero dal male. Era sempre stata presente, anche nelle ore buie in cui tutto sembrava impossibile. Seán l'amava. Amore e riconoscenza andavano di pari passo. Trovava che la gratitudine fosse un sentimento nobilissimo. Lui sentiva la presenza di lei in ogni istante della propria giornata. Anche quando lei lavorava, l'uomo percepiva che lei lo stesse pensando, dedicandogli le sue emozioni più positive. Sinéad era nata per amare e prendersi cura delle persone alle quali era legata. Il suo Amore di Donna appassionata era smisurato. L'uomo, quando pensava a lei, era avvolto da una forte percezione di viola, colore intenso e splendido. Lei era il suo viola. Lei era il colore della passione. Lei era densa e ricca, come un adagio di Mahler... Abbracciarla era Musica, perché lei era una creatura fatta d'Arte, che si muoveva in uno spazio di leggerezza, unita ad un senso di profondità che la rendeva unica. La sua indomita intelligenza di Vita segnava le ore della sua giornata di Donna autentica, mai banale, sempre alla ricerca del proprio benessere, cui sapeva dedicarsi con naturale propensione. L'uomo non aveva mai conosciuto una Donna come lei. Sinéad era di una generosità disarmante, in tutto quello che faceva. Era sempre stata abituata a cavarsela da sola, anche nelle situazioni più insidiose e questo la rendeva una guerriera. Ma come tutte le combattenti, aveva desiderio che la propria fragilità venisse accolta da un compagno capace di amarla. Lei era una bambina. Lei era militante. Lei era colore. L'artista riflesse molto, in quei minuti. Stava costruendo il proprio destino, con una sommatoria di decisioni capaci di portarlo altrove, nella Nuova Era di Luce, già da vivo, proprio in quelle ore.
28° Stralcio
Nella distanza
Penetrava una foschia grigia dall'oceano entro la cinta muraria dell'antica Galway, quella mattina. L'uomo andò a fare alcune commissioni e poi tornò a casa, in un paesaggio quasi irriconoscibile. Dalla sera prima, stava pensando al concetto di distanza. Dopo aver composto tanto, sentiva di dover porre l'adeguata distanza fra sé e la propria Musica. Era una misura salvifica, dacché troppi suoni in testa gli inibivano il pensiero e lui doveva avere la libertà di elaborare concetti senza rumorose interferenze. Di tanto in tanto, gli balenava alla mente una struttura acustica della sua Sinfonia n. 12, una melodia, uno scampolo di note, che l'artista percepiva al suo interno, come ricordo di una stesura musicale che si era mossa su un'onda di attività febbrile. Era sufficientemente distante dal mondo, dalla sua Musica, dalle cattive azioni dei molti. Si sedette alla scrivania e cominciò a scrivere. Era al ventottesimo capitolo del romanzo. Aveva scritto a Sinéad un buffo messaggio, certo di poterla far sorridere. Si chiedeva spesso, in quel periodo, cosa avrebbe prodotto quel sistema che lo circondava, dedito alla distruzione di ogni forma di Bellezza. Andò a bere il suo buon caffè amaro, cui non avrebbe mai rinunciato per nessuna ragione al mondo. C'era silenzio in città. La nebbia densa che proveniva dall'oceano rendeva ovattato ogni angolo e il moto delle persone sembrava lentissimo, fra i palazzi e i pub di cui si distinguevano a malapena le linee architettoniche. L'artista sognò di andare a visitare per l'ennesima volta le Aran Islands. Si immaginò di prendere il traghetto, stringere la mano alla sua compagna sul ponte e ammirare lo spettacolo di un oceano quasi sempre mosso, fino a giungere all'approdo di Inis Mor. Si sentì nel vento. Una forte massa d'aria che spostava i passi lungo i crinali dell'isola. Una condizione, quella, che descriveva perfettamente la Vita dell'Irlanda, battuta da venti impetuosi, tutto l'anno. L'uomo si sentiva parte della sua Landa e sapeva di appartenergli. Desiderava tornare alla sua terra, da morto, in un cimitero gaelico che si stagliasse contro un cielo variopinto, con le nuvole rapide a percorrerlo. Seán era un essere umano buono. Voleva che la sua Vita fosse Arte. Lavorava duramente tutti i giorni affinché ciò fosse possibile. Amava la propria esistenza, che, con le unghie e con i denti, aveva strappato ad un fato avverso, costruendo, intorno a sé, una dimora sicura e stabile, ove ospitare tutte le persone importanti della propria Vita. La foschia continuava a crescere indisturbata dentro la sua città, quella che gli aveva dato l'opportunità di un nuovo corso dei suoi giorni. Sentiva la nostalgia della sua Musa, che, però, avrebbe rivisto quella stessa sera, preparandole un'ottima cena. L'uomo aveva un sogno ricorrente: portare la sua compagna nella contea del Donegal, fra oceano, castelli e montagne sacre. Forse un giorno sarebbero partiti per quella destinazione, liberi, sicuri, certi della Bellezza del loro viaggio. Per il momento, invece, non potevano ancora assentarsi la notte, perché la madre di Sinéad non riusciva a stare sola. L'artista accettava quella loro condizione con saggezza. Ogni Vita ha almeno un impedimento e la sua Musa aveva quello. Lui, dal canto suo, aveva la propria madre che stava invecchiando e ogni tanto, preoccupandosi, pensava a come sarebbe stato il futuro della propria genitrice. Tutti dovevano accettare almeno un ostacolo alla propria gioia. Nessuno escluso. È la Vita. Non ci si può fare nulla. L'importante, per l'autore, era che quella dimensione di difficoltà non influisse troppo negativamente sul benessere di ciascuno. Il viaggio in Donegal era in cima ai desideri dell’autore, che voleva immergersi nella natura selvaggia della sua Landa, respirando l'aria sottile di pascoli e castelli a due passi dall'oceano eterno, cantato costantemente nella letteratura gaelica. L'uomo si sentiva una creatura che provenisse dal mare. Al mare voleva ritornare. D'un tratto, ascoltò un rumore giungere dal viale e gli sembrò un commento sonoro perfetto per i suoi pensieri. Non pensava quasi più alla sua Musica, stava per dimenticarla, per poi riscoprirla qualche giorno dopo, quando avrebbe deciso di riascoltarla tutta. Stava scrivendo e con il pensiero giunse a concepire il suo romanzo finito, intorno a pagina trecento, proprio come aveva desiderato fin da quando aveva realizzato che quello che aveva fra le mani non era più un racconto, ma qualcosa con una dimensione formale diversa, più estesa. Vide la sua opera letteraria ultimata, splendida nel suo fulgore, perfetta nello stile. Sorrise, dacché sapeva di essere vicino all'esito finale del suo libro, che, comunque, per lui, rimaneva sempre il primo romanzo gaelico della Nuova Era di Luce, una creatura artistica potente, che non avrebbe lasciato indifferente ogni lettore deciso a viverlo nella pienezza dei suoi contenuti. Attese un po', poi rilesse gli ultimi periodi, sentendoli veri, autentici, forieri di un sistema di pensiero inossidabile, come acciaio. La Vita fluiva, lieta, ricca, meravigliosa. Lui era contento. La costruzione del proprio edificio era buona, ne aveva avuto conferma in tutto il ciclo vitale degli ultimi dieci anni. Merito di Sinéad, che lo aveva aiutato ad edificare il suo tempio sacro di modo che esso reggesse alle sollecitazioni meccaniche del mondo alla deriva. All’artista non interessavano le malie del sistema. Non seguiva gli sviluppi dell'ultimo reality show e, senza affanni, leggeva di politica, certo che, nella sua esistenza, avrebbe sempre desiderato la rinascita di un solido partito comunista, capace, con il proprio carisma, di creare un'onda globale di rifiuto del sistema neoliberista che, concependo forme sempre nuove di schiavitù, aveva deciso di far cucire le scarpe da ginnastica, destinate al ricco Occidente, ai bambini asiatici di sette anni... C'era bisogno di equità. Di giustizia. Di diritti. Solo una società socialista avrebbe potuto garantire ai poveri la Possibilità di riuscire a vivere degnamente, crescere i propri figli e vedere, un giorno, nascere i propri nipoti, senza preoccupazioni materiali, senza vedersi portare via i propri beni dalle banche, come stava succedendo nell'ultimo periodo in Grecia. L'uomo era profondamente convinto che il capitalismo nascesse dall'egocentrismo, che stabiliva un conflitto fra l'Io e il Tu, dove l'altro era visto come un ostacolo, un nemico, qualcosa da scartare. Il fallimento del prossimo costituiva la vittoria dell'Io. «Mors tua, Vita mea» come sempre, nella storia dell'uomo. La competizione era il vero aspetto fondamentale del capitale. Non la cooperazione. Non si pensava che, aiutandosi, si sarebbe costruito un mondo migliore. Si riteneva invece che tutto fosse guerra. Gli esseri umani erano in combattimento, gli uni contro gli altri. Al compositore, questa lotta non interessava. Lui era diventato invisibile e si era posto al di fuori della gabbia del sistema. Viveva di lettere e suoni. Amava il suo nucleo. Sognava un cosmo fatto di esseri umani lieti, incapaci di distruggere per una loro precisa scelta esistenziale. Bevve del caffè e si accese una sigaretta. Pensò a come avrebbe dovuto essere il finale del suo romanzo. Lo immaginò come una struttura musicale in maggiore. Doveva rappresentare una Vittoria. Erano nove mesi che scriveva. All'inizio, avendo deciso di creare un piccolo racconto, si era affidato all'idea che lo avrebbero letto solo Sinéad, che lo avrebbe divorato e Shayla, alla quale lo avrebbe affidato, certo che la sua Amica lo avrebbe apprezzato. Però, scrivendo quasi tutti i giorni, come esercizio mentale ed atletico, aveva iniziato a pensare che quell'opera avesse qualcosa di universale da dire al mondo. Le vicende narrate, i pensieri elaborati, non potevano più essere nascosti. Era necessario condividerli con tutti quelli che volessero vedere quel mosaico. Era doveroso che quel qualcosa di comunitario, che rendeva l'opera interessante, venisse svelato a tutti... Una Vita può diventare paradigma di tutte le esistenze. Tutti abbiamo conosciuto le tenebre. Non tutti però ne sono usciti. Proprio per quelli che ancora brancolavano nel buio, il messaggio dell’autore poteva essere positivo. L'uomo aveva con sé solo la sua Arte. Non poteva insegnare nulla a nessuno. Però poteva aspirare alla Possibilità che la propria creazione facesse da specchio all'altro. L’artista credeva pienamente nella opportunità che il Tu dialogico aiutasse la costruzione di un Io sano. Sapeva che l'Arte fosse il grado di creare quel prodigio. Ne era convinto da anni. In fondo, lui scriveva per comunicare la gioia di avere una ricca esperienza di Vita da narrare. Sperava che qualcuno si potesse mettere in ascolto. Si augurava di aver fatto un buon lavoro. Un giorno, forse, le sue parole e le sue Musiche avrebbero riecheggiato in tutti i pascoli verdi d'Irlanda. Questo era uno dei sogni più belli dell'uomo, non perché cercasse la gloria, ma perché era certo della Bontà delle sue opere. Ogni artista sogna di essere ricordato. È connaturato nell'Identità dell'Arte, la quale non serve, se viene dimenticata. Aveva imparato la consistenza del concetto di distanza. Nel corso della sua Vita, si era posto ad una certa distanza dagli abomini. Dalle persone tossiche. Dalle scelte scellerate. Inoltre, per poter essere oggettivo, aveva anche appreso l'arte di stare a una certa distanza dalle proprie opere, dacché, se è pur vero che, in una fase di scrittura, ci si trova immersi nell'opera, è altrettanto plausibile che, dopo la nascita di un elaborato artistico, ci si voglia porre a qualche metro di distanza, per guardarlo meglio e saperlo mettere a fuoco. Il silenzio lo avrebbe aiutato, in questo processo. Non ascoltava la sua Sinfonia da qualche giorno. Sentiva il desiderio, ma indugiava. Voleva una serie di risposte, non più dettate da una sensazione a caldo della sua Musica, ma lucide e vigili, come se lui si potesse trasformare nel critico musicale di se stesso. Seán era molto attento a tutto. Avrebbe accettato le critiche di chiunque, rimanendo fermo nella propria impostazione di artista, che non scriveva per la moltitudine, bensì per la sua compagna. La sera prima, aveva scritto questo messaggio Telegram a Sinéad:
«Io vivo questo Amore per te, che sei complessa architettura. Più vado avanti e più provo a trovare gli strumenti per descriverti e, ad ogni risultato, mi pare che qualcosa di te mi sfugga. È bene così perché non vorrei mai farti il ritratto definitivo. Tu non sei un punto preciso dello spazio, ma tensione verso l'infinito, esortazione a procedere lungo il sentiero, moto».
La sua compagna lo aveva ringraziato per quelle parole. I due, senza ombra di dubbio, stavano vivendo l'Amore più grande delle loro Vite. Il più sano, il più maturo, il meno egoistico. Entrambi si interessavano del benessere dell'altro con grande attenzione. L'uomo desiderava invecchiare con la sua Musa, non chiedeva altro alla Vita. L'aveva trovata in una terra di parole scritte su un monitor, scoprendo, col tempo, quanto fossero vere le sue frasi di Donna carismatica. Lei, dal canto suo, aveva trovato un uomo puntuale, sempre attento, giocoso e libero, tutto per lei. La loro fase iniziale di conoscenza, in quella chat, era stata meravigliosa. Parola dopo parola, i due si erano riconosciuti. Le lettere si susseguivano maestose, leggere, scherzose, sempre con il massimo rispetto e quella forma di dedizione all'altro che, nel tempo, sarebbe diventata la cifra del loro Amore. Lei ricordava quando, tornando da lavoro, si collegava alla chat e trovava già lì il suo uomo, che la accoglieva con mille attenzioni. Lui rimembrava come lei partecipasse alla sua storia, senza giudicarla, senza manipolarla. Entrambi erano giunti lì per un motivo preciso. Lei desiderava un uomo leale. Lui una Donna per la Vita. Lei, con poche frasi brevi, riusciva sempre a farlo sorridere e lui aveva un desiderio sfrenato di essere di buon umore. Lei gli aveva insegnato la leggerezza. Lei lo aveva amato dal primo giorno. Non l'aveva trasformato a sua immagine e somiglianza, bensì lo aveva aiutato a trovare la sua precisa immagine di uomo libero, forte, capace, che poteva sperare di vincere, che non doveva più rassegnarsi. L'autore, nel ricordare tutte quelle cose, si emozionava sempre. La sua Sinéad era sempre stata un portento. Seán la guardava, con tutta la propria capacità di osservazione, a qualche centimetro di distanza, per metterla a fuoco e vedeva una creatura meravigliosa, la sua «leanbh», la sua fanciulla. Molti lutti avevano segnato il cammino della sua compagna, fino al più recente, la morte di suo padre, che lei amava tantissimo. Tuttavia, la ragazza non aveva mai smesso di sorridere, emozionandosi anche per un narciso sbocciato nel suo giardino. Lei era vitalità. Resistenza. Desiderio di vivere felice. Dopo ogni sconfitta, lei aveva sempre riordinato il mosaico della sua esistenza in modo tale da predisporsi ad una nuova gioia, con una fede incrollabile in se stessa e nel suo cammino, che affrontava con leggerezza e spirito, con tatto e Amore. La sua compagna si amava molto. La sua Musa aveva un profondo rispetto per il Genere umano e, di fronte alle avversità che l'Umanità affrontava, provava una profonda empatia, una compartecipazione affettiva fortissima, che la esortava ad occuparsi con cura della propria Vita, dacché lei sapeva che non ci potesse essere rivoluzione se non partendo dall'attenzione verso il proprio sentiero vitale. Per Seán, Sinéad era l'emblema della sanità mentale. Lei era così bella che lui voleva costruirle un tempio fatto di parole e suoni. Non si sarebbe mai stancato di lei... Non l'avrebbe mai tradita... Non avrebbe mai mosso guerra contro quella Donna che lo aveva preso per mano per condurlo dove svettano le aquile... All’artista venne in mente una canzone che iniziava con il verso: «In the distance...», si canticchiò la prima strofa e la riconobbe subito come veritiera, dacché era nella distanza che lui stava vedendo il mondo in maniera più tersa, come in una giornata di Primavera dalla cima di un monte, osservando un panorama splendido, in quanto era diventato uomo ed il mondo si era predisposto ad accogliere, con tutte le sue istanze e aspirazioni, la sua dimensione di artista e quella di individuo che non aveva mai cessato di riconoscere la Bellezza nella propria esistenza di superstite.
29° Stralcio
Niveo
Quel sabato la Landa attendeva la neve. Alle otto di mattina, l'artista si svegliò e si preparò il caffè, lavandosi accuratamente il viso. Era emozionato, perché, pensando al suo romanzo, sentiva il profumo inebriante del trionfo delle trecento pagine, meta che rappresentava la dimensione formale più estesa della sua intera produzione letteraria. L'uomo sorseggiò la sua bevanda preferita, calda, che diffondeva, in tutta la cucina, la sua fragranza intensa. Seán si immaginò la sua Galway dipinta dal bianco candido della neve. Sognò ad occhi aperti il silenzio provenire dalle acque tranquille dell'oceano. Dopo una decina di giorni, sarebbe di nuovo partito per Cork, con una voglia incontenibile di abbracciare il suo ragazzo, che, per lui, era il suo campione. L’autore si augurava che Aindreas vivesse un'esistenza piena di soddisfazioni. Guardò fuori dalla finestra e vide lo scenario che anticipava la neve: una foschia bassa, che tutto avvolgeva, si stava impossessando dello spazio interno della città e la sensazione di freddo era pungente. L’uomo aveva scritto duecentottantacinque pagine, in dieci mesi. Una media di circa una pagina al giorno, considerando i momenti di pausa in cui aveva sospeso la scrittura della sua nuova prosa e quelli in cui si era dedicato, in modo preminente, alla sua Musica. L'artista era fiero del suo operato. La creatività, in quegli anni, aveva segnato il suo cammino, rivelando la natura più intima dei suoi Sé interni. Non sapeva immaginarsi una Vita senza creazione. Sperava che la sua vena lo avrebbe assistito ancora per molto tempo. Intanto, c'era da portare alla Luce il romanzo, che non era cosa da poco. A Seán parve che la sua opera fosse davvero interessante: tanti i temi trattati, tante le sfumature, la ricchezza dei personaggi descritti, lo stile cristallino e quella tecnica di flusso di pensieri che animava la scrittura. Non doveva temere nulla. Il suo romanzo avrebbe camminato con le proprie gambe. Era prossimo alle duecentonovanta pagine. Sorrise, perché non avrebbe mai pensato che un giorno sarebbe nato, dalle sue viscere, un libro che descrivesse l'intensità di un mondo altro, fatto di rispetto per l'individuo. D'un tratto si chiese cosa avrebbe detto suo padre della Sinfonia n. 12. Probabilmente ne sarebbe rimasto folgorato. Connor amava il mondo di suo figlio. Qualsiasi cosa il ragazzo facesse, per il padre, era puro prodigio. Il pescatore indipendentista era morto anni prima, proprio quando suo figlio iniziava ad ottenere le Vittorie più significative della sua esistenza. Seán, purtroppo, non aveva fatto in tempo a comunicargliele e questo, un po', lo rattristava, sebbene Connor avesse intuito che la marea, per suo figlio, stesse cambiando e la Vita avesse cominciato a sorridergli. L'autore si era augurato sempre il meglio e, da un certo punto in poi, ponendosi nella condizione di saper ricevere i doni della Vita, aveva iniziato a gioire. La tempesta non lo aveva schiacciato. Splendido il momento in cui lui scorse la figura della sua Sinéad avvicinarsi e salutarlo con un meraviglioso sorriso. L'uomo era provato, in quel momento, ma notò subito la gentilezza dei modi di fare di quella Donna che si sarebbe rivelata così diversa da tutte le altre. La sua compagna era differente, proprio come aveva avuto modo di descrivere l'uomo. Generosa come poche altre persone, elargiva Amore ed affetto con tutti i suoi gesti. Seán proprio non riusciva ad immaginarsi una esistenza priva della grazia di lei. Era lei che lo faceva ridere. Era lei che dettava il ritmo del suo cuore. Era lei che, non giudicandolo, lo aveva sempre visto come un uomo meraviglioso. Il giudizio ha sempre ucciso. Quando incateni un essere umano dentro la gabbia di un preconcetto, lo hai assassinato. Il fruscio stradale filtrava dalla finestra dello studiolo e lui aveva ancora nelle orecchie la mole sinfonica della sua ultima opera musicale, cui aveva donato tutto se stesso, in una fusione davvero intensa. L’autore era i suoi segni d'Arte. Le sue opere erano lui. Non c'era inganno, né mistificazione. Tutto era cristallino. Tutto era Verità vissuta. Tutto era ricerca. Al mondo, c'era bisogno di gente come lui, che, un giorno, avrebbe fatto la differenza e costituito l'avanguardia verso la Nuova Era di Luce, che avrebbe trasformato il mondo in una casa vera, per tutti. L'uomo si accingeva a concludere una nuova pagina della prosa, quando udì il suono d'entrata di una mail. Era Damien, il suo Amico Poeta, il quale gli comunicava di aver vinto un concorso di poesia. Quella mente vulcanica affrontava poi il tema della libertà di pensiero artistico, osservando come, da ogni dove, provenisse un magma indistinto di parole svuotate del loro significato, svilite, oltraggiate. L’uomo lesse tutta la mail con molta attenzione, dacché era conscio che Damien andava analizzato con profondo rispetto. Gli scrisse questa risposta:
«Ciao, Amico Poeta!
Sono lieto di apprendere che la tua poesia sia stata premiata! Del resto sai scrivere e le tue parole hanno sempre un calore ed una intensità tale da avvolgere il lettore e sei in grado di comunicare emozioni in una forma ermetica struggente. Mi scrivi della massa di parole che ogni giorno si veicolano al mondo. Sono davvero tante, quasi tutte usate dal sistema per ingannare i popoli. Urge una Nuova Era di Luce. Sarai al mio fianco, quando scenderemo in piazza, con i nostri colori pacifici, a voler difendere i diritti inalienabili dell'essere umano? Questo è molto importante. Il romanzo veleggia verso la sua naturale conclusione. Sono prossimo al traguardo: le trecento pagine sono vicine. La Sinfonia n. 12, dopo averla riascoltata ieri, mi è apparsa come una creatura sublime. Non ti stancare mai di scrivere. Sei un vero Poeta. Ti abbraccio...».
Damien aveva un modo unico di vedere le parole. Le sue poesie offrivano al lettore la Possibilità di scorgere i lemmi nell'esatta maniera in cui li aveva immaginati lui prima di scrivere e questo era il vero incanto delle sue liriche. L’artista ripensò che, mesi prima, il suo Amico Poeta aveva creato un video con la Musica che lui aveva composto su ispirazione di una poesia di Damien. L'esperimento era molto piaciuto. Il tempo non intendeva mutare. La foschia bianca si era impossessata di tutto. Gli alberi del viale sembravano un'unica sagoma incolore. Al compositore aveva scritto un messaggio Telegram di buongiorno la sua Musa, sempre spiritosa e affettuosa. L'autore sapeva che lei si sarebbe battuta come una leonessa, se lui avesse dovuto avere qualche problema serio. Tuttavia l'uomo, sebbene si rendesse conto della precarietà della crosta su cui ogni essere umano camminava, non voleva pensare alle difficoltà. Era inutile vivere nell'attesa di eventuali preoccupazioni. Era più saggio godere della Pulcritudine, rimanendo vigili. L'autore era a metà pagina, sulla soglia di nuovi traguardi. La nuova prosa era magnificente. Era un mosaico di tante tessere colorate. L’uomo ripensò ai capolavori bizantini, ai complessi musivi che tanto lo avevano affascinato, tempo prima, vedendoli in fotografia. Il suo componimento era proprio in quel modo: una rappresentazione in cui ogni piccola unità scintillava del proprio naturale bagliore, grazie al quale tutta la visione complessiva si generava con grande potenza, lasciando intravedere un mondo originale di istanze, di aspirazioni, di desideri autentici, che l'artista sentiva veri, per tutti gli individui capaci di amare e vivere per le proprie passioni. La trama era avvincente, i personaggi descritti tutti belli e significativi, i suoi pensieri di artista si snodavano lungo la cordigliera delle sue veritiere riflessioni sulla possibile Vita, cui un Genere umano non corrotto sarebbe andato incontro per le vie del mondo. Il ritmo della narrazione era incalzante. A tratti rapido, altre volte lento e contemplativo. La sua penna non si era stancata di scrivere, ancora. Lui bramava portare alla Luce qualcosa che sarebbe rimasto negli occhi della sua Musa, che lo avrebbe letto con grande trepidazione. Le tematiche trattate, erano tutte importanti, nella mente dell'autore. La Poetica, austera, nel rispetto dei segni d'Arte, conduceva il lettore verso un grande obiettivo: la riscoperta di Pulcritudine, che era la sola fonte di ispirazione di cui l'Umanità avesse bisogno per stare bene, attraverso un rispetto totalizzante delle strutture formali che la lingua scritta richiedesse. Il suo romanzo era tutte queste cose e molto altro. Le sue parole erano guerriere pronte al combattimento. Soldati, nelle sue mani di creativo, che non si sarebbe mai arreso alla banalità. La sua scrittura era già Musica. Lui la percepiva in quel modo. L'autore trattava il periodo come frase musicale, con i propri respiri, la propria consistenza di laterizio fondamentale nell'architettura complessiva dell'organismo letterario. Le scelte formali dell'artista vertevano tutte intorno alla speranza che il proprio lavoro potesse essere popolare. Lui non credeva che usando parole difficili, sarebbe stato in grado di giungere a più persone. Al contrario, riteneva che un uso proletario della lingua fosse quanto mai necessario, per avere un respiro universale in grado di colpire la gente, nell'intimo delle proprie aspirazioni di esseri umani alla ricerca di Arte per continuare a sognare. La sua opera letteraria era pertanto popolare, proletaria, comunista e lui non l'avrebbe saputa scrivere in un altro modo. Il compositore non si sarebbe mai snaturato, proprio in quanto creativo che aveva giurato a se stesso che avrebbe prodotto sempre la descrizione attenta e veritiera del proprio mondo interno, fatto di visione e analisi, Poesia e Musica, Arte e colore, speranza e prospettiva sulla Nuova Era di Luce che non era, allora, solo un'utopia, ma una realtà da sperimentare con i gesti quotidiani... Il suo codice creativo era dotato di quella sorta di enigmaticità che era bene avvolgesse tutte le sue opere artistiche, dacché, quando un individuo rielabora le proprie esperienze con i segni d'Arte, segue quel processo sempre con una sfumatura di mistero, legato alla propria capacità di trasformare il vissuto in rappresentazione, che non può essere meramente identica a ciò che il creativo ha provato nella sua Vita, divenendo una materia fatta di sogno e realtà, desideri e nozione, visione e trasfigurazione... Avvertì fame e decise che sarebbe andato a fare colazione. Guardò, sulla tastiera musicale, il prospetto dei suoi viaggi futuri a Cork e sorrise, dacché, ormai, andare a trovare suo figlio e sua madre era una festa cui difficilmente avrebbe rinunciato. Aindreas gli dava grandi gioie. Lo sentiva prossimo, per sensibilità e capacità di ragionamento. Sua madre, poi, era una adorabile signora. Lui viveva per il suo nucleo. Non immaginava destino più bello. I pochi Amici, lontani e vicini, erano per lui una serie di immagini psichiche, di cui si ricordava volentieri, nelle pieghe dei suoi pensieri quotidiani. Bevve del buon caffè amaro e si accese una Chesterfield rossa. L'attesa della neve lo cullava. Adorava il mondo ovattato che si diffondeva lungo i pascoli della Landa, sui castelli, fra le mura delle città. Pensò a quanto dovesse essere bello il Burren, il distretto pietroso, avvolto dal bianco della neve. Sentiva di appartenere alla sua terra. Non l'avrebbe abbandonata mai. Era vicino alla fine di una nuova pagina, quando pensò a come avrebbe dovuto essere attento e meticoloso il processo di labor limae della sua prosa. Chissà quante cose avrebbe corretto? Dove? Chissà quali sinonimi avrebbe trovato? In quel momento, l'uomo non seppe rispondersi. A lui, a dire il vero, la sua prosa pareva già perfetta, sebbene sapesse che non fosse proprio così. A livello formale, qualcosa si poteva migliorare. Tuttavia, l'artista sentiva già pulsare un cuore poderoso dentro alle sue frasi, dalla prima all'ultima di quella mattina caratterizzata dall'idea della neve. Si decise ad uscire. Si vestì con la sua adorata tuta grigia e prese il suo borsello di pelle rossa. Il fruscio del viale era incessante e lui riflesse su come avesse imparato a farselo piacere. Alcuni rumori, ormai, facevano parte della sua giornata. Forse si sarebbe sentito in difficoltà in una nuova casa troppo silenziosa. Spense la sigaretta sul posacenere metallico che aveva contenuto tutte le cicche delle sue sessioni di scrittura e si avviò. Il mondo sembrava diverso quella mattina o forse erano solo i suoi occhi a vedere qualcosa di nuovo all'orizzonte. La Nuova Era di Luce forse non era poi così lontana. Un giorno, l'Umanità si sarebbe svegliata con un sogno e, iniziando a camminare, avrebbe sbaragliato tutti i suoi nemici, con un sorriso. «La Verità sorride, mentre procede lungo il suo sentiero, sbaragliando la meschina ipocrisia, che può regnare per un po’, ma non può ingannare tutti per sempre» riflesse l’autore. Questo pensava l'uomo mentre camminava sotto una pungente pioggia mattutina, più simile al ghiaccio. Erano trascorsi tanti anni, da quando aveva lasciato Belfast, in un clima avvilente di dominio bellico inglese. Si era salvato con tutti gli strumenti a sua disposizione. Tuttavia, aveva ben presente la sensazione inquietante della precarietà, che generava un costante stato di paura, alla quale aveva imparato ad opporre l'immagine cristallina del proprio Io edificante, che desiderava vivere in armonia con il mondo. La pioggia ed il vento dominavano il paesaggio. La precipitazione era più simile a lacrime di acqua congelata. L'uomo tornò, lesse l'ultima frase scritta e si mise alla sua amata scrivania. Lo colse il desiderio di ascoltare la sua Sinfonia alla Luce di quel giorno di pioggia, che odorava di oceano. Aprì iTunes, avviò la riproduzione della sua ultima opera sinfonica e fece un tiro di sigaretta, immaginando la sua Musica diffondersi nella Landa, fra i pascoli, nelle alture, fra le pietre del Burren... Gli archi che aprivano il primo Movimento, in un ritmo ternario, gli sembrarono condurre un'idea sospesa. L'uomo stava ascoltando il pianoforte solista, quando gli venne in mente un'immagine colorata cui non sapeva dare un'esatta forma, come in sogno. Un rosso dominante, che si espandeva come una bolla. Strisce d'argento modularsi con il resto dell'oggetto tridimensionale. Un poliedro in evoluzione immaginò, proprio quando iniziò la successione discendente degli archi, che costituiva un bel momento, dacché, isolate da tutto, le viole facevano apprezzare il timbro scuro della loro natura. L'artista si addentrò nella meditazione del primo Movimento, quella «Martoriata landa» che aveva composto l'ultima volta al pianoforte di casa di sua madre, con il vivo ricordo della voce di suo padre Connor che, quando era ragazzo, commentava le sue esecuzioni con vibrante commozione. C'era un punto in cui il pianoforte si fermava su un accordo ripetendolo due volte di seguito, che generava nell'autore una profonda sensazione di Vittoria. Nella parte affidata al principe degli strumenti a tastiera, le note si muovevano in gruppi da tre, creando onde che all'uomo fecero ricordare il moto dell'oceano, in successioni costanti. Gli agglomerati accordali, che ne derivavano, erano profondi, avendo una linea di basso con frequenze vicine a quelle del contrabbasso. L'autore sentì una forte percezione di pace, mentre il pianoforte riprendeva l'idea di successione discendente delle viole, elaborandola. Le armonie successive cedevano il passo, forti e ben radicate, ad una sezione di legni dove un solo di corno inglese emergeva dalle tessere di un mosaico grandioso. Almeno così ebbe modo di pensare Seán, subito prima di ascoltare gli ottoni, aperti ad una nuova evoluzione. L'autore non aveva ancora deciso il titolo del suo ventinovesimo capitolo, e, soffermandosi, decise che forse avrebbe visualizzato un sostantivo proprio mentre riascoltava la sua amata Sinfonia n. 12 «Nel sentiero». Era lungo il cammino che aveva trovato la forza di concepire una nuova esistenza, fatta di Bontà. I suoi piedi avevano fatto tanti passi, da quando era stato bambino. Sorrise, perché immaginarsi un marciatore gli fece piacere. Trovò la ripresa del Tema A degli archi nostalgica e potente. Lirica e coraggiosa. Era soddisfatto della sua opera. Desiderò farla ascoltare alla sua compagna, la cui immagine era dentro e dietro i suoni della Sinfonia. Sinéad era ovunque, nei meandri dei pensieri del suo uomo, che, oltre ad adorarla, la considerava il limite massimo cui lui potesse aspirare, facendo Arte.
30° Stralcio
Identità
Si svegliò la mattina dopo, con il ricordo di un sogno complesso, nel quale doveva entrare in una casa, con un mazzo di chiavi enorme, dal quale non riusciva a selezionare quella giusta. Sbadigliò, mentre pensava che quello che aveva davanti era, probabilmente, l'ultimo capitolo del suo romanzo. Desiderava scrivere una forte progressione di parole, con le quali congedarsi dal proprio ipotetico lettore. Seán era un uomo con delle risorse. Aveva visto tante cose, in Vita sua, lottando strenuamente per difendere il proprio Io sano e creativo. All'uomo parve che il proprio cammino fosse stato una scalata, nella prima fase e un sentiero nei boschi nella seconda. Si mise all'opera, emozionato all'idea di vergare le ultime parole della sua prosa, cui aveva dedicato se stesso negli ultimi dieci mesi, in una condizione di costante benessere che lo accompagnava ormai da tempo. Era un individuo che aveva trovato nella Verità tutte le risposte di cui aveva bisogno. Aveva cancellato dalla sua Vita le bugie. Non si era mai fatto ammaliare dalle patetiche lusinghe del sistema. Aveva trovato l'Amore, scoprendo di essere in grado di prendersi cura delle persone care. Erano le otto del mattino e aveva visto che nella contea del Donegal era stata diramata una allerta meteo per neve, in tutto il territorio. Lui sorrise, perché l'idea di neve lo stava accompagnando da giorni. Negli anni, aveva scoperto quanto fosse stato fortunato ad avere un insegnante come il suo Máistir, che lo seguiva con attenzione da tanto tempo, anche nel silenzio. Il suo Maestro, insieme ai suoi genitori, era stato il primo a credere nella capacità dell’artista di essere più forte della tempesta. La sera, usualmente, l’uomo pensava a tante cose, per poi addormentarsi sereno, certo di aver fatto tutto bene, nell'arco della sua giornata. Era quella la Felicità? Forse sì. La gioia di essere contro ogni forma di distruttività era grande. La Nuova Era di Luce la stava vivendo negli scampoli di tempo in cui pensava al suo mondo altro e lo dipingeva con suoni e parole. C'era una speranza, per l'Umanità, l'uomo la percepiva. Pensò al suo nucleo: la madre era in grado di vivere una fase matura della propria esistenza con la gioia dei piccoli piaceri della Vita, come un buon tè o una canzone in radio che le ricordasse i tempi passati quando suo marito tornava lieto dalla pesca e l'abbracciava pieno di entusiasmo. Aindreas era un giovane ragazzo promettente. Il suo mondo interno era buono e questo riempiva il cuore del compositore di grande gioia. Sinéad era una combattente, che non avrebbe mai permesso a nessuno di lordare la propria Vita. Poi c'era uno sparuto gruppo di Amici, lontani, che sentiva di rado, cui tuttavia era legato da affetto. Inoltre, le immagini di Connor e Crón erano sempre vivissime in lui, dacché gli antesignani della Nuova Era di Luce non dovevano mai essere dimenticati. L'uomo sorrise a se stesso, specchiandosi e notando una espressione del suo viso che voleva dire quanto lui stesse bene in quel momento storico della sua esistenza. I suoi occhi comunicavano Bontà. Il suo volto era scolpito nella Verità. Il suo sguardo tendeva a Pulcritudine. Non sapeva quanti giorni avrebbe impiegato per concludere l'ultimo capitolo, ma era conscio del fatto che, alla fine, dovesse essere soddisfatto delle sue parole. Nella testa, la sua Musica, che lo aiutava a creare, nonostante non fosse fisicamente presente nel suo ambiente, dacché lui aveva deciso di ascoltare solo il suono dei tasti del suo Mac. La sua Sinfonia n. 12 narrava una vittoria, passando dalla descrizione di una martoriata Landa al trionfo dell'Identità di individuo creativo. Non sapeva cos'altro avrebbe potuto esprimere... Il disegno della sua produzione era chiaro. Il carattere militante della sua Arte sotto la Luce del Sole. L'artista era davvero felice, quella mattina. Sapeva che ogni parola scritta avrebbe avuto un peso sulla portata generale del suo romanzo, che trovava estremamente positivo. Bevve un sorso di caffè e si accese una sigaretta. Era lieto, dacché si trovava nella condizione di concludere un importante progetto, che aveva tenuto in gestazione a lungo, per provare a creare il primo romanzo gaelico della Nuova Era di Luce, pensando quanto Crón lo avrebbe apprezzato, se fosse stata ancora sulla Terra. Suo padre Connor avrebbe festeggiato la prosa del figlio con una bellissima cena in compagnia della sua famiglia. L'uomo si immerse nei ricordi di suo padre vittorioso, dopo tanti anni trascorsi a lottare. Quello di Connor era stato il destino di un indipendentista che non si era voluto piegare al volere della tirannia. Il compositore era stato circondato da Amore, fin dal suo primo giorno di Vita. Era figlio di una storia di affetto che aveva creato un destino familiare all'insegna dell'intelligenza e della Bontà. Era stato il bambino tanto atteso dalla madre e dal padre, che lo aveva tenuto in braccio con immenso affetto, quando era nato. Connor era fra le pieghe del romanzo, con la sua forza, la sua scelta di essere un irlandese fiero, la sua voglia di proteggere la propria famiglia. La prima pagina del nuovo capitolo era conclusa. L’artista la osservò, sapendo che avrebbe dovuto trovare un titolo a quella unità. Il suo pensiero volò alla Possibilità di essere pubblicato dal suo vecchio editore, cui avrebbe sottoposto il romanzo, non appena ultimata la fase di labor limae. Era emozionato e tante riflessioni si accavallavano nella sua mente, come le traiettorie di libellule libere. Cosa consegnava all'Umanità? Quale era il messaggio fondamentale del suo romanzo? Qualcuno si sarebbe ritrovato nelle vicende del protagonista? L'autore sapeva benissimo che la sua prosa fosse per pochi. Donava al Genere umano una speranza, con la quale decidere di cambiare, maturare, crescere. Il suo libro creava un teorema, la cui tesi era: chi si cura, può trovare la Pace ed essere invincibile, nonostante le cadute. Il compositore riteneva che le persone sensibili avrebbero apprezzato l'onestà intellettuale e la trasparenza dei concetti della sua opera. Ne avrebbero amato la profondità musicale che emergeva fiera da ogni riga. La sua scelta di descrivere la propria Musica era data dal desiderio che un giorno qualcuno la potesse studiare, come atto di una mente creativa. L'uomo non doveva aver paura di definirsi tale. Ci era arrivato lentamente alla consapevolezza di essere un artista capace di una visione precisa. La sua produzione forgiava una realtà umana fatta di Possibilità. Per lui, ogni essere umano poteva brillare. Scintillare. Balenare. Tutti, nessuno escluso. Augurava la guarigione agli empi. La separazione dal male a chi ne era vittima. Aveva fame. Decise di andare in centro a fare colazione. Quel giorno avrebbe scelto la great irish breakfast, un piatto unico fatto di tante cose succulente. L'uomo non era ancora a metà pagina, quando percepì la sensazione forte di essere ad un punto preciso della sua Vita, quello di dare alla Luce il suo capolavoro. Tutto aveva avuto un senso, persino la probabilità di soccombere, nelle tenebre. Ogni cosa, che aveva trovato lungo il suo cammino, ora gli sembrava buona per sé, la sua crescita, la sua Arte. Non sarebbe stato lo stesso senza la tempesta. Forse, sarebbe stato così diverso da non essere minimamente assimilabile a quella immagine di artista che in quel momento animava il suo mondo interno. In fondo, nella tempesta, aveva scoperto di saper scrivere. Aveva creato pagine piene di dolore che, comunque, lo avevano aiutato a non morire, segnando l'inizio di un processo creativo che non lo aveva più abbandonato. Era tutti i suoi passi, nessuno escluso. Era la resistenza che lo aveva condotto su un lido deserto, da cui ammirare l'arrivo della sua Musa. Era gli abbracci della sua compagna. Era l'infinito Amore con cui aveva sempre trattato suo figlio. Era tutte le sue parole. Tutti i suoni che aveva scritto fin da quando era ragazzo e aveva incontrato il suo Máistir, in una plumbea giornata a Belfast. Quel pomeriggio di tanti anni prima, il giovane ribelle era rimasto incantato dal fascino e dal carisma di quel maestro di Composizione che, in pochi minuti, aveva compreso benissimo chi fosse il ragazzo, desiderando lavorare con lui, fargli apprendere i dettami della Poetica della Musica, permettergli di varcare la soglia amena della creatività, consolarlo con i suoni. L'artista, soprattutto, era un uomo con una esperienza di Vita straordinariamente ricca. Si vestì ed uscì. Tornò dopo un'oretta. Si rimise all'opera. Aveva parlato al telefono con sua madre, che stava bene. Per lui, era vitale che la propria genitrice fosse di buon umore. Adorava quella sua lingua gaelica con cui attribuiva sfumature alle idee. Quella era anche la lingua di suo padre, che la maneggiava con profonda competenza. Il suo mondo era irlandese. Antico. Maestoso. Non lo avrebbe mai barattato con un cosmo fatto di apparenza e maschere. Non sarebbe mai stato in grado di condurre una esistenza all'insegna dell'ultimo paio di scarpe da tennis alla moda, o dell'ultimo investimento prodigioso in borsa... La sua Vita era autentica, in tutto e aveva impiegato più di quarant'anni per costruirsela. Pioveva. Acqua mista a ghiaccio irrompeva nello scenario incantato dei viottoli di Galway. Nella sua mente l'enorme distesa di neve dei giorni scorsi, che aveva dipinto un bianco silenzioso sulla superficie di una Landa materna. Era nella condizione di vivere bene. Lo voleva. Tutta la sua attenzione era rivolta al proprio benessere e a quello del suo nucleo fondativo. Forse, nello spazio infinito della precarietà che caratterizzava ogni Vita umana, sarebbero arrivate altre tempeste, ma lui aveva deciso di non aver più paura. Lui non doveva più ascoltare il terrore. Non voleva più essere paralizzato dall'angoscia che qualcosa potesse andare storto... Aveva conosciuto la disperazione che immobilizza. L'ansia che blocca le azioni. L'indecisione che non permette a nessuno di poter camminare verso una meta. Un forte rifiuto di tutto ciò lo animava. Desiderava stare bene. Aspirava alla gioia, che, di tanto in tanto, lambiva con le sue esperienze di Vita. Non chiedeva nulla di più. La seconda pagina del capitolo stava volgendo al termine e lui era soddisfatto delle sintesi progressive cui giungeva, vergando lemmi autentici, che profumavano di Verità. La sera prima, aveva anche sognato un ragazzo disfatto, catapultato dalle onde di una tempesta spietata su un lido desertico. Era lì, nel silenzio interrotto solo dalla risacca di un mare calmo, in quel momento. Il suo viso era distrutto. La sua espressione affranta e dolorante. D'un tratto, avvertì il suono della voce di una donna, che lo chiamava. La ragazza gli si avvicinò ed iniziò a lenire le sue ferite, con oli e balsami. Lui era incredulo, ma sapeva che lei lo avrebbe fatto stare bene. Il ragazzo si fidò subito di lei, che gli sorrideva, dicendogli tante parole calde, avvolgenti, frutto d'Amore vero. I due si baciarono. L’artista raramente aveva fatto sogni di quel tipo. Era assai difficile, per lui, rappresentare l'attimo della conquista della propria salvezza, in proiezione onirica, ma, evidentemente, il suo cervello giungeva a comunicargli di avere sufficientemente rielaborato quel momento storico di grande rilievo, in cui lui si era affidato alle cure amorevoli della sua Sinéad... Si rilassò, guardando fuori dalla finestra il viale pietroso che gli aveva tenuto compagnia negli ultimi anni, da quando si era stabilito a Galway. In un vicolo della sua città, musicanti suonavano le canzoni irlandesi e lui sognava l'oceano delle Aran Islands e della contea del Donegal... Quei canti lo rimandavano alla voce di suo padre Connor, che, nei giorni di festa, cantava allegro per la gioia dei suoi commensali. «La Vita è bella» pensò l'autore, mentre osservava l'enorme mole di fogli manoscritti sopra alla sua scrivania. Quasi tutto poteva essere bello, durante l'esistenza, tranne l'inganno e la distruttività, per i quali l'Umanità avrebbe dovuto studiare delle misure di prevenzione. Erano le dieci e l'uomo sentì di aver concluso una parte della propria scrittura, per quel giorno. All’autore parve che la gente inseguisse ancora il mito dell'oro. Il viale era silente, dopo tanta pioggia e lui osservava la piccola Luce della sua lampada blu, che gli aveva tenuto compagnia in quei dieci mesi di scrittura intensa, con la quale aveva dato origine ad un romanzo psicoanalitico, alla ricerca dell'Identità definitiva di uomo libero dalla schiavitù di un sistema che uccideva la creatività. «Il potere non ti vuole felice. Il potere ti vuole depresso, a volte anche psicotico, ma mai realizzato. Il potere è la negazione della Possibilità di essere un individuo sano» scrisse sul suo probo diario rosso, che non aveva mai abbandonato, da quando era a Galway. Osservò quel suo compendio di saggezza rivoluzionaria, lo accarezzò, ne ammirò la copertina ruvida e si sentì bene, rallegrato da una condizione di gioia, che negli ultimi giorni lo aveva condotto a riflettere su quanto fosse fortunato ad avere un nucleo familiare così bello, fatto di persone vere, al cui benessere dedicarsi con abnegazione totale. L'uomo era nel suo studiolo, nella sua piccola casa, ascoltando i rumori del viale, che pian piano si andava riempiendo di persone che passeggiavano. Gli sembrò chiara la portata psicologica della sua prosa, che, recando un messaggio universale, sarebbe stata accolta solo da coloro che ricercavano risposte vere. Il sistema non avrebbe permesso la diffusione massiccia della sua opera, che lo contrastava in tutto. La gente non deve sapere, per il potere. Deve rimanere nel buio e senza voce. Tuttavia, l'artista desiderava pubblicare il suo romanzo, che già sapeva sarebbe stato letto da pochi, ma un buon cibo, che lo mangino in tanti o in pochi, rimane buono. Così lui si avventurava in una nuova impresa: rileggere tutta l'opera e correggerla, nelle parti ove fosse necessaria l'operazione di labor limae. L’autore bevve del buon caffè amaro e si accese una sigaretta. Era alle porte della trecentesima pagina. Percepiva una sorta di fatica, dovuta alla sua enorme mole di lavoro di quel periodo. Non gli interessava diventare famoso. Famosa era quella cerchia di individui che, per ogni accadimento globale, per ogni storia, aveva pronta un'analisi antropologica, l'indicazione delle responsabilità, la morale su cosa fosse buono o no. Lui non era in quel modo. Lui era un ricercatore. A lui le ricette del potere non erano mai bastate. Il compositore trovava sempre nuove domande: era quello il senso della sua continua esplorazione delle Possibilità di essere umano che guarda verso Pulcritudine... Si trovava a metà pagina, in un giorno di inizio Febbraio, quando pensò che, due giorni dopo, sarebbe stato il compleanno del suo Aindreas. L’uomo sorrise, perché ormai il suo ragazzo era grande. Andava trattato come un adulto. L'artista immaginò suo figlio, come una roccia nel deserto, poderosa, come la sua forza atletica. Era nella dimensione del bene, da ormai tanti anni, il compositore di Sinfonie della Nuova Era di Luce, che, sempre di più, gli pareva una struttura di pensiero alla portata di tutti. Riflesse. Erano giorni che scriveva con attenzione ciò che voleva affidare al suo lettore. Desiderava comunicare una gioia, legata alla scoperta del proprio Io sano ed inviolabile, che, nonostante la precarietà del suolo su cui la Vita si muoveva, restava sempre se stesso, non si lasciava corrompere e non meditava vendetta. Fin quando l'individuo avesse pensato a come sottomettere l'altro, non ci sarebbe stata alcuna Nuova Era di Luce. L'Identità, come la concepiva l'autore, era, prima di tutto, intenzione precisa di non ledere nessuno. Era una dimensione di creatività, che fuggiva i soprusi, le angherie, la sottomissione. Il sistema era profondamente malato e, probabilmente, sarebbe collassato, mietendo vittime ad ogni latitudine. L'Umanità era ancora dormiente, presa dalle meravigliose opportunità che gli dava il nuovo telefono comprato a rate, privandosi magari anche del mangiare. Andavano riscritte tutte le priorità. Il compositore sognava il giorno in cui la gente avrebbe pensato di più al proprio benessere, rifiutando le malie del potere, la cui strategia, in fondo, era rimasta uguale dai tempi di Marx, avendo, però, affinato le tecniche di seduzione ed inganno. L'autore immaginava un Socialismo autentico, attento ai bisogni delle persone, rispettoso della carica umana di chiunque e capace di far crescere i bambini nell'armonia. La fine della pagina era vicina e l'uomo sperò di saper giungere a varcare la porta di quella quota di fogli scritti che si era dato come obiettivo dal giorno in cui aveva realizzato che il suo breve racconto stesse diventando qualcosa di più di una piccola storia. Fece un tiro di sigaretta, ascoltò i rumori del viale e decise che avrebbe creato ancora. La mattinata sarebbe stata lunga. «Chissà se qualche editore pubblicherà il mio libro?» si interrogò, certo che non avrebbe mai rilasciato interviste in televisione. Il lavaggio del cervello del sistema era totalizzante, occupando tutte le sfere della Vita umana. L'unica soluzione era porsi ad una adeguata distanza, per poi scorgere lo scenario avvilente di una mercificazione senza pari, ove ogni cosa, anche la più nobile, veniva sacrificata in nome del dio denaro. Quella, che stava vivendo, era l’epoca in cui si era stabilito un prezzo per tutto, e, per le legittime aspirazioni dell’individuo, si era sancito un valore monetario preciso. Non c’era cosa che il capitale non potesse comprare, comprese le alte inclinazioni dello spirito, cui il sistema attribuiva un prezzo. L’individuo era in vendita. Si era trasformato in qualcosa che potesse essere monetizzato. L’artista era consapevole. Ciò lo rendeva forte. Avrebbe incontrato nuove tempeste, forse, ma sempre con l'esatta dimensione di uomo non distruttivo. Lui era fortemente ancorato alla realtà, la cui consapevolezza veniva prima di tutto... Erano tante le cose che avrebbe voluto ancora fare. Una vacanza nella contea del Donegal, un viaggio in Grecia, con Aindreas e Sinéad, la stesura di nuovi lavori sinfonici da donare all'Umanità... La sua scrittura si muoveva in un andante con moto. Spesso, in quei momenti, si fermava ad assaporare le parole vere che vergava. La sua prosa brillava per autenticità. Scintillava nel suo colore argenteo, candido, cangiante. Avrebbe ricorretto tutto, nei giorni successivi, certo di non trovarci nemmeno la più piccola bugia. Non era mai stato in grado di elaborare la benché minima forma di ipocrisia. Ciò lo rendeva diverso da quei geni televisivi che avevano da pontificare su ogni cosa, onniscienti, arroganti, violenti. L’autore non aveva un capo da incensare. Non riceveva direttive da rispettare. Non doveva cercare il plauso di nessuno. In fondo, lui scriveva e componeva Musica, solo per il club dei differenti... Osservò il viale, reso scuro da un cielo minaccioso e pensò al destino della sua opera. I brani musicali, che aveva scritto di pari passo con la stesura del suo libro, erano tanti. Gli avrebbe dato un ordine tutto suo. Decise di uscire. Forse camminare un po' gli avrebbe permesso di pensare più liberamente. Tornò dalla sua passeggiata e si mise alla scrivania. Aveva deciso che quelle pagine dell'ultimo capitolo dovessero splendere. La sua Sinéad era differente. Una Donna bellissima con un carisma travolgente, costituito da simpatia, intelligenza ed affetto. Il suo club dei differenti marciava coeso. Il suo Máistir creava Musica in assoluta libertà, felice, appagato, memoria storica di una Irlanda che, forse, era viva solo nelle sue note. L’artista non era ancora a metà della pagina, quando avvertì forte il ricordo di Crón che aveva speso la sua esistenza alla ricerca della Possibilità di essere felice. Il compositore pensò a Damien, il suo Amico Poeta, che dipingeva affreschi di Bellezza disarmante, fra le pieghe dei suoi versi innamorati della Vita. Il suo mondo di Poesia pullulava di visioni estatiche. Gli tornò alla mente Shayla, che non sentiva da diverso tempo e alla quale augurava di trovare un Amore vero, non maschere di plastica e fantocci... L'autore era nella condizione di descrivere una speranza, fatta di gesti liberi, Amore, attenzione all'altro, dedizione verso chi si ha vicino. All'uomo non parve vero di poter scrivere di una Identità libera, in un mondo fatto di schiavitù, lungo gli strati di una piramide di potere accecata dalla brama di sottomettere i popoli al proprio volere. Al compositore, per un attimo di gioia, parve che la Possibilità della Nuova Era di Luce fosse realizzabile proprio lì, in quell'inizio di ventunesimo secolo che vedeva il trionfo del sistema in ogni angolo del mondo. L'uomo sfiorò col pensiero l'opportunità che l'Umanità si ribellasse, pacifica, certa della Bontà delle proprie istanze, lieta, come chi si mette in marcia verso una destinazione magnifica. Il suo flusso procedeva vigoroso, come il fiume Corrib che sfociava nell'oceano, all'interno delle mura di una antica Galway, che conteneva la memoria storica del rapporto fra Norah Barnacles e James Joyce... L'uomo ringraziò tutti gli artisti che, prima di lui, avevano sognato un mondo altro. Li racchiuse tutti nei suoi pensieri di artista assetato di Verità. L'Arte non era mai stata in vendita. Quello che il potere sosteneva essere Arte, in realtà era qualcosa che la vera Creatività guardava con disprezzo, fiera della propria immagine di Musa degli uomini. C'era qualcosa, oltre la figura di vincente del terzo Millennio, che sfuggiva agli occhi di molti. C'era la Verità sull'essere umano, fatta di attenzioni e coccole. C'era la Bontà dei propri gesti, che non doveva mancare mai. C'era la Bellezza di una nonna che prepara il pranzo per il suo nipotino. Tutte cose che, se l’individuo non avesse voluto, il potere non avrebbe potuto comprare, mirando a distruggerle. Spaesati, ridotti ad atomi, gli esseri umani brancolavano nel buio, identificando nell'altro un nemico da demolire. Il sistema voleva il Genere umano malato, dacché più facilmente controllabile e ricattabile. L’autore, invece, desiderava una Umanità libera, nel rispetto dell'altro, che è fratello ed Amico. Il suo pensiero abbracciò tutti i suoi contatti umani. Li ringraziò di essere parte della sua Vita. Era legato alla sua compagna da profondo Amore, che era anche riconoscenza per tutto quello che lei aveva fatto per lui negli ultimi dieci anni. Lei aveva creato le condizioni affinché lui potesse germogliare. Lei, con infinita pazienza, lo aveva accudito, in attesa del grande giorno in cui lui si sarebbe sentito finalmente felice e realizzato. Lei aveva creduto in lui dal primo momento, senza mai dubitare. Seán e Sinéad erano una bellissima coppia. Entrambi superstiti, entrambi forti. Vivevano nel rispetto l'uno dell'altra e ciò li conduceva ad una comunicazione sempre cristallina, dove i desideri e i bisogni non venivano mai distorti. Vivevano nella Verità. Non si sarebbero mai raccontati bugie. Non avrebbero mai permesso alle intemperie di sradicare la loro casa, fatta di infinita tenerezza, passione e dedizione. Sognavano una casa al mare, magari in Grecia, dove vivere la fase matura della loro esistenza di individui che avevano scorto il progetto criminale del potere, allontanandolo definitivamente dalle proprie Vite. L'autore era alla pagina trecento. Sospirò, dacché quel traguardo lo aveva sognato da tempo. Una cifra tonda tonda. Una sua Vittoria, dacché non si era stancato di scrivere neanche quando la fatica si era fatta sentire prepotentemente. Quella sera, avrebbe cucinato per sé, cercando di gustarsi ogni fase della preparazione del cibo. Anche quello era Amore, per lui. Ogni singolo gesto, che l'individuo sappia compiere, può essere frutto della sua ricerca di benessere. Prendersi cura di sé, inoltre, era vitale. L'autore guardò il suo foglio. Lo vide nella sua verginità di bianco spazio inviolato. Sorrise, perché sapeva di essere sul punto di un grande risultato. Era quasi mezzogiorno e lui voleva almeno concludere la pagina. Si sforzò di trovare idee. Il suo nucleo affrontava la quotidianità con grande coraggio, sebbene la percezione di precarietà, a volte, fosse consistente. Tuttavia, i componenti del club dei differenti erano ardimentosi e non era facile abbatterli. Gli vennero in mente le parole che il suo Maestro aveva disseminato lungo il suo cammino di ragazzo ribelle. Le ricordò. Era impossibile dimenticare l'affetto paterno con cui il suo Máistir gli aveva sempre parlato. Sentì l'esigenza di scrivergli una mail di ringraziamento per tutto quello che aveva rappresentato per lui nella sua Vita di artista. Sapeva che, trovando il tempo giusto per le sue riflessioni, lo avrebbe fatto, nei giorni seguenti. La mattinata avanzava lieta, nel ricordo dei membri del suo nucleo fondamentale. Dedicò un pensiero alla madre, che da tanto tempo conduceva una battaglia per il proprio stato di salute, attaccato, di tanto in tanto, da qualche disordine che la faceva tribolare. Pensò a suo padre Connor, morto troppo presto, proprio nel momento in cui suo figlio avrebbe avuto tanto da raccontargli sulle sue Vittorie di uomo libero. Sapeva, però, che il proprio genitore avrebbe festeggiato con lui... Osservò le poche righe scritte nella nuova pagina, focalizzò alcune parole chiave del suo processo creativo di quella giornata che preannunciava ancora pioggia. Desiderò che tutto andasse bene, per sé, per i suoi cari, per il mondo, cui augurava una seria rivelazione sull'esistenza umana. Era a metà pagina e non aveva ancora finito di dire quello che bramava. C'era un un per cento di popolazione mondiale che dettava le sorti di tutto il restante novantanove per cento. C'era una ricchezza smodata nelle mani di pochi. C'era un mondo da rifondare, con regole nuove, aspirazioni legittime, in un quadro di mutuo aiuto fra individui. L'autore sentiva che, se l'Umanità si fosse svegliata, i passi, verso la Nuova Era di Luce, sarebbero stati rapidi. L'inganno sarebbe stato annichilito. Le maschere sarebbero cadute. La Vita, nuda, sarebbe stata vista in tutto il suo splendore di Possibilità di star bene. All'autore parve che tutti i dissidi dell'uomo contro l'uomo fossero davvero una grande perdita di tempo. Lui sognava l'Armonia. In fondo, si sarebbe dovuto insegnare ad un bambino a giocare con gli altri fanciulli, non a fare la guerra, volendo primeggiare su tutti. La competizione era un'invenzione del sistema. La bramosia bellica un atto di violenza sugli altri. La ricchezza stessa era una imposizione di qualcuno su qualcun altro che doveva lavorare per un capo. Tutto ciò, che era stato forgiato dal potere, rappresentava una schifosa menzogna, contraria alla naturale propensione dell'individuo a vivere in pace. «La gente non è frequentabile» aveva detto la sua Musa, giorni prima. Lei, con il suo desiderio di chiarezza, non poteva accettare persone che vivessero nella bugia. Seán e Sinéad erano costretti a vivere da soli, senza Amici veri da frequentare. Erano troppo diversi dalla massa, che osannava l'ultimo ritrovato tecnologico di cui essere schiavi. Avevano scorto, con nitidezza, il percorso dell'Umanità verso una schiavitù senza fine. Erano molto preoccupati dal mondo alla rovescia. Non potevano accettare che il Genere umano amasse le proprie catene. Gli appassionati di Facebook, con i loro proclami quotidiani, non spostavano nulla. Non è che scrivendo ogni giorno la propria disapprovazione si potesse giungere a qualcosa di buono. Il sistema li tollerava. L'importante era che avrebbero passato il fine-settimana a comprare le scarpe da ginnastica negli outlet. L'uomo respirò profondamente. Stava scrivendo cose vere da dieci mesi. Avrebbe sorriso a chiunque gli avesse detto che le sue frasi non erano pienamente corrette. Era giunto alla fine della sua pagina e, decidendo di non proseguire, decise quali parole dedicare alla propria prosa, che immaginava come un tempio, piena di affreschi, con delle architetture splendide, in una armonia di forme davvero strabiliante. Il viale era scuro e la pioggia imminente. Gli alberi totalmente nudi rompevano la monotonia dell'asfalto. L'uomo si isolò con i suoi pensieri, davanti ai quali si percepiva nella sua verginità di artista libero da ogni sorta di ricatto. Non era per il sistema che scriveva. Non era per la fama. Creava per esprimere una visione, che dimorava nella parte più intima del suo Io inviolabile. Sebbene l'idea della precarietà gli facesse concepire che le cadute fossero da mettere in conto, lui desiderava rimanere eretto, di fronte al proprio destino. La sua non era paura, ma consapevolezza. Sapeva che si potesse incappare in qualche inciampo. Del resto, sarebbe stato sciocco, da parte sua, ritenere che la propria Vita sarebbe stata una autostrada al Sole. Doveva mettere in conto qualche insidia. Qualche difficoltà. Qualche momento triste. Tuttavia, il suo atteggiamento nei confronti dell'esistenza sarebbe stato sempre positivo. Aveva imparato a lottare, con il suo raziocinio, la sua struttura mentale, le sue risorse di uomo libero. Doveva solo respirare e camminare, lieto, attento, vigile. La coscienza di non essere più da solo, lungo il sentiero, lo cullava. La sua Sinéad non gli avrebbe fatto mai mancare il suo appoggio e questo rappresentava molto, per lui. L'artista si soffermò a pensare. Si avvertì come una piccola imbarcazione in mezzo all'oceano delle Aran Islands, così piccola, sorretta solo da una vela, bianca e blu. Avrebbe retto alle tempeste? Sarebbe giunta in tempo sana e salva nei porti, prima che il mare si increspasse furioso? Avrebbe goduto della navigazione in un paradiso della Terra? Quelle pagine conclusive del romanzo stavano costituendo una vera e propria lettera al lettore. Lui stava consegnando, nelle mani del Genere umano, un messaggio rivoluzionario, che sperava sarebbe stato apprezzato. La pagina scorreva lentamente, fra le sue dita e lui si sentiva preso da mille pensieri, cui non riusciva a dare un ordine. Respirò. Si guardò allo specchio. Aveva la sua solita espressione da bambino giocoso, che la sua compagna tanto amava. Senza di lei, la Vita dell'autore sarebbe stata di sicuro diversa. Era Sinéad a farlo ridere. Era lei a trattarlo con infinito Amore. Era lei la sua Musa, cui egli aveva dedicato le sue pagine più intense. La sua compagna lo aveva atteso, con un moto dell'anima sereno e attento. Aveva creduto in lui dal primo momento, reputandolo sempre autentico. Lei aveva visto l'uomo imprigionato nella tempesta, e aveva deciso di liberarlo con la forza del suo Amore quotidiano, semplice, giusto, mai violento. L’uomo si era sentito invaso da una forza irresistibile, che lo aveva avvolto in una dimensione totalizzante di affetto e passione. Lui ricordava benissimo quando la incontrò. Quando si rese conto che lei fosse diversa da tutte le altre donne che aveva conosciuto nella sua Vita. Come lei, con accurato tatto, fosse entrata nel suo mondo interno.
31° Stralcio
Oltre
Era stato convinto, in quel periodo, che non avrebbe aggiunto una parola, alla sua opera letteraria, ma, all’improvviso, venne catturato dal desiderio di descrivere, con le parole, la genesi della sua tredicesima Sinfonia, «Visione dell’oltre», che stava scrivendo da circa due settimane, avendo concluso il primo e secondo Movimento. Quella domenica mattina, imbastì l’incipit del terzo Tempo, in uno Scherzo che lui voleva di dimensioni considerevoli, con diversi temi a raccontare una storia musicale dagli effetti chiaroscurali, che dessero l’idea di moto e vitalità. «Visione dell’oltre» era nata nella sua testa a Cork, senza suonare nemmeno una nota, ma si era impossessata di lui nelle ultime ore nella capitale del Sud, con un disegno netto: una nota tenuta cui agglomerati accordali avrebbero risposto. Così, in treno, aveva avuto modo di visualizzare quella struttura, sebbene non l’avesse ancora eseguita. In quel lasso di tempo, dopo essere ritornato a Galway, con un duro lavoro che si stava sviluppando ogni mattina, subito dopo aver preso il suo immancabile caffè amaro, era riuscito a portare alla Luce la sua ultima fatica musicale. Era felice. Scrisse questo post nel suo sito personale:
«Buon pomeriggio, Marineros!
Dal 20 Febbraio, dopo essere stato con mio figlio e mia madre, ho iniziato a comporre e, da una idea di una sola nota lunga, è nata una composizione nuova, che, nello sviluppo, è diventata una Sinfonia, la n. 13, intitolata «Visione dell’oltre», dacché provo, attraverso i suoni, a descrivere la mia idea di tutto ciò che dimora oltre i limiti imposti all’uomo dalle proprie regole e convinzioni. Finora, ho scritto i primi tre Movimenti, che recano le seguenti definizioni: «Neve», «Luce», «Chiaroscuro». Ho deciso altresì che il quarto Movimento, di cui ora immagino solo una cellula iniziale, si chiami «Mosaico». Questa composizione sinfonica è piena di ritmi, all’interno dei quali ho trovato molto adatta alla scrittura una struttura ternaria, con note puntate. L’orchestra si muove agile, creando una trama ricca. Come quasi sempre, nelle mie Sinfonie, il pianoforte ha parti da solista e, in altri momenti, accompagna archi o legni. Il primo Tempo ha una dimensione considerevole. Il secondo ed il terzo Movimento sono legati dalla medesima concezione ritmica, che trova la sua consacrazione in «Chiaroscuro», lo Scherzo in 6/8. La tonalità d’impianto generale è Si bemolle minore. In «Chiaroscuro» si succedono parti in maggiore ed in minore, proprio per delineare una percezione che viri all’interno di diverse presenze di Luce. La Sinfonia n. 13, «Visione dell’oltre», vuole avere un concept. Desidera condurre l’ascoltatore a varcare quel punto geometrico preciso nello spazio che troppo spesso è determinato dalla monotonia di una realtà piatta, per suggerire di prendere in considerazione l’ipotesi che qualcosa di splendido possa manifestarsi oltre gli orizzonti noti. Cerco sempre di non tediare il possibile fruitore delle mie opere e devo dire che questa Sinfonia scorre lieta verso la sua naturale foce. Noto che la mia scrittura sia più libera. Più complessa. Più intima. Non ho avuto paura di esplorare, in questi dieci anni di intensa attività e il dono che ricevo è quello di vedere il tessuto della mia scrittura arricchirsi, giorno dopo giorno. Ho anche vinto alcune paure e, con una certa dose di coraggio, ho tentato di dire la mia, con strumenti sempre nuovi, in un totale rispetto dei segni d’Arte. «Visione dell’oltre» racconta una storia, nella quale un individuo, con la sua precipua Identità psichica, prova a guardare oltre la nebbia, fra la neve, per scorgere il mare… Dopo poche ore, ho chiuso il quarto Movimento, «Mosaico» che ora sto trasformando nel file audio conclusivo. Sono davvero felice. L’ultimo Tempo vuole essere la descrizione di un mosaico bizantino, come quello di Sant’Apollinare in Classe. Ho molto pensato, in questi giorni e, alla fine, ho stabilito di usare tanti colori per una moltitudine di tessere, usando le policromatiche sfumature dei modi greci, una struttura armonica molto cara al Jazz. Il risultato mi appaga. «Visione dell’oltre» è una composizione che mi rappresenta. Domani potrò riprendere a rileggere il mio romanzo, che scrivo da quasi un anno. La Musica mi tiene compagnia. Le ho dedicato tutte le mattine dell'ultimo periodo, da quando sono ritornato a casa, in una Galway marinara dal sapore antico. Il mio processo creativo esplora nuove terre. Ho avuto ardimento, sebbene corressi il rischio di sbagliare qualcosa. La paura dell’errore, però, non mi ha paralizzato e ho continuato a sperimentare. La Sinfonia n. 13, «Visione dell’oltre» è un inno a proseguire sempre, perché la Vita è proprio questo: un infinita tensione.
Buon vento, Marineros!».
Rilesse il suo articolo di presentazione della sua ultima opera, ritenendosi appagato. Seán si era impegnato molto, in quei giorni, dal suo rientro, dopo essere stato nella meravigliosa Cork, ad abbracciare i suoi cari. La Musica lo aveva cullato. Si era addentrato in un turbine di suoni. La sua Sinfonia era splendida. «Visione dell'oltre» intendeva mostrare al mondo chi davvero lui fosse, in assoluta trasparenza. Con spirito indomito. Attraverso la grazia. La sua Arte continuava a combattere, in un'ottica militante. Era quella definizione, «Visione dell'oltre», che aveva partorito a Cork, ad averlo fatto muovere verso nuovi agglomerati acustici. Nella direzione della Bellezza, animato da una inesausta brama di sperimentare. L'autore viveva in quel modo: una parola, un rumore potevano scatenare la sua fantasia, generando in lui il desiderio di scrivere qualcosa di nuovo. Il compositore aveva avuto anche modo di riflettere sulla precarietà dell'esistenza, ed era sempre più convinto che il sentiero umano dovesse essere caratterizzato dal più romantico dei lirismi, nonostante si potesse perdere tutto da un momento all'altro. «Canta e danza, mentre fuori da te, tutto crea confusione ed il mondo sembra andare a pezzi!» considerò l'artista, scrivendo quella sua immagine nella nuova pagina del suo probo diario, un balenio letterario di grande scintillio... Tutte quelle riflessioni erano confluite nelle pause della partitura, dietro alla melodia di un corno inglese, dentro alle note saltellanti di un pianoforte solista... L'artista era avvolto dal silenzio della sua piccola casa. Nello studiolo ancora tracce del suo soggiorno a Cork. Sognava un viaggio con la sua compagna nella contea del Donegal, che forse un giorno avrebbero intrapreso con meraviglioso stupore. Lui e la sua Donna vivevano un incanto da bambini: ogni gioco era bello e tutte le esperienze gli insegnavano qualcosa. L'uomo prese in considerazione l'ipotesi di riascoltare la Sinfonia n. 13, quella mattina. Il giorno prima, affidando la nuova composizione al web, aveva pensato che forse essa non avrebbe avuto il riscontro che avrebbe meritato, ma non era per il plauso degli astanti che lui creava. Un giorno qualcuno avrebbe riscoperto il valore delle sue note e delle sue frasi, ma, di sicuro, non in quel momento. In quella precisa fase storica del neoliberismo, l'artista era condannato ad essere ignorato. L'autore era a metà pagina. Sorseggiò del buon caffè senza zucchero, che gli era stato regalato dalla sua Sinéad, che adorava riempirlo di doni sempre nuovi, perché, anche in quel modo, lei gli dimostrava quanto lo amasse... La nuova opera, «Visione dell'oltre», era fortemente legata alle esperienze dell'ultimo periodo: la neve in tutta la Landa, l'oceano che l'uomo scrutava dalla sua finestra, il ricordo di Vita vissuta nella sua Cork, con alcuni vecchi Amici da incontrare. A Seán la neve parve bellissima, quando una settimana prima Galway era stata ammantata di bianco candido. Aveva scritto una breve composizione musicale, intitolata «De candida nive» e, raccogliendo le foto dal web, ci aveva fatto una video presentazione, che poi aveva caricato su Youtube. Andò a verificare le statistiche del sito dove aveva postato la sua Sinfonia: qualcuno aveva ascoltato i vari Movimenti dell'opera. Sorrise lieto. Era sempre bello vedere come naviganti del web potessero apprezzare le sue creazioni. La foschia dell'oceano avvolgeva la città sul mare. Galway era l'emblema della Vita della Landa, fra le onde, i salti irruenti del Corrib e animati vicoli dai mille colori. L'uomo si sentiva parte di un tutto. Era un fiero irlandese. Aveva compreso che il suo destino fosse indissolubilmente legato a quello della sua terra. Bevve dell'acqua, ne apprezzò la freschezza e si rimise all'opera. Quel giorno voleva descrivere la gioia di un parto felice: quello della sua nuova Musica, che, per lui, era perfetta; tanto che non ne avrebbe desiderato cambiare nemmeno una nota. Si gustò un piccolo sorso di caffè nero caldo e si accese una Chesterfield rossa. Bramava delineare, con i suoi pensieri scritti, un nuovo panorama della sua anima, dal quale poter ammirare il mondo, in tutta la sua carica vitale. Là fuori, c'era una moltitudine di persone che lottavano per il vero bene. Che provavano a raccontarsi con sempre maggiore chiarezza la Verità. Che rifiutavano le bugie. L'uomo, questo, lo sapeva molto bene e ne era felice. Lui sapeva di appartenere ad una splendida minoranza. Il club dei differenti avrebbe marciato verso la Nuova Era di Luce, con un sorriso bambino. Pensò che la Nuova Era di Luce non fosse solo una splendida utopia, una realtà esistenziale da sperimentare qui sulla Terra, ma anche una vera e propria corrente artistica di cui lui fosse il padre fondatore, in quanto primo Lucente... Era lieto, quella mattina, mentre osservava, dalla finestra della cucina, in lontananza, l'oceano calmo diffondere il suo suono, che Sinéad considerava il perfetto commento acustico per una esistenza piena di gioia. L'artista stava celebrando una sua nuova Vittoria; un canto ardimentoso si levava dalla sua casa, verso il cielo, la Landa ed un inverno gaelico che gli aveva donato la neve, che tanto lo aveva ispirato. Fece una pausa, congiungendo le mani ed accarezzandosi il viso. Aveva parlato con il suo Amico greco Yòrgos, che gli era sembrato in asse, nonostante la morte dell'amata moglie Crón fosse una costante della sua giornata, un basso continuo nella Musica del suo tempo. Inoltre, l'autore aveva ripreso a scrivere a Shayla, la sua dolce Amica, che lo aveva festeggiato con grandi dichiarazioni d'affetto. L'uomo adorava quella ragazza, la sentiva prossima a sé, sebbene facesse difficoltà a comprendere come una donna così brillante bramasse vivere una storia d'Amore con un uomo ad intermittenza, che non voleva darle una base solida su cui fondare un vero rapporto. Tuttavia, l'artista voleva davvero molto bene alla ragazza di Belfast e, spesso, ridevano insieme, perché lei era molto ironica e simpatica. Sinéad e Shayla si erano conosciute e alla compagna di Seán la donna dell'Irlanda del Nord era piaciuta molto. Le riconosceva tante qualità. La Musa dell'artista diceva sempre che Shayla avrebbe potuto avere tutto quello che desiderava, dacché era piena di talenti: spiritosa, sensuale, attenta, generosa, intelligente ed arguta. La brillantezza, che l'Amica dell'autore portava con sé, sbaragliava. Lei era una creatura d'argento vivo, dalla vivacità disarmante. Il compositore sorrise, nel ricordare quanto Shayla fosse poderosa. L'uomo ripensò a Crón, a quanto percepisse ancora nitidamente l'eco delle sue parole rivoluzionarie. Yòrgos lo aveva invitato a casa sua, ma l'uomo aveva spiegato al suo caro Amico greco che, probabilmente, non si sarebbe sentito a suo agio in quella ipotetica situazione. Il compositore non voleva constatare, con i suoi occhi, che la sua dolce sorella spirituale non si trovava più in quella dimora. Lui, che, appena entrato in casa, veniva accolto da Crón con abbracci e sorrisi... Lui che la immaginava ancora sul suo divano, intenta a descrivere quel mondo altro che poi Seán avrebbe trasformato nel concetto della Nuova Era di Luce... In fondo, per vivere senza troppo dolore, l'autore aveva preferito immaginarsi le persone care, che non c'erano più, ancora lì, dove le aveva lasciate: il padre Connor nel salotto di casa a fumare la pipa, Crón a scrivere micidiali post su Facebook, e tanti altri, che, nel corso del tempo, purtroppo, l'artista aveva perso, sebbene continuasse a figurarseli intenti nelle loro attività vitali. Dopo otto giorni, sarebbe tornato a Cork, da suo figlio e sua madre. Chissà cosa avrebbe visto dal finestrino del treno? La sua Musica lo faceva tendere verso l'infinito, in una danza carica di pathos, dacché i suoi suoni erano vivi e comunicavano Bellezza, in una Poetica tardo ottocentesca, attraverso la quale egli aveva riscoperto la maestosità delle armonie ormai desuete, ma capaci di colorare il tessuto artistico in una maniera così romantica da sembrargli perfetta, per i suoi scopi di creativo, cui non avrebbe mai rinunciato per niente al mondo, coltivando la speranza di poter esprimere compiutamente ciò che sentiva; quello che pensava, mantenendo la stazione eretta di fronte al proprio destino di invisibile ai più. Era davvero lieto, in quella giornata di pioggia battente che irrorava la Landa, garantendole l'affermazione della propria essenza di terra legata all'acqua. «Io voglio vivere per i miei cari – pensò – desidero affrontare ogni vicissitudine futura abbracciato alla mia compagna» e mentre concepiva quella riflessione, realizzò di essere pronto per le eventuali tempeste che si prefiguravano all'orizzonte. L'artista era ben conscio della instabilità del sentiero umano. Non aveva bisogno di ulteriori conferme di quella realtà. Tuttavia, ardeva dalla brama di vedere ove conducesse il proprio cammino. Si sentiva pronto. Sapeva di avere delle risorse cui far riferimento per ogni difficoltà successiva. Aveva imparato che i pensieri di sconfitta andassero ridimensionati, impedendogli di occupare troppo spazio all'interno della propria Psiche. Combatteva ogni giorno per la propria realizzazione, che, per lui, passava attraverso la Vittoria delle proprie opere. Sapeva di essere un artista, ma ciò non gli bastava. Voleva vedere le sue creazioni, capaci di ispirare la gente, farsi largo fra le macerie di quel mondo ottuso... Lo sfiorò l'idea di trovare un modo per rendere le proprie opere più visibili, per diffonderle in tutto il mondo... Decise di riascoltare la sua Sinfonia n. 13, il cui titolo, «Visione dell'oltre», gli sembrò quanto mai azzeccato. Il primo Movimento si apriva con gli archi, in un tema forte, dalle armonie dense, cui rispondevano i legni, con una breve melodia di fagotto, sopra la quale si innestavano gli altri fiati. La seguente parte di archi pizzicati, con melodia di viola, era la perfetta descrizione della neve, che dava il nome al primo Tempo. Seán ascoltò una sezione di archi in legato, con la batteria a scandire un metro ritmico essenziale ma avvincente. Una melodia di flauto si apriva di seguito e nasceva una sequenza in 7/8 con pianoforte ed archi. L'artista aveva molto elaborato, in quei giorni. La forma della Sinfonia era davvero articolata: un tempio. L'architettura sonora dell'opera era davvero significativa, giungendo a delineare forme e oggetti di rara Bellezza. L'uomo riflesse su tutto il proprio cammino. Gli sembrava prodigioso aver resistito alla tempesta sciagurata che si era imbattuta nella sua Vita, lasciandolo esangue su un lido a lui sconosciuto in un sonno profondo, dal quale si sarebbe svegliato con il sorriso di Sinéad che desiderava trarlo il salvo. Il primo Movimento della sua opera nuova, «Neve», stava avanzando sotto l'attento ascolto dell'autore, che ne riconosceva tutti i tratti distintivi. C'era quella discesa cromatica del pizzicato degli archi che all'uomo sembrava proprio descrivere la caduta dei fiocchi di neve sul suolo. Il compositore analizzava attentamente i suoi suoni, in quella fase di riascolto. Il pianoforte gli sembrò raccontare una storia di lotta, in quel ritmo settenario pieno di armonie. Il primo Movimento della Sinfonia n. 13, «Visione dell'oltre», era bello e, mentre pensava quella cosa, ascoltò una sezione allegra, in un ritmo energico. Di nuovo il pianoforte con i suoi agglomerati accordali vigorosi e incessanti, commentati dagli archi. Un vero e proprio Tema. Un dialogo fra il principe degli strumenti a tastiera e violini, viole, violoncelli e contrabbassi. Giunsero gli ottoni, nella casa dell'artista e l'uomo fu davvero felice di ascoltare quella successione di note. Stava ripercorrendo il sentiero che lo aveva portato a comporre quella sua ultima fatica sinfonica ed era veramente stupito dall'impianto generale dell'opera e dai tanti costrutti che la animavano. Si aprì lo scenario della viola solista, cui il compositore aveva affidato un metro saltellante, che poi avrebbe caratterizzato tutta la Sinfonia, in una ricerca sul ritmo davvero esaltante. Seán ascoltava quelle note, pensando a come la sua scrittura si fosse fatta complessa, dando origine a tessere policromatiche degne di un grandioso mosaico, che avrebbe trovato una vera e compiuta realizzazione nel quarto Movimento. L'uomo era felice e non doveva aver paura di esserlo. La sua realtà era amena. I suoi pensieri corretti. La sua Vita intensa. Avrebbe affrontato tutto, giorno dopo giorno, senza inutili affanni. Pensò a Sinéad, che combatteva, nel posto di lavoro, contro l'idiozia di mondialismo sfrenato. Riflesse sull'innata carica vitale del suo ragazzo, il caro Aindreas, che non finiva mai di stupirlo. La sua pagina scritta avanzava inesorabile. Il compositore avvertì che fossero tante le cose da fare per avere un futuro migliore e sospirò. Non comprendeva come si potesse rimanere immobili, dormienti, assuefatti ad un sistema di cose aberrante, che voleva minare le basi della Vita umana. Sentì forte la brama di voler vedere la propria opera svettare sulle bruttezze del potere, affermarsi come capolavoro, rendere giustizia alla sua concezione dell'Arte e del mondo, in una Nuova Era di Luce che avrebbe visto la nascita di una moltitudine di creativi, pronti a sbaragliare lo status quo... L'uomo riflesse sulla sua nascente corrente letteraria e musicale. Nuova Era di Luce era soprattutto un pensiero artistico che forse avrebbe fatto breccia nel cuore di qualcuno, già alla ricerca di soluzioni nuove e coraggiose. Erano le nove e trenta del mattino e l'uomo desiderò farsi un altro caffè. Andò in cucina e se lo preparò con immenso Amore. La sua attenzione venne catturata da una sequenza lenta, in cui la viola riproponeva il suo metro ritmico danzante e i legni rispondevano con accordi compositi. L'uomo era veramente appagato dal suo lavoro, che sentiva degno, amorevole, caldo, avvolgente. Ripartiva la successione degli archi in legato con la batteria a dettare il tempo. La analizzò mentalmente. Quella nota lunga di violini era stata la prima scintilla del lavoro. Un Si bemolle tenuto per diversi secondi che era diventato l'origine del tutto. Il folgore primitivo. Il bagliore della Nuova Era di Luce... Forse davvero il primo suono della nascita effettiva di un mondo altro, nuovo, possibile... Con la Sinfonia n. 13, «Visione dell'oltre», l'artista entrava ufficialmente, attraverso la sua creatività, nella genesi della sua Nuova Era di Luce, realtà intrapsichica, relazionale e corrente di pensiero estetico. L'uomo andò in cucina, dove apprezzò l'aroma ed il gusto del suo nuovo caffè, si accese una sigaretta e guardò fuori dalla finestra, attraverso la quale, in lontananza, percepiva la sterminata immagine di un oceano Amico, che non lo avrebbe mai tradito... Gli ottoni lo cullarono con il loro suono rotondo e maestoso. La viola continuava a saltellare, nel ritmo ternario che le era stato affidato dal compositore. L'uomo sognava che quelle sue composizioni musicali venissero suonate da un'orchestra sinfonica vera. Iniziò il secondo Movimento, «Luce», dacché l'artista non si era ancora stancato di celebrare la speranza di un mondo pieno di Vita, in una epoca diversa da tutte le altre, con uomini, donne e bambini nelle strade a festeggiare la Vittoria su ogni forma di aberrazione mentale. Il compositore sentiva che il proprio percorso stava ascendendo verso una dimensione chiara di benessere, che non poteva essere inquinata da pensieri tristi; paura di sbagliare qualcosa nel compiere gli atti quotidiani dell'esistenza, la quale era troppo bella per essere tormentata da angosce di probabili fallimenti... L'uomo era di nuovo nel suo studiolo, mentre ascoltava un pianoforte solista presentare un tema con note ribattute. Pensò agli Amici vicini e lontani. Si immaginò Damien scrivere le sue poesie, nel totale silenzio, per ascoltare meglio il suono delle sue parole sempre più veraci e liriche. Il suo Amico Poeta era davvero un uomo potente. La sua produzione artistica parlava per lui. Ogni componimento era una Vittoria. Una ricerca. Un accorato invito a non perdersi, dacché la Vita sa sorprendere in ogni istante. Seán continuava a scrivere ed ascoltare. Si stupiva della sua ricerca. Si meravigliava di come fosse giunto a comporre quei tessuti così belli. Anche nel secondo Tempo, c'era una sezione di archi legati, lenti, cui rispondeva la famiglia dei legni e la seguente viola, nel metro ritmico puntato che il compositore aveva scelto per rappresentare diverse percezioni della Luce. La Nuova Era di Luce era già lì, nelle mani dell'autore, fra le sue parole, nelle sue note... Era una corrente artistica con un forte richiamo alla Pulcritudine della Vita... Non era più un miraggio, ma viva dimensione intrapsichica da esperire con assoluto Amore. L'uomo era alla fine della sua pagina. Aveva sospeso l'attività di labor limae del suo romanzo per dedicarsi anima e corpo alla sua opera musicale, ma, quella mattina, era davvero felice di poter avere l'opportunità di continuare a scrivere e correggere. Aveva la netta sensazione di dover ancora aggiungere delle parti alla sua prosa, che, altrimenti, gli sarebbe apparsa incompleta, monca. Era dunque lì, seduto alla sua scrivania, accanto al metronomo con cui aveva stabilito le velocità dei brani musicali che aveva composto in quelle due ultime settimane pregne di impegno e dedizione alla sua Arte, che percepiva eterna e leale compagna di Vita, come la sua Sinéad, Musa perfetta. L'artista stava ascoltando un pianoforte solista chiudere una sessione in maggiore, cui avrebbero poi risposto gli archi, con un andamento fluttuante, fra giochi cromatici e note lunghe, con una figurazione ritmica che creava un disegno composito. All'autore, «Luce», il secondo Tempo della Sinfonia n. 13, parve molto complesso. I modi greci, usati come compendio delle Possibilità armoniche, li sentì davvero pieni di energia, in una trama fitta, che rappresentava una materia sonora dal grande fascino. In tanti anni di attività, l'uomo era riuscito, attraverso la sua lunga ricerca sui segni d'Arte, ad edificare un tempio grandioso, che, in quel momento, osservava in tutto il suo splendore. Era cominciato il terzo Movimento, «Chiaroscuro», pensato come opportunità di esprimere le sfumature di colore, più o meno intense, che la Luce crea su un determinato oggetto. Il pizzicato degli archi era davvero in grado di muovere il brano verso la sua naturale conclusione, mentre il pianoforte, in una tonalità minore, dipingeva un ritratto. Gli ottoni, poi, creavano una atmosfera di pathos intensa, con le loro dissonanze. Al fagotto era affidata una breve parte, prima della riproposizione del pizzicato degli archi, vigoroso ed energico. All'artista piaceva usare il pianoforte nelle sue composizioni. Era una scrittura che gradiva esplorare, come quella degli archi, cui affidava molto spesso le parti più sentite della sua fase creativa. Il compositore era grato a tutti quei musicisti, che, prima di lui, avevano creato capolavori assoluti. Gli tornarono alla mente Bach, Beethoven e Chopin... La Poetica della Sinfonia era piena. Intensa. Nata dalla riscoperta di antiche strutture, che l'uomo rispettava con rigore, essa si era sviluppata, sotto le mani dell'autore, che la considerava quanto mai ricca. A Seán non aveva destato nessuna preoccupazione far risplendere gli antichi segni d'Arte dell'ottocento tardo romantico; i costrutti del primo Jazz, e un cenno alla Musica di inizio Novecento, che lui tanto amava. L'autore era a metà pagina, proprio mentre immaginava quanto avrebbe dovuto combattere la sua Arte nell'agone mediatico del terzo Millennio; luogo ove la stupidità e la mediocrità regnavano incontrastate. L'uomo congiunse le mani, per concentrarsi meglio e si accarezzò il viso che tanto aveva imparato ad apprezzare, perché era il volto di quell'uomo che da bambino aveva sognato diventare... Per quanto fosse difficile da affrontare, una riflessione sulla precarietà dell'esistenza andava esaminata, in quanto era doveroso essere consapevoli del fatto che tutti, su questa Terra, camminiamo con un funambolo, sopra l'abisso, proprio come diceva Nietzsche, filosofo che Seán amava moltissimo fin dai tempi del liceo, nella sua Belfast occupata dall'invasore. Potenzialmente, in ogni frangente dell'esistenza, un destino crudele ed avverso può sorprendere chiunque e quindi bisogna essere ben saldi e fare appello alla totalità delle proprie risorse vitali. Per il compositore, la morte di suo padre Connor e di Crón erano stati due duri colpi da incassare. Come un pugile sorpreso da un pugno terrificante, l'uomo aveva dovuto accettare di essere stato steso sul ring, e, confuso e disorientato, aveva tentato di rialzarsi prima che l'arbitro decretasse il knock out. Negli ultimi dieci anni, da quando Sinéad era comparsa nella sua Vita, l'artista era cambiato, resisteva di più agli urti del destino ed aveva sviluppato una sorta di resilienza che gli permetteva di recuperare, in breve tempo, dopo un duro colpo, la sua forma primitiva di essere umano che aveva abbandonato ogni tipo di menzogna ed inganno... Il terzo Movimento si era concluso, lasciando il campo al quarto, «Mosaico», scritto solamente il giorno prima, con una vena creativa dal grande impulso, la quale lo aveva condotto a scrivere mezz'ora di musica in sole otto ore. Il quarto Tempo della Sinfonia n. 13, «Visione dell'oltre», era davvero pieno di significati, dettati da una ricerca sull'armonia e il ritmo, con cui il compositore lasciava entrare l'ascoltatore nel suo mondo incantato, in quella Nuova Era di Luce che dimorava nella visione complessiva del mosaico musicale, sempre nuovo e integro. C'era un Tema A, nell'ultima parte della Sinfonia, affidato agli archi, con agglomerati accordali dissonanti, che creavano il dinamismo necessario per scorgere l'opera in tutta la sua maestosità. Seán prendeva per mano il fruitore della sua Musica e lo portava ad ammirare lo spettacolo prezioso di uno scenario visivo lirico, come davanti ad un complesso musivo bizantino... La pagina della prosa stava volgendo al termine e lui sentì di avere ancora tante cose da scrivere, perché quel gesto lo faceva stare bene e gli procurava una chiarezza interna di cui aveva davvero il desiderio. Considerò buono l'uso del pianoforte in tutta la Sinfonia. Ne fu soddisfatto. Ascoltò il Tema A riproposto dagli archi, cui rispondeva una sezione di legni, che l'artista si immaginò essere come un campanile, ma fatto di suoni. Era alla sesta pagina del suo nuovo capitolo del romanzo e riflesse su come lo stesse scrivendo e correggendo, in una dinamica continua, che, sebbene i momenti di silenzio, gli stava sembrando intensa; percorso verso quella dimensione di candore niveo che desiderava avere nella sua esistenza di uomo libero, affrancato da ogni sorta di egoismo e prevaricazione sull'altro, che lui aveva deciso di combattere iscrivendosi ad un partito che, fino a quel momento, contava solo centosei mila attivisti in tutta Irlanda, cosa che faceva molto sperare l'uomo, che sapeva bene quanto un grande cammino cominci sempre con un piccolo passo, compiuto, a volte, da uno sparuto numero di individui animati da un grande progetto di Vita altra, possibile. Il quarto Movimento procedeva, in quella fase di riascolto che l'artista reputava essenziale per appurare la Bontà del proprio operato. Moriva dalla voglia di sapere cosa il suo Máistir avrebbe pensato, ascoltando la sua «Visione dell'oltre»... Ebbe qualche momento di esitazione, poi si fece coraggio e gli scrisse una mail nella quale gli suggeriva, attraverso un link, l'ascolto della sua ultima opera sinfonica. Pensò: «Chissà se il Maestro troverà il tempo per ascoltare la mia Musica?» ma il desiderio di avere un confronto con il suo Máistir era davvero troppo incalzante. Ascoltò, mentre scriveva al suo Maestro, la coda finale della Sinfonia, affidata agli archi in legato e si sorprese a considerare quanto quel lavoro fosse nobile, con una architettura davvero imponente. Le ultime note dell'opera lo consegnarono nelle braccia di una pace senza pari. Erano le undici di mattina. Inviò la mail al suo Maestro.
32° Stralcio
Il romanzo gaelico
L'autore si svegliò presto quella mattina di metà Marzo e prese in considerazione, subito dopo il caffè, la Possibilità di scrivere ancora. Aveva in mente di redigere una Postfazione, alla fine del suo romanzo, capace di lasciare il lettore nella condizione di percepire l'opportunità di afferrare il messaggio della storia e condurlo nella propria Vita di individuo alla ricerca del bene; concetto non così scontato, nel terzo Millennio. L'uomo bevve la sua buona bevanda amara, si accese una sigaretta e provò a mettere ordine ai suoi pensieri rivoluzionari. La sua prosa era giunta ad una dimensione davvero considerevole e, correggendo i primi capitoli, l'artista aveva aggiunto parti essenziali che riteneva indispensabili per la descrizione psicologica dei personaggi. Era nella condizione di rendere scintillante il suo componimento, che aveva in mano da quasi un anno. Aveva scritto con relativa continuità, eccettuato il periodo estivo, nel quale era stato sempre in giro con la sua Musa, che lo aveva coccolato con il suo Amore e la sua ironia. Era convinto che nulla gli avrebbe impedito di pubblicare qualcosa di degno, cui, magari, altri esseri umani, come lui, avrebbero prestato attenzione. Respirò profondamente e spense la sigaretta nel suo posacenere preferito. Aveva davanti a sé il primo romanzo gaelico della Nuova Era di Luce, giunto a pagina trecentotrentatré. Voleva però affrontare ancora nuove tematiche, prima di intraprendere la correzione finale, in un labor limae che si preannunciava davvero complesso, se non altro per il numero complessivo delle pagine. Aveva potuto già notare quanto, rileggendo i capitoli, le sue pennellate fossero piene di colore. La sua nuova prosa brillava. Era balenio. Folgore. Un organismo autentico che sapeva essere luminoso, come una giornata di primavera col Sole, alle pendici delle magnificenti scogliere di Moher... La sua Poetica era cresciuta con lui, negli anni e si stagliava contro la pochezza di tutto ciò che girava per il mondo e si autoproclamava Arte. L'insieme delle regole che lui si era dato, per scrivere, era funzionale. Il componimento era davvero bello. Narrando le vicende di una opportunità di Vita, descriveva, con dovizia di particolari, la prospettiva di un individuo che non voleva rassegnarsi. Di una ricerca profonda sulle cose. Di un viaggio verso l'oltre. Tutta l'Arte, per essere autentica, ha bisogno di essere autobiografica, dacché non si possono descrivere le strade di Dublino senza esserci mai stati. Non se ne racconterebbero i colori. I profumi. La gioia di vedere scritti sui marciapiedi gli stralci letterari di Joyce. L'Arte è percezione interna di un evento e scrittura del medesimo in segni. L'Arte è, probabilmente, uno dei processi più intimi che possano coinvolgere un essere umano. Necessita di silenzio. È una gestazione. È Vita. Seán considerava le sue opere delle creature viventi. Da sempre. Le trattava con infinito Amore. Lui e la sua compagna seguivano in rete un simpatico giornalista, che si occupava di tantissime cose. Un giorno dell'anno precedente, la sua Sinéad chiese al suo uomo: «Perché non scrivi un racconto breve improntato alla leggerezza? Sarebbe molto bello!». Iniziò così un dialogo.
Lui
(con aria divertita)
Non ne sarei capace!
Lei
Certo che lo sai fare!
Lui
Uhm... Ci penserò
Lei
Deve essere brillante. Fluido. Pieno di Vita!
La sua dolce Musa lo baciò, tenendogli le mani sul viso e gli disse: «Dai, fatti venire un'idea!» così nacque il primo capitolo del romanzo, che, nella mente dell'autore, non doveva superare le dieci pagine di dimensione finale. Improvvisamente, però, nell'uomo, nacque qualcosa, frutto di una profonda esigenza espressiva della propria mente, mentre descriveva le sorti dei suoi personaggi e fu colto dal desiderio di creare una vera storia, che lo rappresentasse. Segretamente, nel suo cuore, c'era la speranza di costruire qualcosa di davvero bello. Scrisse quindi tutti i giorni, insieme alla Musica che, di tanto in tanto, gli veniva in mente di comporre. Nei giorni, parlò del suo progetto letterario alla sua compagna ed Aindreas, che lo sostenevano compiutamente. Ne discusse con Shayla, che lo incoraggiò con tutto il suo naturale entusiasmo di eterna ragazza innamorata del bello e dell'Arte... Più gettava parole sul foglio, nel corso del tempo, e maggiore era la sua sensazione di poter giungere ad un grande risultato. Gli agglomerati acustici, che via via andava esperendo per visualizzare meglio la sua trama, gli parvero subito tutti splendidi. C'era qualcosa, nella trama, che stava producendo, che lo spingeva a continuare. Forse lui neanche se ne rendeva conto razionalmente, ma percepiva dentro di sé una spinta, capace di farlo svegliare la mattina presto con il desiderio di vergare parole. La sua Sinfonia n. 13, probabilmente, gli aveva offerto poi spunti nuovi. Il connubio parola – suono era essenziale, per la sua dinamica creativa. Non ci sarebbe stato nessun romanzo, senza le manifestazioni acustiche che lui aveva composto per esso e, molto probabilmente, non avrebbe scritto le sue ultime sette Sinfonie, senza l'avvolgente sviluppo della genesi della Nuova Era di Luce... L'autore amava molto ogni suo singolo segno d'Arte. Viveva per esso. La sua Donna non lo avrebbe mai esortato a scrivere qualcosa di nuovo, se non avesse saputo quanto lui fosse in grado di fare un buon lavoro. La Nuova Era di Luce necessitava di laterizi artistici magnifici. Non ci poteva essere bruttura nel nuovo mondo. In quel cosmo ispirato alla Pulcritudine, non avrebbe trovato spazio nessuna distorsione del concetto stesso di creatività. Tutto sarebbe stato Armonia delle parti. Tutto avrebbe cantato. Tutto sarebbe stato Amore. Il compositore viveva nella convinzione che forma e contenuto dovessero essere le due componenti del medesimo splendore, di pari dignità e spessore. Non credeva al dominio di uno dei due elementi sull'altro, bensì riteneva indispensabile una fusione armonica delle due realtà costituenti un'opera d'Arte degna di questo nome. L'uomo era a metà pagina e si chiese quanto ancora avrebbe scritto. Aveva molte idee da sviluppare e bramava giungere ad un punto definitivo che, ancora, era solo nella sua visione. Da piccolo racconto a romanzo, il percorso dell'artista era stato animato dal desiderio di qualcosa di veramente aulico, grazie al quale poter riversare la sua Vita in un componimento letterario. Gli giunse un messaggio Telegram. Era la sua Musa che gli dava il buongiorno con la sua immancabile ironia. Lei era tutta la sua leggerezza. Tutte le sue prime volte. Lei era il motore della sua creatività, insieme a quel profondissimo silenzio che animava le sue giornate d'artista nella quiete della sua piccola casa sul mare. Il compositore sentì forte il richiamo dell'oceano, ne voleva ascoltare la Sinfonia, così aprì la finestra e percepì, in lontananza, il suono della risacca, così familiare, così evocativo, così vivo... L'assenza di elementi acustici, nella sua giornata, era ideale per comporre Musica. Non avrebbe mai voluto il trambusto nella sua Vita, dacché non gli avrebbe permesso di ascoltarsi. Invece lui era costantemente alla ricerca dei propri suoni interni, frutto di un mondo intimo cui prestava la massima attenzione. L'autore scorse gli ultimi periodi. Li trovò veritieri. La Verità animava tutto il romanzo, in un codice. Dopo un'intera esistenza di ricerca, non c'era proprio spazio, nelle sue opere, per le bugie. Era alla seconda pagina del nuovo capitolo e si sentiva in grado di continuare. Gli venne in mente Shayla, con la sua grande voglia di vivere. Lui la adorava, considerandola un portento. Quella ragazza avrebbe fatto la fortuna di qualunque uomo in grado di vederne la Bellezza di possibile compagna capace di donare grande Amore in una quotidianità che lei avrebbe saputo colorare con pennellate di pura intelligenza di Vita... Era così scintillante, da far girare la testa ad ogni ragazzo di Belfast. L'uomo fece un giro su Facebook, dove trovò, con sua immensa sorpresa, una lirica di Damien, struggente, calda, ermetica. La lesse due volte. Scrisse un messaggio al suo Amico Poeta, per congratularsi con lui, perché Seán sapeva benissimo quanto i feed-back facessero bene agli artisti... Un creativo lavora per esprimersi, ma un bel commento di un fruitore della sua opera lo aiuta davvero molto a proseguire nel suo cammino... L'uomo bevve un sorso del suo ottimo caffè nero. Si accese una Chesterfield rossa, con l'intenzione di continuare a partorire lemmi autentici. Era accaduto qualcosa di particolare, durante la stesura della sua Sinfonia n. 13, «Visione dell'oltre». Qualcosa che aveva a che fare con la sua più intima percezione del mondo. Qualcosa di inebriante, che determinava la sua speranza che un mondo altro non fosse solo doveroso, ma attuabile. Un'Umanità in cammino, lieta, con i bambini che giocano felici, gli anziani a raccontare fiabe, gli uomini e le donne abbracciati... Questo aveva visto fra i silenzi delle note della sua ultima composizione musicale. Quello era il suo oltre. La sua dimensione finale di gioia. Il cantico alla Felicità... Il mondo dell'Inno alla gioia di Beethoven era pronto per essere abitato da individui buoni. Le speranze di tanti artisti avevano trovato un lido ameno, a cui affidare le proprie più intime rivelazioni. La Nuova Era di Luce non era più una dolce e rassicurante utopia, ma reale Possibilità dell'essere umano, nonché corrente artistica di grande dignità. In ottocento anni di capitalismo, dalle prime società mercantili, quel sistema aveva prodotto solo rivalità fra uomini e la bramosia del possesso di cose. La Vita, però, era ben altro. Seán, questo, lo sapeva molto bene. Il tempo è prezioso. Non ne abbiamo tanto a disposizione. È bene usarlo per stare bene, in pace, amare, creare, rispettare il Pianeta, che, nonostante tutti gli sforzi per distruggerlo, è ancora di una Bellezza sconvolgente. L'artista pensò alla contea di Donegal, che avrebbe voluto raggiungere con la sua Sinéad. Il suo pensiero volò verso il ricordo della sua amata sorella spirituale, Crón, con cui aveva condiviso infiniti attimi di Poesia. La Donna era in grado di concepire la Vita umana in un quadro d'insieme dalle tinte vivissime, all'interno del quale ogni azione dovesse essere mirata alla soddisfazione più autentica delle eque istanze dei diritti inalienabili dell'individuo. Quanto gli mancava la sua sorella spirituale... Quella ragazza dalla Bellezza lirica era il suo alter ego femminile. Era Seán donna, in tantissimi aspetti della personalità. Quando lui le parlava, gli sembrava di essere allo specchio. L'intesa fra i due era stupefacente. Avevano la medesima forma mentis. I loro due cervelli si assomigliavano davvero molto. Crón gli diceva che la loro comunicazione superava le barriere del tempo e che, se anche non si fossero parlati per anni, in un solo pomeriggio di chiacchiere, si sarebbero detti molto di più di quello che i famosi normali siano capaci di esprimere in dieci anni di convivenza... Era davvero poderosa la sua antesignana della Nuova Era di Luce. Lei lo trovava molto buffo. Rideva di gusto quando lui le faceva le imitazioni, perché Seán era assai giocoso. Lui la considerava bellissima, una delle ragazze più graziose che lui avesse mai visto e lei sapeva farlo sorridere sempre, esortandolo a non mollare mai. Era stata la sua cara Amica a vedere, prima della fine della tempesta dell'autore, la fine di quel ciclo esistenziale e il ritorno alla Possibilità di vivere una esistenza degna, appagante, splendida... Lei era così intelligente da vedere oltre... Oltre ciò che era noto... Oltre tutto quello che era apparenza... Oltre il marcio di un sistema di potere edificato dagli empi... Una mattina, ad Ammoulianì, un meraviglioso isolotto greco davanti al terzo piede della Calcidica, il compositore si svegliò presto, come faceva tutte le mattine, per ammirare, dal terrazzo della casa, la maestà dell'aurora sul manto egeo delle acque marine. Si preparò il suo buon caffè, accese lo smartphone e cominciò a fotografare l'ambiente davanti a lui, ancora dormiente e buio. D'un tratto, passò, lungo il mare, davanti al suo balcone, un peschereccio illuminato, che gli ricordò tanto l'imbarcazione con cui suo padre Connor usciva tutte le mattine, per poi tornare al tramonto. L'autore cominciò a vedere, dopo qualche minuto, la prima esile Luce provenire da dietro il promontorio del Monte Athos. Rapida si diffuse, così l'uomo prese a fotografare lo scenario, in un panorama davvero mozzafiato, ritratto fedele e prodigioso della Pulcritudine. D'un tratto sentì un rumore dalla cucina. Andò a vedere. Era Crón che si stava preparando la colazione, mentre canticchiava l'incipit di un Concerto per violino ed orchestra. Seán la guardò. Ne osservò la tonalità scura dei capelli lunghi, che, con la finestra aperta del salotto, creavano onde nell'aria. La ragazza gli sorrise e l'autore le fece vedere le foto del peschereccio che aveva scattato poco prima. Crón era una scrittrice ed aveva un grande senso della Bellezza. I due parlavano spesso di Arte. Si ritrovavano su ogni punto essenziale della visione poetica. Il loro legame era fortissimo. Seán avrebbe conservato della sua Amica speciale un ricordo davvero meraviglioso. Sentiva di dover essere vicino a Yòrgos, dacché, nonostante le differenze, il suo Amico stava vivendo un momento molto difficile, dopo l'inaspettata dipartita di Crón... Il romanzo era pieno d'Amore. L'autore, questo, lo sentiva molto chiaramente. C'era la passione per la sua Musa. Il forte affetto per sua madre e suo figlio Aindreas. Il poderoso richiamo alle immagini degli antesignani della Nuova Era di Luce: suo padre Connor e la sua dolce Amica dedita ad un nuovo Rinascimento dell'Umanità. C'era la dolcezza con cui pensava a Shayla. La stima che lo legava al Máistir ed al Poeta Damien... Era presente tutto il suo mondo di rapporti umani. Il componimento narrava le vicende di un piccolo popolo, quello che lui aveva definito «il club dei differenti», persone non in grado di assimilare il proprio modo di vedere la Vita a quello del sistema imperante. I famosi diversi... Quelli che il potere chiama «anomalie» e che tollera in quanto in un numero davvero sparuto. A Seán serviva una piccola casa, un Mac, il suo flauto traverso, la sua tastiera, i suoi libri e i suoi dischi. Viveva nella dimensione del poco. Non sognava di guidare un potente fuoristrada. Non bramava la fama. Le sue opere erano già gloriose di suo. Il racconto, nato per gioco, si era trasformato in qualcosa di essenziale, nelle sue giornate. Lo aveva amato come un figlio. Ci si era dedicato con grande energia, provando la sua resistenza nello sforzo atletico di stare davanti ad un monitor con le sue idee rivoluzionarie, cui dare un senso effettivo, un posto naturale ed un ordine logico. Osservò il metronomo, fermo sugli ottanta battiti al minuto, tempo con cui aveva scritto l'ultimo brano musicale, intitolato «Estasi», primogenito di una colonna sonora cui si sarebbe dedicato assiduamente una volta conclusa la fase di labor limae della sua opera letteraria. «Musa – Pensieri di un artista» era il titolo cui aveva pensato da tempo, per descrivere pienamente il contenuto del suo romanzo. Ne assaporò il suono, rileggendolo. Lo trovò perfetto. Non lo avrebbe corretto. L'autore era alla quarta pagina del suo nuovo capitolo, e gli tornò alla mente una considerazione che aveva fatto la sua compagna, sul fatto che loro fossero destinati a non frequentare nessuno. Come fossero invisibili. Come se nessuno li potesse vedere. Come se il mondo non fosse per loro. Erano in macchina, quel giorno e lei lo sorprese con la rielaborazione di questa sua conclusione, dopo una argomentazione ferrea ed inoppugnabile, come sapeva produrre la sua Musa, e lui rimase allibito. «Non possiamo frequentare nessuno» chiosò Sinéad... Intorno a loro due, infatti, non c'era proprio nessuno che fosse in grado di recepirli. Ricevere le loro istanze. Comprendere la loro grazia. Qualcuno se ne sarebbe voluto sicuramente approfittare. Qualcuno non avrebbe visto. Qualcuno li avrebbe persino giudicati. «Che se ne stiano alla larga» riflesse l'autore, che esigeva igiene dai suoi rapporti umani. L'uomo era prossimo alla metà della pagina e, scrivendo, sentiva i propri concetti rafforzarsi alla Luce delle conclusioni progressive cui andava giungendo, in un'ottica di chiarezza sempre più fulgida. Nel romanzo, il moto rivoluzionario era fin troppo lampante. Il compositore aveva scritto nuova Musica, da quando aveva concluso la sua Sinfonia n. 13. Pochi minuti di composizione che desiderava far parte di un progetto nuovo, che gli era balenato in mente chiacchierando con la sua Musa, fonte inesausta di ispirazione. Seán desiderava provare a scrivere un nuovo film, sceneggiatura e colonna sonora. Era un proponimento aulico, che, però, lo emozionava davvero, dacché lui era alla costante ricerca di stimoli sempre nuovi, con cui affinare la propria tecnica compositiva... Aveva ascoltato, la sera prima, una tenera ballata pop, che gli stava tornando alla mente. La fischiettava allegramente, perché lui, alla fine, era un tenero bambino giocoso. Col romanzo, aveva costruito un'imponente architettura, in cui ogni laterizio splendeva per la propria Bellezza. Il componimento era struggente. Scintillava nella sua Verità. Recava un messaggio in cui ogni individuo sano di mente avrebbe potuto specchiarsi. L'autore era nella condizione di affidare un'opera nuova al mondo, certo che non avrebbe ottenuto i riscontri di “Cinquanta sfumature di grigio”... Come aveva sottolineato il suo editore, dieci anni prima, la produzione di Seán era per una nicchia. Questo, però, invece che demoralizzare l'artista, lo inorgogliva. Lui era per pochi. «Il club dei differenti» non avrebbe sopportato l'idea di essere nella massa, per il godimento del consumo e il lucro del potere. Il compositore pensò alla sua nuova Musica. La trovava bella. Era un embrione di qualcosa di più grande, organico, possibile. Aveva un titolo provvisorio per il film che desiderava scrivere, ma lo stava già mettendo in dubbio, dacché non lo sentiva, tuttavia, del tutto adeguato. Avrebbe riflettuto su quelle cose in quei giorni. Desiderava sentire la sua Musa, che, quel giorno, stava lavorando nonostante fosse sabato, perché il sistema non si accontentava mai del sangue umano... L'uomo osservò il moto indomito del viale, nel quale stavano passando biciclette e anziani a piedi. Il cielo era minaccioso. Scrutò gli alberi nudi. Erano scuri, con la poca Luce che penetrava dai nembi. Decise che avrebbe fatto la sua immancabile passeggiata in centro. Si vestì e uscì. Gli uccelli cantavano melodie molto complesse. Lui era solo, nella quiete, con i suoi pensieri. Sentiva Armonia. Era in pace. Desiderava solo il meglio per il suo nucleo fondativo. La neve si era sciolta, portando via, con sé, quella sua naturale propensione al silenzio. La città era viva. I colori della Landa vividi. L'uomo pensò a come dovesse essere bello navigare con una barca a vela nel bel mezzo del Mare Egeo... Lui bramava che il suo romanzo fosse una imbarcazione nella grande distesa delle acque marine delle infinite Possibilità dell'essere umano... Scrisse questo messaggio Telegram alla sua compagna:
«Dolce Amore mio, grazie per tutte le esperienze insieme. Tu rappresenti interamente e compiutamente quello che io desidero. Sei la mia leggiadria. Anche io voglio essere leggero, per te, dacché, così facendo, non sarò mai un peso, nella tua Vita. Leggero non è sinonimo di stupido, ma è il contrario di pesante. Noi abbiamo avuto il nostro periodo di realtà gravi da sopportare, prima di conoscerci, ed ora ambiamo ad avere le ali per innalzarci. Spicchiamo il volo insieme. Il mondo da lassù ci sembrerà meraviglioso. Non ho mai pensato, nella mia esistenza, di poter essere felice, poi sei arrivata tu e ogni cosa è diventata possibile. Ti amo dal profondo del cuore».
L'uomo si svegliò presto, quella domenica mattina di metà Marzo. Cambiò la miscela del caffè alla macchina, si lavò, preparò la sua bevanda preferita ed accese il Mac, aprendo il file del suo romanzo, che era giunto a pagina trecentotrentasette. Bramava arricchire la sua prosa di ulteriori elementi tematici e poetici, in una successione travolgente che era partita dalla Possibilità di scrivere cento pagine per giungere alla constatazione di aver superato abbondantemente i trecento fogli. Pensava alla opportunità di scrivere il nuovo film, che, nella sua testa, era legato al componimento sulla Nuova Era di Luce, per gli argomenti trattati e il messaggio generale dell'opera. Sentiva la necessità di creare una sceneggiatura che riprendesse la storia del suo romanzo e la sviluppasse con una trama avvincente, in uno scenario tutto da delineare... Si sorrise allo specchio, trovandosi molto interessante. Aveva lottato una intera Vita per avere quel suo volto così bello, con lo sguardo bambino, incuriosito da molte cose della realtà. Seán stava provando, in quei giorni, ad immaginarsi il suo romanzo concluso e corretto. I ritratti psicologici dei personaggi erano davvero complessi, a tratti lirici. Il tessuto narrativo verteva su un buon ritmo. Tutti i temi venivano esposti con grande chiarezza. Nella prosa, c'era un respiro sinfonico. La punteggiatura era Musica. Il suono delle parole aveva il suo timbro strumentale. All'autore parve che tutto fosse in ordine. Appena sveglio, aveva pensato a Shayla, che, il giorno prima, aveva abbellito la sua casa con un nuovo oggetto davvero molto allegro. La sua dolce Amica aveva tante qualità ed era per esse che l'artista la voleva nella sua Vita. La sera prima, il compositore si era fatto la doccia e, profumandosi con la fragranza preferita dalla sua compagna, si era sentito molto desiderabile. L'uomo bramava i baci della sua Musa. Ne sentiva la consistenza sul suo corpo virile. Voleva perdersi in lei. Affondare il suo corpo di uomo in quel tempio complesso di Donna carismatica, eppure semplice. Naufragare fra le sue cosce docili e gentili. Leccare ogni centimetro della sua pelle profumata di amante imperitura. Possederla in una danza viola. Al compositore, ogni slancio della sua compagna sembrava stupendo. Lei era generosità e accoglienza. Amore e passione. Candore e intensità. A Seán sembrò evidente quanto lui non potesse auspicare ad una condizione migliore di quella che stava vivendo. Forse, però, avrebbe imparato tante nuove cose. Era aperto, con le braccia a formare un ellisse attorno al suo corpo nudo di ricercatore della Luce. Aveva superato la metà pagina e stava elaborando concetti da esporre, nella sua solita visione nitida sulle cose, che non contemplava bugia di sorta. Si ricordò di quella sera a casa di sua zia, a Belfast, quando l'amabile signora gli disse che aveva sentito un politico indipendentista affermare: «Ho detto a me stesso di smetterla di raccontarmi bugie». Quella frase non era solo l'arrivo di un percorso politico incentrato sulla necessità di vedere le cose più chiaramente, ma anche un invito esistenziale a tutti, affinché la gente imparasse a raccontarsi la Verità su ciò che le accadeva giornalmente, perché la realtà deve venire, necessariamente, prima di tutto il resto... Esiste un antico codice in tutti noi, che, se letto da occhi attenti, diventa il destino meraviglioso che siamo chiamati a vivere; capolavoro assoluto della Letteratura umana... Ogni individuo ha bisogno di un interprete, che lo sappia leggere, come una poesia. La mattinata stava procedendo verso l'aurora gaelica. Gli uccelli cantavano sui rami degli alberi. Il tempo era fosco, preannunciava pioggia. L'acquerugiola mattutina avrebbe lavato via ogni cosa, e, dall'oceano, sarebbe giunta la grande voce da contrabbasso dell'infinita profondità delle acque. L'uomo si sentiva bene. Era felice per l'idea di poter concludere il suo romanzo in poco tempo. Forse i successivi due mesi sarebbero stati cruciali. Alla fine, tutto il lavoro, sulla nuova prosa, si sarebbe articolato in poco più di un anno, dalla prima scintilla alla chiusura dell'ultimo periodo della Postfazione, di cui l'autore aveva scritto una sola, breve frase.
33° Stralcio
Cork e il nuovo film
Lei gli disse, con un velo di vibrante sincerità: «Io ti voglio bene», proprio mentre lui, seduto al tavolo della cucina, davanti al computer di suo figlio, era in cerca di un sinonimo, da scrivere in una pagina. Lui le sorrise, digitò velocemente la parola che cercava, si alzò in piedi e la abbracciò, per qualche istante. Sua madre, per come ricordava l’artista, non si era mai espressa tanto chiaramente come in quel momento e ascoltarla pronunciare quelle parole di vero Amore non aveva prezzo. L’uomo fu molto soddisfatto. Appagato. Coccolato da quel sincero affetto che la madre dimostrava di provare per lui, in ogni sfera della Vita umana. Giunse la mattina del rientro a Galway. L’autore si alzò presto, insieme a sua madre, gustarono un’ottima colazione e si abbracciarono, felici di essere al mondo. La sua genitrice, nel tempo, era diventata sempre più incline a manifestare e condividere i propri sentimenti e questo rallegrava il compositore dal profondo del cuore. Il fine-settimana era stato perfetto. L’uomo aveva aiutato Aindreas a scrivere l’inizio della sua tesi sul Cinema, per la maturità e i due avevano collaborato fattivamente. L’artista era stato in giro per la meravigliosa capitale del Sud e ne aveva ammirato le forme architettoniche sublimi. Il tempo era volato, l’affetto di suo figlio e sua madre aveva riempito tutto lo spazio delle sue giornate e, all’uomo, era parso che ogni elemento della realtà fosse al suo posto. Era da tempo che ricercava quella pace familiare, armonia sorprendente che gli faceva sentire che avrebbe combattuto e difeso il suo nucleo fondativo a tutti i costi, perché prezioso. Stava costruendo qualcosa con i suoi: un nuovo tempio della Psiche, cui avrebbe riservato le sue migliori energie, edificando con calma e serenità, senza frenesia… «Passo dopo passo» pensò l’uomo, felice per come si stavano strutturando i legami più importanti della sua esistenza. Non poteva chiedere di più. Il suo merito, nel rapporto con la madre, era stato quello di credere sempre possibile una rinascita, che si stava compiendo sotto ai suoi occhi. Era commosso dall’Amore della sua mamma, che era generoso, attento ed intelligente. Aveva sperato per anni di raggiungere quello stato di benessere, ma prima era stato necessario il suo cambiamento. Le persone fondamentali del suo mondo, percependo la sua trasformazione, si erano modulate di conseguenza. Quella era stata una sua grande scoperta. Era tornato da Cork con viva gioia. Aveva avuto modo di saggiare la Bontà dei gesti della madre. La stava riscoprendo in quel momento, nella sua fase adulta di uomo. Nessun rapporto è mai perduto, se entrambi i costruttori desiderano stare bene insieme. Nulla è davvero segnato, se si vuole vivere in armonia. A Cork, era stato veramente bene. Aveva cucinato con la supervisione di sua madre, era stato in grado di aiutare suo figlio nella prima stesura di un importante progetto per la scuola e aveva avuto momenti di autentico piacere sensoriale, suonando e componendo al pianoforte di suo padre Connor, che gli regalava sempre bellissime emozioni. L'uomo non poteva immaginarsi qualcosa di più bello, tanto che quella sensazione l'aveva comunicata in un suo appunto scritto su un documento, di cui avrebbe sviluppato le tematiche. Tornato a casa, incontrò la sua Musa, andarono a cena e chiacchierarono. Lei era splendida, nel suo candore. Autentica, grazie alla sua innata sincerità. Lucente, con la sua carica vitale. Seán le raccontò come Aindreas avesse una moltitudine di idee su come fare la sua piccola tesi sul Cinema e la sua compagna lo ascoltò con attenzione per poi dire quanto il ragazzo fosse pieno di risorse. L'uomo apprezzò molto le parole della sua Donna. I due si sentirono subito a loro agio, in quella serata. Sinéad gli raccontò alcune storie tratte da esperienze reali di suoi conoscenti. I due commentarono, a loro modo, che era sempre una fusione fra ironia e analisi concreta delle situazioni. Quella sera, la sua compagna lo portò a casa e lui, tolti i vestiti e preparatosi per la notte, cadde in un sonno profondissimo. Si svegliò la mattina dopo, percependo in sé una forte motivazione a continuare a scrivere il proprio romanzo, giunto a pagina trecentoquarantotto. L'artista era nella condizione di poter affermare quanto nobile Amore ci fosse nel suo nucleo fondativo. Non v'era spazio per la bugia. L'inganno. Il senso di dominio. La manipolazione. Erano quattro persone legate da grande stima. Affetto. Cooperazione. Si sarebbero sempre tenuti la mano. Aiutati. Incoraggiati. L'autore vedeva le difficoltà della propria madre e se ne preoccupava. Cercava, nelle giornate nella capitale del Sud, di aiutarla in tutto. Lavava i piatti. Puliva i fornelli. Faceva la spesa. Cucinava. Si occupava della casa, in generale, per sollevare la sua genitrice da ogni incarico pesante per lei. Seán, nel tempo, aveva potuto imparare un aspetto fondamentale dell'esistenza: fare le cose, per chi ami, non pesa affatto, anzi si è felici nel sapere che l'altro apprezzerà e starà bene. Quella mattina di un lunedì che minacciava ancora brutto tempo, il compositore osservò, adagiati sulla parte scura della sua tastiera musicale, due manoscritti che aveva elaborato a casa di sua madre, dopo aver improvvisato al pianoforte, fedele Amico della sua adolescenza in ribellione. Erano due brani dal forte impatto acustico, scritti a penna, su fogli di un quaderno che la madre gli aveva affidato, per comporre i suoi suoni. La sera prima, sebbene molto stanco per il viaggio, si era messo a trascriverne uno al Mac, ma aveva rinunciato dopo qualche battuta, dacché la complessità delle composizioni richiedeva un'attenzione, che lui, dopo una giornata di spostamenti per la Landa, non poteva avere. Le due Musiche, intitolate rispettivamente «Cinematografico» e «Pioggia», nella sua mente, dovevano servire a commentare due scene del suo nuovo film, che, in quel momento della sua Vita, era solo poco più di una folgorazione. Aveva inaugurato il file della sceneggiatura, non scrivendo nemmeno una parola. Tutto il lungometraggio, allora, era nella sua mente, si stava sviluppando fase dopo fase, viveva, a tratti, unicamente nella sua fantasia. L'autore desiderava condurre il proprio romanzo alla propria forma definitiva, per poi occuparsi del proprio film. Era molto probabile che non sarebbe stato in grado di elaborare due testi così importanti nello stesso tempo, così decise che prima avrebbe finito la sua prosa gaelica sulla Nuova Era di Luce, poi si sarebbe occupato d'altro. In quel momento storico della sua Vita, però, di tanto in tanto, gli venivano delle idee musicali, che lui legava all'idea generale di colonna sonora del film, quindi, componendo, si immaginava già alcune scene. Seán desiderava fare tutto bene, ma si sarebbe dovuto dare tempo, senza farsi prendere dalla fretta. A Cork, era stato davvero molto bene con suo figlio Aindreas, che stava crescendo con i piedi per terra e l'immaginazione verso il cielo. L'autore era davvero molto fiero del proprio ragazzo. Lo considerava un incanto. Un prodigio. La parte migliore dei propri Sé buoni di bioniana memoria... L'esistenza del compositore era finalmente bella. Ci aveva impiegato quarantaquattro anni per edificarla. Non avrebbe permesso a nessuno di strappargliela via... Nella capitale del Sud, avrebbe potuto incontrare il suo Amico Yòrgos, ma i due non si erano ritrovati con i tempi. C'era un gruppo di Amici, ormai divenuti meri conoscenti, che l'uomo avrebbe potuto contattare, ma non c'era nessuno che fosse libero per prendersi una Guinness con lui. Come da tempo sapeva, i contatti, fuori dal suo nucleo, erano puramente digitali, vivevano sulle piattaforme social, non prevedevano il contatto fisico viso a viso. L'autore un po' se ne rammaricava, ma quella era la Verità, che va sempre presa per come si manifesta, senza alterarla con le proprie proiezioni, in una sorta di dissonanza cognitiva che, alla lunga, porta a stare male. In definitiva, fuori dal suo nucleo fondativo, non c'era quasi nessuno. Gli unici che si facevano vivi, di tanto in tanto, erano Yòrgos e Shayla, due ragazzi che, per motivi diversi, rappresentavano, nella Vita dell'artista, affetto sincero e stima... Seán era tornato da meno di ventiquattro ore e già era all'opera. Sedendosi davanti alla sua scrivania, aveva sentito di amare profondamente «Musa – Pensieri di un artista», ne aveva ammirato la fattezza, le tante parole che ne determinavano la struttura e si chiese se sarebbe stato in grado di scrivere una Postfazione, una volta concluso il romanzo. L'autore voleva scrivere. Consegnare al foglio le proprie emozioni vissute a Cork, girando la città, ammirandone il porto, scorgendone i tratti tipici che aveva tanto amato da quando era fuggito da Belfast per rifugiarsi nella capitale del Sud. Quello dell'autore era un sentiero che lo aveva condotto a poter ammirare la Pulcritudine. Vivere d'Amore. Compiere gesti buoni. Davvero non si immaginava qualcosa di più bello per lui. Era soddisfatto di tutto quello che era riuscito a fare. Della casa che aveva. Dei rapporti che si era costruito. Della relazione rigenerata che stava imbastendo con sua madre, improntata a una forma autentica di bene. L'artista ripensò a Connor e Crón, i due antesignani della Nuova Era di Luce, che gli mancavano così tanto e con cui avrebbe voluto condividere le progressive Vittorie della propria esistenza. Era quasi a fine pagina. Si concentrò, con la sua immancabile sigaretta fra indice e medio della mano sinistra. Sentiva linfa buona vibrare nelle sue vene. Era vivo. Lucido. Attento. In grado di sentire. Abbracciava idealmente l'Umanità, che avrebbe desiderato essere più attiva, meno schiacciata dalla cieca bramosia del possesso. Chiuse gli occhi, mentre si strofinava le mani per riscaldarsele. Gli uccelli cinguettavano. Il viale era avvolto da una leggera foschia. Le lastre pietrose brillavano, in una atmosfera che preannunciava neve. L'autore era giunto a pagina trecentocinquanta. Un altro traguardo da festeggiare... L'intenzione generale di Seán era varcare il limite delle quattrocento pagine, dacché sentiva che molti contenuti andassero ancora rielaborati. Non aveva mai scritto un componimento così vasto. La sua vena creativa si era sviluppata con lui, insieme alle sue straordinarie conquiste umane, generando opere sempre più complesse e grandi, come le sue Sinfonie, che rappresentavano il climax del suo pensiero musicale. A Cork, era stato sorpreso dalla Luce dell'oceano, in una mattinata fredda, con la pioggia incessante. Si trovava solo, davanti all'infinito specchio d'acqua e lo sentiva, ne avvertiva la voce da contrabbasso, amandolo con tutto se stesso. L'artista pensò allora a tutto ciò che aveva vissuto da giovane, nella tempesta perfetta, e si ritrovò a considerare quanto fosse stato fortunato e coraggioso, scegliendo la via che conduce alla Verità. L'autore non era ancora a metà pagina, pertanto decise che avrebbe scritto la frase più sincera che aveva in corpo. La proposizione fu: «Mi sento bene!». Era davvero contento, quella mattina a Galway, nella città che aveva scelto per la sua vitalità e il contatto continuo con l'oceano. Sognò la contea del Donegal, selvaggia, ridente, evocativa, con i suoi pascoli verde smeraldo che sprofondavano nell’acqua cobalto... Il pensiero di portarci la sua Musa non lo abbandonava. Sarebbe stata una splendida vacanza. L'uomo riflesse sull'uso della lingua che stava adottando per la sua prosa gaelica. Non voleva che ci fossero troppe parole lontane dall'uso quotidiano. Desiderava che i termini fossero condivisibili da tutti. Per lo scopo che il suo romanzo aveva, gli sembrava illogico proporre una lingua altra da quella che si maneggia tutti i giorni in un qualsiasi pub di Galway, dacché la sua prosa intendeva essere popolare, proletaria, operaia... Bevve del buon caffè amaro che aveva comprato a Cork, in un negozio specializzato, si accese una Chesterfield rossa, e mentre faceva qualche tiro, notando il fumo levarsi grigio, constatò quanto «Musa – Pensieri di un artista» rappresentasse compiutamente, di fatto, il risultato di tutto il suo cammino verso la speranza di una Possibilità nuova e diversa di stare al mondo. Era nato un'altra volta. In quel momento era un uomo – bambino. Saggio. Vigile. Con delle risorse. Curioso come un neonato che si senta amato. Era proprio come diceva la sua Sinéad: lui era «leanbh», bambino. Scrutò la metà del foglio che ancora non aveva esplorato. Sapeva che quelle ultime pagine dovessero essere meravigliose, per condurre il lettore a una nuova, potente consapevolezza. Era conscio di scrivere per l'Umanità che avrebbe abbracciato la causa della Nuova Era di Luce. In fondo, era stato chiamato a quella missione fin da piccolo. Si sfregò le mani. Si accarezzò il viso. Il giorno prima aveva avuto modo di vedere tante parti della Landa sotto la pioggia, in viaggio. Era in stazione quando vide le gocce di acquerugiola battere sopra la pensilina trasparente. Si era incantato ad osservare quel fenomeno. Era innamorato dell'acqua. La giornata a Galway era incerta. Forse sarebbe piovuto. Forse sarebbe nevicato, ma, all'artista, interessava solo che fosse un giorno di analisi attenta del suo nuovo stato d'animo. A Cork, aveva raggiunto grandi risultati. Il suo mondo di affetti stava crescendo. L'intesa con sua madre era perfetta. Il rapporto con Aindreas coinvolgente. Il pensiero di tornare, dalla sua Musa, avvolgente... «È questa la Felicità?» si chiese, analizzando i propri percorsi interni con la massima onestà. L'uomo era davvero compiaciuto da come stessero andando le cose nella sua esistenza. Doveva solo continuare. Non avrebbe permesso a nessuno di alterare quel suo stato di incantata meraviglia. Desiderava scrivere, sebbene avvertisse le sue parole tardare a comparire sul foglio. Era il suo nucleo la sua ragione di Vita, unito al diritto inalienabile che aveva di provare a condurre se stesso a contemplare la Bellezza. Si amava. Voleva bene a ogni parte della propria Identità di uomo che aveva rifiutato la barbarie. In quei giorni, una ragazza, in Inghilterra, era stata picchiata ed uccisa da una gang di adolescenti. Il mondo stava andando a rotoli. Non c'era più alcuna forma di rispetto per la Vita umana. Gli esseri umani erano poco più che giocattoli. Si viveva in un videogame. Seán era terrorizzato dalla crudeltà. L'aveva vista in faccia, tanti anni prima, durante quella tempesta dalla quale era scampato con l'ultimo residuo attivo delle proprie forze. C'era violenza in ogni dove, in quell'inizio di terzo Millennio. C'erano menti impazzite dedite ad ogni sorta di crimine. C'era la percezione che tanto nulla potesse cambiare. In pochi, si provava ad indicare una via. Una prospettiva. Un mondo altro. L'autore stava tentando, da un anno circa, di mostrare la consistenza di un cosmo fatto d'Amore, rispetto, dedizione. Forse non lo avrebbe letto nessuno. Forse pochi, ma questo, alla fine, non gli interessava davvero. Gli premeva solo esprimersi, comunicare, descrivere... L'autore pensò alla telefonata con la sua Sinéad, dopo ben sei giorni di silenzio, con tante cose da raccontare, da ricordare, da tenere nel cuore. Durante la vacanza a Cork, l'uomo aveva riflettuto su quante cose fossero accadute nella casa della madre. Anni di eventi, lutti, speranze. Muovendosi lungo il proprio sentiero, aveva operato la scelta giusta. Allontanandosi dalla mediocrità, si era purificato. Creando il proprio mondo, si era elevato. Amando le persone care, le sue grandi ferite le aveva cicatrizzate la Vita, attraverso la presenza della sua compagna, che lo aveva medicato con grande attenzione e cura. Il compositore non aveva mai sentito, prima di quell'istante in casa, con la pioggia battente, un legame così potente con la sua Sinéad. Lei era un prodigio di cui lui avrebbe tessuto le lodi all'infinito. L'avrebbe dipinta con i suoi suoni. L'avrebbe amata con il suo corpo. L'avrebbe pensata al mattino, mentre si accingeva a scrivere le ultime frasi salienti del suo romanzo. La sua compagna era la persona con cui lui avrebbe voluto vivere su un'isola greca, davanti al mare Egeo. Era il progetto definitivo della sua esistenza di uomo. L'autore sentì forte la veridicità di quella sua constatazione. Era lei la sua Donna. Era lei la Musa che aveva atteso per una Vita intera. Era lei la sua continua ricerca. Da quando conosceva la sua fidanzata, la sua esistenza di individuo aveva totalmente virato, navigando verso nuovi lidi, nuove scoperte, nuove esperienze. Sinéad era il suo spartiacque. Prima di lei, la tempesta, dopo di lei, lo splendore. Quella ragazza era la sua miniera di diamanti. L'avrebbe amata con tutto se stesso, fino al suo ultimo giorno sulla Terra. Non le avrebbe mai fatto vacillare il braccio, sostenendola in ogni singolo giorno della loro esistenza insieme.
34° Stralcio
La contea di Donegal
L’uomo tornò a Galway da Cork. L'autore si accarezzò il viso, stanco per il viaggio, e stabilì che, di lì a poco, avrebbe fatto una bella doccia tonificante. A casa della sua mamma, erano accadute tante cose, in quei sei giorni, tutte dal grande impatto emotivo. Tutte belle. Tutte significative. L'aria pungente della pioggia penetrava maestosa dalla finestra aperta. Il compositore andò in cucina ad ammirare l’alberello contorto, che cresceva rigoglioso, nel piccolo giardino, il cui verde rilassava molto la visione dell'autore. Ascoltò la risacca dell'oceano che era prepotente, sotto l'acquerugiola dell'Atlantico. Durante il viaggio, aveva visto panorami mozzafiato, scintille di una Landa maestosa che non voleva piegarsi alla bruttezza del mondo. Il compositore sentì forte il richiamo di Pulcritudine. Gli tornarono alla mente le parole di Bernstein che diceva che, di fronte alla violenza, il compito dei musicisti sarebbe stato quello di suonare con ancora più Amore e devozione. Erano ore buie: gli Stati Uniti stavano decidendo se attaccare militarmente la Siria, dopo un presunto uso di gas sulla popolazione inerte da parte del Presidente Assad. Seán aveva letto un po' di articoli in treno. Era molto preoccupato, ma sapeva bene di essere impotente di fronte alle decisioni delle nazioni. Ancora una volta, il male colpiva imperterrito le esistenze degli innocenti. L'uomo allontanò quella riflessione, in quanto non avrebbe potuto far altro che seguire le news dal mondo, ogni giorno. Mentre lui viveva uno stato di armonia totale, fuori dalla sua casa, i potenti giocavano la loro partita di dominio del globo. L'autore spense la sigaretta nel posacenere metallico grigio e nero che si era regalato tempo prima, in un giorno lieto. Sognò ad occhi aperti il primo bacio che avrebbe dato in macchina alla sua Musa, che gli avrebbe sorriso, intonando la loro canzone. La serata fu lieta. I due parlarono e mangiarono e l'uomo raccontò alla sua compagna alcuni episodi piacevoli del suo soggiorno a casa della madre. La sua Donna lo ascoltò con attenzione e commentò con stupore. Si lasciarono dopo cena, e, quando l'artista tornò a casa, si spogliò, si mise il pigiama e prese quasi subito sonno. Il mattino seguente si svegliò bene, nonostante avesse vissuto, nella prima parte della mattinata, un incubo sul suo passato di relazioni insane, residuo bellico della tempesta. Si destò allarmato, dopo quella proiezione onirica, ma si tranquillizzò subito, dacché conosceva il senso di quella storia. Andò in cucina, si preparò il caffè e si lavò con cura il viso, che amava sentirsi fresco e riposato. Aveva davanti a sé la prima giornata a Galway dopo la sua vacanza. Che cosa avrebbe fatto? Ancora non lo sapeva con precisione, ma stabilì che si sarebbe dedicato anche un po' alla pulizia di casa, che, in quei giorni fuori, gli era mancata moltissimo; nido naturale delle sue istanze di rivoluzionario della Nuova Era di Luce... In quel lasso di tempo, la mattina, a casa della madre, lui ascoltava, alla radio, una emittente che trasmetteva molti successi degli anni ottanta, e commentava, con la sua genitrice, la Musica. Una volta, mentre la sua mamma si stava preparando il latte, i due ascoltarono una canzone di Annie Lennox, e Seán riferì, alla sua genitrice, quanto Connor amasse «Why», una canzone di quella grande artista. La madre gli sorrise, ricordando quanto suo marito amasse tutta l'Arte. C'era molto affetto, nelle loro parole, rispetto, attenzione. L'autore non avrebbe mai detto una parola per ferire sua madre e lei non lo avrebbe mai contristato. Avevano salvato il loro rapporto destinato a naufragare. Avevano fatto tornare a splendere una relazione madre – figlio che aveva il diritto di essere sana. Avevano trasformato il dolore in consapevolezza chiara della Possibilità di un Amore sincero e avvolgente. La sera prima, davanti ad un buon piatto, il compositore aveva raccontato quelle cose alla sua fidanzata, che era stata davvero contenta di ascoltare quelle parole. Tutto ciò era avvenuto grazie alla portata creativa del rapporto fra l'autore e la sua compagna, perché loro, modulandosi nella crescita individuale e di coppia, erano riusciti a comprendere quali fossero le priorità, e morti i loro padri, avevano realizzato quanto fosse importante stare bene con le loro madri e lottare strenuamente per renderle felici. «Un uomo non può stare in pace davvero, se non ha un buon rapporto con le proprie radici» riflesse l'artista, nella sua mattinata nella grande baia di Galway. L'artista ripensò alle risate che suo padre Connor si faceva con la sua Sinéad, che l'anziano signore trovava deliziosa, nella sua ironia e allegria. L'uomo bevve un sorso di caffè e si accese una sigaretta, mentre continuava a pensare a qualcosa di bello da scrivere. Sentiva la mancanza della sua Musica, non sapeva quando sarebbe tornato a comporre, ma avvertiva una piccola onda mentale muoversi verso una analisi attenta del suo vissuto, che, forse, lo avrebbe portato a maturare il desiderio di creare nuovi suoni. L’autore riflesse su come la sua intera produzione fosse davvero vasta, ricca, Lucente... Sette giorni prima, partendo per Cork, aveva avuto la sensazione che il suo romanzo non fosse completo e che la sua dimensione formale conclusiva avesse bisogno di qualche altra pennellata. Tuttavia, non aveva avuto tempo di scrivere, ma, in quel momento, nella sua splendida casa, aveva l'opportunità di vergare nuovi lemmi sinceri, per giungere all'obiettivo finale. Il compositore sentiva che la sua Nuova Era di Luce, Arte pura, necessitasse di un primo La orchestrale, che lui sarebbe stato in grado di produrre con il suo componimento letterario e quella sceneggiatura che aveva solo, in quell'istante, la sua prima unità costitutiva, di poche righe. L'uomo guardò fuori dalla finestra. Era l'aurora. Le prime Luci si diffondevano serene lungo la grande scogliera. L'artista aveva riconosciuto, nel suo viaggio di ritorno in treno, tutte quelle caratteristiche della sua Landa che contribuivano a renderla un incanto. Verdi pascoli nel cuore d'Irlanda esaltavano i colori, nonostante la pioggia incessante. La sua terra meritava di essere amata da tutti gli irlandesi. L'autore si stupiva sempre di come ci fosse un numero sempre più ridotto di persone che, dai finestrini dei treni, guardassero lo scenario prodigioso della terra che fu dei druidi celtici, perché la gente era troppo impegnata a tenere fisso lo sguardo sui propri dispositivi elettronici... Anche questo era globalizzazione. Anche questo era vittoria del potere. Anche questo era alienazione... Per l’artista, un viaggio era sempre un'occasione per conoscere, arricchirsi, esplorare, sempre con occhi nuovi sulle cose che, progressivamente, si manifestano innanzi alla persona in movimento. L'uomo era felice, quella mattina, nel suo studiolo, mentre cercava di trovare le frasi più oneste che avesse in corpo. Desiderò i baci della sua Musa, che, la sera prima, aveva toccato con la sua mano, in un continuo cercarsi, come se lui fosse stato via un anno. Lui aveva una sete inestinguibile dei baci della sua compagna. Lei era molto calda, con lui. Avvolgente. Lirica. Qualsiasi cosa facesse, era pura armonia, con la quale la Donna lo cercava costantemente con le mani, dacché toccarlo, per lei, era vitale. Il compositore sentiva l'esigenza di dipingerla. Bramava la capacità di comporre una Musica meravigliosa pensando a lei, che era il centro costante e stabile dei suoi moti dell'anima di eterno bambino indomito, alla ricerca del gioco perfetto... Si sfregò le mani, dacché era freddo quella mattina, nella sua città baciata dall'oceano e dal fiume Corrib, straordinario in vitalità e irruenza. L’artista si era creato un mondo di affetti meravigliosi, nel tempo, con pazienza, con infinita dedizione alle persone importanti della sua Vita e non si era mai stancato di cercare l'armonia, nonostante le difficoltà, lasciando molti al proprio destino di irrisolti. Aveva sognato quella dimensione di pace per tutta la sua esistenza, ed ora l'aveva fra le mani, conscio che avrebbe dovuto impegnarsi per mantenerla attiva e vitale... Quello era il successo. Non lo yacht con piscina. L'uomo si sorrise allo specchio, ammirando quel viso di ragazzo con barba che lo aveva sempre identificato, fino dai suoi anni di adolescente a Belfast, in un turbinio di emozioni e sentimenti, che non lo avevano mai abbandonato. L’autore riflesse sulle proprie amicizie, quasi tutte lontane. Lui aveva la capacità di volere bene a tutti. Molto tempo prima, in un breve post su Facebook, aveva scritto: «Io amo tutti i miei amici» e ciò rappresentava la pura Verità. L'autore sognava che un giorno, quando lui e la sua compagna avrebbero vissuto su un'isola greca, i loro Amici li avrebbero raggiunti, e tutti insieme avrebbero guardato una celestiale aurora sul mare Egeo, con un Sole che, poco a poco, avrebbe invaso maestoso la grande distesa d'acqua... Pensò a suo figlio, che stava crescendo come una sequoia. Forte. Saldo nei principi. Ricercatore della Luce. Si accarezzò le mani. Era nella Possibilità di scrivere qualcosa di veramente degno, animato da Amore, Verità, Bontà, senso profondo di giustizia, proprio in quelle ore, nelle quali navi da guerra stavano circondando la Siria nell'eventualità di sferrare un attacco micidiale contro quel paese considerato canaglia. L'abolizione della guerra era ben lontana. Ancora si decideva l'opportunità di lanciare missili e seminare morte e distruzione. L'autore non aveva parole. Gli sembrava tutto così assurdo. Era prossimo alla fine della pagina, quando sentì forte, in sé, il desiderio di rimanere lungo il proprio cammino. Avrebbe seguito con attenzione le news dal mondo, ma senza troppa partecipazione. In fondo, quella Umanità sarebbe andata verso il proprio destino anche senza la sua presenza attiva. Da invisibile, osservava tutto nella distanza. Il mondo non meritava che lui stesse male per l'idiozia cannibalica dei potenti. Ripensò al suo Máistir, che non aveva mai cessato di fare del bene. Gli vennero in mente alcune parole della meravigliosa Shayla, che commentava sempre con intelligenza gli accadimenti del mondo. «Il potere non lo merita questo Pianeta Terra» bisbigliò, fra sé e sé... Il sistema era così vigliacco, così irragionevole, così sporco... Era davvero un'impresa vivere bene nel terzo Millennio. Si pensava alla crescita del progetto dell'intelligenza artificiale e a colonizzare Marte, ma non c'era più traccia di rispetto per la Vita umana, che aveva bisogno davvero di una rivoluzione, il più presto possibile. Gli giunse una telefonata della sua Donna. Come per magia, un giorno, durante la vacanza del suo compagno a Cork, Sinéad era riuscita ad esprimere alla propria madre il desiderio di una vacanza, perché i tempi erano maturi, e l'anziana signora la comprese, dopo sette anni in cui sua figlia non si era mai concessa un fine-settimana fuori da casa, e la Musa di Seán si accordò con la propria genitrice, per organizzare una settimana in giro per l'Irlanda. La compagna dell'autore corse a chiamare subito il proprio uomo e gli comunicò, con vibrante commozione, la notizia. Seán rimase senza parole, era felicissimo, finalmente poteva provare ad organizzare una vacanza con la propria compagna nella Contea del Donegal. I due si incontrarono a casa del compositore e iniziarono a progettare l'itinerario. Fecero presto a preparare i loro due trolley e una domenica mattina, Sinéad passò a prendere il suo uomo – bambino, che era davvero al settimo cielo, e partirono in macchina. Percorsero la N 17 fino a Sligo, poi presero la N 15, che portava nella Contea del Donegal. Durante il viaggio, ebbero modo di apprezzare la natura incontaminata della loro Landa e la compagna di Seán, ogni tanto, facendo una pausa e scendendo dalla macchina, fotografava i panorami mozzafiato. Il viaggio durò circa tre ore e loro giunsero a Malin Head, l'estremo Nord della Repubblica d'Irlanda, nella penisola dello Inishowen, spazzata da venti irruenti. Lo scenario che gli si parò innanzi era quello del volto più selvaggio dell'isola. Da Malin Head, inoltre, si potevano scorgere, in lontananza, le coste scozzesi... Le raffiche di vento erano davvero micidiali, i due innamorati fecero tanti scatti, sebbene la difficoltà di riuscire a tenere bene in mano la macchina fotografica fosse notevole. Avevano percorso un tratto della Wild Atlantic Way, ed erano stati colpiti dalla Bellezza delle visioni, che, in progressione, si erano affacciate davanti a loro. Scogliere immense, prati che morivano nell'oceano, una forte percezione di verde e blu che non abbandonava mai l'osservatore. In macchina, Seán e Sinéad avevano avuto modo di chiacchierare molto, in allegria. L'uomo era davvero contento dell'opportunità di stare qualche giorno con la sua compagna, loro, soli, nell’universo. Lei, nondimeno, era felice di condividere quelle sue future giornate con il suo uomo, nella prima vacanza dopo tanti anni di rinunce... I due sorrisero all'idea che li attendevano piatti tipici della cucina irlandese a base di alghe... L’uomo faceva lo stupidino, per la sua Musa, cantando e mimando gli strumenti musicali, mentre sentivano alla radio le canzoni. Lei, mentre guidava, lo osservava divertita, giungendo a toccargli la gamba con la piccola mano affettuosa. I suoi sorrisi di Donna realizzata non avevano prezzo. L'atmosfera, fra loro, era di pura festa. La sua Musa scintillava, nell'espressione gioiosa del proprio viso di compagna conturbante. L'autore, inoltre, raccontava aneddoti buffi, per farla ridere, durante la guida. Malin Head era incantevole. Selvatica. Poderosa. I due la ammirarono fortemente e Sinéad rimase in contemplazione dello spettacolo della natura per interi minuti, senza fare fotografie, ma sentendo quella dimensione di autentica Bellezza scendere in lei, lentamente ed inesorabilmente. Seán, nel vento, osservava lei e il panorama, lieto, fiero di quella Pulcritudine irlandese così prorompente... I due tornarono in macchina, diretti a Fanad Head, splendido scampolo di terra con un faro famoso in tutta l'Irlanda, che l'artista aveva legato ad un suo sogno di tempo prima. I due continuarono a chiacchierare, e l'uomo, ad un certo punto del viaggio, appoggiò la propria mano sulla coscia della sua compagna, perché voleva sentirla. La ragazza gli sorrise, come sapeva fare lei, con quel candore di bambina che la rendeva così affascinante. Giunsero a Portsalon, intrapresero il cammino nel sentiero che portava al faro e, negli otto chilometri di percorso, fra scogliere immacolate, in un continuo saliscendi, ebbero modo di ammirare la vera essenza della Landa, che era Bellezza, vento impetuoso, acqua, prati verdissimi, in una natura indomita che sfidava il progresso. Fanad Head e lo spettacolo dell'oceano, che lambisce la Landa, gli si mostrarono in tutto il loro splendore scintillante. Le onde brillavano. Tutto era sfolgorio. Balenio di una intensità luminosa davvero ragguardevole. L'acqua era cobalto e recava con sé un'idea di freddo pungente. Il cielo candido, nel suo celeste immacolato. Il Sole primaverile che scintillava... Dal sentiero, poco dopo, giunsero davanti al punto estremo della roccia, su cui si ergeva il faro. I due erano davanti alla bianca costruzione: una vera e propria apparizione... Dopo poco arrivarono. Camminarono ancora un poco, lungo un sentiero verdissimo. Il faro era parte di un complesso architettonico e si innalzava sopra una scogliera, che si ergeva sopra un oceano immenso, in quel momento calmo. La percezione del bianco era abbacinante. L'autore aveva prenotato la visita e il soggiorno di una notte al faro, che i due visitarono, stretti, abbracciati, mano nella mano, emozionati come due bambini la notte di natale... La vista dalle finestre dell'edificio era meravigliosa. Sinéad fece molti scatti con la sua macchina fotografica. Seán la osservava divertito, ed ogni tanto, la abbracciava da dietro, quando lei non se lo aspettava, come gioco. L'atmosfera dell'esplorazione fra i due era presente e palpabile... Quella era un'altra delle loro prime volte. La Contea di Donegal gli sarebbe rimasta nell'anima, come vero ritratto della loro Landa, che loro amavano davvero. I due mangiarono due tramezzini che si erano portati dietro, fuori dal faro, nel vento che si era alzato in quei minuti, increspando le onde dell'oceano sottostante. Tutto era sfavillio. Tutto era armonia. Tutto era Musica... L’uomo ascoltò il basso continuo del vento. Impressi nei loro occhi c'erano quegli attimi di Bellezza selvaggia, quell'idea di consonanza perfetta fra presenza umana sulla Terra e Madre Natura. Un altro mondo era davvero possibile, se solo lo si avesse desiderato... Questo, Seán, lo stava sempre più pensando. Il viaggio in macchina era durato più di tre ore, avevano lambito la parte più antica della loro terra, quella in cui lo spirito dei padri celti era presente con tutta la sua grandezza di popolo legato alle sorti di un'isola dall'immenso fascino... La Wild Atlantic Way si era poi dimostrata una strada attorno all'oceano, con visioni scintillanti... L'uomo era lì, ai piedi del faro di Fanad Head, con la sua Musa, davanti ad un oceano Amico e pensò di non poter desiderare nulla di più. Qualcosa di compiuto, nella sua vita di artista, stava celebrando la propria dimensione più vera. Il sentiero che da Portsalon conduceva al faro era talmente bello da togliergli la capacità di fare ragionamenti complessi. Era semplice l'autore, in quel momento. Era fatto di materia naturale: onde, vento, prati, rocce... Non avrebbe mai voluto essere altrove, perché essere lì, con la sua compagna, per lui, rappresentava tutto; la sua unione con la natura ed il suo ritorno all'Universo primordiale che aveva tanto cantato nelle sue opere più sentite... Sinéad era intenta nell'osservazione. Decise l'inquadratura di una foto. La scattò. Fece vedere il risultato al suo uomo, che, osservandola, disse: «Questa foto è un cantico alla Bellezza!», mentre lei gli sorrideva tutta contenta. Il loro pomeriggio continuò, con il respiro dettato dal ritmo delle onde, che, in sequenza, si infrangevano sulla roccia su cui era stato edificato il faro. L'aria era pungente. Il Sole irradiava la propria Luce in una giornata tersa. Tutto era in equilibrio perfetto, con forti vibrazioni che attraversavano i due profondamente. La sua Musa era lì, eretta, nel grande vento, con i lunghi capelli sciolti, mentre continuava a trovare nuovi squarci da immortalare con la sua macchina fotografica, cui era legata, da quando aveva scoperto l'opportunità di fare scatti sempre più interessanti. Lei aveva un vero e proprio occhio fotografico, con un taglio originale. Lei era Arte, nella sua forma più ancestrale e profonda... Lei non aveva bisogno di dimostrare nulla a nessuno: il suo passo nel mondo era scandito da puro desiderio di Bellezza, cui rispondeva sempre con un'anima volta all'esperienza dell'armonia e della Poesia, da vivere con il massimo della pulizia. Nel vento, i due seguirono i propri pensieri e le emozioni che affioravano da ogni percezione di verde o di blu, a seconda di dove guardassero. Il bianco del complesso architettonico del faro era una meraviglia assoluta. Le parole tacquero, improvvisamente. Seán e Sinéad si fecero cullare da Madre Natura. I loro occhi abbracciavano tutto. Il vento ne levigava la complessità di esseri umani alla ricerca di qualcosa di autentico da vivere. L'acqua delle onde produceva una Musica che l'uomo non avrebbe dimenticato tanto facilmente... I due erano animati, quel giorno, dalla medesima intenzione di sentirsi una piccola parte del tutto e Sinéad parve, all'uomo, un canto soave nella Sinfonia di Madre Natura. L'uomo era felice. Doveva tenere stretta a sé quella sensazione, senza abbandonarla mai. Era nell'incanto. Era figlio di una storia di Vittoria. Era parte di uno spettacolo sul cui palcoscenico poter dire la propria parola, distillata in una esistenza di lotta e resistenza. I due giravano per il sentiero. Osservavano. Scattavano foto. L'oceano placido era un prodigio da immortalare. L'autore girò un breve video. Sinéad si muoveva in attesa dell'inquadratura perfetta. Il loro si stava prospettando come un giorno di gloria. Avevano atteso quel momento sette anni. Non si sarebbero lasciati sfuggire la gioia. All'uomo parve chiaro il senso complessivo di tutto quello che stavano vivendo: la definitiva consacrazione della loro storia d'Amore come vettore di Verità, Bontà e Bellezza. L'autore pensò, in un momento di estasi davanti all'oceano, a quanto aveva dovuto penare per giungere fin lì ed il senso definitivo del suo sentiero gli parve chiaro. Aveva atteso quella Luce del Sole tutti i suoi giorni sulla faccia della Terra. Ora era nel fascio più luminoso delle sue epoche di individuo. Ora era gioioso. Ora non doveva aver più paura. La sua Musa lo abbracciò, mentre lui contemplava il grande mare. Lei gli sorrise e disse: «Amore, siamo nel Donegal! Ci siamo riusciti! Evviva!». L'uomo la strinse a sé, le sorrise e la baciò. Nulla era più bello, per lui, che vederla davvero soddisfatta di quello che stava vivendo. I due chiacchierarono con leggerezza. Di fronte a quello scenario naturale, troppe parole non erano necessarie. Si sentirono davvero disarmati. Candidi, come l'acqua. Blu, come l'oceano. Forti come il vento incessante che stava lambendo la costa. Non c'era bisogno di chissà quali dichiarazioni d'Amore, fra loro, dopo tutto quello che avevano vissuto insieme in dieci anni. I due sentivano di amarsi totalmente, quel giorno di grande esplorazione e rivelazione... La ragazza si sentiva piena di forze, nonostante la stanchezza della guida. Camminava a ritmo sostenuto, voleva vedere tutto, desiderava accogliere, in sé, lo stupore di sentirsi figlia di una Madre amorevole che aveva creato quel cosmo di Pulcritudine avvolgente, fatta di elementi naturali in armonia fra di loro. Seán avvertì una danza, in sé, dettata dal ritmo lento delle onde. Il vento gli sembrò un canto. Era tutto perfetto. La sua Sinéad lo era. Il mondo intorno a loro era compiuto. La Vita scorreva nelle loro vene con autentica forza. L'uomo decise che avrebbe goduto di quella meraviglia. Osservò il faro, in quel momento, abbastanza vicino, da dove erano loro, lungo il sentiero che da Portsalon conduceva a Fanad Head. Lo ammirò. Si sentì parte di quel complesso architettonico che guardava il mare, con tutta la sua forza di ultimo presidio umano prima dell'infinita distesa delle acque... Trascorsero le ore. Ammirarono un tramonto aulico. Attesero che l'ultimo raggio di Sole si inabissasse dentro all'orizzonte dell'oceano. Si presero per mano, quando compresero che quelli fossero gli ultimi attimi di Luce, prima del buio. Non si dissero nulla, ma si strinsero forte, in un abbraccio che, per il compositore, rappresentava l'apice della sua ricerca umana. Lei gli sorrise, d'un tratto, dopo essersi messa i capelli a posto, e gli diede un bacio casto sulla guancia, attraversata da una folta barba, cui l'uomo non avrebbe mai rinunciato. I loro occhi erano nella Luce. Il vento li percuoteva incessante, ma loro si sentirono a proprio agio, in quell'aria forte che spazzava la scogliera. Le persone intorno a loro scattavano foto. C'erano tanti turisti. Sinéad si mosse. Si alzò in piedi e disse al suo uomo: «Voglio fotografare l'ultimo Sole!» e raggiunse un punto qualche metro oltre quello del suo uomo – bambino, per vedere lo scatto prima di eseguirlo. Si posizionò. Respirò con tutta calma e fece la foto. Corse a farla vedere a Seán, che la osservò per qualche secondo, per poi dire: «È perfetta! Grazie, Amore...»... Ogni loro gesto, tutte le loro parole erano dettate da una profonda armonia, cui erano legati da anni, ma che solo allora trovò il suo più alto punto di estasi. Non ebbero fretta, volevano godersi gli attimi. La ragazza si avvolse in un k-way viola, dacché stava iniziando a piovere. L'uomo si alzò repentinamente in piedi e raggiunse la propria Musa, in una pioggia gaelica profondamente romantica. I due decisero di entrare di nuovo nel faro, per poter soggiornare la notte. Entrarono, e, nell'imbrunire successivo al tramonto, videro le gocce di acquerugiola battere contro le vetrate. Seán ne ascoltò il suono pungente, sulla superficie trasparente: gli parvero le note staccate di un pizzicato di archi... Erano stanchi, svegli dall'alba e desiderosi di un bel riposo. Raggiunsero la loro camera da letto, molto confortevole. La Donna cominciò a spogliarsi e, in men che non si dica, era già pronta per una doccia rilassante. L'uomo, invece, rimase alla finestra e contemplò la marcia della sera sui destini dell'Umanità, con una percezione di buio sempre maggiore. Il bianco faro candido era nel suo splendore di baluardo umano contro le tempeste, ad indicare ai marinai la terraferma. Il compositore riflesse sul valore che aveva avuto la tempesta nella sua esistenza. Sorrise. Era tutto passato. Tutto superato. Tutto risolto. Aveva cancellato il male, grazie al rapporto... Non sarebbe mai tornato in quella caotica dimensione. Non ne avrebbe mai vissuta una uguale, questo lo sapeva bene, perché era diverso lui e le circostanze... L'autore sentì la sua Musa canticchiare sotto lo scroscio della doccia. Lei era felice. Lei era bella. Lei era tutta l'armonia estatica che il compositore potesse mai descrivere con i suoi segni d'Arte... L'uomo era nel tepore della camera da letto, avvolto dalla serenità, immerso nel suo Universo vibrante, che non si stancava mai di produrre frequenze cui l'artista avrebbe poi dato un nome ed un rilievo. Era quella la Felicità, l'uomo lo avvertì nitidamente, in quegli istanti... Era riuscito a raggiungerla. L'aveva abbracciata, assaporata, vissuta... Era calmo. I suoi sensi percepivano il rumore dell'acqua della doccia di Sinéad e il raggio di Luce che il faro aveva incominciato a diffondere sulla superficie placida dell'oceano. La Donna uscì dalla doccia avvolta in un grande asciugamano. Gli sorrise. Osservò con il suo uomo il fascio luminoso emesso dalla costruzione e ci vide dentro la pioggia che, con gocce minute, irrorava lo scoglio su cui era stato costruito il faro, dopo una grande tragedia in mare. La Musa del compositore rimase immobile, di fronte a quello spettacolo e si commosse. Una lacrima le scese lungo il volto e disse al suo compagno: «Ho atteso questo momento per sette anni, in cui ho sperato che, un giorno, sarei stata in vacanza con te, lontano da tutti, sola, con il mio uomo, abbracciata a lui, in uno slancio senza fine...»... Seán la guardò, asciugò con un dito la sua lacrima e la cinse con tutto il calore di cui era capace. La sua Donna aveva lottato tanto. Non aveva tuttavia mai perso la giusta direzione. Era giunta a lui, nel loro primo lido, totalmente vergine, casta, piena di energie, propositiva. L'uomo la osservò, sorridendole in un modo così dolce, che lei, d'improvviso, si mise a ridere. Rise dell'idiozia. Delle bassezze. Di un destino che l'aveva voluta combattere, fino ad un certo punto della sua Vita di Donna con una meravigliosa intelligenza di Vita... Lei gli disse: «Tu sei il mio leanbh, il mio bambino nella mente di uno splendido uomo!». Lui le rispose: «Tu sei tutte le mie gioie!»... Era buio, ormai. Il raggio del faro illuminava la sconfinata superficie ondulata dell'oceano. L'uomo decise che si sarebbe lavato e rinfrescato. Si spogliò ed entrò in bagno. Ascoltò il meraviglioso suono dell'acqua sotto il getto della doccia e canticchiò una melodia che gli era entrata nella mente durante il viaggio in macchina, mentre ascoltavano una emittente radiofonica. Si insaponò dolcemente e si risciacquò. Uscì dal bagno con un asciugamano intorno alla vita, notando come la sua Musa stesse riguardando le foto scattate lungo la Wild Atlantic Way. L'uomo si asciugò con un telo grande e chiese alla sua compagna se avesse fame. La Donna gli rispose che avrebbe potuto ancora attendere per la cena. Nel silenzio, interrotto solo dal lontano suono della pioggia e della risacca, le loro mani si trovarono. Attente. Benevole. Amorose. Si misero sotto le coperte e cominciarono a parlarsi.
Lui
Musa...
Lei
Amore mio...
Lui
Ti voglio.
Lei
Baciami!
I due si abbracciarono e si baciarono. Lui le lambì, con le labbra, gli occhi e le guance. Lei iniziò a baciargli il collo ed il petto. Fecero l'Amore. I loro due corpi si fusero. Non c'era distanza fra i due. I loro arti erano il prolungamento del corpo dell'altro. I loro occhi un'unica visione. Le loro mani strumenti indispensabili di conoscenza. Lei, ad un certo punto, gli disse: «Prendimi!» e lui le afferrò i fianchi, stando dietro di lei, e penetrandola, con il proprio membro eretto, sentì le pareti della vagina della sua compagna calde e turgide. Sinéad ansimava, dopo essersi portata due dita della mano destra verso il clitoride, che amava stimolarsi per facilitare l'orgasmo. Lui la vide, riconobbe quel segnale che tanto amava, e continuò a possederla con un ritmo lento, e movimenti profondi dentro di lei, entrando ed uscendo con molta calma. «Sì, è così che mi piace!» sospirò lei, che aveva la testa su un cuscino ed i seni completamente adagiati sulla superficie del letto, in una posizione che favoriva una penetrazione intensa e totale, che faceva avvertire ad entrambi forti emozioni sensoriali. Lui la osservava. Le guardava il sedere che aveva a pochi centimetri dal proprio ventre di uomo assetato della propria compagna. Lei, d'un tratto, continuando a massaggiarsi il clitoride con i suoi polpastrelli inumiditi, aumentò il ritmo della propria falcata e lui comprese che lei stava viaggiando verso il suo orgasmo, sentendo chiaramente la voce di lei ansimare sempre di più. Lui le strinse ancora di più i fianchi e la cavalcò. Lei gli disse che era così che voleva essere condotta al proprio piacere e, nel giro di qualche minuto, la sua compagna raggiunse l'orgasmo con un grido finale davvero liberatorio, mentre lui, dopo averla incitata a godere, si apprestava ad eiaculare. La Donna si girò, afferrò il pene del suo uomo con la bocca e, aiutandosi con la mano destra, ne succhiò il nettare, tutta felice, con il viso attraversato da una profonda onda di benessere. L'uomo avvertì il momento in cui la sua Donna ingoiò il suo liquido seminale e spalancò la bocca in un grandioso suono di goduria. La sua compagna rimase ferma, con il membro del suo uomo in bocca, leccandogli la parte del glande e raccogliendo le ultime stille di sperma, lungo la superficie del pene. L'uomo sorrise. La sua compagna lo guardò in tutto il suo candore nudo di Musa fedele ed attenta. I due si abbracciarono, in istanti eterni di gioia. Spogliati da tutto, avevano trovato la Felicità. Senza sovrastrutture, senza giudizi, senza mistificazioni. Erano lì, a Fanad Head, soli, nell'oceano, nel grande vento, nell'acquerugiola che tutto mitigava... Si misero di nuovo sotto alle coperte, legati l'uno all'altra da uno slancio amoroso intenso ed avvolgente. Erano dove la terra finiva ed iniziava l'oltre. Quella dimensione al di là di tutto che loro due avevano sognato per una intera esistenza... Andarono a cena. Tornarono in camera in serata. Vennero rapiti da un sonno profondissimo. Il compositore si svegliò diverse volte, quella notte, incuriosito dalla pioggerellina che, finissima, cadeva. Riprese a dormire con facilità. Al mattino, i due si svegliarono quasi insieme. Seán si preparò il caffè e si portò alle labbra una sigaretta. Era stato bellissimo per lui trascorrere una notte al faro. L'uomo attese che la fragranza del caffè si diffondesse in tutta la camera da letto e notò subito l'esatto istante in cui la sua Musa si stiracchiò, odorando il profumo della loro bevanda preferita. I due si diedero il buongiorno con un dolce bacio casto sulle labbra. Lei sprizzava gioia da tutti i pori. Era piena di energia. Lui se ne accorse subito. I due si vestirono, dopo aver preso il caffè e si misero in moto. Uscirono. Il compositore, fuori dal faro, si accese la sua immancabile Chesterfield rossa. Nel frattempo, la sua compagna gli parlava. Ripercorsero il sentiero verso Portsalon, e ammirarono il prodigio del mattino diffondersi lungo le scogliere e i prati. Dopo una lunga camminata, raggiunsero la loro macchina e cominciarono a prendere in considerazione il da farsi. Ballymastocker bay era ad una decina di chilometri da loro. I due si guardarono, con la stessa idea di esplorazione e decisero di andare a visitare quella che, per molti, era considerata davvero una fra le più belle spiagge al mondo. Chiacchierarono felici. Giunsero alla baia in poco tempo. Gli si parò innanzi una visione celestiale: una spiaggia amplissima, lambita da un oceano calmo, con il Sole, i bambini che giocavano lieti sulla sabbia, promontori in lontananza: verde, giallo, marrone e blu i colori dominanti, in un gioco di forme e curve che li fece rimanere senza fiato. Compresero bene perché quel luogo fosse considerato fra le baie più incantevoli del pianeta... Camminarono lungo il bagnasciuga, mano nella mano, lieti, come solo due superstiti sanno essere. Loro erano nella condizione di gustare tutto come fosse la loro prima gita. Come se avessero due anni. Come se le loro tempeste non fossero mai esistite. Erano vergini. Incontaminati. Puri. Avrebbero difeso la propria storia d'Amore da tutto e tutti. Si consideravano l'uno il prodigio dell'altra. Erano felici. Erano veri. Erano se stessi. Un cammino lungo un secolo li aveva condotti dove erano: fra le braccia di Madre Natura, in un idillio senza fine, cui loro partecipavano con la forza di chi ha saputo lottare e la gentilezza di chi ce l'ha fatta. I lunghi capelli castano scuro di Sinéad ondeggiavano nel vento. Lui era accanto al suo Amore, dove avrebbe sempre voluto essere. I due si abbracciarono e lei gli sussurrò che lui la faceva sentire speciale. Lui le sorrise, le accarezzò il volto e le rispose che lei, per lui, era la più grande Sinfonia mai scritta. Seán e Sinéad erano destinati ad amarsi. Si conoscevano bene da ormai dieci anni. Si erano temprati. Sapevano bene quanto un rapporto vero necessiti di abnegazione. Si sapevano ascoltare. Giudicavano sempre con assoluta veridicità le loro aspirazioni e ciò che l'altro comunicava. Erano in un profondo rispetto reciproco. Non si sarebbero mai sopraffatti. Non avrebbero mai tentato di snaturare l'altro. Non c'era bramosia di controllo. Il vento continuava incessante a modellare i loro volti, in un'aria pungente, che profumava di oceano. Il verde dei prati era fortissimo, vivido, lussureggiante... I colori densi, in tutte le loro sfumature. L'uomo camminava accanto alla sua Musa, che trovava affascinante, nella sua Bellezza casta di eterna ragazza. Lei, ogni tanto, lo guardava, con immenso Amore. I due erano fusi insieme, ben consapevoli ognuno dell'Identità propria e dell'altro. Sinéad telefonò alla propria madre, per sapere come stesse. Dopo la telefonata, disse al suo uomo che tutto stava andando bene e Seán se ne rallegrò. La Donna si tolse le scarpe e camminò nell'acqua, che era fredda, ma comunque accogliente, per lei, che stava vivendo un momento tanto atteso. Il compositore le scattò alcune foto e la sua Musa fece tante facce buffe, perché era felice e sapeva benissimo essere leggera come una libellula... La loro storia d'Amore era perfetta. L'autore non contemplava un risultato migliore di quello. Le loro anime si sapevano modulare nel rispetto dei desideri dell'altro. Le loro menti viaggiavano sulle medesime frequenze. I loro corpi si compenetravano nella loro magnificente nudità di esseri umani con un grande desiderio l'uno dell'altra... La Vita, alla fine, gli aveva arriso. Le tempeste non li avevano lasciati monchi. La loro voglia di vivere era intatta, forte, immutata. Avevano la Possibilità di esperire la Bontà dell'Universo, che vibrava in loro, attraverso il loro battito cardiaco, il proprio respiro di creature di Luce... I due continuarono a passeggiare, raccontandosi cose buffe, per ridere insieme, che era un loro altro grande obiettivo. Il Sole illuminava una baia dalla Bellezza fulgida. Si scaldarono attraverso i raggi. Seán si sentì davvero Lucente. Chiuse gli occhi per un istante e sentì la forza di quella Luce che irradiava tutto, rivelando i veri colori del mare. Sinéad era al settimo cielo. I due passeggiarono fino all'estremità opposta della baia, fra mille sfumature cromatiche e la sensazione della pienezza li avvolse. Tutto ebbe un senso, allora. Il loro cammino lo compresero appieno. Non c'erano dubbi sulle loro Identità di esseri umani in ricerca. La spiaggia era bellissima, vasta, animata da gente lieta, che sapeva ancora giocare con la sabbia... La Donna si soffermò a guardare l'orizzonte. «Ecco il nostro oltre!» esclamò con giubilo, indicando con la mano destra il punto in cui il Sole si stava immergendo nell'oceano, pian piano. L'uomo fu stupito. La sua Musa non sapeva che lui aveva scritto un capitolo del suo romanzo sul concetto di oltre, legandolo alla descrizione della sua Sinfonia n. 13. L'artista la abbracciò, fiero di lei, delle sue intuizioni, del suo modo di essere Donna... Il vento gli teneva compagnia. Le forti raffiche li squassavano, senza minimamente turbarli. Erano nella natura e questo gli bastava per essere gai. L'atmosfera era perfetta. Loro due soli, immersi nel prodigio della Landa, senza preoccupazioni, elucubrazioni, dubbi... L'oceano era meraviglioso, con la sua tinta cobalto. La sua voce fiera giungeva alle orecchie dei due, che la ascoltavano con attenzione, in quel continuo sciabordio delle onde che tutto mitiga. Seán si sorprese a riflettere su come stava realizzando il sogno di una intera esistenza, con la sua Musa, il mare, il vento e le onde... L'uomo si sentiva semplice, in quella maestà naturale. Si percepiva piccolo, come un bambino che gioca a fare i castelli di sabbia. Si avvertiva spensierato. Era quella la vera Felicità, ora i tratti distintivi di quella realtà umana gli sembravano più che mai chiari. I due si misero seduti sulla superficie di sabbia. Vicini. Sfiorandosi con le mani. Lei gli sorrideva divertita, con il suo tipico volto da bambina giocosa. Lui la osservava con attenzione, per non perdersi nemmeno una sfumatura del suo viso di eterna ragazza, alla ricerca del mare perfetto... Seán tirò fuori il suo immancabile posacenere portatile, bevve da una bottiglia di tè che si era portato dietro e si accese una Chesterfield rossa. Lei, intanto, scattava foto a quello che era considerato uno dei posti più incantevoli del Pianeta Terra, con il suo fascino selvatico di lembo estremo della Landa gaelica. La vastità dello spazio era incredibile. Ci si sentiva davvero minuscoli, in quella baia. Davanti a sé, avevano lo scenario della sublime maestà della loro terra, la sua natura più selvaggia, i suoi colori più vividi. L'uomo spense la sigaretta nel posacenere, guardò la sua compagna e la esortò a continuare il cammino. I due si alzarono e ripresero a passeggiare, mentre, progressivamente, la percezione di Luce virava dalla forza alla presenza diffusa del tramonto, con raggi che si distribuivano in modo radente su tutta la baia. Tornarono verso la macchina, lentamente, gustandosi i momenti. La sua Musa era davvero lieta. Lei gli raccontò di quanto fosse stata felice giorni prima, ad essere riuscita a parlare chiaramente alla propria madre, che, inaspettatamente, aveva compreso le ragioni della figlia e le aveva permesso di iniziare a pensare ad una vera vacanza. Lui la ascoltò e le disse che, secondo lui, tutto ciò era avvenuto perché i tempi di una discussione pacata e civile fossero maturi. Nulla succede per caso. Tutto si manifesta quando ci sono gli elementi di realtà affinché un dato processo possa svilupparsi. L'autore ne era fermamente convinto. I due si abbracciarono, come solo due superstiti sanno fare. La loro unione era anche la risultante di tutte le forze che avevano contribuito alla genesi delle loro due storie di Vittoria. Loro si erano salvati insieme, nel rapporto, grazie ad intelligenza e capacità d'ascolto, empatia e rispetto, desiderio e passione. Seán le raccontò quanto fosse stato emozionato la prima volta che l'aveva vista. Lei gli confidò che temeva che non gli sarebbe piaciuta. I due sorrisero. Erano trascorsi dieci anni dal loro primo incontro e l'esperienza di trovarsi nudi di fronte all'altro ancora era vivida, presente, luminosa. Entrambi avevano gettato il cuore oltre il proprio giardino e l'altro lo aveva accolto con grande Amore. Erano stati coraggiosi e stavano venendo premiati ogni giorno della loro Vita, grazie ad un sentimento corrisposto che non aveva prezzo. La Donna individuò la macchina, fra le tante. I due ripartirono. Erano ebbri di sensazioni. Felici come non mai. Sentivano una energia che difficilmente li avrebbe abbandonati... In viaggio, lei accese la radio e ascoltarono una vecchia canzone degli U2, «Running to stand still», una tenera ballata malinconica e i due la cantarono con espressività. La giornata stava procedendo magnificamente. Lo spostamento fu breve, trovarono una locanda nelle vicinanze e decisero di trascorrerci la notte. Avevano il viso trafitto dal vento ma la loro espressione facciale non era mai stata così lieta, come in quel momento serale, dopo la visita alla grande baia. La Donna andò a rinfrescarsi, mentre l'uomo analizzava le sue foto, che, magari, non sarebbero mai state artistiche, ma, per lui, avrebbero avuto sempre un forte valore simbolico. Il Donegal si stava rivelando persino più bello di quello che loro avevano immaginato, da quando l'uomo aveva iniziato a parlarne alla sua compagna. L'autore sentì la sua Musa fischiettare la melodia della canzone degli U2, che avevano ascoltato in macchina, con la radio al massimo volume. Lei era tutta la sua allegria di uomo. Lui era tutta l'Arte che lei desiderava nella sua Vita di Donna passionale e tenera. Il loro stava diventando sempre di più un idillio e il compositore avvertì nitidamente che quel processo potesse sempre maggiormente diventare una costante, una abitudine, uno stato permanente di benessere e gioia, immutabile... L'autore, attendendo che la sua compagna uscisse dal bagno, prese il proprio smartphone in mano e cominciò a scrivere qualche appunto che poi avrebbe sviluppato una volta tornato a casa. Scrisse di lei. Della sua Bellezza. Dei suoi occhi castano scuro. Si emozionò, pensando a quanto l'avesse attesa, durante la prima parte della sua esistenza. La Donna lo raggiunse, pronta per la cena. Andarono in perlustrazione e trovarono un bel ristorante, che faceva al caso loro. Mangiarono e poi, tornati alla locanda, decisero che si sarebbero rilassati, osservando le foto della giornata, per poi prendere sonno. Erano stanchi. La grande baia li aveva fiaccati. Avevano bisogno di un buona dormita. Si accoccolarono, abbracciandosi teneramente. Lei gli mise la testa sul petto ampio di uomo. Lui le accarezzò i capelli per un po'. Poi caddero nelle braccia di Morfeo, entrambi nello stesso momento, sotto calde coperte irlandesi. Seán si svegliò prima della sua compagna e, subito sveglio, cominciò a scrivere, dopo essersi preso il caffè ed aver fumato una sigaretta all'aperto. Vergò questa frase: «Non devo aver paura della Felicità, ma la devo sorreggere in me, a tutti i costi». L'uomo era all'esterno della locanda, avvolto dalla sensazione piacevole del primo Sole, proprio quando pensò che quel loro stato di armonia dovesse essere tutelato in tutti i modi. Occorre difenderla la Felicità... Dieci anni di rapporto li avevano condotti lì, ad ammirare la sublime architettura naturale del Donegal, in uno spazio estremo, a nord di tutto, che voleva essere un invito a stare realmente bene. Seán pensò che, come la sofferenza va superata, la realizzazione estatica della propria Identità va sostenuta ed amata. Non c'è reale gioia, senza l'impegno a volerla mantenere nella propria Vita... Lui era in una delle contee più selvagge d'Irlanda, con la sua Musa, che gli stava regalando la Felicità più appagante della sua intera esistenza, senza mai forzarsi, ma rivelandosi per ciò che era: una compagna dalla grande vitalità, che lo esortava a trovare il benessere ovunque, in una progressione davvero sbalorditiva. L'uomo pensò al proprio romanzo, che aveva lasciato a casa a lievitare. Lo avrebbe ritrovato bello come il Sole, in una giornata di primavera. Non era lontano dal traguardo definitivo delle quattrocento pagine, che, all'inizio della prima bozza del racconto, gli sarebbero sembrate lontanissime dal concetto stesso che aveva di storia. Invece, trasformandosi con la scrittura, era giunto fino a quel limite dimensionale. Era gioioso anche per quello e lo avrebbe detto di sicuro alla sua Musa, che lo avrebbe ascoltato con attenzione, per poi dire qualcosa di buffo che lo avrebbe fatto ridere. Il compositore non poteva davvero desiderare di più. Quella sua struttura di Identità era l'unica cosa per la quale valesse la pena combattere. Era un uomo. Aveva una casa, fatta d'Amore dei suoi familiari. Aveva la propria Arte. Non necessitava d'altro. Avrebbe ricordato per sempre la Felicità che in quei giorni di vacanza stava vivendo con la sua Sinéad, che non lo stancava mai... Lei era sempre in grado di stupirlo, con una frase, una risata, un abbraccio. Lei era tutte le sue prime volte. Lei era prodigio...
Questo è l'ultimo stralcio del Romanzo. In questi giorni, pubblicherò la Postfazione e il Manifesto della Nuova Era di Luce.
Postfazione
La ricerca continua. Le tematiche sviluppate ed analizzate nel romanzo descrivono lo scenario di un mondo altro possibile. L'autore crede fortemente che un cambiamento nelle esistenze degli individui sia auspicabile. La Nuova Era di Luce non è solo un'idea, ma una reale prospettiva verso cui tendere, se si vuole vivere davvero bene, lontano da ogni forma di paura. La valenza psicoanalitica della prosa è lampante, fin dal primo rigo. Lo scrittore ritiene che non ci sarà mai pace, senza individui fortemente stabili, nella loro salute mentale. La forma del componimento è lineare, trasparente, candida. Nella scrittura, infatti, c'è sempre l'intenzione, da parte dell'autore, di rendere la frase quanto mai chiara ed esauriente. La Poetica viene trattata con il massimo rispetto dei dettami della lingua, che, in definitiva, viene sempre considerata un organismo vivente, mutevole, cangiante. L'augurio che nel mondo possa regnare la Bellezza è insito in ogni pagina. Quest'opera, «Musa – Pensieri di un artista», è nuova, nel panorama letterario mondiale, originale e splende di Luce propria. È la descrizione di una opportunità che è presente nella giornata di chiunque. È il ritratto di un cosmo finalmente felice. È la speranza di vedere una nuova, diversa aurora. Lo scrittore è animato da una precisa visione delle cose, che lo porta a delineare, con esattezza, ciò che l'essere umano dovrebbe rifiutare per provare ad avere un'esistenza degna. Nella prosa, la parola segue i suoni che l'autore descrive come parte fondamentale della Psiche del suo protagonista, che è un artista capace di muoversi fra Musica e Letteratura. Lo sforzo che sorregge i periodi del romanzo è ragguardevole; un impulso potente che sostiene l'architettura complessiva del componimento, sempre alla ricerca del massimo della semplicità e brillantezza. Lo scrittore si sente un Lucente, nel descrivere la sua Nuova Era di Luce, perché sa quanto un artista, che sfida il sistema imperante, debba essere per forza scintillante. La Luce è presente in ogni frase; è ciò verso cui tende il pensiero dell'autore. Le parole sono distillati di consapevolezza, laterizi nobili di una costruzione che intende essere parte di un Universo vibrante, animato da frequenze che siano capaci di creare Pulcritudine. In tutto questo processo, lo scrittore rimane attentamente ancorato al proprio modo di vedere il mondo. C'è realtà, ma c'è anche sogno. Visione, ma concreta analisi di ciò che ogni giorno attraversa le vie delle nostre città. C'è una speranza incrollabile, ma anche un attento spaccato sulle vicende umane, così come delineate nel ventunesimo secolo. L'uomo della Nuova Era di Luce dovrà aver detto addio alla propria laida propensione alla distruzione. Dovrà essere pacifico, lieto, felice di stare al mondo. Questo intende comunicare l'autore con il suo sforzo di andare oltre lo status quo. C'è molto da scoprire. Ricercare. Amare. Il tema dell'Amore viene trattato con grande profondità. I due protagonisti della storia si sono cercati e trovati, amati e desiderati, fin dal loro primo incontro. Per lo scrittore non può esserci Vita senza Amore, che ne costituisce il motore primo. L'Amicizia, che è pur sempre una forma di Amore, viene descritta con vero affetto e calore. L'autore sa bene quanto sia importante avere l'opportunità di ospitare qualcuno nella propria casa, per preparargli un buon caffè. Tutto il romanzo, in definitiva, è un inno alle cose buone della Vita ed una esortazione ad abbandonare tutto ciò che si manifesta come tossicità umana. Lo scrittore è conscio di quanto sia importante la visione della Bellezza, quel momento d'incanto in cui l'estasi della percezione di ciò che è buono si palesa nei cuori. Il componimento è integralmente ottimista. Traccia un sentiero. Invita. Rassicura. Coccola. Il lettore non è più solo. È un individuo con delle risorse, che metterà a fuoco per raggiungere i suoi obiettivi di essere umano che aspira alla Luce, lontano dall'inferno che la routine propone. Nella prosa, le tenebre sono state scacciate. Il protagonista le ha abbandonate, con immenso sforzo. È questo il messaggio universale che lo scrittore intende donare al mondo: l'uomo ce la può fare, sempre; la Possibilità di cambiare rotta esiste in ogni frangente della Vita, anche il più periglioso. In «Musa – Pensieri di un artista», l'Arte è connaturata nella scrittura. Lo scrittore non potrebbe mai narrare una storia senza la forte presenza di tutto ciò che è creatività umana alla ricerca di una qualsivoglia forma di Bellezza, che è Bontà, che è Vita. Il protagonista della storia, vivendo un rapporto d'Amore, identifica, nella propria compagna, la sua Musa, fonte imperitura di ispirazione. Questo aspetto è primario nella dinamica del racconto della vicenda umana che lo scrittore analizza, in quanto, senza la propria ninfa, il protagonista non sarebbe in grado di creare tanto intensamente. Ogni artista ha una persona cui pensa, quando produce. Quello che l'autore ritrae è un Universo fatto di Verità, cui ognuno dovrebbe tendere. La scrittura è piena di immagini. Non v'è traccia di negatività nelle pieghe del romanzo: le inquietudini del terzo Millennio vengono tutte stemperate da una costante ricerca di risposte eque. Nella storia è vitale il rapporto che il protagonista ha con il proprio maestro di Composizione, suo vero faro nei momenti bui della propria esistenza. Il componimento è un cantico estatico che celebra la Pulcritudine umana. La barbarie degli inganni, cui sono sottoposti gli uomini del ventunesimo secolo, è trattata con profondo spirito di Verità dallo scrittore, che si sente di dare una risposta: camminare verso il sentiero che conduce alla Verità e non farsi soggiogare dalla paura, mai. L'essere umano deve essere liberato. Deve tornare a scintillare. L'individuo è un balenio di Bellezza, in nuce. La Nuova Era di Luce è anche una nuova corrente artistica, cui, chi vorrà, potrà prendere parte. L'autore si considera il primo Lucente di una folta schiera di creativi che verranno dopo di lui. Questa concezione artistica ha i propri dettami, la propria visione e la propria sintassi. Per il momento la Nuova Era di Luce è una realtà creativa sotterranea, ma, magari, col tempo, brillerà alla Luce di un nuovo Sole. Gli artisti della Nuova Era di Luce devono essere ottimisti, animati dalla speranza incrollabile che il mondo possa cambiare, anche attraverso le opere dei creativi, che dovranno indicare la via. Lo scrittore ritiene il proprio percorso umano, dedito allo sviluppo del proprio talento, un paradigma della creatività per tutti. Essere un Lucente significa abbattere le barriere del sistema di pensiero ufficiale. Andare oltre le apparenze. Scattare una foto del possibile. Dipingere un nuovo ritratto dell'uomo. La Nuova Era di Luce, come corrente artistica, si affaccia, nell'agone del ventunesimo secolo, certa della propria validità di vettore comunicativo. Non teme rivalità. Non è per questo che è nata, anni fa, fra le pieghe delle parole e dei suoni dello scrittore, che non si è mai rassegnato alla bruttezza. I Lucenti sono sognatori. Inarrestabili. Laboriosi. Attenti. Nella nuova corrente artistica, ci sarà spazio per tutti quelli che lo vorranno, sempre nel rispetto dovuto all'opera di qualcun altro, che ne è l'artefice e il padre fondatore. L'Umanità ha bisogno di Arte come degli acquedotti. Questo sa bene chi scrive. All'autore pare fin troppo evidente che una esistenza, condotta solo seguendo le regole della classe dominante, non potrà mai portare alla piena realizzazione dell'individuo, che, in una parte remota di sé, avvertirà comunque un senso di profondo vuoto, il quale può essere colmato unicamente attraverso la ricerca di un nutrimento per l'anima, troppo spesso schiacciata dal peso di una concezione moderna di Vita che uccide le legittime aspirazioni del bambino che tutti abbiamo dentro. I Lucenti saranno in grado di contribuire all'evoluzione dell'Umanità, attraverso parole, suoni, tratti pittorici, film e architetture. Il primo raggio di Sole dopo tanta tempesta... Il primo La orchestrale di una nuova Sinfonia. La prima volta, dopo tanto tempo, in cui si potrà dire apertamente che una Vita altra sia possibile. La Nuova Era di Luce è nata, nella mente dello scrittore, attraverso dense conversazioni con le persone più care della propria esistenza, in un primo tempo, come realtà esistenziale, per poi divenire una vera e propria corrente artistica, letteraria e musicale, in primis. L'autore intende dar Vita ad una famiglia di Lucenti, fra di loro connessi, in una progressiva concezione dell'Arte e del mondo, che non si stanchi mai di sognare un futuro diverso. Proprio quando il destino pare avverso, è necessario tentare di pensare un modo nuovo di vivere insieme, creare ed amare. Tutto ciò è la Nuova Era di Luce, cosmo ove ogni singolo diritto dei bambini dovrà essere garantito, sorretto e realizzato pienamente. I Lucenti dovranno vivere nella forte simbiosi fra forma e contenuto, fra come realizzano e ciò che intendono comunicare con la loro Arte. La Nuova Era di Luce è assoluta integrità morale degli artisti. È candore. È trasparenza. È naturale consequenzialità fra ciò che si ha in mente e ciò che si produce, all'interno del proprio codice creativo. Il Lucente è nudo. Non teme la sua condizione di essere umano spogliato da tutte le sovrastrutture di una borghesia ipocrita. La Nuova Era di Luce, come corrente artistica, combatte, è militante, confligge con tutto ciò che è menzogna sulla reale natura dell'essere umano, che è Luce. È un movimento che nasce da una precisa esigenza di chiarezza psicoanalitica sull'esistenza. È ricerca di ciò che è buono. È un invito a godere a piene mani della generosità del tempo che ci viene dato; sentiero magnifico lungo il quale sperimentare la vera Felicità. Per lo scrittore, giungere a queste conclusioni è stato naturale processo di conoscenza di se stesso e delle proprie risorse. La Nuova Era di Luce intende essere Arte, con lo stupore degli occhi di un bambino di fronte all'incanto del mare. In questo senso, la corrente artistica è anche riscoperta del proprio mondo interno legato ai sogni del fanciullo che ognuno di noi è stato. I Lucenti hanno una visione precisa. Sanno che una Vita piena di gioie sia possibile, in questo periodo storico avvilente. Urge intraprendere un cammino. È necessario spogliarsi. Gli esseri umani, nella loro nudità, sapranno cosa è bene per loro. Lo vedranno. Lo assaporeranno. Con la Nuova Era di Luce, il mondo potrebbe dire addio a ogni singola propensione al male, per inaugurare una nuova epoca, nella quale tutti potrebbero star bene ed essere felici...
Manifesto della "Nuova Era di Luce"
1. Linee programmatiche
2. Tematica
3. Poetica
4. Obiettivi
1. Linee programmatiche
La Nuova Era di Luce è una corrente artistica, creata da Massimiliano Folegatti, nel 2018, dopo la stesura della sua opera letteraria «Musa - Pensieri di un artista», romanzo psicoanalitico in cui il protagonista è un ricercatore del Sole. Il fondatore di questo Movimento individua, in primis, due vettori creativi: la Letteratura e la Musica, ma la corrente intende diffondersi a tutte le Arti odierne. Dal giorno dell’avvento dell’inizio del ventunesimo secolo, il mondo ha saputo produrre solo reality show. C’è bisogno d’altro, altrimenti l’Umanità soffocherà. Il programma del Movimento è contemplare Pulcritudine per dipingerla con segni d’arte scintillanti. Il ventunesimo secolo ormai sempre più raramente permette la creazione di opere degne di questo nome. La Nuova Era di Luce intende invece far tornare l’Arte al suo naturale splendore di edificio indispensabile nella vita dell’Umanità. Urge Bellezza, nelle giornate degli uomini. C’è una profonda necessità di sogno collettivo, troppo spesso abbandonato. Gli esseri umani hanno sete di opere buone. La Nuova Era di Luce mira a partecipare a quel grande cammino che può portare il genere umano verso un mondo altro, differente, possibile, dove ci sia finalmente rispetto ed accoglienza per tutti. I membri della corrente artistica saranno definiti Lucenti. Chiunque sia in ricerca di risposte non banali potrà seguire questo movimento creativo. Con «Musa - Pensieri di un artista», la Nuova Era di Luce nasce ufficialmente, dopo un lungo percorso carsico. È necessario un rinascimento umanistico ed antropologico che sia in grado di accompagnare l’evoluzione futura degli individui. C’è bisogno di Arte come di pane, a questo mondo. Se viene mortificata la creatività, svanisce l’opportunità di un sistema migliore di cose. Il fondatore del movimento è profondamente ottimista, dacché sa che non è mai esistita società bella senza forma d’arte valente. La Nuova Era di Luce intende essere un movimento artistico totalmente contemporaneo, che vive nell'epoca della nascita dell'intelligenza artificiale e spinge l'individuo a rimanere, con tutta la propria forza, profondamente umano. È necessaria la chiarezza, sotto tutti i punti di vista. L'uomo non si muoverà verso la Pulcritudine, se non esortato da una propria innata aspirazione alla verità. I Lucenti sono esseri umani stabili, che hanno rifiutato il senso complessivo di un sistema di potere che li vorrebbe schiavi. Essi si sono posti al di fuori e al di là delle gabbie di pensiero del terzo Millennio e sono fieri della loro condizione di diversità. La Nuova Era di Luce intende creare magnifiche architetture nuove, con segni d'Arte scintillanti, in un rispetto assoluto dell'armonia fra forma e contenuto dell'opera. Al Lucente si chiede coerenza: ciò che pensa e ciò che produce devono essere frutto del medesimo processo evolutivo dell'individuo, grazie ad una costante corrispondenza fra i suoi percorsi mentali e il suo operato di artista ed uomo. Il movimento avanza grazie al proprio desiderio di veridicità, autentico faro di chi si sente attratto dalla nuova corrente. Il programma della Nuova Era di Luce è ricostituire un insieme di forme d'Arte, legate a contenuti originali, che sappiano emozionare ed indicare un sentiero nuovo: quello verso un cosmo futuro di Possibilità di realizzazione delle più nobili aspirazioni dell'essere umano. La Nuova Era di Luce muove verso il Sole. È sfavillio. Scintillio. Bellezza. A questo mondo, c'è bisogno di cantici elevati a ogni manifestazione di Verità, Bontà e Bellezza. Con «Musa – Pensieri di un artista» l'autore crea un paesaggio del tutto nuovo, in cui il rispetto della vita umana si manifesta sempre e il futuro dell'Umanità non è più tenebroso, ma luminoso e brillante.
2. Tematica
I temi cari alla Nuova Era di Luce sono quelli di una completa maturazione psicologica del Genere umano, senza la quale non ci sarà mai nessuna prospettiva di rinascita delle anime. Il movimento parte da una accurata analisi dello status quo, con lucidità ed attenzione, per giungere alla sintesi che questo sistema di potere che governa il mondo non può portare a nulla di buono, perché profondamente marcio. La corrente artistica vuole trattare tutti i temi che hanno come centro inamovibile le eque istanze degli esseri umani, troppo spesso maltrattate e inascoltate. Il tema essenziale della Nuova Era di Luce è la trasformazione della psiche degli individui, capace di forgiare esseri umani alla ricerca del benessere autentico, che deriva dall'aver messo a tacere ogni spinta distruttiva del proprio cervello. Tutte le dinamiche che dimorano nello spirito dell'essere umano sono oggetto di analisi e rielaborazione, in questo nascente movimento. C'è un profondo amore per il Genere umano, nelle parole e nei suoni di chi ha fondato il movimento e l'interesse per ciò che accade, dentro ad un uomo, è massimo. I Lucenti sono esploratori dell'animo umano e trattano tutte le tematiche che si sviluppano al suo interno, nella speranza incrollabile di dipingere un cosmo fatto di Bellezza ed onestà intellettuale.
3. Poetica
La Poetica della corrente è precisa: respira, come organismo vivente, nel massimo rispetto dei segni d'Arte, di un rigore assoluto che esorta gli artisti a considerare fondamentali i dettami delle discipline che affrontano. Nella Letteratura, come nella Musica, in questo scampolo iniziale di vita del movimento, l'uso delle regole della lingua e del mondo delle manifestazioni acustiche è totalizzante. I Lucenti sono in grado di scavare, nell'antico mondo dei codici stilistici di una forma d'Arte, per valorizzare ciò che, nell'epoca moderna, è caduto in disuso, riconsegnando al mondo la Bellezza di un'antica danza, o l'uso di un certo segno di interpunzione, che, magari, oggi, non si usa più.
4. Obiettivi
L'obiettivo fondamentale della Nuova Era di Luce è costituito dalla opportunità che essa possa far parte del progetto di risveglio dell'Umanità, ancora dormiente. I Lucenti dovranno essere in prima linea, quando si marcerà uniti e compatti verso un mondo tutto da scrivere. Saranno in grado di creare opere d'arte meravigliose, che toccheranno le corde più intime degli individui, rivelando il vero volto del movimento: quello di un amore sconfinato verso il Genere umano, che non può più essere imbrigliato. L'uomo è scintillio. Non può vivere nella tenebra, troppo a lungo. Il fondatore della corrente artistica sa benissimo come un governo mondiale stia uccidendo le più alte forme di espressione creativa degli individui; per questo si adopera, ogni giorno, per far risplendere la propria penna e quella di chi vorrà aderire a questo cammino, che porterà delle insidie, ma vivrà nella Possibilità di vedere una nuova aurora del mondo, con cui ricominciare a respirare aria pulita, nel massimo rispetto del Pianeta Terra... La Nuova Era di Luce ha, ben salde in sé, nobili radici antropologiche, culturali, psicoanalitiche ed artistiche e seguirà l'evolversi della situazione mondiale senza mai stancarsi di indicare la via verso la Pulcritudine più estatica. L'uomo, senza il sogno collettivo dell'Arte, non può vivere. Questo sa bene chi scrive. Questo vuole comunicare. Questo è il suo obiettivo. La Nuova Era di Luce è Arte, Vita, Possibilità. Se tutti iniziassimo a camminare verso un mondo differente, il male sarebbe sbaragliato in poco tempo e questo Pianeta tornerebbe ad essere la casa di tutti, senza più guerre e sfruttamento. È in corso un conflitto, fra Lucenti di tutto il mondo ed esseri dediti alla distruzione. In ballo, c'è la sorte di più di sette miliardi di persone, molte delle quali bambini. È ora di dire basta all'idiozia, perché, a questo mondo, si può vivere davvero felici.