Musa - Pensieri di un artista
Vengo da molto lontano.
Da un luogo dove non c'erano soluzioni.
Ho imparato che, a parte la morte, ogni problema ha almeno una soluzione. Nei casi più difficili occorre pazientare, ma, grazie all'impegno e alla lucidità, prima o poi una soluzione si manifesta. Questa è la cosa più importante che ho imparato grazie a te, che sei il mio Infinito. Grazie, Marinella...
Alla mia compagna,
che non si è mai arresa.
Alla mia Bambina,
che aveva diritto di giocare.
Alla mia eterna Ragazza,
che girava il mondo,
con lo zaino in spalla.
Alla Donna,
che ha reso possibile l’improbabile.
Alla mia Musa,
la cui Bellezza supera la mia fantasia.
Alla Persona,
che non ha mai smesso di credere in me.
che non si è mai arresa.
Alla mia Bambina,
che aveva diritto di giocare.
Alla mia eterna Ragazza,
che girava il mondo,
con lo zaino in spalla.
Alla Donna,
che ha reso possibile l’improbabile.
Alla mia Musa,
la cui Bellezza supera la mia fantasia.
Alla Persona,
che non ha mai smesso di credere in me.
Ciao, questa è una nuova sezione del sito. Inauguro la seconda lettura del Romanzo, "Musa - Pensieri di un artista", pubblicando nuovi stralci dell'opera. Grazie per essere qui, fra queste parole e questi suoni.
¡Buen viento, Marineros!
Questa pagina ha una veste grafica in allestimento
Salve, Viandanti e Ricercatori del Sole!
Come state trascorrendo questi giorni di isolamento?
Mi auguro voi stiate bene.
Sono giorni diversi da ciò che eravamo abituati a vivere prima e non solo dobbiamo provare ad adattarci, ma necessitiamo della speranza che il futuro prossimo sia bello. Io immagino la faticosa ma appagante costruzione di una Nuova Era di Luce, con il contributo di ogni persona di buona volontà. L'epoca che ci lasciamo alle spalle, le due prime decadi del terzo Millennio quasi per intero, hanno marcato un confine, dal quale sarebbe sciocco tornare indietro a come si stava prima, con tutte le difficoltà di un periodo storico dalle tinte fosche e drammatiche. Io voglio sognare un mondo altro, nuovo, aperto alla scoperta della Bellezza, che è ovunque intorno a noi e attende di dimorare in noi. Staremo a vedere. Siamo chiamati a resistere. Oggi inauguro un secondo ciclo di lettura del Romanzo "Musa - Pensieri di un artista". Rimaniamo sereni e buona giornata!
Seconda parte prefazione
Ogni opera è autobiografica, nella concezione dell'autore, che non saprebbe scrivere di esperienze mai fatte, a lui sconosciute. Le parole della storia sono pensate come note di una partitura, dacché, chi scrive, è un musicista attento al ritmo, alle dinamiche, ai timbri e sente che i lemmi debbano avere anch'essi un colore, una forma, una sonorità. Alla fine, per l'autore, una parola può essere tradotta in suono e una manifestazione acustica in vocabolo. Il romanzo è pieno delle descrizioni della musica che Seán analizza. Molti passi della storia sono una attenta rielaborazione delle sensazioni che la Musica elargisce al protagonista. L'arte di porre note in una partitura vergine è fortemente presente nella dinamica complessiva del componimento e viene sviscerata con profonda attenzione, in base all'esperienza creativa che anima il processo artistico del narratore. Due forme di Arte, quindi, si fondono indissolubilmente fra le pagine del romanzo: la Musica, con il suo percorso compositivo e la scrittura, grazie alla quale l'autore crea un mondo nuovo, che, da ente della fantasia, potrebbe diventare realtà fattuale, con l'impegno di tutti verso una Nuova Era di Luce, ove sia abbandonata ogni forma di meschinità e prevaricazione, fortemente combattute da Sinéad, la compagna di Seán, la quale ama il suo uomo in una dimensione di grande affetto e passione. I due, insieme, resistono agli urti del sistema imperante ed ogni volta, che si scontrano con l'idiozia criminale, provano a ristabilire la loro forma originaria, con tutto l'impegno che possono. Sinéad, oltre ad essere la fidanzata del protagonista, è la sua Musa, fonte imperitura di ispirazione, motore delle sue creazioni artistiche e unica persona per la quale egli realmente componga. Lei è la protagonista femminile della storia, una immagine di Donna alla quale Seán è legato da un profondo senso di appartenenza e un desiderio carnale che lo avvolge tutto, in modo inesorabile. Nel componimento, c'è anche il canto di questa loro compenetrazione sessuale, perché l'autore ritiene che esperienze, fatte da tutti gli individui adulti, possano essere descritte senza cadere nella banalità della volgarità. «Musa – Pensieri di un artista» intende rappresentare appieno la prospettiva di una Vita umana realizzabile, non utopica, ma concretamente sperimentabile oggi, nell'esistenza di ognuno, operate le adeguate scelte. Ogni uomo ha dentro di sé un codice antico quanto il mondo, che necessita di essere letto da un valido interprete, in un atto d'Amore strabiliante, che conduca l'individuo a vedere se stesso nella propria magnificenza di creatura di Luce. La Poetica dell'opera costruisce un tempio i cui laterizi si ergono sontuosi, alla riscoperta della preziosità dei segni d'Arte, che il narratore ritrova nelle sue parole musicali, di cui rispetta attentamente il significato, esplorando una modalità vergine di scrittura, che rigetta qualsiasi forma di banalità. È tempo, per lo scrittore, che l'Arte scintilli di nuovo, dopo troppi anni passati a cibarsi della pornografia asfissiante del neoliberismo che usa prodotti pseudo-artistici come merce da cui ricavare un profitto finanziario. L'autore è mosso da un totale rifiuto di tutto ciò che accade nella letteratura e nella musica del terzo Millennio, giudicandola immondizia. L'artista, se tale, deve saper fare la Rivoluzione, con i suoi segni. Deve poter indicare una visione. Deve saper splendere. Il romanzo si rivolge a chi ha sete di risposte, a chi vuole sognare un'Arte vera, a chi non si accontenta delle ricette menzognere di un potere che brama solo la perpetuazione di se stesso. Il narratore intende porre al centro del suo processo creativo quella ricerca così antica che ogni essere umano, inevitabilmente, prima o poi, dovrà affrontare: la scoperta di se stesso, della sua capacità di amare, del suo modo di camminare per il mondo. Seán è un uomo. Ha affrontato tante difficoltà, senza mai perdere di vista il suo approdo: quella spiaggia candida dove sognava di incontrare l'Amore della sua Vita, la Donna che avrebbe lenito i suoi dolori, mitigandoli con infinita attenzione. La tesi del componimento è che non ci si salva da soli. Si ha necessità di un Tu dialogico in grado di interpretare. Si cresce e si crea una Vita nuova solo nella Bontà di un rapporto sano, non distruttivo. Questa è la cifra psicoanalitica del romanzo.
2° Stralcio 1° Capitolo
Si erano incontrati nove anni prima. Le parole scritte fra i due avevano acceso un fulgore. Il loro iniziale scambio epistolare era stato meraviglioso: i due non riuscivano davvero a credere di aver trovato un altro essere umano, fuori da loro, che fosse stato capace di resistere e diventare bello nonostante le insidie. Si rispettarono. Si attesero. Si conquistarono. Lui, in quel periodo di conoscenza virtuale, era sempre più emozionato nel sentire che Sinéad non lo considerasse strambo. Lei, invece, era sedotta dalla di lui infinita tenerezza e dalle sue forti idee rivoluzionarie. Si incontrarono per la prima volta dal vivo alle Cliffs of Moher, una mattina di Giugno del 2008. Marciarono felici lungo il sentiero che porta alla grande scogliera, ridendo e scherzando. Poi, sull'altopiano, ascoltarono un'arpa celtica muoversi su modi greci. Seán spiegò un po' di teoria musicale alla donna che lo stava ascoltando con grande attenzione. Lei confessò di non capirci nulla di Musica, ma l'artista le rispose che, con il tempo, sarebbe diventata una esperta. Sinéad era umile. Non si sentiva poi così straordinaria e questo la rendeva ancora più meravigliosa. Tornati alla locanda, si rifocillarono e si riposarono su un letto matrimoniale bislacco, che non era comodo affatto. Lei aveva una camicia bianca, aperta con una V sotto al collo. Lui la osservò e la desiderò subito. I due si scambiarono baci ed effusioni e fecero l'amore. Fu tutto splendido. La calma dei gesti e la voglia di compenetrarsi scandivano gli istanti e gli atti. Dopo attimi infiniti di Bellezza, la coppia si rallegrò con una amabile conversazione. L'artista non si sentiva costretto a fingere e mostrava il suo lato bambino, che, per tanti anni, era rimasto in attesa di qualcuno da amare. Lei si divertiva e rideva allegra. Era il loro codice: spensieratezza e profondità. Seán corse in cucina e scrisse queste parole: «Non sono mai stato felice come ora». I nove anni insieme erano stati determinati da lunghi periodi di serenità, alternati a momenti di tragedia, come la morte dei loro due padri. Seán e Sinéad non avevano però mai perso la speranza di poter essere felici insieme, neanche quando si ritrovarono il lutto nel cuore. Loro volevano stare insieme, e bene. Loro si erano scelti. Guadagnati sul campo, come una medaglia d'onore. Erano l'uno la risposta dell'altra. Quella mattina di fine Aprile, dopo la diffusione della settima Sinfonia, Seán decise di scrivere un racconto nuovo. Telefonò alla madre, debole ed anziana, che viveva in un'altra città, Cork. L'artista l'aveva vista scemare da una prorompente vitalità allo stato di bisogno di ogni cosa e si dispiaceva di vederla così fragile. Spesso, la chiamava anche due volte al giorno, cercando di farla ridere e divertire con curiose trovate telefoniche. I genitori invecchiano, occorre prendersene cura. L'artista pensò a suo figlio, Aindreas, ormai maggiorenne, che aveva tanti talenti e una insopprimibile voglia di vivere, frutto dell'amore giovanile di Seán e una donna con la quale le visioni differenti sul mondo avevano portato a una separazione brusca e violenta. Aindreas viveva anche lui a Cork ed era studente di una scuola d'Arte. Seán lavò i piatti mentre riascoltava la settima Sinfonia, dalla playlist che aveva creato su iTunes. Gli archi finali del quarto Movimento lo modellarono, lasciandolo piacevolmente soddisfatto. «Muse» era, per lui, una gran bella composizione. Il suo processo creativo era attento e vigile, nel cogliere segnali dal mondo da trasformare in segni d'Arte. Si sentiva circondato dalla Bellezza. Combatteva, come poteva, le distorsioni di un sistema fallace che brama ardentemente l'Umanità schiava e desolata. Pensò al mondo che avrebbe avuto davanti agli occhi Aindreas, da adulto, sperando che fosse bello. «Un nuovo cammino è alle porte» pensò Seán. Per lui era inaccettabile che quattro psicopatici sparsi per il Globo potessero decidere a tavolino le sorti di sette miliardi di persone. Andò a fare due passi in spiaggia. L'oceano era calmo e l'aria pungente. Si percepivano diversi odori. Guardò un battello in lontananza portare turisti alle Aran Islands e sorrise, pensando a quanto splendore c'era nella sua amata terra, Landa del cuore. Scrisse questo messaggio a Sinéad: «Io desidero solo Te. Da quando ti ho conosciuto, il mio mondo, da arso che era, è diventato un pascolo lussureggiante. È tutto merito tuo. Grazie, Amore». La ragazza gli rispose poco dopo, con una emoticon divertente. Era in ascolto, l'artista. Nel silenzio, ripercorreva le unità costituenti della sua «Muse», trovandole organiche e complete. Tornò a casa, fischiettando. Controllò la statistica dei brani più ascoltati, per vedere se qualche suo amico si fosse messo in ascolto della sua Sinfonia. Il quarto Movimento aveva, dal giorno prima, ben otto ascolti. Fu soddisfatto. Preparò il caffè. Le tende arancioni della cucina riverberavano la Luce del Sole rendendo le linee e le curve degli oggetti chiaroscurali. Sorseggiò il suo caffè e, accendendosi una sigaretta, tornò alla seconda pagina del suo nuovo racconto. Era calmo ed appagato. Guardò l'immagine del Cristo velato della Cappella San Severo, ricordo di una vacanza a Napoli. Vide la perfezione in esso. Sospirò, pensando alla fatica dell'artista, in generale. Era nuovo. Il suo sito personale prendeva sempre di più la propria forma, con l'aggiunta di «Muse». Pensò al suo amico greco Yòrgos, con il quale aveva condiviso uno splendido soggiorno in Calcidica, qualche anno prima. «La vita - pensò - è davvero maestosa». Decise cosa avrebbe mangiato a cena. La mattina dopo si svegliò presto, per occuparsi di una nuova pagina del suo sito, intitolata Cosmo, nella quale avrebbe inserito un suo piccolo video. Vide l'aurora, dalla finestra della camera da letto e gli parve stupenda. Gli alberi del viale erano di un verde acceso, in quello scampolo di primavera. Sinéad dormiva ancora: nel fine-settimana era abituata a riposare più del solito, dato che, tutti i giorni lavorativi, si alzava alle sette per essere in azienda alle otto. L'uomo pensò a suo figlio. La sera prima Aindreas gli aveva risposto con simpatia ad una foto che Seán gli aveva mandato. La vita dell'artista era piacevole, ora, tanto diversa da quel marasma vissuto nei suoi primi trent'anni, sotto l'influsso di una tempesta spietata, che aveva fatto vacillare il suo mondo. Certe volte ripensava a tutto il suo percorso e si stupiva lui stesso. Ne aveva viste di mareggiate Seán... Il suo sito era sempre più fedele immagine, in segni d'Arte, della sua dimensione interna. Aveva trovato in rete una citazione di Hoelderlin, facendola propria, per descrivere il concetto di nuovo mondo. «Le anime belle attendono il nuovo mondo, la Nuova Era di Luce» meditò l'artista quella mattina presto. C'era tutto un piano di attuazione di strategie rivoluzionarie da delineare. Come arrestare il declino? Cosa fare? Che iniziative adottare per sradicare il sistema e giungere a Bellezza, Bontà e Verità? Nessuno conosceva le risposte. Nessuno. Ognuno guardava le cose dalla propria prospettiva, impegnandosi per una o due battaglie, ma quasi nessuno aveva il quadro totalizzante della situazione sotto gli occhi. Coloro che abbracciavano una parte consistente di realtà non avrebbero potuto fare granché, perché in forte minoranza. Dunque si era in una fase di stallo: l'idiozia patologica governava il mondo attuando piani sempre più coercitivi e i pochi sani di mente assistevano impotenti a un vero e proprio stupro delle qualità distintive dell'Umanità alta. L'artista, a volte, si preoccupava molto per la situazione nel mondo. Gli sembrava impossibile che guerre e disastri ambientali potessero minacciare la sopravvivenza del Genere umano. Si ricordava di Aindreas bambino: quella mattina in cui il piccolo iniziò le lallazioni e si produsse in una serie infinita di «Da», tutti uguali e al contempo tutti diversi nell'intensità e nell'intenzione comunicativa. «Che mondo lasceremo ai nostri figli?» si domandò. Questo quesito spronava Seán ad andare avanti combattendo l'unica battaglia per la quale valga la pena vivere: la Pulcritudine. Una mattina si svegliò presto, si preparò il caffè e, mentre era in cucina, sentì l'inconfondibile rumore del vento che sferzava la piccola scogliera sulla quale sorgeva la casa dell'artista. Pensò al grande faro bianco, nella contea del Donegal e si immaginò sulla sommità, dalla quale si ammira il grande oceano Atlantico. Seán era molto attento alle manifestazioni atmosferiche, perché aveva imparato a sentirsi parte di quel mondo meraviglioso che è la Natura. Sorseggiò il caffè, accese il Mac ed iniziò a scrivere musica. Aveva intenzione di comporre un album, intitolato «Atmosphere», con la prima traccia omonima. Fino ad allora, aveva totalizzato cinque brani ed era soddisfatto. Pensò alla sua Sinéad ed alla sua titanica vitalità. Lei era il metronomo dell'artista, la scansione ritmica fondamentale del suo cuore. Seán era un'onda nelle mani della sua compagna e lei era la marea. L'uomo si lasciava trasportare, perché tutto ciò che gli proponeva Sinéad era buono.
2° Stralcio 2° Capitolo
Non si sentivano gli uccelli e questo era strano. Pensò alla tonalità d'impianto della nuova Sinfonia: sol diesis minore. Nella composizione, avrebbero dovuto esserci continue trasformazioni dal minore al maggiore, perché Homeland era tante cose insieme, tutte significative, tutte di fondamentale importanza, tutte da comunicare. L'uomo aveva già la Sinfonia in testa. Magari, al pianoforte del padre, sarebbero nati nuovi agglomerati acustici, l'artista ci sperava. Scrutò il cielo: era mutevole. Nello studiolo, c'erano tutte le cose dell'uomo. La tastiera musicale, il Mac, i dischi, i libri, le pagine sparse scritte a mano, il quaderno pentagrammato, con tante cellule acustiche da sviluppare e una piccola scatola in cui l'artista raccoglieva oggetti pieni di valore emotivo. Nel piccolo scrigno, c'erano titoli di viaggio del treno di soggiorni a Cork particolarmente significativi e altre cose, legate ad Aindreas e Sinéad. L'uomo credeva che fosse indispensabile, per un essere umano, raccogliere testimonianze del proprio passaggio, fossero anche dei biglietti del cinema. Serviva a porre dei memoriali. «È giusto che un uomo si ricordi che un tal giorno sia stato bene, in quel luogo, compiendo quei gesti» scrisse Seán, lungo il secondo capitolo del suo nuovo racconto. Aveva deciso il titolo dell'opera. Era felice. Gli sembrava particolarmente rappresentativa del suo stato esistenziale del 2017. Immaginò la Terra nella Nuova Era di Luce. Sarebbe stata meravigliosa. Uomini, donne e bambini insieme nell'afflato beethoveniano dell'Inno alla gioia, che, in quel preciso istante, veniva usato dai burocrati neoliberisti d'Europa, come inno dell'unione. «Afferra. Demolisci. Svuota e riutilizza» scrisse l'uomo pensando alle strategie dei potenti e a come Beethoven avrebbe aborrito la falsità meschina di quella Unione europea, lui, che era tutto integrità e coerenza. Seán era ben conscio, grazie alle tante profonde analisi sviluppate con Sinéad, di vivere nell'epoca del mondo alla rovescia, in cui un'opera meravigliosa di un grande musicista veniva usata come glorificazione di una unione di stati che, per dirne una, aveva causato l'aumento serio della mortalità infantile in Grecia. «I Potenti usano tutto per il proprio diletto e per raggiungere i propri scopi» pensò l'artista. L'uomo sapeva che la Nuova Era di Luce sarebbe stata l'approdo di un lungo viaggio, in cui la maggior parte dell'Umanità avrebbe combattuto pacificamente quello stato di cose. Ci sarebbe voluta tanta determinazione. Forza. Coraggio. I signori del Pianeta non avrebbero concesso nulla, non sarebbero indietreggiati neanche di un millimetro. Seán questo lo sapeva benissimo. Era di là da venire la genesi di una forza politica che si occupasse dei bisogni e desideri degli ultimi. Il Capitale aveva sventrato tutto, anche gli ideali politici. La sua lingua era vuota. Esprimeva tutto e il contrario di tutto. I teatranti in politica erano osceni. L'uomo guardava il mondo costruito intorno alla merce e si indignava. Sapeva che le legittime aspirazioni degli esseri umani non potessero tacere per sempre. Voleva comporre Musica tenendo presenti questi dettami. La sua Arte voleva essere militante. Rilesse le ultime righe del suo racconto, trovandole forti. Le sue posizioni erano scomode, per i più. Non sarebbe mai salito sul carro dei vincitori di quel sistema che sfrutta l'uomo e lo rende un automa. Lui lo sapeva. Era conscio di scrivere per una minoranza di persone, liberate. Pensò alla sua nuova Sinfonia, Homeland e a quanto fosse necessaria una Landa del cuore, per sentirsi uomini. Immaginò di spedire il racconto a Sinéad, per avere un suo parere: in fondo, scriveva per lei. Il vento sferzava gli alberi. Chissà che tempo avrebbe incontrato a Cork? Non vedeva l'ora di riabbracciare il suo ragazzo. In Aindreas vedeva già i tratti di un uomo. Doveva comprare le patate. Quella sera le avrebbe cucinate con la sua compagna, giocando al piccolo cuoco. Era in trepidante attesa della partenza. Tutte le volte che arrivava quell'ora, non si sentiva mai pronto. Si mise il suo anello. Era un piccolo oggetto che gli aveva regalato la sua compagna, due anni prima. Lo indossava con fierezza. Gli attribuiva la proprietà di portar fortuna. Non se ne separava mai, durante i viaggi. Quella era la sua ultima giornata a casa. Sarebbe ritornato dopo quattro giorni. Consultò l'orario dei treni, come ultima verifica. Si fece un prospetto cartaceo dell'itinerario. Voleva finire la pagina del racconto. Era in attesa di idee. Considerava assurdo che, dopo diversi millenni, si discutesse ancora di diritti degli uomini e si facessero ancora guerre. Desiderava che Sinéad leggesse le sue pagine. In fondo, un artista crea per la propria Musa. Non altri. Ascoltò il canto di un uccello, pensando fosse meraviglioso. La quantità di Luce era aumentata. C'erano dei chiaroscuri evidenti. Si accese una sigaretta. Il cielo era lindo. Le rare nuvole si spostavano con rapidità. Aprì le finestre e sentì nitidamente il suono della risacca dell'oceano. Abitare in riva al grande mare era strepitoso, per lui. Lo aveva sognato da quando, bambino, suo padre Connor, la domenica, lo portava sul suo peschereccio. Pensò a Puella Silvae, che combatteva per il proprio benessere. L'uomo la leggeva sempre con cura. «Quanti sforzi per essere finalmente felici!» vergò nel proprio quaderno rosso. Il suo nucleo era in cammino. Tutti lottavano. Tutti desideravano stare bene, nonostante le battaglie e le cadute. Seán aveva definitivamente detto basta all'ipocrisia. Non si raccontava più bugie da anni. Non voleva più sentirsi sporco. Fece una pausa. Stava scrivendo parole da ore. Qualche giorno dopo, tornò da Cork. Il soggiorno nella città, nella quale si era rifugiato dopo la giovinezza a Belfast, era stato stupendo. Era stato in compagnia di Aindreas e sua madre. Aveva cenato con gli amici. Si era dedicato a una pagina per pianoforte, che avrebbe fatto confluire nel primo Movimento della sua nuova Sinfonia. Nella cucina, spesso, vedendo sua madre seduta a guardare la televisione, l'artista la abbracciava da dietro, le accarezzava i capelli e la chiamava con un nomignolo affettuoso. Era importante, per lui, essere in sintonia con la propria madre, nonostante tutti i dissapori che c'erano stati in passato. L'uomo aveva compreso che, per essere in armonia con se stesso, doveva far pace con tutta la propria storia. Così fece, in un processo lungo e tortuoso, durato secoli. Aindreas cresceva bene. Seán era molto fiero di lui. L'uomo esortava suo figlio ad essere se stesso, senza filtri o strategie. Non avrebbe mai sopportato che il ragazzo indossasse delle maschere. L'autore tornò felice a Galway. L'artista, il mattino seguente, si mise all'opera. Aveva trascritto la pagina per pianoforte composta a casa di sua madre, inserendola nel Movimento. Dopo aver aggiunto un'unità orchestrale, l'uomo riascoltò la composizione, giudicandola interessante. Si preparò un caffè. La giornata era luminosa. L'aria fresca. Provava tenerezza per sua madre e infinito Amore per suo figlio. Aindreas stava diventando sempre più autonomo. Aveva bisogno di un numero di cose sempre più esiguo. Seguì una idea di archi con ritmo lento. La scrisse. Il Movimento era concluso. Creò un file wav e uno mp3 e li riascoltò. Era soddisfatto. Il primo Tempo della «Sinfonia n. 8, Homeland» gli pareva compiuto. Era composto da una dozzina di idee che comunicavano fra di loro. La composizione si apriva e chiudeva con gli ottoni, gli archi e i legni. Ripensò al suo soggiorno a Cork. L'uomo non poteva immaginare gioia più grande del vedere Aindreas bene. Il suo pensiero rapido si mosse verso la sua sceneggiatura per cinema, che si concludeva proprio con una esortazione al figlio. Tutta la sua Arte era autobiografica, assolutamente. Aveva già un'idea per il secondo Movimento della Sinfonia, che avrebbe avuto, come centro tonale, re bemolle. Era stato qualche giorno lontano dalle sue amate carte, perché un brutto raffreddore con tosse lo aveva bloccato. Quel giorno rilesse l'ultima pagina del suo racconto. La sentì bella, cesellata, capace di seguire il suo flusso interno. Si accese una sigaretta, sorseggiando un buon caffè. «Quanta strada ho fatto io» si sorprese a riflettere l'artista. Il suo era stato un percorso di liberazione: dalle catene alla libertà. In fondo, quello che dovrebbe riguardare tutti. Si mise all'opera. Voleva scrivere un po' del suo racconto. Pensò ad Aindreas, il suo pargolo ormai uomo. Lo immaginò come un albero forte. Il ragazzo aveva tutto un mondo interno da esplorare. Spesso Seán avvertiva che i ragazzi facessero difficoltà a leggersi dentro, immersi, come erano, in un turbine di informazioni globali che li lasciavano senza forze. Andava loro insegnata l'arte del silenzio, della rielaborazione dei propri processi interni, affinché il proprio codice fosse chiaro, franco, ineluttabile. L'artista aveva molta fiducia nei giovani, li considerava tutti dei rivoluzionari, con le loro eque istanze di Bellezza, Bontà e Verità. Il mondo, con cui venivano in contatto, era spietato, l'uomo lo sapeva bene, ma confidava nella loro capacità di voler stare bene e costruire un cosmo a misura di essere umano, ove gli squilibrati immaturi, votati alla distruzione, venissero posti nella condizione di non generare abomini e distorsioni, con le quali ammorbare tutti gli altri. «Questo mondo ha bisogno di equilibrio, rettitudine, empatia» scrisse fra le righe, nel suo racconto. Voleva star bene e far star bene. Tutte le sue energie erano dedicate alla cura del proprio giardino interno. Si era proclamato incapace di ferire. «Far male mai» pensò, mentre ascoltava gli uccelli lungo il viale, dal suo studiolo. L'Umanità avrebbe trovato il suo sentiero, come un fiume trova la via per il mare, questo, Seán, lo sapeva benissimo. Il grande interrogativo era: «Quando?». Per quanto tempo ancora si sarebbero dovute sopportare angherie e soprusi, devastazione e squallore? Questo mondo mercificato gli faceva ribrezzo. Lo aborriva. Anche le canzoni della radio erano diventate inascoltabili, perché tutto era diventato merce. Tutto si vendeva. Tutto si comprava, ma l'Arte era lì in piedi, splendida come sempre, ad indicare la via a chi volesse creare davvero. In un sistema che si occupa della subitanea soddisfazione dei bisogni più primitivi, codificare segni d'Arte era davvero difficile. L'uomo era consapevole del proprio destino di creativo. «Questa è un'era di transizione» vergò l'artista sul suo quaderno rosso. Il cammino sarebbe stato duro, ma la meta meravigliosa. Cercò di finire la pagina del racconto. Si mise in ascolto. Tutto aveva un senso. Anche le sue perdite avevano contribuito a renderlo ciò che era.
2° Stralcio 3° Capitolo
«No, non hanno ragione loro: l'uomo non può vivere per consumare e accatastare soldi!» scrisse lungo le curve delle linee del suo racconto. Guardò la scrivania. Era piena di appunti. Forse si sarebbe dedicato alla sua Musica. Decise che avrebbe riascoltato l'incipit del secondo Movimento dell'ottava Sinfonia. La fine della pagina del racconto era lontana. Stabilì che l'avrebbe terminata. Fece un tiro di sigaretta. Pensò a un suo Amico Poeta, Damien, che aveva prodotto una raccolta di liriche, con un titolo splendido. Come proseguire il secondo Movimento della Sinfonia? Cosa aggiungere? Fra le idee, c'era un desiderio di far cantare un pianoforte, in re bemolle maggiore. Seán e Sinéad si erano scambiati messaggi comici su Telegram. Lei, anche quando impegnata, trovava sempre il modo di farlo sorridere. Lui aveva imparato a planare sulla superficie liscia delle cose, con un apprezzabile gusto per la risata. Artista severo ma grande burlone, con i suoi. Questo sì che era il prodigio della sua compagna. L'uomo era il risultato dell'Amore di lei. Lei era la Donna che lui le aveva confermato di essere per quasi dieci anni. Un connubio perfetto. L'idea di pianoforte prendeva corpo. Avrebbe scritto grandi arpeggi per la mano sinistra, con una melodia di mano destra, risultante costituita su una successione di accordi. La pagina volgeva al termine. Seán sentiva ancora gli effetti del suo brutto raffreddore. Si distrasse un istante. Guardò il viale. Quel giorno, stranamente, non sentiva il canto degli uccelli. Si alzò dalla scrivania. Andò in cucina. Bevve dell'acqua. Dopo due giorni, lo avrebbe raggiunto Yòrgos, che sarebbe stato accolto con una prova da grande cuoco. Era felice. Fece una pausa. Aprì la nuova partitura per pianoforte. Si separò dalle sue carte per giorni. Giunse l'amico Yòrgos. Seán lo mise a suo agio. I due fecero passeggiate dense di chiacchiere su tutto. Mangiarono insieme quello che l'artista preparò. Si conoscevano da nove anni e l'uomo considerava il suo Amico greco una persona davvero ammirevole. Tuttavia, nel corso della loro gita alle Cliffs of Moher, Seán avvertì un distacco. I due si erano allontanati. L'artista ragionò fra sé e sé, pensò che l'Amico non dovesse essere necessariamente identico a sé, ma serpeggiava del malumore. Per l'artista, Yòrgos era diventato un tiepido, o forse lo era sempre stato, senza che l'artista se ne fosse mai accorto. Non sarebbe mai sceso in piazza con lui, per la Nuova Era di Luce. Il suo Amico greco desiderava una trasformazione soffice, mentre l'artista sognava una Rivoluzione radicale e questa era la sostanziale differenza fra i due. Seán si sentì profondamente deluso. Scoprì, in ultima istanza, di non avere amici veri, se non ricordi, immagini, legate ad un passato lontano. Per lui, erano tutti difettosi, immaturi, bisognosi di un percorso di rivelazione che molti non intendevano intraprendere. Era diventato davvero esigente e selettivo: le amicizie che gli erano sembrate meravigliose nove anni prima, ora gli parevano mediocri. «Se la Rivoluzione non la fai in te, non potrai desiderarla nemmeno fuori di te» pensò l'artista. L'uomo si percepì totalmente affranto. «Non si può nemmeno parlare di Rivoluzione, figuriamoci se si possa iniziare ad attuarla!». È come se, dopo dieci giorni di deserto senza bevande, tu chiedessi acqua e loro un superalcolico. Le richieste erano diverse. Le risposte le più disparate. Il quadro complessivo dell'analisi dissonante rispetto a quello che l'artista avrebbe potuto immaginare. Seán ne scrisse a Sinéad, che gli diede ragione. Anche per lei, Yòrgos era fuori strada. «Ci ritroveremo sempre più soli» chiosò l'artista in un messaggio Telegram alla sua amata compagna. «Non tutti siamo rossi dentro» gli rispose la sua compagna. C'è anche chi è grigio, o giallastro e non c'è nulla da fare: la Rivoluzione, con alcuni, sarà impossibile. Seán pensò che fosse necessario contarsi. Lo avrebbe voluto scrivere su Facebook: «Quanti rossi siamo pronti alla Rivoluzione?», ma in troppi non avrebbero nemmeno capito. Il sistema aveva vinto a mani basse. Il dilemma dell'artista aveva senso. Tutto gli diceva che stava sbagliando. Tutto gli confermava che gli altri erano altrove. Tutto gli attestava la vittoria della merce sull'uomo, ma lui sapeva che una guerra, quando è giusta, va combattuta anche da soli. La visita di Yòrgos, per Seán, fu rivelatrice. Il suo Amico greco non era uno dei tanti, bensì uomo intelligente ed analitico e se l'urgenza di una Rivoluzione umana e culturale non la avvertiva nemmeno lui, il sistema aveva davvero sbaragliato tutti i suoi antagonisti. Finì in quei giorni il secondo Movimento dell'ottava Sinfonia e lo giudicò compiuto. Di lì a poco si sarebbe mosso con l'inizio del terzo Movimento, lo Scherzo, che avrebbe intitolato «Il dilemma». L'artista era profondamente stanco. Dover mantenere una parvenza di simpatia e affetto con il suo Amico greco, di cui in quel momento non pensava cose buone, lo aveva annientato. «... E questi sono quelli bravi, figuriamoci i cattivi!» si sorprese a pensare, in un istante di tristezza. Nella società atomizzata non c'era spazio per la speranza, ora lo sapeva. Nessuno, o quasi, guardava oltre il proprio naso. Mancava una visione d'insieme. Mancava il coraggio. Mancava la voglia di stare bene. Ci si era rassegnati a vivere la propria esistenza al ribasso... Ognuno si crogiolava dentro un malessere più o meno palese, che diventava casa. «Che tristezza...» scrisse sul proprio probo quaderno rosso, ormai definitivamente logorato da brutti pensieri. «Loro non sono come noi» vergò in un messaggio Telegram alla sua compagna. Lei gli rispose: «Pazienza, faremo da soli». A quel punto era vitale ed essenziale occuparsi del proprio nucleo. Il mondo sarebbe crollato, ma il rifugio certo del cuore no. Era diverso il sistema di riferimento. Erano diverse le coordinate. Era diversa ogni cosa. Seán ammutolì, in un silenzio interno davvero assordante. Se non poteva comunicare idee rivoluzionarie con quello che lui considerava un buon Amico, i giochi erano fatti. L'inerzia delle persone e la pressione del sistema avevano creato un muro, apparentemente impossibile da scalare. L'artista sapeva che nulla fosse irreversibile, in Vita. Si assentò per andare a comprare le sigarette. La sua pagina affranta volgeva al termine. Tornò, dopo aver salutato i suoi conoscenti e si rimise all'opera. Quella visita di Yòrgos aveva maturato in lui una certezza: non aveva Amici, solo conoscenti. Aveva qualche fratello d'elezione, la cui immagine interna nulla avrebbe scalfito. Era desolato, quel giorno, davvero. I suoi unici sorrisi erano per Sinéad ed Aindreas. Il mondo gli aveva tolto quasi tutto. Incredibile. Inaccettabile. Assurdo. Si consolava pensando che, fra le pieghe del Genere umano, ci fossero tanti come lui, ma era una speranza, non una certezza. Sentiva forte il desiderio di staccarsi da tutto quello che allora conosceva. Portare in salvo il suo nucleo era fondamentale. Desiderava la pace. Sperava di vedere un mondo nuovo, diverso, dove gli egoismi venissero messi a tacere. Era curioso. Voleva vedere dove sarebbe arrivato tutto quell'ordine di cose. Guardò l'orologio. Era tempo di occuparsi della cucina. Ancora non sapeva se Sinéad lo avrebbe raggiunto per cena. Era così stanco e cogitabondo che gli pesava lo stesso pensare. Avvertì netta la voglia di fare un profondo silenzio in sé, digerire l'intero dilemma e tornare a sperare in una realtà migliore. La pagina era finita. Ultimi ticchettii del Mac. Ultimo tiro di sigaretta. Era solo un artista. Solo, contro il sadismo di un sistema ottuso e carnefice, che, ogni giorno, contava le vittime di nuovi attentati terroristici e guerre. Nel pomeriggio seguente, si rimise a scrivere. L'idea di Yòrgos veniva ridimensionata progressivamente. Era tutto concentrato sulle sue cose. Pensò al terzo Movimento dell'ottava Sinfonia, lo Scherzo, che, come da giorni pensava, avrebbe intitolato «Il dilemma». Cercava di focalizzare la musica interna. Il suono dei tasti del Mac lo aiutava. Lo Scherzo se lo immaginava bello, con un'alternanza di tonalità maggiori e minori, come vuole il concetto di dilemma. Doveva scegliere la tonalità d'impianto della composizione, che credeva opportuno fosse sol diesis minore, come per il primo Movimento. Aveva in mente una continua mescolanza fra sol diesis minore e la bemolle maggiore, perché il suo non era un dilemma infernale, ma una domanda che sfociava in una risposta buona, bella. Pensò a Sinéad. Quel giorno ricorreva l'anniversario del loro fidanzamento. Nove anni di puro Amore. Seán era entusiasta. Non aveva mai amato tanto a lungo qualcuno. Non si era mai potuto permettere di denudarsi, come con la sua compagna. Non desiderava altro che lei. «Che creatura poderosa la mia Sinéad!» scrisse sul suo quaderno rosso, ormai immancabile compagno, turibolo di tutti i suoi pensieri. Era stata lei il motore della sua creatività. Lei aveva generato in lui tutti i suoni e le parole degli ultimi nove anni. Nonostante ciò, l'uomo avvertiva che la cosa più bella sulla sua compagna la dovesse ancora scrivere. Era questa tensione verso l'infinito, questa voglia di immortalarla, la vera Vita di Seán... Un artista crea per la sua Musa. Quando lei ascoltava le sue composizioni o leggeva le sue parole, sentendole vere e belle, l'artista era al settimo cielo. Bevve un po' di caffè. Si accese una sigaretta. Lui, fra le odiose rovine del nulla, con una matita in mano... Sorrise, mentre scriveva quanto fosse fortunato come uomo ad avere una compagna ed un figlio. Voleva scoprire dove portasse il proprio sentiero. Si soffermò a guardare il viale. C'era aria di pioggia. Pensò a suo figlio. Lo avrebbe riabbracciato nel giro di una decina di giorni. Il male era lontano. Tutte le volte, in cui aveva rischiato di perdere il proprio Sé più profondo, si erano dileguate, come ombre nella notte. Aveva una esistenza, davanti a sé, piena di desiderio di far bene. Era lieto. Non avrebbe mai preso parte ad un partito politico di maggioranza e avrebbe atteso la rinascita della Pulcritudine umana. Per Seán, l'Umanità aveva ancora tanto da dare. Immaginava il suo canto più bello sui tetti delle case, nelle piazze, nei teatri... «Non devono continuare a distruggere e vincere. Ci sarà un sentiero nuovo, per chi voglia edificare» vergò nella pagina del racconto che stava scrivendo. Si ricordò di un caro Amico che gli diceva: «Non smettere mai di indignarti per le ingiustizie del mondo!». Sorrise. Aveva conosciuto un altro essere straordinario e lo portava nel suo cuore. L'artista si sentiva ricco. Non gli mancava nulla. Nel suo Gotha, c'erano individui meravigliosi. Era per loro che poteva continuare a vivere e sperare... Aveva, nel tempo, imparato a conservare le persone che amava nel suo mondo interno. Sapeva, in quel momento, che se anche una persona non la si vede più, rimane comunque nella Psiche, come immagine interna. Questa era stata, probabilmente, una delle più grandi conquiste del suo essere adulto sano. Considerava la tensione alla sanità indispensabile. Necessaria per tutti. Chiave di volta della Vita umana. «Quanti vogliono curarsi davvero per tendere ad avere un equilibrio sano e propositivo?» si interrogò l'uomo, che, intorno a sé, vedeva molti segni di una immaturità psichica davvero brutale. Occorreva coraggio. Coscienza. Amore per se stessi e gli altri. Il percorso di cura è lì per tutti, ma va intrapreso. L'Umanità era soggiogata dalle sue più basse spinte. C'erano pochi uomini e tanti fanciulli irrisolti. Pericolosi. Distruttivi. L'autore osservava tutto. Seguiva le sorti del Pianeta. Il giorno prima, a Parigi, c'era stato un nuovo attentato terroristico. Ormai, di questi eventi, non se ne conservava neanche più il ricordo, tanto velocemente venivano fagocitati dai media. «Questo mondo mostruoso non potrà perpetrarsi in eterno, ci dovrà essere un'evoluzione» scrisse l'uomo nel suo racconto, cui era sempre più legato da un sentimento d'Amore, dacché, in esso, lui stava narrando la sua Verità. Voleva giungere alla fine della pagina. Raccolse le idee. Aveva imparato a non dare nulla per scontato. Decise che si sarebbe mosso con molto tatto. Non voleva ferire nessuno, ma, al contempo, desiderava essere fuori dalla portata dell'azione dei malvagi. La sua era una storia di liberazione. Aveva sfrondato, dal suo albero, tutti i rami patogeni, ed era rimasto in compagnia di pochi. «Questo è vivere» scrisse sul suo quaderno rosso, amico fedele, che si stava rivelando il diario dei suoi sentimenti. Sarebbe andato a fare due passi, in centro. Poi avrebbe telefonato alla sua compagna. Era in allerta. Codificava e decodificava. Non aveva più paura... Aveva imparato ad accettarsi con la propria finitudine. Era un essere armonioso. Guardò la scrivania. Tutte quelle lettere e suoni, testi scritti di getto, in fogli di carta, gli misero allegria. Il giorno dopo, rilesse le ultime pagine del racconto, ci si ritrovò, decidendo di proseguire. La sua Sinfonia era ferma al secondo Movimento. Non aveva ancora scritto neanche una nota del terzo. Era in attesa dei suoni dal suo mondo interno. Sapeva portar pazienza. Aveva sentito il suo nucleo, al telefono. La madre stava bene. Aindreas era impegnato in un lavoro estivo. Sinéad era in forma. Non poteva desiderare altro. Il ticchettio dei tasti del Mac gli parve la stesura, nero su bianco, dei suoi pensieri più intimi. Nel pomeriggio sarebbe andato a fare spesa. Si era dato delle dimensioni da rispettare, per il suo racconto, ed era a metà del terzo capitolo. Andò a sorseggiare del buon caffè, in cucina. Si soffermò a pensare a tutto quello che aveva scritto fino a quel momento. Pensò a come il suo racconto nuovo si sarebbe inserito nella sua produzione artistica. Decise che, in quella opera inedita, non ci fosse spazio per parole roboanti, ma solo per termini veri e semplici, perché Pulcritudine sa essere essenziale. Il dilemma che lo aveva devastato, nei giorni precedenti, stava cedendo il passo a una nuova consapevolezza: tutto sarebbe stato come la somma delle decisioni e degli eventi avrebbe portato. Inutile affannarsi, dunque. Seán lo sapeva, da un po'. Quel giorno, l'otto Giugno 2017, iniziava ufficialmente il decimo anno di fidanzamento con la sua compagna. Avevano vissuto insieme secoli di vita, densissima. Avevano comunicato tanto, nei nove anni precedenti. Erano due esseri particolari. Sinéad aveva una storia da guerriera, alle spalle, prima di conoscere il suo artista. L'uomo, invece, da superstite. Insieme, era come se si portassero dietro centinaia di anni di eventi e lotte. La loro comunicazione aveva una profondità, pur nel gioco, davvero ragguardevole. Quando la incontrò, nove anni prima, l'artista non sperava più di poter conoscere qualcuno con cui condividere tutto. Lei, invece, sperava di vivere l'Amore vero. Il loro incontro fu una rivelazione. Seán non immaginava di poter comunicare allo stesso modo con un'altra persona, che non fosse lei. Sinéad non lo avrebbe scambiato con nessun altro al mondo. Un sodalizio forte. Attento. Intelligente. Erano entrambi consapevoli della fortuna di essersi trovati. Per l'artista, lei era sacra.
2° Stralcio 4° Capitolo
Non aveva intenzione di cedere alla tentazione di mollare tutto e rinnegare la sua idea di Umanità alta. Non avrebbe più voluto trovarsi nella condizione di vacillare. «Troverò la forza per fare tutto bene?» si chiese, lievemente preoccupato. Attendevano lui e il suo nucleo piccole e grandi sfide cui non ci si sarebbe potuti sottrarre. Aindreas cresceva e diventava uomo, con tutte le dinamiche della giovinezza. Sinéad aveva una madre anziana, che, forse, un giorno, avrebbe avuto bisogno di amorevoli cure. La madre di Seán stava invecchiando ed era necessario farla stare bene. L'artista concluse la pagina. Si ritenne soddisfatto. Le sue lettere erano sempre più specchio fedele del suo mondo interno. La parola continuava a salvarlo. I suoi pensieri non cessavano di ricucire ferite. «Chissà come sarà il domani?» scrisse, sul suo quaderno rosso, intriso di gioie e rivendicazioni. Andò a telefonare alla sua Sinéad, chiedendole come avesse trovato le prime pagine del racconto. Nel fine settimana, i due viaggiarono molto, per le varie contee. L'artista dimenticò le sue carte, per due giorni. Si rimise a comporre il lunedì. Il quarto Movimento dell'ottava Sinfonia era arrivato alla dimensione dei nove minuti. Non mancava poi tanto all'ultima nota, almeno nella testa di Seán. Infatti, con qualche ora di studio e composizione, terminò la composizione. L'ultimo Movimento, infatti, aveva raggiunto la dimensione temporale che l'artista voleva. Salvò il file e postò la Sinfonia conclusa su uno spazio virtuale, dove tutti l'avrebbero potuta ascoltare. La sera, andò a festeggiare con Sinéad. Era allegro, la mattina dopo. «Homeland» gli parve una Sinfonia compiuta. Per l'ultima parte dell'opera, inoltre, aveva pensato intensamente all'accordo come tema. C'erano diversi agglomerati polifonici che l'artista sentiva come idee vere e proprie e aveva sviluppato questa tensione fino ad esserne appagato. Pensò che tutta l'ottava Sinfonia, «Homeland», fosse una successione di accordi e fu lieto di questa sua sintesi. Aveva scritto una breve presentazione nel suo sito personale, per condividere, con i visitatori, la gioia della nascita di questa sua nuova creatura musicale. «Dopo una gestazione di un mese e undici giorni, la Sinfonia «Homeland» è nata. Sono davvero felice. Nuovi segni, per nuove idee» scrisse in una pagina del suo racconto, che desiderava fosse Arte ribelle. Bevve del buon caffè e si accese una sigaretta. C'era una parte di sé che voleva riposare, mentre un'altra lo esortava a scrivere il suo racconto. Era a metà pagina. Si soffermò a guardare particolari del suo ambiente. Si voleva percepire libero. Fece una pausa. Non aveva idee. Comporre l'ottava Sinfonia era stato impegnativo. Il giorno dopo, rilesse le ultime tre pagine del quarto capitolo del racconto, si sentì soddisfatto del ritmo della narrazione e decise di scrivere. Il quarto Movimento di «Homeland» lo aveva completamente assorbito, in quell'ultimo arco temporale. Era felice. Il suo processo creativo andava avanti. Avrebbe portato tanti segni d'Arte nella Nuova Era di Luce. Osservò la metà della pagina vuota, davanti al monitor del suo Mac. Pensò al contadino che semina. Anche lui seminava. Cospargeva il terreno del terzo Millennio di parole e suoni. Sperava che, un giorno, qualcuno avrebbe riscoperto le sue opere, giudicandole buone... Fece una pausa. Decise di andare in centro. Spesso sognava di affidare la sua Arte ad Aindreas, in punto di morte, con la preghiera di diffonderla. Una proiezione onirica davvero significativa. Lesse qualche news da Facebook. La meschinità avanzava inesorabile e, con essa, una sorta di psicopatia collettiva, su vasta scala, si faceva largo. Seán guardava negli occhi la ferocia. Non la voleva temere più. La Nuova Era di Luce avrebbe spazzato via tutto quel male... I bambini sarebbero tornati lieti a giocare per strada... L'uomo non sarebbe stato più nemico dell'uomo... C'erano, nel mondo, importanti manifestazioni contro il pensiero unico dominante. L'artista le seguiva con interesse. Stava cercando, fuori da sé, segnali di una rinascita della Bellezza dell'essere umano. Era in ascolto. Provava a captare nuove tensioni dell'Intelligenza umana. «Quelli come me non si rassegnano mai. Tentano. Scrivono. Sognano» pensò l'uomo mentre osservava, attraverso la finestra, il viale. L'estate gaelica era arrivata, gravida di incertezze, fra acquerugiola finissima e tratti di sole, con le scogliere che brillavano della Luce dell'oceano. Da quando aveva postato la sua «Homeland», in rete, non l'aveva più riascoltata. Era come se lui decidesse di dimenticare, per poi stupirsi quando sarebbe tornato ad ascoltare. Era un processo a lui noto. Si staccava dalle proprie opere, per poi guardarle con maggiore obiettività, all'adeguata distanza. Nei giorni precedenti, aveva fatto una passeggiata al mare, con Sinéad, ed aveva trovato l'oceano bellissimo, con quella sua voce profonda e grave. La sua compagna era una creatura marina. Adorava il contatto fisico con l'acqua e questo tratto la accomunava ad Aindreas, che era un vero pesce. L'artista guardò la fine della pagina che gli si prospettava innanzi. Mise un punto ad un periodo finale. Sentì il ticchettio dei tasti del Mac, leale, intimo, essenziale. Era come se la macchina accompagnasse il suo pensiero, nello sviluppo e nella chiusura. Seán rimase in silenzio, dinnanzi alla sua pagina scritta. Aveva dei pensieri che non riusciva a catturare, tanto si muovevano rapidamente nella sua testa. Si alzò dalla scrivania e andò in cucina. Bevve dell'acqua. Ripensò a «Homeland», la sua ultima fatica musicale, che, per più di un mese, aveva assorbito tutte le sue forze, mentali e fisiche. C'è un gesto atletico, che non viene mai tenuto in considerazione: lo stare a scrivere con tutte le fibre del proprio corpo. Sorrise. Meditò un istante sul proprio destino di artista. Le notizie dal mondo sottolineavano come ci fosse una maggioranza in confusione che aveva perso di vista il vero Bene. L'uomo non sarebbe mai tornato ad una condizione di caos, che aveva abbandonato da anni. Sapeva che la spinta a voler star bene potesse partire solo dall'individuo in questione. «Ci si libera nel rapporto con il mondo, grazie allo scambio, ma nessuno salva nessuno. O il cambiamento parte da te, o non parte. Devi essere stufo di star male, però» scrisse l'artista, con profonda serietà. «Ma questa Umanità non è già esausta? Non desidera altro dalla propria Vita? Verrà un giorno in cui donne, uomini e bambini, rialzeranno la testa e scruteranno un orizzonte nuovo» vergò l'artista, nella nuova pagina del racconto, che l'uomo sognava di donare al proprio vecchio editore. I periodi tardavano a compiersi, nella sua mente. Scriveva con un ritmo lentissimo, ma non demordeva, voleva mettere, nero su bianco, tutto quello che stava seguendo la sua Psiche. Pensò a suo figlio. Il ragazzo si stava impegnando in un lavoro estivo per mettersi da parte dei soldi per il futuro. L'artista era commosso da ciò. «Come i giovani affronteranno un mondo neoliberista che li vuole schiavi?» si interrogò Seán, sempre più preoccupato per la situazione globale... Le generazioni passate avevano grandi responsabilità, l'artista questo lo sapeva. Per troppi anni si erano scelti individui terribili che avevano ridotto l'Umanità allo stato di automa. «... E questi splendidi figli dell'Umanità, così forti e curiosi, che vogliono una Vita bella e che sono disposti a combattere, cosa faranno? Si appiattiranno o marceranno verso la Nuova Era di Luce?». L'uomo non voleva nemmeno prendere in considerazione l'immagine dei giovani fiaccati nelle loro potenzialità dai dettami del capitale. L'artista rilesse questo suo ultimo periodo, lo sentì compiuto e giunse ad un nuovo punto. Al suono della barra spaziatrice, si sentì sollevato, perché stava trattando, in quello scampolo di racconto, un argomento che gli stava davvero a cuore. «Pensare che, al mondo, ci sarebbe spazio per tutti e ognuno potrebbe vivere dignitosamente, coltivando le proprie passioni...» scrisse sul proprio quaderno rosso, memoria ormai indispensabile dei suoi percorsi mentali. La giornata era tranquilla. L'artista era nella sua casa, che gli piaceva sempre più. Non sarebbe uscito. Ripensò alla sua ultima Sinfonia. Era compiuta. Era sicuro che, quando l'avesse riascoltata, l'avrebbe trovata perfetta. Seán scriveva. Era l'unica cosa che sapeva fare. Era testimone di una svolta epocale: la nascita della Nuova Era di Luce dalle ceneri di un sistema di potere velenoso che annienta gli inalienabili diritti dell'uomo. In realtà, per come la vedeva l'artista, il capitalismo era già morto. Lo tenevano in coma farmacologico per continuare a lucrare. Si trattava soltanto di capire quanto tempo ci avrebbe impiegato l'Umanità a dirigersi verso un sistema di Vita più giusto. L'artista scriveva del tempo che sarebbe stato. Gli tornò alla mente una frase latina che diceva che nessun regno malvagio dura in eterno. Il suono dei tasti del Mac chiuse questa sua considerazione. L'uomo era in attesa di qualcosa di straordinario. Gli inganni del sistema sarebbero stati tutti smascherati, un giorno che l'artista sentiva prossimo. Tutti li avrebbero guardati chiamandoli con il loro nome. L'uomo avrebbe tanto voluto essere presente in quel momento. Assistere a cortei pacifici in tutto il mondo in nome di una Nuova Era di Luce. Scendere in piazza con Aindreas e Sinéad ed acclamare Verità, Bontà e Bellezza. L'uomo era a tre quarti della sua pagina. Aveva come obiettivo quello di concluderla. Si soffermò. Quando scriveva della Nuova Era di Luce, era invaso da una tale gioia, che tutto gli pareva possibile... «Se l'artista non creasse la tensione verso il vero Bene, allora la sua creazione sarebbe inutile» sentenziò, fra sé e sé, sempre più lieto della propria condizione di uomo libero.
2° Stralcio 5° Capitolo
... La Musica mi tiene compagnia, scandendo il mio tempo e plasmando la mia visione delle cose. Da poco, ho riascoltato la mia ultima composizione e sono molto soddisfatto. C'è il mio mondo lì dentro, fra gli spazi di una partitura che diviene cosmo, ordinato, candido, architettonico. I suoni pensati nella mia mente mi fanno stare bene. Gli uomini, fuori dalla mia casa, troppo spesso, mi generano perplessità, su cui non indago. Sono io, qui, con la mia Arte. Non c'è nessuno che mi possa disturbare. Sento energia positiva. Percepisco, in me, un mondo buono. Fuori, per me, non c'è niente. Tutto ciò di cui ho bisogno è in me. Scrivo messaggi spiritosi alla mia Donna. Lei mi risponde con grazia di bambina che gioca. La giornata è plumbea, ma dentro ho Luce. Mio figlio è un incanto. Vorrei tanto che la Vita non lo mettesse a dura prova, ma qualche caduta sarà inevitabile. Mia madre sta bene, anche se combatte con la solitudine. Vorrei aiutarla di più, ma il mio posto è qui a Galway. Combatterò per loro. Il mio nucleo è piccolo. I pochi amici, che ho, sono tutti altrove. Mi pongo l'obiettivo di non dare fiducia a chi non se la meriti. Senza le persone che amo, sarei completamente solo e nudo, di fronte all'avanzare della mediocrità. Non voglio più permettere a nessuno di farmi a pezzi. Se intendi porre la giusta distanza fra te e il male, la Vita sa essere meravigliosa. Ora salvo il file del terzo Movimento, poi lo spedisco a Sinéad. Voglio che quest'autunno sia all'insegna della Bontà. Ho imparato a raccontarmi la Verità, sempre e ad ogni costo. Seguo quel sentiero di Bellezza che sento tracciarsi in me dopo ogni scelta giusta. Ho quarantatré anni, voglio stare bene. Desidero continuare a nutrirmi di sano cibo per la mente. Leggerò, da qualche parte, quando collasserà questo vecchio mondo marcio, per camminare gaio in mezzo a tutti i costruttori della Nuova Era di Luce. Non c'è altro da fare. Ognuno lavori al proprio uliveto: ci incontreremo. Abbiamo una sola Vita per esperire l'Infinito. Non possiamo buttarla nell'immondizia. Io bramo essere felice, con le persone che amo». La sera della conclusione della Sinfonia, Seán era lieto e i pensieri rapidi scorrevano nella sua mente. «Ho donato al mondo qualcosa di davvero degno!» pensò. L'artista spense la sigaretta. Ascoltò il suono del vento carezzare le foglie degli alberi. Respirò. Gli parve la prima boccata di ossigeno dopo una lunga apnea. Aveva dato alla luce la sua decima Sinfonia, «Acqua», affidandola al variopinto cosmo del web. Avrebbe festeggiato con la sua amata. Era stanco, sporco e si doveva preparare per la serata. Gli bruciavano gli occhi. Aveva composto per sei ore, in quella mattinata. Gli tornò alla mente la melodia del sax tenore che chiudeva il quarto Movimento della sua nuova creatura musicale. Sorrise, come colui che vince e si gode il meritato riposo dopo una dura battaglia. Quello che davvero lo sorprendeva della nuova Sinfonia era l'architettura, così complessa da generare, in lui, densi calcoli matematici, senza soluzione di continuità. La sua pagina di racconto volgeva al termine. Si accese una sigaretta in una mattinata radiosa, dopo aver sorseggiato il suo caro caffè amaro. Il suo processo creativo avanzava inesorabile. Viveva e creava, in un turbine mentale che gli faceva apparire il tempo scandito dalle parole e suoni che scriveva. Era circondato dagli affetti più sani della sua intera Vita, che si era costruito con tanta fatica ed abnegazione. Il pianoforte del terzo Movimento della decima espose il suo tema, in quell'ora della sua fresca giornata. Giunse la risposta degli archi. Il Movimento iniziava con una triade eccedente, un tipo di accordo che crea sempre una certa sospensione. Il pianoforte lo ribadiva più volte, per creare un effetto di dissonanza che sapesse procedere in avanti. E poi, ecco gli ottoni, con il loro caldo impasto. L'artista era davvero felice di riascoltare i suoi suoni. Non gli interessava più l'audience delle sue opere. Non scriveva per piacere, ma per esporre, in tutta sincerità, il proprio mondo interno, convinto che, un giorno, la propria Arte avrebbe fatto da specchio a nuovi esseri umani. Era certo che, in un futuro magari prossimo, qualcuno lo avrebbe riconosciuto, attribuendogli gli onori che si devono ad un precursore della Nuova Era di Luce. Non viveva più, in questo senso, nell'era del tecnocapitalismo dilagante, ma in quella cantata nelle sue opere, in un regno di equità e Bellezza davvero sconvolgenti. Riascoltò il terzo Movimento di «Acqua» da capo. Gli interessava rivisitare mentalmente il percorso che l'aveva portato a quella triade eccedente, posta all'inizio, come a voler subito mettere in luce un contrasto, un nodo forte che, prima o poi, nel corso della composizione, si sarebbe dovuto di certo sciogliere. All'uomo la sospensione parve perfetta. Tutta la Sinfonia gli sembrò compiuta. Il Movimento era, di fatto, un brano per pianoforte e orchestra, in forma di Scherzo beethoveniano. Il ritmo ternario era incalzante. Seán pensò al suo autunno. Lo voleva bello. Sperava di non essere afflitto da troppe preoccupazioni. Guardò la sua tastiera musicale con sopra il quaderno pentagrammato aperto. Sulla scrivania c'era tutto il suo universo. L'artista aveva uno spazio sacro, nel quale non avrebbe fatto entrare nessun malvagio. Parole e suoni... Questo era il suo incanto... Ripensò alla sua amata Amica, venuta a mancare in quella estate, spezzando il cuore di molti che l'avevano sempre considerata una guerriera del vero Bene. Crón lasciava una eredità morale vivissima, un modo di concepire il Bene che non conosceva compromessi, in una ricerca che abbracciava tutte le sfere della Vita umana, che lei sapeva poter essere splendida, una volta operate le giuste scelte fondamentali. Il giorno prima, l'autore aveva scritto a Yòrgos, che stava affrontando il lutto. Nel suo piccolo studiolo, l'artista aveva un tavolo di legno, che gli piaceva molto ed era diventato di fatto la sua scrivania. Era rettangolare e sulla sua superficie c'era il cosmo dell'artista: la tastiera musicale, i quaderni, il probo diario, il metronomo, il Mac ed una lampada, la cui luce irradiava tutta la scrivania. All'uomo non serviva altro. Era davvero spartano. Giunse a metà pagina del suo nuovo racconto. L'artista avrebbe mandato questa sua nuova opera letteraria, una volta conclusa e cesellata, a qualche editore, sperando nella pubblicazione. Forse avrebbe spedito il manoscritto all'editore che nove anni prima lo aveva pubblicato, dacché gli piaceva quell'idea di continuità e sapeva quanto quella ipotesi avesse un profondo senso artistico, conscio della vasta cultura letteraria che dimorava fra le stanze di quella casa editrice. Nove anni prima, un giorno di Aprile, l'uomo ricevette una mail da quell'editore, nella quale si diceva che, per la narrazione ed il ritmo che l'artista era riuscito a conferire al suo primo racconto, tenendo presente che l'opera si rivolgesse alla sempre più esigua schiera di lettori attenti, quella casa editrice era pronta a pubblicarlo. Il compositore ricordò con quanto entusiasmo corse in cucina, abbracciò sua madre ed esclamò: «Mamma, ci pubblicano!». Era al settimo cielo. La consacrazione del suo stato di artista... Anni ed anni di duro lavoro... Tutto premiato in poche righe di una mail dal valore storico... Il solo di tromba del quarto Movimento lo distrasse, dacché, anche in quella sezione, c'era una dissonanza magnifica, ai suoi orecchi. Poi il sax tenore, caldo ed avvolgente, che muoveva lungo le curve di una melodia sorretta dalle armonie di pianoforte e sintetizzatore. Ciò che quella mattina colpì l'artista era che la sua nuova Sinfonia avanzava leggiadra, senza avere intralci. Fluiva candida e i movimenti erano tutti intimamente connessi. L'uomo era davvero contento. Sapeva che stava migliorando, nota dopo nota. Tutto scorreva, nelle sue vene. Gli archi della coda del quarto Movimento era davvero belli, luminosi, densi. Seán terminò l'ascolto. Rimase in silenzio, tenendo ancora le cuffie. Sentì che il fruscio stradale era ricominciato. Le prime auto, le prime persone che al mattino presto si recano a lavoro. Si tolse le cuffie e poté ascoltare il suo caro ticchettio dei tasti sopra la superficie della tastiera del Mac. Pose un punto. Ascoltò il suono della barra spaziatrice emettere un lieve rumore, che lui considerava la chiusura di un pensiero. Era gaio. L'ascolto della sua «Acqua» lo aveva galvanizzato. Aveva scelto anche delle belle definizioni, per i titoli dei Movimenti della decima Sinfonia. I quattro tempi erano:
1. I° Movimento, “Acqua”, Allegro maestoso
2. II° Movimento, “Cristalli d'Acqua”, Adagio, con passione
3. III° Movimento, “La casa dell'Acqua”, Andante, con moto
4. IV° Movimento, “Sogno acquatico”, Adagio possente, Andante brillante
L'artista sorrise, dopo aver scritto i nomi dei Movimenti. Il primo Movimento, quindi, dava il nome all'intera opera e l'autore lo aveva dedicato ad un uomo speciale, un marinaio, conosciuto tramite la sua Sinéad. Il ragazzo in questione aveva avuto una drammatica esperienza di Vita ed era sopravvissuto. Aveva deciso di dedicarsi alle proprie passioni e spesso solcava i mari con la sua barca in cerca dell'incanto perfetto dell'uomo immerso nella Natura. La dedica lo definiva «Il Capitano». Spesso l'artista si chiedeva come sarebbe stato navigare. Era attratto dalla Bellezza sconfinata del mare. Sognava, talvolta, di morire, ormai vecchio, su un'isola greca, davanti ad uno splendido tramonto... Il silenzio lasciato dalla Sinfonia era magistrale. L'autore spesso rifletteva sul fatto che occorra analizzare bene quel momento in cui finisce una Musica, per capire che messaggi lascino i suoni. La composizione scivolava via, fluida, come acqua. Si ricordò del suo maestro di Composizione che diceva che lui era uno dei pochi ad avere davvero qualcosa da dire... Il suo Máistir, il suo Maestro, che, oltre ad insegnargli l'arte di comporre suoni, lo aveva davvero accompagnato tutta la Vita, con un'Arte maieutica veramente disvelante. L'artista, quel qualcosa, lo stava dicendo da anni... L'autore aveva un grande sogno, per il quale viveva: vedere realizzato il suo film, quello per cui aveva scritto sceneggiatura e colonna sonora. Non per gloria. Non per soldi. Non per potere. Solo per la gioia di sapere di aver scritto qualcosa di bello che avesse potuto comunicare ad altre persone, in tutto il mondo. L'autore, dal suo piccolo studiolo, nella ridente campagna di Galway, focalizzava bene quel momento. Lo visualizzava. Lo immaginava. Si accarezzò la barba, quella mattina, fra il ticchettio dei tasti del Mac, come faceva sempre quando pensava. La barra spaziatrice emise il suono di chiusura di questo suo pensiero. «Va in giro tanta merda spacciata per Arte, non capisco perché io non possa realizzare un film dal valore inestimabile» scrisse sul suo rivoluzionario diario. Andò a sorseggiare un altro po' del suo buon caffè. L'uomo si sedette alla scrivania. Era fiero di aver scritto «Acqua». Aveva consegnato di nuovo qualcosa di degno alla Nuova Era di Luce. Un pensiero lo squarciò: chissà che cosa avrebbe pensato della nuova composizione la sua Amica che non c'era più? La pensava spesso... Avrebbe voluto riabbracciarla una volta in più e dirle quanto le voleva bene. Alle volte, poche parole belle non dette possono dilaniarti. L'uomo conosceva bene gli orari della sua compagna e pensò che di lì a poco lei si sarebbe svegliata. L'immagine di Sinéad non si poteva ritrarre con le parole: lei era Musica e colore. L'artista aveva la sua Musa, alla quale dedicare tutta la propria Vita. Nella Nuova Era di Luce donne poderose avrebbero raccontato fiabe ai bambini la sera intorno al fuoco. L'uomo viveva un periodo di isolamento. Aveva reciso alcune amicizie, che trovava insoddisfacenti. È come se in lui ci fosse una sorta di giudizio finale su una parte dell'Umanità che riteneva irrecuperabile. «La Cura esiste per tutti, ma non tutti vogliono intraprendere quel percorso che porta alla stabilità e ad una quasi totale assenza di distruttività, che rende l'essere umano sano ed edificante, quindi alcuni si salveranno mentre altri periranno nella morte della Psiche» pensò l'artista, mentre riascoltava una sezione della Sinfonia «Acqua», in cui gli archi sembrano creare una mareggiata. Si accarezzò la barba. Era in attesa di idee. I tasti del Mac volavano veloci mentre lui formava parole. Nel primo Movimento, uno xilofono si produceva in note ribattute. Fece una pausa. Andò a sorseggiare un tè dal sapore forte. Provava idiosincrasia per molti, ormai. La battaglia per il vero Bene non conosceva sosta, nella sua mente. «Sarebbe bello se ci salvassimo tutti» annotò sul suo diario reso incandescente dai suoi guizzi... L'autore sapeva bene quanto fosse dura la salita. Conosceva il lento processo che conduce alla maturità. Non si era opposto al cambiamento, ma ci si era plasmato intorno, alla fine. Ora era sulla vetta di una sommità e comunicava, come diceva Nietzsche, con tutti gli altri su diverse cime ed ogni tanto guardava in basso, dove vedeva, alle pendici della montagna, una marea di gente affannarsi, sbranarsi... I rapporti non risolti non gli interessavano più. Un solo di flauto irruppe nei suoi pensieri. Il secondo Movimento di «Acqua», «Cristalli d'Acqua», era davvero sublime. Una chitarra elettrica scandiva il moto di una sezione progressive della composizione. L'uomo si interrogava spesso sulla natura delle persone. Era un acuto osservatore. Giungeva, ahimè, sempre alla stessa conclusione: «La gente è immatura e irrisolta» e da questo derivano tutti i mali del mondo. Tornò a sfiorarsi il mento con la mano sinistra, mentre cercava un modo esauriente per spiegarsi con se stesso. «Non è che la gente sia cattiva o dedita al male, è che ancora troppo pochi hanno vissuto la trasformazione da bruco in farfalla» si disse, mentre un violoncello solista cantava note bellissime, durante il secondo tempo di «Acqua». Pensò a quella mente eccelsa del suo Máistir, che non era solo l'immagine della Musica, ma il simbolo della saggezza e dell'intelligenza analitica. Un artista eccezionale, il quale aveva lottato, in trincea, per salvare giovani Vite dalla dissoluzione della Psiche, per condurle alla percezione dell'Arte, come forma di scavo che tutto sana. Il compositore lo amava follemente e lo considerava un eroe. I due avevano comunicato molto, nel recente passato dell'artista, da quando si era stabilito a Galway. Il Maestro gli aveva confermato la Bontà di tutti i suoi ragionamenti e pensieri, della sua sfera emotiva ed artistica, tenendo, come centro dei loro scambi, la fondamentale tematica della Psiche e i suoi percorsi verso un'Identità sana.
2° Stralcio 6° Capitolo
L'uomo rilesse la poesia che aveva scritto di getto, in una mattinata fresca di inizio autunno. Gli piacque. Trovò che incarnasse bene l'Identità della sua Sinéad. Si assentò per andare a bere un sorso di caffè in cucina. Giunsero i messaggi di Telegram. Era la sua compagna che gli dava il buongiorno. Riusciva ad essere simpatica anche in poche stringhe scritte di corsa, prima di uscire da casa, per andare a lavoro. I colori del viale erano accesi. La Luce era forte. Il verde dei pascoli gaelici una visione di pura gioia. La sua Galway, alle otto di mattina, si recava ai posti di combattimento, ovunque fossero. I bimbi andavano a scuola. L'artista osservava il febbrile andirivieni lungo il viale. Si accese una sigaretta. Il nuovo accendino rosso gli metteva allegria. Sentì il bisogno di fare una passeggiata. Un giretto in centro gli avrebbe fatto bene. Si vestì e uscì. Il cielo era minaccioso sopra il ponte del fiume Corrib, mentre passava un passeggino e il bambino si produceva in tenere lallazioni. Tornò a casa. Alle volte, l'uomo aveva paura di poter star male. Perdere il controllo. Soffrire. Se ne stava comodamente sdraiato sul suo letto, mentre pensava a questa cosa. L'idea stessa che potesse vivere fasi di dolore lo atterriva. L'autore non voleva più tribolazione nella sua esistenza. Desiderava la quiete. Bramava la pace. Il Sole filtrava limpido dalle finestre della sua casa e il brusio del viale era incessante. Sorseggiò una tisana. Si accese una sigaretta. Aveva parlato al telefono con Sinéad e la sua Donna lo aveva fatto ridere. La simpatia della sua compagna era incomparabile. L'autore era in fase di rilassamento, ma i suoi pensieri nuotavano nel suo mare. Era tranquillo. Nel corso della mattinata aveva ascoltato una tribù di uccelli sugli alberi del viale, i quali producevano una brillante confusione musicale. L'uomo si alzò per specchiarsi. Gli piaceva il suo viso. Guardò un manuale di Armonia, che aveva sopra una mensola, nello studiolo, e si ricordò della quantità di tempo che aveva trascorso a leggerlo e comprenderlo. Gli sembrò di non aver mai smesso di essere studente, in un processo di esplorazione costante di concetti e idee che riguardavano l'intera storia della Musica, che gli stava tenendo compagnia da quando era bambino. Pensò a millenni di Musica. Dalla prima traccia di suono all'ultimo disco del terzo Millennio e si immaginò un oceano di creatività occupare l'evoluzione dell'Umanità. L'autore stava pensando al suo racconto. Doveva essere bello. Interessante. Intimamente sentito. Scrivere lo aiutava a percepirsi in asse col mondo. Lo considerava il modo più trasparente di porsi delle domande nella speranza di poter provare a formulare delle risposte. Un profondo modo per sentire Amica la parte più nascosta del proprio Sé. Il vortice delle elucubrazioni stava affievolendosi, in una sorta di continuità, per lasciare spazio a una più gradita consapevolezza mentale. Il compositore non era sempre stato un uomo calmo. Aveva anzi vissuto la prima metà della sua vita nel furore. Poi la tempesta finì, il cielo tornò sereno e Seán poté iniziare a respirare, in una dimensione psichica nuova, sana. Le biciclette sfrecciavano lungo il viale e i ragazzi, usciti da scuola, bivaccavano sulle panchine, pieni di Vita e di desideri. Penetrava un'aria ricca di ioni, quel pomeriggio. L'uomo la respirava a pieni polmoni. Durante la sua mattinata di lavoro, aveva modificato un brano musicale, «Book of Life». In quel momento il suo disco, «Rainy Day», totalizzava quasi due ore di musica e quindi l'autore iniziava a considerarlo un doppio long playing. Le tracce erano sedici. Recentemente, aveva aggiunto un «Intro» e un «Outro», il primo come introduzione, il secondo come chiusura dell'intero lavoro. L'uomo era davvero felice: «Rainy Day» era una gran bella raccolta. L'artista aveva reciso alcuni rami secchi della sua vita sociale e stava meglio. «Pochi, ma buoni» gli aveva insegnato suo padre Connor, fin da quando era bambino, per quello che riguardava gli Amici. La Musica aveva riempito i suoi giorni. Era un tempo denso quello della scrittura. Certe volte, iniziava a comporre alle sette di mattina e arrivava mezzogiorno in un attimo. Dentro «Rainy Day» c'era tutto il suo universo di Bontà e Verità, in una ricerca costante verso la fonte della Bellezza. Il disco aveva una struttura veramente complessa, all'interno di una architettura matematica sorprendente. «Ci sono tutti i suoni miei, nel disco, con la gestazione, che l'uomo che sono, sente più appropriata nel 2017» scrisse l'autore su un foglietto di carta rossa. Scrivere i suoi pensieri gli permetteva di conoscerne il colore, l'intensità e il profumo. Era una sorta di prodigio. Si avvicinava l'ora di telefonare ad Aindreas, ormai uscito da scuola. L'artista era davvero fiero di suo figlio. La fine della pagina era ancora lontana. L'autore voleva scrivere una pagina al giorno, ma non sempre ci riusciva. Per codificare in parole nuove, doveva prima aver decodificato le sue esperienze e sensazioni nelle viscere, potendo esse tornare al cervello in forma di pensiero. C'era dunque la necessità che la Vita sedimentasse in lui. Ogni sua parola era frutto di un percorso esistenziale denso e lungo. Fece la sua quotidiana telefonata al figlio. Il ragazzo stava bene e si dedicava all'ascolto del suo amato heavy metal. L'uomo lo trovò allegro. Sentire il proprio figlio di buon umore non aveva prezzo. In «Rainy Day», c'era un percorso da seguire: dall'Intro all'Outro. Le tracce finali intendevano rappresentare, con gli agglomerati acustici, le più forti e recenti conquiste psichiche dell'autore: dalla descrizione musicale della sua Identità di uomo libero, alla conquista di un rapporto creativo con la propria Donna. In questo senso, il disco era un concept album. L'artista era lieto. Doveva essere forte per il suo nucleo. Sarebbe riuscito a fare tutto bene? Questo si chiedeva. Sempre. Con attenzione. Scrutava nuovi orizzonti. Che cosa avrebbe portato il cielo? Se lo domandava, con un pizzico di inquietudine. L'uomo desiderava vivere bene. Voleva saper amare le persone fondamentali della sua esistenza. Sapeva che quella volta era in grado di farlo. Ci avrebbe provato con tutte le sue forze. Sentiva di avere delle risorse. Usava il ragionamento per riuscire a comprendere gli eventi. Era convinto che il corretto pensiero conducesse alla corretta dimensione di sé. Cercava di rimanere trasparente. Uguale dentro e fuori. Esigeva pulizia da se stesso. L'ultimo giorno di Settembre 2017, si svegliò presto. Scrisse un brano musicale intitolato «Ero e Leandro» e lo riascoltò. Dopo, si mise a scrivere il sesto capitolo del suo racconto. Bevve un sorso di tè e pensò a quello che avrebbe gettato nella sua pagina. Si accese una sigaretta. La scrivania era illuminata dalla piccola lampada. Appoggiati sopra alla sua tastiera c'erano i suoi quaderni ed il lettore cd. Il metronomo, invece, era alla sua destra, sempre pronto a dettargli il tempo delle sue composizioni. Decise che avrebbe riascoltato l'intero «Rainy Day» ed aprì iTunes. La playlist era di due ore. Questa la durata del suo nuovo lavoro, che lo emozionava ogni volta di più. Diciassette tracce dalla Bellezza ineffabile. Puro idillio. Questa raccolta era davvero un concept album, perché nasceva da una visione della Vita e raccontava una storia, dalla prima all'ultima traccia. Il sentiero che porta al benessere... Il lungo e faticoso camminare per le strade del mondo... La gioia di poter amare... Tutte queste cose erano contenute nel disco, totalmente strumentale. Il giorno prima aveva scritto questo messaggio su Facebook: «La mia nuova raccolta si intitola «Rainy Day». Sono composizioni musicali tutte nuove. È un concept album, ha un suo percorso interno, dall'introduzione alla chiusura. Rappresenta l'uomo che sono diventato nel 2017, con le mie speranze, i dubbi e quella forte voglia di essere in pace. I suoni sono sempre più immersi nei miei sentieri mentali. Ho usato l'orchestra e le formazioni di altra natura, i timbri sinfonici e quelli elettrici. «Rainy Day» si inserisce perfettamente nell'ottica militante della mia produzione per una Nuova Era di Luce, ancora di là da venire. Nell'epoca in cui ogni legittima istanza dei bambini sarà accolta, ci sarà bisogno di nuova Musica. L'Arte indicherà il cammino verso Verità, Bontà e Bellezza. Quando avrò finito l'opera di cesello, donerò nuovi agglomerati acustici alla rete. Buon vento, Marineros!». L'artista era davvero appagato: «Rainy Day» era stupendo. Un tripudio di suoni meravigliosi. Un traguardo. Ora Seán poteva dire di essere davvero un compositore. Quella mattina, con le cuffie alle orecchie, stava celebrando il suo ruolo nella Nuova Era di Luce, sempre più bella, nella sua testa. «Io sono un musicista» scrisse su una nuova pagina del suo diario rosso scarlatto, crogiolo delle sue rivelazioni. «Sei quello che fai» si trovò a riflettere, nel momento in cui, sorridendo, elaborava l'immagine più vera di sé, quella di un artista che non si stanca mai di creare. Questa è una delle Verità che si apprendono solcando i mari dell'esistenza. L'uomo rimase fermo davanti al monitor del Mac, con le mani congiunte, mentre ascoltava un solo di pianoforte del suo disco, con note ribattute. La sua Musica era lui e lui era la sua Musica, in una danza ancestrale intimamente sentita. Aveva realizzato tutto quello che voleva da bambino: essere un costruttore. Edificava suoni. Creava edifici musicali. Era fiero di se stesso. Andò a bere un bicchiere d'acqua. Si sentiva trasparente. Non diceva più bugie, da ormai tanto tempo. Era finalmente in forte contatto con il suo Sé più profondo. «Quanta fatica per arrivare qui!» si disse l'uomo a bassa voce, con quel suo timbro grave e virile. Iniziò il quinto brano, «Nea polis», titolo pensato dall'autore perché, nella Nuova Era di Luce, le città saranno bellissime, a misura d'uomo. «Città nuova», dunque, per nuovi uomini. Il compositore si stava realmente rendendo conto di quanto fosse bello il suo disco. Era commosso. La Musica gli dava la Possibilità di sublimare le emozioni. Era, come scrivere, una immersione in se stessi, per poi aprirsi all'Universo. Aveva fatto un profondo silenzio, in quei giorni, dentro di sé. Il rapporto con Sinéad lo rendeva sempre più felice. Aindreas cresceva bene. Non poteva chiedere di più alla Vita. Una linea di contrabbassi si muove lenta, in un registro gravissimo... Sognava di essere nuvola... Sognava l'eterno ritorno... Erano le nove di mattina. L'autore si trovava nel suo studiolo, in cerca di parole da scrivere nel suo racconto. Fissò la pagina vuota. Violini primi creavano nell'aria una melodia interessante, in minore. Ecco «Scamall», «Nuvola», con le sue geometrie, la sesta traccia di «Rainy Day». L'artista si accarezzò la barba con la mano sinistra ed in quell'atto c'era tutta la sua profonda capacità di riflessione. Lo concentrava toccarsi il viso. Aveva iniziato a scrivere. Si era svuotato per poi riempirsi. Aveva taciuto per poi dire. Ogni musica o parola era distillata nell'alambicco dei suoi itinerari psichici. Ascoltò un sax tenore disegnare una curva geometrica nell'aria. «Rainy Day» era intimista. Decise di definirlo così. Si andò a sciacquare il viso. Amava sentirsi fresco. Nei giorni precedenti, aveva rielaborato la home page del suo sito, aggiungendoci un brano musicale suo, che partiva automaticamente all'apertura della pagina. Questo ciò che si era sentito di scrivere: «Salve, mi chiamo Seán e sono un artista. L'esigenza di avere un sito proprio è nata quando mi sono reso conto di dover dare visibilità alle mie opere, che altrimenti sarebbero rimaste sparse un po' qua e un po' là, senza avere una casa. Qui, invece, riesco ad accogliere tutti i miei progetti. Il sito è dedicato alle mie Musiche e alle mie parole. Sono a disposizione di chi volesse contattarmi. Cancellate le rovinose e spettrali macerie del turbocapitalismo finanziario, che uccide l'Umanità, nascerà, dalle istanze più nobili degli uomini, una Nuova Era di Luce, in cui si potrà tornare a vivere bene e sognare. Per essa io creo. Si farà Arte nuova, che indicherà il sentiero di Bontà, Verità e Bellezza. La mia creazione, orbene, intende essere militante: vive nell'agorà del terzo Millennio e desidera essere degna. La Rivoluzione si farà anche con i suoni. Tutte le opere vivranno di linfa nuova. I bambini torneranno a cantare, mentre giocheranno allegramente per le strade. La Nuova Era di Luce, epoca di Felicità individuale e Gioia collettiva, sarà celebrata da una moltitudine di creativi. Io scrivo per questo. Vivo per la speranza di vedere un mondo diverso, migliore, guidato dalla saggezza. Le mie parole sono specchio fedele della mia spiritualità. La mia Musica nasce dalle esperienze vissute, fatte mie nel turibolo della mia dimensione interna e trasformate in manifestazioni acustiche, attraverso il mio codice. Spero di giungere a molti. Sento che le mie opere siano buone. Il mio processo creativo mi ha portato fin qui, nella rete, dove poter comunicare con persone che abbiano la mia stessa visione del cosmo. Nel 2008, pubblicai il mio primo racconto, con un editore indipendente. Da quel progetto, sono nate una sceneggiatura per Teatro, una per Cinema e una colonna sonora. Ora sono alle prese con un nuovo racconto, che mi assorbe completamente. Ho composto molta Musica, in questi anni. Qui, nel sito, la troverete. Ho quattordici tracce nuove da completare e rielaborare. Spero di poter fare un buon lavoro. Tutto viene postato qui, nel mio spazio virtuale. Il mio processo di composizione continua. Ho suoni originali da condividere. A livello mondiale, quasi sempre, l'Arte è stata sostituita da una merce squallida, come vuole il sistema, che intende mortificare le menti degli uomini. Io credo, invece, che l'individuo, nell'Arte, debba risvegliarsi, in un nuovo corso storico. Dobbiamo lottare. La Nuova Era di Luce è un sogno bellissimo, ma non si concretizzerà da sola. Iniziamo con l'evitare di nutrire il sistema. Nutriamo noi stessi di opere buone. Cominciamo con il desiderio di un mondo migliore. Progettiamo. Diamoci da fare! Questo tecnocapitalismo ci porterà alla rovina, altrimenti... C'è una dimensione dell'uomo, fatta di Verità, che non può più essere celata. Vuole essere ascoltata. Vuole vivere. Vuole poter manifestarsi. Questi primi anni di terzo Millennio hanno prodotto i reality show, la summa di ciò che vuole il sistema per noi. Dobbiamo rispondere con segni d'Arte vergini, che sappiano ricondurre l'uomo alla sua naturale propensione verso la Bellezza. Buon vento, Marineros!». Era in asse. Seán aveva sempre voluto una Vita come quella che stava celebrando a quarantatré anni, solo che, in un'epoca antica, gli era sembrato che la sua esistenza non potesse essere bella. Aveva sofferto molto. Era un superstite e come tutti i sopravvissuti, ora amava apprezzare anche la Bontà di un bicchiere di acqua fresca... Era grato alla Vita. La ringraziava tutte le sere, visualizzando l'oceano, come simbolo di Bellezza. «Io ringrazio la Vita» diceva, in una sorta di preghiera laica. Il silenzio gli aveva permesso di scoprire che era proprio un uomo e un compositore.
2° Stralcio 7° Capitolo
C'era aria di temporale. Pensò che «Rainy Day», «Giorno piovoso», fosse un bel titolo per un musicista irlandese. Incrociò le mani, da seduto, appoggiando i gomiti sul tavolo della cucina. Riflesse sulle sorti della sua Irlanda, da troppo tempo divisa in due, per voleri che non erano certo del popolo. Ripensò alla sua amata Belfast, uccisa barbaramente durante gli anni degli scontri fra indipendentisti e governo inglese. Il sistema, sordido e incapace di accogliere le istanze dei popoli, aveva ancora una volta represso l'intelligenza e imposto due stati per un popolo solo. «To me, Ireland must be one» lesse una volta su un muro dell'Irlanda del Nord, con una risposta in rosso: «Tell the politicians!». La politica, gestione della polis greca, non era mai stata tanto violentemente stuprata come negli ultimi cinquantanni. Il Comunismo era stato fatto suicidare. Il capitalismo aveva invaso ogni casa, con la pubblicità, le televisioni, i computer... Sinéad ed il suo compagno, invece, provavano incessantemente ad arginare lo strapotere dell'impero vigente, con la semplicità di un tramezzino mangiato su una panchina, in Temple Bar a Dublino, per le strade che furono di James Joyce, maestro assoluto e grande riferimento di Seán. L'uomo riafferrò la matita che la sua compagna gli aveva regalato e provò a vergare nuove parole:
«Ho scoperto cosa sia il sesso, attraverso i tuoi baci. Prima, non ero stato mai veramente di nessuno. Invece, ora so che il mio corpo vuole solo te. All'inizio del nostro Rapporto, tendevo ad attenermi a te, nella paura di una rovinosa caduta, ma ora sono in equilibrio e non voglio dipendere da te, bensì bramo essere il tuo faro, che illumina la tua rotta di notte e ti sussurra che qui c'è la terra ferma. Sono io la tua casa».
Scrisse casa e si commosse. Una lacrima gli solcò dolcemente il viso. Non aveva mai avuto una dimora della Psiche, prima. Seán era nato a Belfast, l'anno in cui, fra l'IRA e il governo britannico, ci fu un accordo che portò ad una effimera tregua. Era quindi cresciuto in un clima di guerra, che aveva prodotto tremila morti, fra gli anni sessanta e gli anni novanta del ventesimo secolo. Si ricompose. Si lavò il viso. Riprese a scrivere.
«Non ho mai pensato, prima di te, di poter essere felice. «Felicità» era davvero una parola troppo grande per me. Ho sempre sperato di sopravvivere, sebbene sognassi la serenità. Ora, invece, sono sereno e, di tanto in tanto, mi giungono onde di pura gioia, grazie a te, che rendi ogni giorno una festa. Grazie al tuo Amore, tutto ha assunto un colore nuovo ed una forma originale, nella mia testa. Tu mi hai modellato. Mi hai plasmato, come cera. Dove c'erano spigoli e curve taglienti, ora ci sono morbide linee di Klee. Hai trasformato la mia Psiche, rendendola più bella e molto meno violenta».
Violenta. Sospirò, dopo questa parola. Era cresciuto nel disordine, ed era stato abituato a chiedere con forza qualsiasi cosa, perché gli veniva negata. Era un giovane senza diritti. Non esisteva, per il sistema, solo perché i suoi genitori, da sempre, erano fieramente indipendentisti e sognavano un'Irlanda unita; speranza che il governo britannico aveva deciso di reprimere nel sangue. Non era neanche un ragazzo, per l'impero, a pensarci bene. Ogni volta che pretendeva il rispetto di un suo diritto, gli veniva risposto che lui, quel diritto, non lo aveva. Solo perché era figlio di una famiglia dalla parte sbagliata della barricata, per l'invasore. Non si diventa violenti per caso. C'è sempre una ragione che porta un individuo ad attuare con estrema forza il piano di realizzazione dei propri bisogni. Seán era stato violento, nella prima fase della sua esistenza, perché nessuno lo aveva aiutato a crescere come un essere umano, fuori da casa. Era un ribelle con una causa. Era un ragazzo che lanciava sassi... L'uomo fece un bel respiro. Si sorrise. Focalizzò la sua immagine interna di compositore attento ai segnali della Vita. Telefonò a sua madre, che, per tutta la sua esistenza, era stata vittima del sistema ed ora meritava una vecchiaia di pace e serenità. Anche la madre era una esule. Da Belfast a Cork per poter tornare a respirare e vivere degnamente. L'artista sentì sua madre bene. Era un po' indebolita dall'età, ma aveva ancora tanta voglia di star bene. L'autore riflesse su come un mondo violento renda violenti i ragazzi che si vedono castrare tutti i propri legittimi sogni e le proprie eque aspirazioni. L'uomo girò per casa in cerca di idee. Si lavò le mani. Ascoltò il suono dell'acqua. Poi inforcò la matita e proseguì la sua lettera.
«Sei colei che ha partorito l'uomo, donandomi il vero ritratto di essere umano lontano dalla guerra. Sei l'autrice del mio sogno di diventare un artista. Sei tu l'Arte, mia Musa... Sei tu la ragione per la quale mi sveglio felice tutte le mattine ed inizio a cantare il tuo cosmo... Sei tu il prodigio...».
La sua Donna era un miracolo vivente. Dopo tutto quello che aveva passato, in gioventù, amando un uomo che non la meritava, avrebbe potuto diventare un mostro, verso ogni possibile corteggiatore successivo, invece lei aveva recuperato ogni suo slancio vitale ed era rinata a nuova Vita, come l'araba fenice. Quando aveva incontrato Seán, Sinéad aveva una Psiche completamente vergine, rigenerata. Aveva l'entusiasmo di una bambina che gioca al parco, felice. Questa era stata la sua forza immane: rimanere integra, nonostante l'avessero calpestata fin dalla nascita. L'artista fece un tiro di sigaretta e riprese il filo della sua analisi.
«Sei nata innumerevoli volte, in Vita tua, Amore mio.. Ogni volta, dopo una tempesta, e sempre più bella... Ora sei l'immagine della Pulcritudine. Ti sei sempre raccontata la Verità, senza fronzoli, senza scuse, senza giustificazioni. Hai sempre provato ad operare il Bene. Ora sei stata ricompensata di tutti gli sforzi. Ora hai te stessa e me. Ora puoi volare... Io ti seguirò con lo sguardo. Attento. Lucido. Amorevole. Sei un delfino che salta fra i flutti del mare. Sei candida come un bianco innocente in una tela di Kandinsky. Sento i tuoi dolci capelli sul mio petto. Percepisco il calore delle tue mani fra le mie».
Il ricordo dei loro abbracci intenerì l'espressione del viso dell'artista, altrimenti spesso corrucciata. L'uomo amava il proprio viso, ma lo riteneva troppo austero, tanto che la sua compagna lo esortava spesso a sorridere di più, perché diceva che, quando ciò accadeva, lui aveva una bella linea sul volto, che lo faceva sembrare ancora un bambino felice di mangiare un muffin al cioccolato... Lui era serio, dacché scrutava il mondo attraverso un'espressione attenta, con cui non voleva perdersi nemmeno un dettaglio di quella realtà dalla quale si teneva a debita distanza, sempre pronto a percorrere una via di fuga, evitando così di lasciarsi inquinare da un sistema che riteneva abietto. La Donna, mentre guidava, portava sempre la sua mano libera verso la coscia del suo uomo e la teneva lì per minuti interi. Era il suo modo di dire: «Sei mio». Il compositore disegnò un cuore sul foglio, con la matita che Sinéad aveva riportato dalla Thailandia, molti anni prima e aveva donato al suo compagno. La Donna, da ragazza, aveva girato il mondo in cerca dell'oceano perfetto. L'uomo pensò di nuovo alle parole della lettera e continuò:
«Ora mi è tutto chiaro. Le ombre si sono fatte minuscole e il disegno è limpido: io dovevo arrivare a te. I trentaquattro anni della mia Vita precedente, senza di te, hanno solo preparato il terreno per il nostro avvento, come coppia per la Vita. I nove anni della nostra storia d'Amore sono stati i più intensi e decisivi della mia intera esistenza. In questi tempi ho costruito la mia Identità. Senza di te, non ci sarebbe stato nessun Seán... Grazie. Ci siamo salvati reciprocamente. Ci si salva sempre nel rapporto umano, nello scambio delle idee e dei pensieri, sentimenti e slanci. I nostri percorsi mentali si sono nutriti l'uno della bontà dell'altra e ci siamo trasformati insieme in due esseri umani degni di questo nome»...
Il compositore pose tre puntini di sospensione dopo il sostantivo nome, sul suo diario, in una pagina vergine, a voler continuare altrove il suo processo di scrittura, perché, nel tempo di quel respiro della punteggiatura, voleva riflettere con il lettore sul valore della definizione: essere umano. Che cosa è un essere umano? Qual è la sua natura? Cosa lo realizza appieno? Queste tre domande assillavano l'autore da una eternità. Fece una ricerca. Trovò queste parole di quel genio di Bion che sarebbe stato compreso pienamente solo a partire dal ventiduesimo secolo: «Scarta la tua memoria, scarta il tempo futuro del tuo desiderio; dimenticali entrambi in modo da lasciare spazio ad una nuova idea. Forse sta fluttuando nella stanza in cerca di dimora un pensiero, un'idea che nessuno reclama». L'uomo rilesse la frase, trovandola splendida. Lui era nella condizione di avere un'idea nuova. La sua concezione di uomo era quella di un essere creativo, che conosca pienamente se stesso e riesca a vivere in armonia con tutto ciò che lo circondi. Libero dalla psicosi. Gli tornarono alla mente gli antichi greci che erigevano templi e suonavano le musiche delle tragedie, in teatri meravigliosamente costruiti. Si concesse una pausa dalla scrittura. Andò a guardare il cielo gaelico, con le nuvole in rapido spostamento, che si era liberato e ora tutta la volta era chiara, di un celeste fortissimo. L'uomo tornò da una breve passeggiata in centro, per i viottoli di Galway. Osservò con cura il flusso di acqua sotto al ponte sul fiume Corrib e gli sembrò imponente. Riprese a scrivere.
«Tutto il mondo, o quasi, mi sembra immobile. Non vedo evoluzione e trasformazione. Ci siamo io e te, Sinéad e basta. Non c'è quasi niente per noi, là fuori, se non delusione e dolore. Gli uomini di questo inizio di terzo Millennio non li possiamo capire. Loro non sono come noi, come diceva tuo padre, che aveva una intelligenza viva e una saggezza brillante. Noi ci emozioniamo ancora per un fiore selvatico nato su una lastra pietrosa del distretto del Burren... Vedo un'Umanità che arranca. Un Genere umano che tribola e fatica. Il nostro sogno di una Nuova Era di Luce è una utopia quanto mai necessaria, non trovi? Abbiamo bisogno di una bella illusione, che ci indichi la via»...
L'uomo scrisse tre puntini di sospensione su un foglietto di carta blu, con la sua amata matita rossa. Una via... Una direzione... Un obiettivo... Questa era stata l'intera sua Vita fino ad allora: la ricerca di un sentiero che conducesse alla Pace. La mattina dopo, si svegliò presto e rilesse tutto quello che aveva scritto nel settimo capitolo del suo racconto. Osservò le parole scritte a matita sui fogli della lettera alla sua Musa. Pensò che quei segni fossero il compendio di quattro decadi di storia personale. Nell'alambicco dei suoi pensieri, aveva tre grandi immagini: la sua compagna, Aindreas e sua madre, che costituivano il suo nucleo fondativo. Fece un tiro di sigaretta e il suo slancio umano si stagliò contro le barbarie del mondo, verso i suoi amici lontani. A Belfast, aveva lasciato un pezzo importante del suo cuore e tanti rapporti umani davvero importanti, per lui. Ricordò gli anni della rivolta, quando, per un non nulla, potevi essere bloccato dalla polizia inglese, incarcerato, interrogato e percosso. L'uomo era stato un ragazzo ribelle. Non aveva mai accettato che gli inglesi potessero voler mettere piede sul suolo della sua amata Irlanda e dettar legge. Suo padre era stato un fiero pescatore del grande Oceano Atlantico... Gli mancava tanto... Avrebbe voluto fargli ascoltare le sue composizioni... Si ricordò quando, da bambino, ricevette dal padre il primo maglione di lana rossa irlandese. Profumava di candore. Greve, folto, avvolgente... La storia della sua famiglia era quella di un nucleo che non aveva mai accettato l'oppressore e ne aveva pagato amaramente le conseguenze. Suo padre Connor aveva sempre seguito con apprensione l'evolversi della situazione politica dell'Irlanda del Nord e Seán, fin da piccolo, aveva respirato le tesi indipendentiste con grande vigore, perché il suo genitore gli aveva spesso parlato di quanto fosse assurdo che ci fossero due stati per un popolo solo. Riprese in mano la sua matita, a cui aveva applicato un curioso cappuccio verde. Ripensò a quanto il padre amasse l'Arte e la Musica. A quanti sacrifici aveva fatto per comprargli il pianoforte... Con questo stato d'animo di tenera malinconia, cominciò a gettare sul foglio nuove parole per la sua compagna.
«Cara Sinéad, nelle nostre Vite sono accadute tante cose. Strabilianti vittorie e lancinanti sofferenze ci hanno reso gli esseri umani che siamo. Tu hai visto me, prima che io stesso potessi scorgermi e questa è una realtà storica. Sei Arte maieutica. Abbiamo edificato un grande faro, insieme, ora ne dobbiamo aver cura. Siamo lì, davanti all'oceano, ad illuminare la rotta di chi vorrà approdare ai nostri lidi. Di più non possiamo fare. Ogni giorno mi alzo e canto il tuo nome. Ogni sera, ti ringrazio, mentre elenco tutte le persone belle della mia Vita. Sei una Donna straordinaria e io voglio meritarti, ogni singolo secondo della mia giornata. Ti ho scelto. Mi hai scelto. Ora siamo Musica. Due solisti in un concerto che inneggia alla Pulcritudine. In me, c'è la tua immagine inconscia. È con me. Non mi abbandona. Non si può corrompere. Non si può portar via. È con essa che io vivo, anche quando non ci vediamo. Quanto è importante il processo di creazione delle immagini interne! Quando hai l'immagine interna di una persona, non sei più solo e l'altro è in te. Tu sei in me. Mi stupirai sempre. Sarai sempre una novità. Vivremo e continuerò a chiedermi come fai ad essere così bella... Tu non mi stanchi mai. C'è sempre qualcosa che tiene viva la mia attenzione, perché so che, da un momento all'altro, tu puoi donarmi una novità piacevole».
L'artista si soffermò sulla parola novità. La sua compagna era perennemente nuova. Un nuovo smalto... Una nuova canzone da cantare... Una nuova analisi sullo status quo... Era sorprendente. Arguta. Non si ripeteva mai. Il suo cervello era in costante evoluzione. L'uomo la seguiva, nei suoi percorsi mentali sempre originali. Lei era la soluzione a tutti i suoi problemi. «Non so cosa pensare di una certa realtà, questa sera ne parlo con Sinéad» pensava spesso e durante le loro conversazioni, l'artista sentiva che lei aveva maturato tutte le risposte di cui aveva bisogno per stare bene. Lei era un genio, in un corpo di Donna carismatica. Conturbante. Avvolgente. Certe volte, all'uomo, ricordava le forti tinte di alcuni lavori di Pollock. Lei era Forza. Una innata potenza di Madre Natura. Nei suoi occhi c'era la Vita, tutta. L'uomo, questo, lo sapeva molto bene. Era conscio di quanto lei fosse una creatura sublime... Lui poteva solo cantarla.
2° Stralcio 8° Capitolo
Forse, nella Vita, c'è anche una questione di tempismo da non sottovalutare. È come il timing della racchetta del tennista sulla pallina. Forse, nelle loro vite, erano stati maturi anche i tempi. Forse, se si fossero lasciati scappare l'occasione di conoscersi, non si sarebbero mai più trovati... Quella mattina aveva scritto quasi tre pagine di racconto. Si ritenne soddisfatto. Un cane abbaiò, in lontananza. L'uomo si destò dai suoi pensieri sulla gita di quel giorno, verso un oceano sempre più incantevole. Passò una bicicletta tutta colorata. L'artista sorrise. Si ricordò di quando da ragazzo pedalava velocemente verso il conservatorio, per non arrivare tardi. Il suo pensiero volò e si ricordò del Máistir, che non sentiva più da quattro, interminabili anni. Quell'uomo, Maestro in tutti i sensi, lo aveva davvero edificato, nel tempo. Erano sue le parole più belle sulla trasformazione, che l'autore avesse mai udito. Erano sue le più belle parole sulla Musica, che il giovane uomo avesse mai fatto sue. Erano sue le più belle indicazioni sulla Possibilità, che l'uomo avesse mai ritenuto compiute e perfette. Máistir era un compendio di tutto ciò che fosse Possibilità, evoluzione e realtà sana della Psiche... Seán lo amava come un secondo padre. Era da un po' preoccupato per le condizioni di salute del suo mentore. Da tempo, Máistir combatteva una battaglia per la salute del suo corpo. Era anziano. Sorretto dall'Amore dei suoi cari, l'artista era certo che il suo anziano Maestro ce l'avrebbe fatta. Dopo tanto tempo, decise che gli avrebbe scritto una lettera. Il compositore si accarezzò il viso con delicatezza. Chiuse gli occhi. Cercò in sé le migliori parole da scrivere ad un uomo che gli aveva insegnato a vivere, donandogli un metro di valutazione della realtà, il modulo creativo della Psicoanalisi, che il giovane artista non avrebbe mai abbandonato. Avvertì forte nell'aria la fragranza del burro fuso. Qualcuno stava cucinando, quella domenica di Ottobre, con le nuvole frastagliate e l'aria pungente che entrava nei polmoni. Il compositore pensò intensamente al suo Máistir. Se era un uomo, lo doveva anche e soprattutto al suo mentore. Si scaldò le mani sfregandosele. Afferrò la matita rossa dei viaggi per il mondo della sua compagna e iniziò a scrivere. Era emozionato. Il segno della profonda amicizia, fra sé ed il suo Máistir, stava tutto nel fatto che, all'autore, tremavano le mani, nel provare ad imbastire un saluto a quell'uomo anziano che tanto gli aveva dato ed insegnato. Iniziò con una parola semplice: «Ciao». Gli venne in mente un titolo: «Le rimembranze».
Le rimembranze
«Ciao, Máistir! Come stai? È tanto tempo che ti penso. Mi auguro che le cure che stai facendo ti abbiano permesso di star meglio. Qui, nel grande promontorio, tutto bene. Sinéad ti saluta e ti abbraccia idealmente. Sono accadute tante cose, da quando ci siamo salutati, l'ultima volta. Aindreas è diventato maggiorenne e devo dire che si sta comportando molto bene, sia a scuola che nella sua Vita sociale. Mia madre sta abbastanza bene e ti saluta. Chiede spesso di te. La mia compagna combatte tutti i giorni sul posto di lavoro contro l'idiozia, ma questo lo sai benissimo da solo. Io scrivo. Compongo. Vivo. La mia esistenza è densa come un barattolo di miele. Hai più composto? Quali sono i suoni da cui sei attratto in questo momento? Come procede la ricerca armonica? Mi piacerebbe ascoltare la tua Musica recente. Mi ricordo di quando mi spiegasti gli accordi di settima e nona. Fu una lezione strepitosa. Sei sempre stato un grande didatta. Quel giorno, a Belfast, pioveva in modo incessante. Dopo l'ora di Musica, andammo in giro, per la città vecchia, a mangiare. Mi ricordo che, sotto l'ombrello, mi parlasti di come, per te, Bach fosse più prodigioso di un viaggio dell'uomo su Marte. Sei una persona molto importante, per me, lo sai. Ti voglio bene come ad un padre. Sei stato la mia guida. Sei Arte. Bontà. Affetto. Oggi sto componendo un brano sulla Possibilità. Se vuoi, te lo posso mandare. Mi auguro che, nel futuro immediato, tu possa stare bene. Tuo per sempre, Seán...».
L'artista scrisse il proprio nome in calce alla lettera, sospirò e spedì la mail, nella speranza di una risposta in breve tempo. Guardò il cellulare. Era ora di andare al mare con la sua compagna. Si vestì ed uscì lungo il viale, dove aspettava sempre la sua Donna. Si accese una sigaretta con il suo accendino a benzina, che era compatto, argenteo e aveva un intarsio floreale che all'uomo ricordava temi medievali. Giunse la sua Musa. Partirono, direzione Connemara. I primi giorni di Ottobre furono bellissimi. C'era il Sole e, nonostante l'aria fosse fresca, si stava davvero bene. In viaggio, i due ascoltarono le notizie della radio e le commentarono. La Donna aveva sempre un punto di vista suo, totalmente originale. Lei era differente, come amava definirsi. L'artista la ascoltava con profondo interesse. Era incredibile, ma dopo nove anni, lei, con le sue idee, continuava a stupirlo e sorprenderlo. Poi ascoltarono un po' di canzoni dalla playlist della Donna. Cantarono e mimarono, con le mani, gli strumenti musicali. Era tutto divertimento il loro. Sapevano come giocare allegri. Giunsero in prossimità dell'oceano. Parcheggiarono la macchina in paese. Fecero una passeggiata lungo gli scogli. I lunghi capelli ramati di Sinéad fluttuavano nel vento impetuoso. Già si sentiva nell'aria il profumo dell'oceano. Si mossero lungo un sentiero. Si sedettero sulle rocce di fronte al grande Atlantico. La Donna sorrideva. Le ridevano gli occhi. Era meraviglioso come lei si sentisse parte della Natura. I due si presero per mano e rimasero a contemplare lo spettacolo del moto perenne delle onde, che, in successione, si affastellavano lungo la battigia e a Seán parve che ogni flutto avesse il suo suono, mai uguale a quello precedente. D'un tratto, la Natura gli apparve davvero incontaminata, selvaggia. L'uomo bevve del caffè, che aveva comprato in un piccolo store, e si accese una sigaretta. Quella, per l'autore, era la Felicità. Lui, con la sua compagna, il caffè in mano e una sigaretta accesa... I due trascorsero attimi di puro idillio. Lei, ogni tanto, diceva qualcosa e lui le sorrideva compiaciuto. L'artista la guardava. Era perfetta. Non le avrebbe cambiato neanche il più piccolo particolare. Lei era bella così com'era. Libera. Autonoma. Autentica. Era come un potente mustang... In lei scorreva la Vita... Tutta la Bellezza che l'uomo avrebbe voluto contenere in sé... Lui, nell'intimità, la chiamava «cailín», «fanciulla», in irlandese. Cailín era un essere perfetto, seppur con i suoi pochi difettucci, che la rendevano così amabile. Attesero il tramonto, che si tinse di rosso ed argento, rispecchiandosi nell'indaco dell'oceano calmo. Lasciarono la scogliera e intrapresero un nuovo sentiero verso il paesino, dove avrebbero mangiato. Giunsero nella taverna. C'era una gran allegria: un gruppo gaelico suonava le canzoni dei pescatori e l'uomo ricordò il padre, che, la mattina, prima di iniziare a lavorare, le cantava a squarciagola, davanti alla propria barca. Anche il padre dell'uomo era stato una meraviglia di essere umano. L'artista ne ricordava gli occhi verdi di assoluta Bellezza e profondità. Connor era armonia. Intelligenza. Capacità di vedere oltre. Aveva ereditato dal padre il senso dell'Arte. Il compositore ricordò come, negli anni settanta, il padre già avesse una intera enciclopedia della pittura, in casa. Seán e Sinéad si misero a tavola, ordinarono del pesce e chiacchierarono con leggerezza. «Sei bellissima con il tuo foulard rosso!» le disse l'uomo, con gli occhi innamorati. La Donna sorrise e disse: «Ma grazie!». Lei aveva scelto lui perché sentiva che l'uomo non le avrebbe mai mancato di rispetto e l'avrebbe sempre compresa e incoraggiata. Non aveva bisogno di un fidanzato. Avrebbe potuto vivere benissimo anche da sola. Se, in quel momento, aveva deciso di dedicarsi completamente ad un uomo, era perché ne aveva desiderio, non necessità ed era questa la chiave di volta del loro rapporto: non appoggiati l'uno all'altra, ma eretti insieme mano nella mano... Dopo la cena tornarono a casa in macchina. Lungo il tragitto cantarono vecchie canzoni degli U2, che erano state parte della colonna sonora dell'adolescenza dell'artista. Giunsero a destinazione. Si salutarono. La Donna tornò a casa sua. L'uomo entrò nella sua piccola e dolce dimora, si spogliò, si mise il pigiama e iniziò ad analizzare le foto che aveva scattato quel giorno al mare. Aveva immortalato la sua Musa di profilo e lo scatto gli sembrava perfetto: aveva colto quella espressione di seria contemplazione che la sua compagna assumeva quando stava in pace con il mondo. Il compositore, d'improvviso, cadde in un sonno profondissimo. La mattina seguente, si svegliò presto, fresco e riposato. Si preparò il tè, e mentre l'acqua giungeva ad ebollizione, si lavò il viso, asciugandosi con cura. Bevve un po' della sua bevanda, si accese una sigaretta e pensò che il brano sulla Possibilità dovesse avere una parte in cui il pianoforte si produceva in una linea melodica con note ribattute mentre gli Archi creavano diverse armonie. L'idea gli piacque molto. Non vedeva l'ora di scriverla. Attendeva con ansia la risposta di Máistir alla mail. Finì di scrivere il brano. Seguì strettamente le indicazioni dell'idea che gli era venuta sulle note ribattute di pianoforte. Riascoltò la composizione, la reputò compiuta e la affidò al web. Il giorno dopo, si svegliò alle sette di mattina. L'autore si preparò il caffè. Controllò la posta elettronica, per vedere se fosse arrivata la risposta di Máistir. Fu deluso, dacché vide che l'anziano Maestro non aveva ancora scritto. Seán lo pensava intensamente. Lo amava con tutto se stesso. Gli augurava ogni bene. Decise che avrebbe scritto una composizione intitolata «Máistir», per esprimere ciò che sentiva per il suo mentore. Aveva già deciso la tonalità: Re minore e l'incipit, un accordo composito di archi e legni, cui rispondeva la fanfara di ottoni. Lungo il viale, la Vita ricominciava a pulsare, dopo la quiete della notte. Gente che si recava al lavoro, nonne e madri che portavano i bambini a scuola. Il giorno prima aveva sentito Aindreas davvero bene. Il ragazzo aveva i suoi interessi, le sue passioni e le sue battaglie civiche. L'artista era davvero orgoglioso di lui. Aprì le finestre, un vento impetuoso le attraversò. Immaginò le Aran Islands, spazzate da una corrente quasi insostenibile. Pensò alla contea del Donegal, fra montagne, castelli ed oceano ed al Burren, il distretto pietroso, dove, in Primavera, sulle lastre di roccia, nascono fiori selvatici così belli, che tanti turisti corrono a vederli... La sua Landa era un incanto... Era Visione... Poesia... Pulcritudine pura... Era una casa dove poter riposare il proprio cuore... Possibilità, per lui, nella sua Vita, era anche sapere di essere in grado di creare nuovi segni d'Arte. Era nel silenzio della sua casa. Da lontano, solo qualche flebile rumore. Bevve un sorso di caffè e si accese una sigaretta. Ripensò agli attimi eterni della sua infanzia, quando il padre lo portava in mare con la sua barca da pesca. Si arrestò. Ritenne che suo padre sarebbe stato orgoglioso di lui e questo pensiero lo cullò con una forza davvero intensa. La pagina del racconto stava volgendo al termine. Era a metà dell'ottavo capitolo, sentendosi soddisfatto. Sapeva che, alla fine della stesura, ci sarebbe stata una accurata operazione di labor limae, e sorrise del proprio atto creativo, sempre più foriero di Bellezza e Verità. Scrisse una mail alla sua compagna, ad un indirizzo elettronico nuovo, che la sua Musa aveva inaugurato da poco. Compariva come «Sinéad differente» e l'uomo si stupì. Lei era davvero diversa. In tutto. In ogni suo respiro. In ogni sua lotta. Lei era lei. Fortemente e incessantemente. Lei, con la sua Visione. Lei, con il suo coraggio indomito. Lei, con la sua grazia ineffabile.
2° Stralcio 9° Capitolo
La madre, negli anni, si era ammorbidita molto. Era diventata molto affettuosa, con lui. Il compositore pensò alle innumerevoli battaglie sostenute. Si meravigliò di come avesse potuto resistere agli urti della sua esistenza. Al solo pensiero, gli tremavano ancora i polsi. Seán non si era mai accontentato dei non-rapporti. Ne era sempre fuggito. Non aveva mai tollerato i non-uomini, che, lungo il suo sentiero, si erano manifestati, come ostacoli alla propria realizzazione. L'uomo unì le mani e immaginò di suonare il flauto traverso. Improvvisava sempre in Re minore e La minore, in quei momenti. Era una attività che svolgeva spesso, quando voleva cercare la concentrazione. Diteggiare lo aiutava a pensare. Si arrestò. Rilesse gli ultimi periodi. Li trovò compiuti, pieni di significato. La barra spaziatrice interruppe il suo flusso. Amava il suo Mac, lo trovava una macchina perfetta. Era con quel computer che aveva scritto la sua sceneggiatura per Cinema e la relativa colonna sonora. Il mondo dell'uomo era fiabesco.... Un uomo, un segno... Una Visione... Lui l'aveva costruita dentro di sé la sua favola e non l'avrebbe mai barattata con nulla al mondo... Aveva rischiato di perdersi nei flutti di una tempesta malvagia: ora poteva giubilare. Pensò a Sinéad, che lo aveva tratto in salvo, curandolo con la migliore di tutte le medicine: l'Amore incondizionato. Lei era il suo incanto. La sua dedizione. Il suo passo. L'uomo voleva vivere con lei. Voleva invecchiare con lei su un'isola greca, Ikaria... Ne aveva parlato a lungo con Yòrgos, che aveva il progetto di andare a vivere in Grecia, dopo la pensione. Il suo Amico greco, così diverso e distante da lui, eppure così attento ed intelligente. L'artista, l'ultima volta in cui il suo Amico era venuto a trovarlo a Galway, aveva avvertito profonde differenze, ma alla fine, gli voleva bene comunque, forse proprio perché così differenti. Comunque, Yòrgos era una creatura che ambiva alla Luce, e questo contava per l'autore. Non era un non-uomo. La pagina volgeva al termine. L'uomo aveva più poco da dire. Si sentì vuoto, improvvisamente. Era una sensazione che conosceva molto bene. Era quella cosa che gli diceva di tornare a vivere esperienze, per poi codificarle in segni. Osservò un suo oggetto rosso, come lui e lo trovò adorabile. Doveva far aggiustare il suo accendino a benzina, che si era bloccato un'altra volta. Lo avrebbe fatto controllare da Sinéad, che, per tanti anni, aveva avuto una tabaccheria. Quella mattina l'uomo aveva fatto i conti con due realtà distruttive: i non-rapporti e i non-uomini, in un mondo inumano. «Potrà mai rialzarsi davvero il Genere umano?» pensò il compositore, mentre stampava la mail di risposta di Máistir, la persona che, molti anni prima, gli aveva insegnato che, senza il metro della Psicoanalisi, non si possa andare da nessuna parte. Era all'ultima riga. Ricordando il suo Maestro, quasi si commosse. Lui era profondamente sensibile. Era anche vulnerabile. Ma questo lo rendeva umano, forse anche troppo. Open Office preparò una nuova pagina vergine, nel racconto, e l'uomo sorrise. Ogni volta che concludeva una pagina, era una piccola vittoria da ricordare. Forse l'idea di scrivere una articolata prosa non era poi così lontana. Egli sognava di poter creare un'opera complessa da donare ai membri della Nuova Era di Luce. L'artista viveva, ascoltandosi molto. Era in costante rapporto con il suo mondo interno e ne interpretava i segni. Aveva imparato a vincere ed ogni piccolo trionfo rappresentava una gioia profonda. Durante la tempesta, non vinceva mai. C'era sempre qualcosa che glielo impediva. Invece, da quando c'era Sinéad, lui, impiegando le adeguate forze ed energie, sapeva anche giubilare ogni qual volta faceva bene una cosa. Vinceva ogni volta che realizzava quello che aveva in mente. Vinceva quando sapeva amare e prendersi cura delle persone importanti del proprio nucleo. Vinceva quando sapeva dire «No» a una relazione sociale malata. Il compositore si sorresse il mento, con la mano sinistra appoggiata alla scrivania. Rilesse la sua domanda sulle sorti dell'Umanità. La trovò perfetta. «Il Genere umano dovrà camminare verso la Verità. Poi troverà Bontà e Bellezza ad aspettarlo. Non sarà facile. Non sarà immediato. A tratti, il passo sarà doloroso. Non c'è niente da fare: per crescere e trasformarsi, occorre muoversi e questa Umanità è ancora immobile» chiosò. La fantasia dell'artista aveva creato una immagine vivissima della Nuova Era di Luce. Chissà chi l'avrebbe seguito? Lui non poteva saperlo. Aveva voglia di scrivere. Fece una pausa. Andò a mangiare un biscottino al cioccolato. Era un gran goloso. Seán conosceva la morte psichica: durante la tempesta, tutte le cose buone, che faceva, non attecchivano da nessuna parte, venendo costrette all'estinzione. L'uomo pensò a suo padre Connor, che aveva sempre combattuto a suo fianco. Per il padre, suo figlio era un angelo. Così lo vedeva. L'artista ricordò i momenti in cui il peschereccio partiva, e il padre lo salutava dal mare, augurandogli buona giornata. «aingeal beag», «piccolo angelo», lo chiamava il padre, con immenso Amore... L'artista era stato vittima del sistema per vent'anni: per il mondo lui neanche esisteva. Solo perché era un ragazzo irlandese ribelle, in una faida che non era fra protestanti e cattolici, ma fra buon senso e tirannide... L'uomo sospirò: era davvero un superstite ed un esule. Finì la sigaretta. Era a metà pagina. Spense la sua Chesterfield rossa nel posacenere in acciaio che aveva sulla scrivania. Si sentì calmo. Il flusso dei suoi pensieri era buono. Giocò con i polpastrelli. Amava le sue mani. Si sentiva bello. Non si era mai sentito in quel modo. La barra spaziatrice chiuse la dolorosa riflessione sul mondo e l'autore si percepì sollevato. Era tanto tempo che voleva dire quelle cose, che, altrimenti, sarebbero rimaste solo all'interno dei discorsi appassionati con la sua compagna. Si accarezzò la barba, in cerca di uno spunto. Si alzò dalla scrivania. Era il momento di bersi un buon sorso di tè. Amava il tè freddo. Spesso lo lasciava raffreddare, per poi gustarselo a temperatura ambiente. «Io sono un uomo» scrisse sul suo diario rosso come lui, amico fedele e compagno di viaggio. La notte prima, aveva sognato di trafiggere, con una spada scintillante, un mostro che lo voleva uccidere. Sapeva che la creatura malvagia in questione era il sistema, che non vuole l'individuo felice. L'artista era molto attento ai suoi sogni. Li interpretava tutti, al suo risveglio, cercando di ricordarsi anche i minimi dettagli. Durante la tempesta, nei suoi sogni, lui soccombeva sempre. Non era capace di difendersi dagli attacchi. Nella Nuova Era di Luce della sua Vita, invece, non solo si difendeva dalle minacce, ma le annientava. Anche il suo inconscio, in proiezione onirica, era cambiato. Si era trasformato. Lo faceva vincere. Seán era un vincente perché non si era mai arreso ad una idea di uomo corrotta e meschina. Aveva sempre saputo che ci fosse dell'altro nel cuore di un vero essere umano. Era stato sempre in ricerca. Aveva sempre sperato. Non si era mai rassegnato all'evidenza che lo voleva uno scarto del sistema. La sua compagna amava questo suo coraggio indomito. Questo suo essere un guerriero. Questa sua straordinaria vitalità e resistenza. L'artista diteggiò nell'aria. Si ricordò di quando sua zia gli insegnava i martelletti sulla tastiera del pianoforte, da piccolo. Aveva amato quella Donna come la propria madre, in una Belfast dalla bellezza incantevole. Aveva nitido in mente, il ricordo di quando, bambino, entrava nel corridoio della casa della zia e sentiva provenire il suono del pianoforte da dietro la porta del salotto. Che bei ricordi! L'artista era sempre stato attratto dai suoni. A quattordici anni entrò in Conservatorio. Lì trovo, ad aspettarlo, uno fra i più grandi flautisti d'Irlanda, che gli insegnò ad amare lo strumento e la Musica. Un uomo meraviglioso... L'artista rilesse la sua ultima affermazione. Lui era. Lui poteva vivere. Lui poteva essere felice. Sorrise. Dopo tanto tempo, finalmente la marea era cambiata, come diceva la canzone di Roger Waters. Il compositore non sapeva in che tonalità avrebbe composto il brano sulla sua amica di Belfast, la dolce Shayla, che era una creatura davvero sublime, incatenata, però, ad un Amore folle, che non l'avrebbe mai resa felice. L'autore doveva decidere la struttura d'impianto della composizione. Il brano sulla sua Musa, invece, stava venendo bene, era pieno di armonie, con un incipit che avrebbe reso felice anche Gyorgy Ligeti, per le dissonanze aspre, che, nella mente di Seán, erano i momenti della nascita della Vita della sua compagna. La pagina era finita. L'uomo la riguardò, scorrendola con il mouse. Intravide, dalla finestra socchiusa, figure in movimento. Guardò il suo letto, con le lenzuola verdi e blu, che gli sembrarono i colori di certe tele di Kandinsky. Canticchiava mentalmente una canzone di Paul McCartney, che trovava bella per la sua progressione verso l'apertura del ritornello. Scrisse sul suo profilo Facebook: «Nella Vita, esistono solo due tipi di relazione interumana: i rapporti e i non-rapporti. I primi edificano, creano e trasformano verso la meta dell'Identità piena dell'uomo, i secondi fanno morire, in un processo che va verso la psicosi». Forse nessuno lo avrebbe compreso, ma, al compositore, non interessava avere cinquemila like, ma esprimersi compiutamente. Era alla sesta pagina del nono capitolo. Si sentiva bene, quella mattina. Cominciava a sentire i rumori del viale. Erano le sei e mezza. L'ora degli operai che vanno in fabbrica. L'uomo bevve un po' del suo caffè preferito, che amava gustarsi amaro e si accese una sigaretta. Aveva proposto di fare una intervista al Capitano, che aveva accettato di buon grado. Alla prima domanda, il marinaio aveva risposto in modo splendido, descrivendo le emozioni che lui provava in mare. L'artista si sentiva felice, quel giorno. Era un Venerdì di inizio Ottobre e gli si prospettava un fine-settimana con una spumeggiante Musa da amare col corpo e la mente. L'uomo la immaginò nuda sul suo letto. Era bella da far paura. La desiderava intensamente. Il suo corpo di uomo la bramava ogni giorno di più, in una tensione verso l'infinito che gli faceva sentire che di lei non fosse mai sazio. Perdersi fra i suoi baci, per lui, era pura magia. L'autore non era ancora a metà della pagina, dunque si concentrò per trovare i suoi pensieri vergini migliori. Ripensò a come, a causa dei non-rapporti, si butti via una intera Vita, senza che qualcuno ci possa garantire di poterla recuperare... Quella realtà lo feriva profondamente, causandogli molta amarezza. «Io non permetterò al sistema di inquinarmi e non lo nutrirò!» vergò sul suo quaderno degli appunti, dove c'erano tracce di «Rainy Day», ovunque. Sarebbe andato in paese. Avrebbe fatto colazione con un buon muffin al cioccolato. Avrebbe letto i titoli del «Cork independent». Era a metà foglio. Sospirò perché iniziava a sentirsi stanco della scrittura. Erano gli ultimi attimi di buio prima dell'aurora gaelica, che avrebbe illuminato tutto con la sua Luce filtrata dai nembi. L'uomo guardò fuori e decise di aprire le finestre. Adorava l'aria pungente del mattino. La barra spaziatrice chiuse l'ultimo periodo, e lui pensò ai suoi amici lontani di Belfast, ognuno dei quali combatteva la propria battaglia per il vero Bene. Pensò, alla fine, che anche Yòrgos, sebbene così diverso da lui, meritasse il suo affetto, sapendo poi quanto la Vita fosse precaria per tutti. «Anche nella tempesta, non sono mai stato solo. C'erano gli amici a farmi coraggio. A tenermi la mano. A cullarmi nelle notti insonni». Scrisse «insonni» e si immaginò uno scenario illune con un uomo in cima ad una montagna che canta disperato il proprio Amore per la Natura. Forse lui era stato proprio così. Un solitario sulla vetta di un rilievo, in costante contemplazione della Vita. La prima Luce del nuovo Sole arrivò. Era splendida. Il cielo d'Irlanda si era aperto per essa. L'uomo rimase ad ammirarla dalla finestra del suo studiolo. Il viale stava iniziando ad animarsi. Anziane signore gaeliche chiamavano i nipotini con affettuosi nomignoli, ragionando con loro in modo impeccabile. C'era speranza per quella Umanità. Gli anziani, poi, potevano dire la propria parola su un futuro carico di Bontà. L'artista si portò alla bocca una sigaretta. Continuò a scrivere. Avrebbe comprato il pane, quella mattina. Il profumo del pane appena sfornato, di mattina, era una delle piccole gioie cui il compositore non avrebbe mai rinunciato. Fece una pausa. Guardò le pietre candide che lastricavano il viale, fra alberi fieri e foglie rosse ed arancioni che il vento della Landa spazzava via costantemente. L'uomo non pretendeva di capire tutto: aveva però compreso due, tre dinamiche essenziali che lo avrebbero fatto vivere in armonia con se stesso e il prossimo. Notò il viavai di quel percorso lastricato di pietre che gli era tanto familiare. Tutti erano intenti a raggiungere la propria meta, che fosse la scuola o il posto di lavoro. I bambini, con le loro colorate divise da alunni, erano bellissimi. Finalmente era arrivata la Luce. L'uomo l'aveva tanto desiderata, quella mattina. I possenti alberi del viale disegnavano geometrie ardite con le loro chiome e i loro rami curvilinei. L'uomo era contento di avere degli alberi vicino a casa. Galway era sveglia. Si stava stiracchiando un po' prima di farsi bella con il nuovo Sole. L'autore andò in spiaggia, seguendo il piccolo sentiero che, da casa sua, portava in riva all'oceano, che sentì forte e coraggioso, con le sue tante onde scintillanti. I colori delle case brillavano. L'uomo rimase in contemplazione, per un po', poi tornò verso il centro e, quando giunse nel cuore palpitante di una Galway incantata, sentì il fiume Corrib mormorare. Tornò a casa, dopo aver comprato il pane. L'autore era alla fine della sua pagina di prosa. Diteggiò nell'aria in Re minore.
2° Stralcio 10° Capitolo
L'uomo la sentiva sulla sua pelle e raccontò alla sua compagna di come aveva composto il brano musicale su Shayla. La Donna lo ascoltò con molta attenzione: era sempre incuriosita dall'evoluzione del processo creativo del suo compagno. L'autore tirò fuori dal borsino una piccola agenda dalla copertina rossa, che portava sempre con sé e scrisse, con la sua matita blu: «Si vive nel rapporto, trasformandosi». Fece leggere la frase alla sua Musa, che commentò la loro evoluzione insieme negli ultimi nove anni: erano diventati gli adulti che da bambini avrebbero voluto essere. Ogni volta che lei parlava, l'artista la ascoltava con profonda compartecipazione, dacché lei era un distillato di parole splendide. Lui, spesso, la chiamava «il genio». La sua Donna amava fotografare. Aveva talento. Un occhio attento che catturava stralci di realtà davvero sorprendenti. Sinéad, infatti, era in procinto di comprarsi una macchina fotografica mirrorless. Ne aveva già visti diversi modelli. Il compositore le diceva che lei, per la foto, aveva un occhio alla Stanley Kubrick, che era stato, per una Vita intera, il regista preferito del compositore. «2001: A Space Odyssey», per Sean, restava il non plus ultra della Cinematografia mondiale. Gli innamorati ripercorsero, nel tardo pomeriggio, la N59, per tornare a Galway, fra canti, risate e abbracci. Cosa poteva desiderare di più l'uomo dalla propria Vita? Proprio niente. Era totalmente in asse. La sera, l'uomo, salutata la sua compagna, entrò nella propria casa e sentì un silenzio densissimo, nel quale crogiolarsi con serenità. Cadde in un sonno profondissimo nel quale sognò il Máistir suonare la viola da gamba in riva all'oceano. Si svegliò presto, il mattino seguente, rinfrancato da un bel bottino di ore di riposo notturno. Si preparò il caffè ed iniziò a scrivere, con la prima sigaretta della giornata in bocca. Era felice quella mattina. «Io non posso desiderare di più, dalla mia Vita» pensò, mentre osservava la prima Luce del mattino diffondersi lungo le lastre pietrose del viale. Il cielo era in trasformazione: forse si sarebbe potuta attendere una cristallina acquerugiola oceanica. L'uomo era in ascolto. Rimase in silenzio, in attesa della percezione di una qualche forma di suono che provenisse dal suo mondo interno. Aveva scritto tanto, negli ultimi due mesi, avendo tante idee. Gli attimi, che costituivano la sua Vita creativa, erano fra i più belli delle sue giornate, nelle quali il tempo si muoveva con una rapidità eccezionale. Cinque, sei ore di scrittura, passavano in un battibaleno. Gli era venuta in mente un'idea musicale. La scrisse. Intitolò il brano «am», «momento», in gaelico irlandese. Poi scrisse sul suo sito. Ecco il testo della nuova pagina web dell'autore:
«La parola «am», in gaelico irlandese, significa «momento». Sono al decimo capitolo della mia nuova prosa e sto trattando l'argomento del tempo che scorre e di come l'uomo abbia bisogno di ricordare gli istanti in cui gli accada qualcosa di realmente bello, per edificare un'architettura interna di cui andar fiero. Il brano musicale «am» che sentite entrando in questa pagina, è il frutto di questa mia nuova ricerca sul fluire di una sommatoria di attimi che conducano l'uomo alla salvezza. C'è un baleno di pura Vittoria, alla fine del percorso che guida l'essere umano alla propria più autentica immagine. Siamo tutti chiamati ad esperire questa Verità esistenziale. Il racconto si sta sviluppando in modo articolato e complesso ed ora sogno di modellare la storia di un vero romanzo. Al suo interno, vivono creature di Luce, che hanno rifiutato il male della Psiche. Il protagonista è in costante movimento e non si accontenta delle ricette semplicistiche di un sistema che non lo vuole realizzato e felice, ma succube e affranto. La dimensione interna dell'uomo, nella storia, ha una valenza essenziale e si legge in ogni pagina, che, alla fine, diventa descrizione di fasi di autentica rivelazione dei propri Sé buoni. C'è un bagliore, nelle righe del racconto, che è il riflesso della Nuova Era di Luce che l'autore sta cercando negli angoli più remoti di questa società allo sbando. «Saremo mai felici?» sembra chiedersi il protagonista della storia, con la speranza che il sentiero verso un mondo altro non sia lastricato di difficoltà insormontabili. Ci sono momenti che un individuo deve ricordare, per continuare ad essere vivo ed evolversi. Ci sono realizzazioni che vanno custodite nella parte più profonda della propria anima. Ci sono folgori che esortano l'uomo ad avventurarsi nella direzione della gioia. Il protagonista della nuova prosa è un uomo che desidera tale realtà. Attimi lo hanno condotto alla pace. Istanti pregni di senso lo hanno reso ciò che è: un Lucente, che insieme ad altri artisti, brama dipingere Pulcritudine per la Felicità di tutti coloro che hanno cessato di vivere in modo patologico. In un batter d'occhio, forse, un giorno, ci renderemo tutti conto di quanto sia importante esistere come creature sane, su un Pianeta da amare gelosamente. Il protagonista sogna l'epoca in cui i distruttivi saranno messi nella condizione di non nuocere più a niente e nessuno, in un glorioso giorno di Luce. Quello sarà il Momento zero, l'origine di una nuova forma di intelligenza umana, compiuta, matura, creativa. Nella prosa, questa tematica viene analizzata con dovizia di particolari, a più riprese, scendendo sempre più nel profondo delle legittime istanze dell'essere umano, chiamato a vivere in letizia. Frazioni di tempo rendono splendide le nostre esistenze, incoraggiandoci ad evolvere, a trasformarci in uomini e donne degni di questo nome. L'Umanità ha necessità di visualizzare le proprie vittorie, altrimenti il sentiero verso la Nuova Era di Luce sarà impraticabile. C'è bisogno di un risveglio. Di Verità sulla Psiche. Di atti di Bontà e Bellezza. Siamo chiamati ad essere ciò, ogni attimo, in modo incessante. Il protagonista del racconto brama ardentemente vivere in un mondo dove il crimine di uccidere gli inalienabili diritti di un bambino sia estinto per l'eternità. I Lucenti, artisti da ogni parte del mondo, indicheranno la via della Bellezza, tessendo nuove opere d'Arte sopraffina. La Nuova Era di Luce avrà inizio. Al centro di ogni dibattito, vi sarà sempre la realizzazione psichica dell'Uomo, in momenti esaltanti di comunicazione autentica, per la migliore risoluzione possibile di ogni problema. Saranno allora tanti i momenti da ricordare, tutti belli, tutti significativi, tutti pieni d'Amore. Il racconto vuole essere militante ed io già immagino la sua evoluzione in romanzo coraggioso che si stagli contro il sadismo di un sistema di potere che non ci vuole felici. Urge combattere per un mondo altro. Non si può attendere passivi, nelle proprie case, nei propri posti di lavoro... Ci sarà una Rivoluzione pacifica che inonderà le strade e i quartieri di tutto il mondo, e ci condurrà alla Vittoria finale. La Nuova Era di Luce è proprio davanti a noi, ma dobbiamo iniziare a camminare in quel verso. Buon vento, Marineros!».
Nella quiete del nuovo giorno, l'artista si svegliò presto, si preparò il caffè e mentre la macchina faceva bollire l'acqua, l'uomo si ricordò del dolore della perdita di suo padre, così, all'improvviso. Chiuse gli occhi e rimembrò il corteo funebre in silenziosa marcia dietro al feretro, per le vie di un sobborgo di Belfast. Il padre di Seán era molto amato. Nel corso della sua Vita, aveva seminato Bontà e generosità. Il compositore ricordò l'arpa gaelica che suonò al funerale: un suono che suo padre avrebbe di sicuro apprezzato molto. Gli mancavano gli abbracci del suo genitore. Quel suo modo di far vibrare tutto il proprio corpo quando stringeva forte suo figlio e le sue risate, prorompenti e sonore... Il compositore appoggiò il gomito sinistro al tavolo, si sostenne il mento con la mano e riflesse. In quell'istante, si ricordò di come il padre amasse veramente le interpretazioni di Kirk Douglas in «Lust for Life» e «Spartacus», due capolavori assoluti. Connor era stato un antesignano della Nuova Era di Luce, perché, indomabile, non si era mai rassegnato alle menzogne del sistema. In quel momento di silenzio, nella propria casa, Seán lo realizzò compiutamente. Iniziò a scrivere. Accese il Mac e aprì il file del suo nuovo racconto, che, ormai, essendo giunto a pagina centodue, si prospettava più come un romanzo vero e proprio. Osservò il metronomo a pochi centimetri dalla tastiera del computer e lo giudicò bello. In fondo, per lui, l'oggetto in questione era un grande Amico. Il giorno prima aveva consegnato al web il suo nuovo brano musicale: «am», «momento», per celebrare la lunga successione di attimi disvelanti che lo avevano condotto ad essere un uomo. L'autore era felice, in quei giorni: il suo processo creativo proseguiva con letizia e le cose, all'interno del suo nucleo, stavano andando bene. L'uomo si accarezzò la barba. Era corta e pungente, dopo il trattamento di Bellezza del suo barbiere di fiducia. Si concentrò. Era alla settima pagina nel nuovo capitolo, il decimo. Rimembrò il primo abbraccio con Sinéad, a Doolin, quando lui arrivò nella locanda e lei era già lì ad aspettarlo, in una mattinata gaelica di inizio estate dal sapore conturbante. I due si erano iniziati ad amare in chat, scrivendosi. Le poderose parole di Verità, che si erano scambiati, avevano spinto la Donna a desiderarlo e l'artista a volerla nella sua Vita come compagna. Il loro primo incontro fu davvero una conferma: loro erano esattamente quello che dicevano di essere nella piccola finestra di un sistema di messaggistica istantanea del web. Erano profondamente le loro parole. Erano la loro punteggiatura. Erano gli attimi di silenzio prima di scrivere un emozionato «Ciao, come è andata oggi?». L'artista doveva molto alla rete. Ci aveva trovato Sinaed, Shayla, Yòrgos ed il Capitano. Persone che poi sarebbero diventate essenziali nella sua esistenza. Rimembrò con nitidezza l'istante in cui, per la prima volta, vide «Scent of a Woman» con Al Pacino. Non riusciva neanche a descrivere, a parole, l'emozione che gli aveva donato quel film. L'ammirazione sconfinata per l'attore. Il gusto che provò nell'ascoltare la colonna sonora. Seán era un uomo ricco. Aveva un giardino incantato, al suo interno, pieno di meraviglie. Fu splendido il momento in cui, vent'anni prima, aveva ascoltato «Jeremy» dei Pearl Jam in casa, con un Amico. La voce di Eddie Vedder lo aveva commosso. La Vita del compositore era stata costituita da attimi di rivelazione. Frangenti in cui si manifestò, progressivamente, l'evoluzione della sua Identità di essere umano creativo. La morte del padre era stata l'ultimo colpo di coda della tempesta. Lì, l'uomo si sentì spaccato in due. Non riusciva ad immaginarsi come avrebbe potuto continuare a vivere dopo quel lutto. La sua compagna lo sostenne, amandolo immensamente negli atti quotidiani di Vita e lui, pian piano, tornò a provare a sorridere, nonostante si sentisse dentro un dolore lancinante. L'uomo ringraziava sempre la Vita, per le persone che gli aveva fatto conoscere. Alla sera, ricordava, nei pochi istanti prima di prendere sonno, tutti coloro che facevano parte della propria esistenza e questo esercizio lo faceva stare bene. La pagina era conclusa. Un'altra piccola vittoria... A volte, le parole scritte fluivano come in un allegro mozartiano, altre volte, invece, l'artista sudava ogni singolo lemma, ma questo lo considerava parte del processo creativo. Non sempre si va ai duecento. In certi giorni, si procede lentamente, poi magari si scrivono solo dieci righe... L'uomo si sorrise: aveva imparato ad accettarsi, senza violentarsi. Le parole ed i suoni, a suo tempo, sarebbero giunti. Il compositore pensò al brano dedicato a Shayla, che trovava davvero bello, un ritratto musicale perfetto. Invece, «am», era più una consolazione. L'autore l'aveva scritto rimembrando gli istanti più belli del suo incedere, sicuro ed attento, verso la consacrazione del proprio stato di artista. Il compositore riascoltò «am». Il brano iniziava con una orchestra d'archi, in un tempo lento. Una successione accordale si muoveva in avanti, verso il climax. Poi l'attacco della sezione del pianoforte solista, in un andante con moto ricco di ritmi diversi. Una idea veniva ripetuta, con un passo veloce che conduceva a due accordi lunghi. Di seguito, un quintetto di flauto e quartetto d'archi, con il legno a disegnare melodie, sulle armonie degli strumenti a corda. «Piccolo omaggio a Bach» pensò. Giungeva quindi la ripresa del pianoforte, nella riproposizione fedele della parte precedente dello strumento a tastiera. Di fatto, «am» era molto ricco di figurazioni ritmiche. L'autore ne osservò con attenzione la partitura. Fece l'ultimo tiro di sigaretta, mentre la riproduzione del brano avanzava nella coda finale di archi, che ripresentava l'idea iniziale, in una struttura circolare, dove c'era stato A, B, C e alla fine la stessa A. Dopo la chiusura di «am», iTunes gli propose «de na coillte», il brano di Shayla e l'uomo se lo riascoltò volentieri. Il ritratto acustico della sua dolce Amica era pieno di grazia, proprio come lei sapeva mostrarsi. Anche in quella composizione, c'erano idee che si ripetevano, come a voler insistere su certi costrutti, che erano fondamentali nell'architettura complessiva della Musica. L'autore era sempre più sicuro che i brani scritti nel processo creativo del suo racconto sarebbero stati bellissimi tutti quanti. Già ne contava tre o quattro, che avrebbe raccolto nell'antologia con lo stesso titolo della nuova prosa, in un unum davvero sorprendente. «Tutto legato» commentò la sua compagna, quando lui le disse che dal racconto stavano nascendo Musiche nuove. Era a metà pagina, mentre ascoltava l'orchestra d'archi finale della composizione su Shayla. Il compositore andò a verificare quante fossero in effetti le nuove creazioni acustiche. Erano davvero quattro. L'uomo chiuse iTunes, tornando al suono amorevole dei tasti del proprio Mac. L'uomo pensò all'attesa della sua compagna, che si muoveva su un doppio binario: o lui era intento a scrivere e quindi il tempo gli volava, o, invece, fremeva per abbracciarla e il tempo gli pareva immobile. L'uomo desiderava ardentemente la sua Donna. La voleva sempre riempire di baci. Gli attimi, in cui, nudi, si lasciavano trasportare dalla fantasia e dalla voglia di star bene, per l'artista, erano pura estasi. Non aveva mai bramato il corpo di una donna così ardentemente, sentendo il proprio desiderio ruggire. Lei era tutte le di lui fantasie sessuali. Il compendio della compenetrazione. La summa di tutto ciò che due corpi potessero fare insieme per raggiungere l'empireo. Il compositore fece un tiro di sigaretta. Sentì la barra spaziatrice chiudere il suo ultimo periodo. Si accarezzò la barba. Si sfregò le mani, in una mattinata fresca con aria pungente e un cielo mutevole. Voleva chiudere la pagina. Sarebbe arrivato alla fine? Questo se lo chiedeva spesso, quando iniziava a sentirsi stanco per le tante ore di digitazione. Il terrore di rimanere senza idee era un vero e proprio assillo. L'autore fece un po' di ordine sul suo Mac. Scoprì che, fino ad allora, i brani musicali scritti per il racconto erano ben sette. Alcuni non completi. L'artista si sorrise. Si guardò allo specchio, trovando molto espressivo il proprio viso. Lirico. Profondo lo sguardo. Dolci i lineamenti del volto. Riascoltò il brano sulla Possibilità. Gli sembrò molto interessante l'incipit e l'attacco del pianoforte solista, nell'ambito del quintetto con gli archi. L'artista era soddisfatto del suo operato. Stava producendo suoni e parole di suo gusto. È importante, per un artista, sentirsi a casa dentro alle proprie opere. È essenziale. Indispensabile. L'uomo riflesse, in quel momento, su come tutta l'Arte fosse autobiografica: un essere umano tramuta in segni il proprio vissuto, non c'è niente da fare. È così. Sarà così per sempre. È nella natura umana. La sua compagna gli rispose ai messaggi di buongiorno. Ogni volta che l'uomo sentiva il suono di notifica di un messaggio della compagna, sorrideva lieto. Lei lo riempiva di Bellezza. Era la sua infinita tenerezza, quella con cui la Donna si era presentata nove anni prima. Nelle lettere. Nelle conversazioni in chat. Dal vivo a Doolin, per la prima volta.
2° Stralcio Capitolo 11
Seán aveva un forte desiderio di cambiare le cose. Ma come? Con chi? Quando? Lì i giorni passavano, le mostruosità del sistema aumentavano e nessuno diceva niente. Occorreva un risveglio collettivo. Urgeva una visione netta sulle cose, che l'uomo già aveva. Le buone intuizioni della Nuova Era di Luce avrebbero dovuto diffondersi con un contagio positivo davvero strabiliante, ma, forse, non era ancora tempo. L'Umanità non era preparata. Non avrebbe compreso. Si sarebbe sentita persa. Così l'uomo continuava a vergare nuovi segni d'Arte nella speranza che qualcuno un giorno ci avesse visto il disegno politico di fondare un mondo altro, nuovo, migliore. Quella era in assoluto la rivoluzione di Seán. Non ne aveva un'altra in testa. Era un Lucente: artista della Nuova Era di Luce. Altri Lucenti, che lui non conosceva, stavano già acclamando, con la propria Arte, il nuovo cosmo. Era alla terza pagina del nuovo capitolo. In casa, c'era una quiete sublime. Il silenzio era ovunque, interrotto soltanto dal brusio del viale e dal suono dei tasti del suo Mac, con il quale stava scrivendo, forse, il primo romanzo gaelico della Nuova Era di Luce, questo lo sapeva. Del brano sul desiderio non aveva ancora deciso il metronomo iniziale. Forse sarebbe stato un adagio, o magari un andantino con moto. Lo avrebbe deciso successivamente. Pensò a Sinéad nel suo lettone, avvolta dalle coperte, con quel suo bellissimo viso di Donna affascinante e carismatica. Lui l'amava. La adorava. La bramava. Due giorni dopo, l'uomo sarebbe partito per Cork. Avrebbe riabbracciato madre e figlio. Era emozionato. Era sempre bello poter riabbracciare le persone care, quelle davvero importanti, fondazione del proprio nucleo affettivo. L'artista voleva star bene con i suoi. Forse avrebbe avuto tempo di salutare anche qualche amico. Le parole, nella pagina vergine, fluivano allegre, in un valore di metronomo veramente alto. Scriveva velocemente lemmi che gli sgorgavano dal cuore. L'uomo aveva idee, quella mattina. Era animato da un forte desiderio di benessere. Fece un tiro di sigaretta. Pensò. Si soffermò sugli ultimi scampoli letterari scritti. Doveva ancora decidere come sarebbe stata, alla fine, la sua nuova prosa. Che dimensione finale adottare? Era un racconto lungo? Un romanzo gaelico sulla Nuova Era di Luce? C'era qualcosa di latente, che gli faceva pensare che il suo lavoro potesse essere davvero importante. «Chissà che ne penserà la mia compagna, leggendolo?» si interrogò l'artista. L'opinione di Sinéad, per lui, era essenziale. Guai se la sua Musa non l'avesse trovata un'opera degna! L'autore non era ancora a metà pagina. Si concentrò. Cercò di trovare le sue idee più sincere. Aveva nostalgia dell'adorabile voce di Donna della sua compagna. La barra spaziatrice chiuse un periodo, e l'artista ne ascoltò il suono metallico cupo. Andò in cucina a sorseggiare il suo buon caffè e riflesse su ciò che fosse davvero il desiderio che lui nutriva nei confronti del nuovo mondo altro. Era una mescolanza di sentimenti e tensioni dell'anima. Era la voglia irrefrenabile di vedere la gente star bene. Essere lieta. Vivere in modo meraviglioso, come stava facendo lui da anni, nell'intimo della sua dimensione intrapsichica più profonda. «Se ci sono arrivato io, ci può arrivare chiunque!» scrisse su un post-it, che attaccò alla superficie verticale del frigorifero. Il posacenere della scrivania era pieno. L'uomo andò a svuotarlo. Nel tragitto fra studiolo e cucina, l'artista si sorprese a pensare alla idiozia sadica del sistema, che ti uccide, ma vuole che tu compri. Ti elimina, ma devi essere un fantasma ipomaniacale che produce ricchezza per i pochi che dominano tutto. Ti distrugge, ma tu devi accendere un mutuo per comprarti l'ultimo suv in commercio. Non era per Seán quella esistenza. Non gli apparteneva. Non avrebbe resistito una settimana, in quel circo malvagio di burattini senza Psiche... In cucina vide i piatti sporchi della cena della sera prima. Il suo irish stew era stato un vero capolavoro. Buonissimo. Appetitoso. Dal sapore intenso. Pensò che quel giorno si sarebbe concesso l'afternoon tea, il tè del pomeriggio, magari gustandoci qualche piccolo tramezzino, fatto da lui. L'artista amava cucinare; era prendersi cura dei suoi; era volersi bene. L'uomo si accarezzò la guancia, sentì la propria barba pungente e decise che avrebbe scritto fino a non avere più un solo singolo barlume di pensiero proprio. Il racconto lo avvinceva. Lo stava amando alla follia. Ci si ritrovava e sentiva che avesse un messaggio universale, da consegnare alla gente, per provare ad uscire da quella forma di immobilismo, che, se non superata, avrebbe consegnato al sistema la sua vittoria più alta, garantendo al turbocapitalismo l'effige di società ed economia più efficiente e costruttiva al mondo. Il miracolo dei potenti era stato convincere la gente che un altro sistema non fosse possibile. Il compositore abbozzò un riso amaro, nel silenzio della sua casa. Gli sembrava di vivere in un film dell'orrore, dove il sistema era anche capace, spavaldo come si manifestava, di venderti una immagine pacifica e rassicurante di sé, cancellando, dalla Storia umana, tutto il male che aveva seminato sul Pianeta Terra negli ultimi vent'anni. Erano trascorsi otto secoli, dall'avvento delle prime società mercantili, che avevano dato il La all'insorgere del capitale, e il risultato di quel processo storico era che si facevano cucire le scarpe da tennis ai bambini asiatici, mentre, in Africa, altri pargoli scavavano nelle miniere. Seán rise del sistema. Il male va solo evitato. Poi si può pure ridere della sua stupidità e vanagloria. Per l'uomo era assurdo pensare di tagliare un solo albero, per agevolare il percorso di una strada asfaltata. Quell'un per cento di potenti, che regnava indisturbato in giro per il mondo, era completamente fuori strada. L'uomo lo sapeva. Andavano fermati, prima che ci potessero portare fin dentro all'abisso. Ma come? Con che mezzi? Insieme a chi? Questo si chiedeva sempre l'autore. Il novantanove per cento dell'Umanità era ancora troppo silente, purtroppo. I potenti se ne rallegravano. Giubilavano. Banchettavano. All'uomo, tutto ciò, faceva venire una profonda rabbia. Non accettava che potessero continuare a perforare i mari in cerca di gas e petrolio... Per lui era inaccettabile! Rilesse alcuni stralci. Gli piacque molto l'aggettivo «illune». Forse avrebbe scritto una composizione musicale intitolandola «Senza luna»... L'artista era nella sua condizione migliore. Aveva tutto. Era ciò che aveva sempre desiderato essere. Pensò a Sinéad, da cui aveva imparato l'Arte della calma e del ragionamento. Lui, che era stato sempre tempesta e assalto... L'uomo si rimboccò le maniche della tuta, decidendo di inoltrarsi all'interno di quella magnifica panacea che erano i suoi sani percorsi mentali, che generavano parole in grado di guarirlo da ogni angoscia o disperazione incipiente. L'artista, di tanto in tanto, si chiedeva se avrebbe vissuto un'altra tempesta perfetta. Era un suo assillo, cui cercava di non dare peso. Lo focalizzava e poi immaginava di trafiggerlo con una spada scintillante... Non avrebbe sopportato che fosse capitato qualcosa di brutto alla sua compagna o a suo figlio. La sola ipotesi, che ciò avvenisse, lo atterriva, suscitando in lui una forma incontrollabile di terrore... Seán aveva imparato, negli ultimi nove anni, grazie all'esempio della sua compagna, a non incoraggiare stupidi pensieri irrazionali che vertevano sulla paura. Tuttavia, ancora sentiva sulle sue terga, le scudisciate sadiche di una tempesta che lo avrebbe ucciso, se lui non avesse trovato il coraggio di cercare, nella notte più buia, un rifugio e la salvezza. L'uomo ricordò esattamente il momento in cui decise che sarebbe andato a vivere a Cork. Era disperato, in quel momento. La polizia inglese stava indagando su di lui, perché aveva fatto volantinaggio per una nuova formazione politica indipendentista e il compositore rischiava il carcere. Il giovane uomo, così, di notte, lasciò Belfast, attraversò tutta la sua Irlanda, per ritrovarsi, al mattino, nell'accogliente Corcaigh gaelica, la capitale del Sud, città d'arte, che gli parve lo aspettasse da sempre. L'uomo respirò profondamente. Il suo passato era pieno di tragedie, di lutti, di privazioni. Il sistema lo stava per condannare ad una esistenza da povera vittima, precludendogli una Vita fatta di realizzazioni e vittorie. L'artista andò in cucina ed osservò la grande tazza policromatica con cui era solito bere il tè. Sorrise. La tempesta era passata e lui avrebbe fatto di tutto per non accoglierne più una nuova nella sua Vita di uomo lieto. Sorseggiò un caffè nuovo che gli aveva regalato la sua dolce compagna. Lei era così generosa! Per la sua Musa, fargli dei regali, era davvero bello. Lei viveva per la gioia di vederlo felice... Era una creatura della Luce, la sua Donna. Era la Musa del primo Lucente... Accese la radio, tenendo un volume da sottofondo. Ascoltò l'ultima canzone degli U2 che andava tanto nell'etere. Era gradevole. Un bel testo, significativo, ma mancava qualcosa, per essere davvero U2. Il compositore non riconobbe bene quale componente mancasse, ma avvertì una sensazione di incompiutezza. Chiuse gli occhi. Raccolse i suoi segni attorno a sé. Voleva scrivere grande prosa. Il desiderio dei baci di Sinéad lo teneva vivo, attento, lucido. Era lei il motore della sua voglia di essere felice. Era lei il metronomo dei suoi slanci vitali. L'accordatore dei suoi sentimenti. L'autore aveva superato la metà pagina. «Io voglio essere felice!» scrisse nel suo diario rivoluzionario, cui, nel tempo, aveva affidato ogni suo sogno più ardito, in una progressione grandiosa, che aveva generato un crescendo di idee e costrutti, che avevano dettato la struttura della sua Poetica, visione del mondo altro, possibile e doveroso. Di lì a poco, la sua Donna si sarebbe svegliata. Lui, di sicuro, le avrebbe scritto dei brillanti messaggi benauguranti, su Telegram. Lei era anche il suo pensiero gaio. Quando l'uomo pensava a lei, gli si illuminavano gli occhi. Glielo aveva fatto notare una conoscente, giorni prima. Aindreas, invece, a quell'ora, nella sua incantata Cork, già era sveglio, pronto per andare a scuola. Il ragazzo si stava fortemente concentrando sui suoi studi, perché voleva chiudere bene il proprio percorso degli anni liceali. L'artista non poteva che esserne lieto ed incoraggiava il suo giovane pupillo a fare sempre meglio, perché si può vincere in modo sempre più appagante. Il compositore pensò al futuro brano sul desiderio, ritenendo che, per rappresentare al meglio la sua brama del corpo di Sinéad, ci volesse una melodia di sax tenore, che l'uomo considerava un timbro davvero sensuale... Prese in seria considerazione questa opzione. Aveva in mano l'ultima sigaretta del pacchetto. Sarebbe uscito a comprare le sue immancabili Chesterfield rosse. La giornata si preannunciava gradevole, con colori cangianti delle nuvole. La quantità di Luce era variabile. Già dal giorno prima, nel pomeriggio, si erano formati nembi minacciosi. L'uomo attendeva la sua acquerugiola oceanica, in grado di lavare e cancellare tutti i dubbi e le paure... Era quasi a fine pagina. Fece un tiro di sigaretta. Chiuse gli occhi ed immaginò la sua compagna, in mutande e reggiseno, lavarsi delicatamente il viso, per essere pronta per una nuova giornata di lavoro in quell'azienda alla rovescia del mondo alla rovescia. Gli alberi erano ancora scuri, nella loro sagoma mattutina. Il viale ancora stranamente muto. L'artista decise che sarebbe uscito, poi, una volta rientrato, avrebbe provato ad abbozzare il suo brano musicale sul desiderio. Aveva appuntato sullo smartphone i primi cinque agglomerati accordali. Quella composizione, l'autore, se la immaginava stupenda, struggente, magnifica. Forse già sapeva come svilupparla. Come amarla. Come renderle onore. Si vestì ed uscì. Tornò dalla sua passeggiata con una idea ben precisa di composizione nuova. La scrisse. Titolo: «fonn», «desiderio», in irlandese. Giunse all'ultima nota e si ritenne appagato dai suoi agglomerati acustici. Postò la musica nel web. Scrisse una breve presentazione della sua ultima fatica nel suo sito personale, con il titolo: «Tensione verso» e questo scritto:
«Il desiderio è la nostalgia di qualcosa che ci manca, nell'esatto momento in cui pensiamo a quella determinata cosa. Oggi, il mio racconto approfondisce questa tematica, affrontandola con spirito di Verità. Il protagonista della storia brama i baci della sua compagna, in un momento in cui lei è altrove. Il desiderio è una tensione della mente, verso un oggetto che noi riteniamo buono per noi stessi. È il motore dell'esistenza; ciò che ci mantiene vivi, con un sogno da realizzare. Il brano musicale che ascoltate, entrando in questa pagina, trae ispirazione dalle parole della nuova prosa. Si intitola «fonn», «desiderio», in lingua irlandese, perché la storia, ambientata in Irlanda, rivaluta anche le parole del gaelico, visto che l'autore sogna un popolo con la propria lingua, non quella imposta dall'invasore. La composizione si articola in tre parti: l'unità A costituita da un quintetto, l'unità B formata da un ensemble jazz e l'unità C, una coda di archi. L'autore riflette spesso sul campo semantico delle parole, cercandone l'esatta significazione. Questo brano musicale è per tutti quelli che ricercano. Che provano. Che conquistano spazi e tempi di proprio godimento. Senza desiderio, saremmo tutti degli automi. L'ora della nostalgia di qualcosa, che non c'è, può essere, forse, la più bella dei momenti di attesa. Come quando sai che il tuo amico arriverà con il suo innato senso dell'umorismo. Come quando sai che ti verrà a trovare la tua compagna, che non vedi da qualche giorno. Come quando sai che riabbraccerai tuo figlio, dopo giorni di assenza. Il desiderio è Vita. Ne rappresenta una fra le più nobili spinte emotive. Il racconto verte tutto intorno al desiderio: desiderio della propria Donna, di un nuovo mondo altro, di Bellezza. L'autore vive con la brama di esistere. Lui ama la sua Vita e la desidera. Sempre. A tutti i costi. In ogni modo... Buon vento, Marineros!».
Rilesse tutto. Fu compiaciuto. Il viale pullulava di gente, in un viavai elettrizzante. Dopo due giorni, sarebbe partito per Cork, nella speranza di far stare bene tutti. Aveva desiderio di giubilare coi suoi. Forse avrebbe avuto il tempo per qualche amico, da coccolare con immenso affetto. Sorrise all'idea di poter prendere un tè con persone con le quali, negli ultimi nove anni, aveva stretto un rapporto davvero edificante. Voleva pulizia. Candore. Luce. Non avrebbe mai lasciato la porta aperta al male. Seán viveva di istanti. Momenti che gli innalzavano lo spirito. Bevve un sorso di un nuovo tè, che gli aveva portato la sua compagna, qualche tempo prima. Si accese una sigaretta. Guardò il cielo, che non lasciava presagire nulla di buono. All'uomo, l'empireo minaccioso faceva sorridere. In fondo era una creatura del freddo, sebbene amasse la Luce. Un cane abbaiò, nei pressi della casa dell'artista. L'uomo voleva scrivere il suo racconto, che immaginava svilupparsi verso una dimensione complessiva ragguardevole, che lo consacrasse come la prima prosa autorevole della Nuova Era di Luce.
2° Stralcio 12° Capitolo
Le malie del sistema non gli interessavano. Quell'ordine di cose era letale. Uccideva la Psiche dei bambini. Nutriva un processo di alienazione e perdita. L'artista aveva le idee chiare. Quel regno malvagio, chiamato neoliberismo, doveva essere abbandonato il prima possibile. Si doveva tornare a parlare di Felicità individuale e gioia collettiva, non di spread... L'uomo bevve un sorso dell'ottimo caffè della mamma, che ancora dormiva. Aveva letto, in viaggio, l'agghiacciante notizia di madri costrette a lavorare tutte le domeniche, senza poter stare mai con i propri figli, senza mai poterli vedere giocare a rugby nel giorno che dovrebbe essere di riposo per tutti gli operai. La loro azienda si era trincerata dietro ad una assurda posizione: «Da noi, si lavora tutte le domeniche». Le madri in questione avevano rischiato, dopo essersi organizzate per una turnazione, la rappresaglia dell'azienda che le avrebbe volute spostare a cinquanta chilometri da casa, per punirle. Ora, a Seán, tutto ciò sembrava privo di logica e di buon senso. Il turbocapitalismo era nefasto. Crudele. Ingiusto. C'era una nuova dimensione che andava esplorata. C'era ancora la speranza di vivere un'esistenza fatta di Verità, Bontà e Bellezza. L'uomo, questo, lo sapeva molto bene. Non comprendeva, però, l'immobilismo di molti. Lì non c'era tempo da perdere: la rivoluzione non si sarebbe fatta da sola. Urgeva un profondo «No» all'impero neoliberista. Occorreva scendere in piazza e manifestare, a livello planetario, ma come risvegliare i dormienti? L'artista ancora non lo sapeva e forse non lo sapeva nessuno. La madre di Seán si svegliò, gustò il caffè preparato dal figlio e si lavò, per essere pronta ad un giorno di festa, nel quale avrebbe celebrato il proprio compleanno con familiari ed amici. L'uomo era lieto del fatto che la madre, nonostante alcune difficoltà fisiche, si sentisse ancora così vitale. L'autore scrisse il resoconto del suo viaggio su un foglio di carta strappato da un quaderno che la madre usava per fare la lista della spesa. L’artista incrociò le mani, in attesa di nuove parole da scrivere. Sentì, nel palazzo, un bambino piangere. Rimase nella cucina della bella casa di sua madre. Si sorresse il mento appoggiando il gomito sinistro al tavolo, con la mano fra la barba pungente e riflesse su tutta la propria Vita. Ne era passata di acqua sotto ai ponti, dal momento in cui, disperato, aveva lasciato una Belfast morente, sotto alla tirannide di uno stato usurpatore... Si accese una sigaretta, dopo aver goduto di un nobile caffè solubile, senza zucchero, come gli piaceva da vent'anni. Si ricordò l'esatto istante, in cui, dopo essere stato ospite a casa di Crón, nove anni prima, gli giunse un sms di Sinéad in cui lei gli scrisse: «Sii tu la mia forza». Seán era sempre stato chiamato ad essere tetragono, nonostante le sue fragilità, che gli facevano spesso ricordare quanto l'esistenza sul Pianeta Terra fosse precaria, in uno stato di consapevolezza che lo aiutava a non commettere errori gravi e stare lontano da ogni possibile situazione tossica. L'uomo non voleva guai. Se ne teneva ben lontano. Era conscio del fatto che la casualità potesse generare problemi da risolvere, e, proprio per questo, cercava di non correre il rischio di percorrere vie pericolose. Dopo una decade di trasformazione e sublimazione del proprio vissuto in segni d'Arte, lui era abbastanza forte per tutti. Se lo sentiva addosso. Avrebbe potuto vivere bene. Avrebbe potuto prendersi cura dei suoi cari. Avrebbe rischiato di avere una Vita davvero appagante... L'artista bevve un po' di caffè e si accese una sigaretta. Pioveva, quella mattina. L'uomo si vestì per andare a trovare Yòrgos, che, da quando era morta Crón, non aveva ancora visto. I due uomini ci trovarono in una piazza. Si abbracciarono come solo due superstiti sanno fare, con quel bel vigore muscolare maschile, con cui, quando si stringe qualcuno che si ama, si tende ad avvolgerlo totalmente. Cominciarono a parlare, davanti al buon tè di una locanda. L'artista trovò l'amico bene, nonostante una latente tristezza dovuta alla perdita dell'amata moglie. Yòrgos era un uomo forte. Avrebbe rielaborato il lutto per dedicarsi completamente al benessere proprio e dei suoi due figli. Seán, che quattro mesi prima, aveva avvertito una considerevole distanza fra sé ed il suo Amico, quella mattina, seduto al tavolo con lui, lo rivalutò. In fondo, avevano ancora una base comune di sentimenti ed idee, nonostante il suo amico greco fosse profondamente diverso dall'artista. Erano divisi da due prospettive politiche totalmente inconciliabili. Erano differenti nel modo di vivere i rapporti. Erano dissoni per ciò che riguardava la prospettiva da cui osservare l'evolversi delle cose. Sebbene ciò, il compositore voleva ancora bene al suo Amico, che, in quel momento, vedeva in forte difficoltà, suscitandogli un’infinita tenerezza. Yòrgos voleva andare in psicoterapia e Seán lo incoraggiò, dacché sapeva benissimo che solo attraverso quel tipo di approccio clinico si potesse provare a star meglio. L'atmosfera era davvero mesta, ma, nonostante tutto, ci fu il tempo e il modo per scherzare amabilmente. La pioggia continuava con il suo canto. Cork sembrava incantata. I due uomini fecero una passeggiata sotto l'ombrello e poi si salutarono, dicendosi che si sarebbero sentiti nel pomeriggio, semmai il compositore avesse avuto del tempo libero, prima di andare da Aindreas. L'artista fumò una sigaretta nella pioggia e poi si diresse a casa della madre, che lo aspettava per cucinare insieme. Nel tragitto verso la dimora dell'anziana signora, l'artista poté vedere tanti luoghi significativi della sua precedente Vita. Si soffermò davanti ad una chiesa molto importante per Cork e ne pronunciò il nome in gaelico, Ardeaglais Naomh Fionnbarra, ossia la Cattedrale di San Finbar, struttura neogotica, imponente e carismatica, nella sua architettura. L'uomo osservò l'angelo con la tromba posto sul pinnacolo, tutto dorato e rammentò come, anni prima, quando era ancora giovane, incontrava i suoi amici per andare a passeggio, dandosi ritrovo proprio lì, davanti a quella costruzione del diciottesimo secolo. L'autore giunse a destinazione. Seán entrò in casa della madre e riconobbe subito i suoni di «Rainy Day», che la madre stava ascoltando, con il proprio lettore mp3. La donna, non appena lo vide, lo baciò sulle guance e gli sussurrò: «Questa tua Musica è davvero bella, complimenti, figlio mio!». La donna continuò ad ammirare il suo ragazzo mentre questi si metteva una comoda tuta che si era portato da Galway. Le ridevano gli occhi. Era Lucente anche lei. Dopo la morte del marito, la madre di Seán aveva fatto una grande fatica a tornare alla propria normalità. Si era persa. Poi, con grande grinta, aveva deciso di avere tutto il diritto di provare a vivere ancora in una dimensione di benessere, nel rispetto della memoria del padre del compositore che l'avrebbe voluta sapere in ottime condizioni psico-fisiche... Il fine-settimana dell'artista fu memorabile. La sera a cena fuori con sua madre e suo figlio fu davvero stupenda. Le conversazioni con Aindreas furono dense. Ad un certo punto, l'artista imbastì un dialogo col figlio, che si mosse su questo binario:
Seán
«Ricordati sempre ciò che diceva Marco Aurelio: «Un uomo è i suoi pensieri». È importante».
Aindreas
«Sì, Papà».
Seán
«Un uomo è i suoi pensieri, che si trasformano in parole ed atti».
Aindreas
«Non ci avevo mai pensato, grazie...».
Seán
«Se mantieni la tua mente pura, sarai Lucente».
Aindreas
«Ho capito, bello questo concetto!».
Seán
«... Ed inoltre, sta' lontano da chi vuole inquinarti, sempre. Questo è fondamentale».
I due si abbracciarono. L'artista accarezzò le spalle di suo figlio ed Aindreas gli disse: «Papà, sei la mia roccia» ed il padre gli rispose: «E tu la mia!». Le giornate a Cork furono sublimi, per l'artista, che venne sempre accompagnato da una pioggia incessante. Il compositore, il giorno dopo, si svegliò a casa della madre, e, preparato il caffè, dopo che l'anziana signora aveva fatto colazione, iniziò a suonare, improvvisando, al pianoforte, una melodia in Mi minore, che, nella sua testa, doveva essere l'incipit di «maith», il brano sul benessere. Trovò, aggiungendo la mano sinistra, tre accordi nuovi e li scrisse su un foglio di un quadernino che gli aveva dato sua madre, per l'occasione. La donna era molto contenta di sentire suonare il figlio, ciò le dava profonda pace e gioia. Seán venne rapito dal flusso ininterrotto della sua voglia di fare Musica. In due ore di composizione scrisse centotrentadue battute per pianoforte solo. Risuonò tutto da capo, per sentire l'effetto complessivo del brano. Gli piacque molto. Lo trovò denso, con una atmosfera forte, e tinte chiaroscurali che si muovevano dal desiderio alla gaiezza più solare. Centotrentadue battute Lucenti... Un artista sa quando porre il punto conclusivo di un suo processo creativo e Seán decise che quella dimensione finale fosse perfetta. Andò in cucina, dove la madre lo accolse, dicendogli: «Mi piace sempre di più la tua Musica. Sarebbe piaciuta molto anche a tuo padre, che, per te, provava un Amore incondizionato...»... L'uomo guardò la madre, le fece una carezza sul viso acqua e sapone e le rispose: «Lo so, Mamma. Questa Musica è per quelli che, come lui, hanno sognato un mondo altro». La madre annuì, con un bel sorriso e un cenno del capo che voleva dire: «Come sei bello, figlio mio!». Giunse il momento di tornare a Galway. Il mattino successivo, Seán iniziò a preparare la colazione per sé e la propria madre, si vestì con calma, raccolse tutte le sue cose e salutò Cork. Disse a sua madre che le avrebbe telefonato lungo il tragitto per tornare a casa. I due si abbracciarono e la madre si commosse, perché il suo bambino era diventato un uomo e lei aveva atteso quel momento da tutta una Vita... Il viaggio fu meraviglioso. La pioggia investiva ogni cosa. L'artista la ammirava dal finestrino del treno. Giunse a Galway in perfetto orario. Andò a cena con Sinéad e le raccontò del suo fine-settimana dal sapore intenso. La Donna lo ascoltò con piacere e si mostrò entusiasta. Lei viveva ogni vittoria del proprio compagno come propria. Era la sua natura di persona che gioiva della Felicità altrui... Dopo la cena, la sua compagna lo riportò a casa e l'uomo cadde in un profondo sonno, stanco com'era del viaggio. Il mattino seguente, combinò davvero molto poco. Trascrisse una pagina del suo racconto che aveva scritto a casa di sua madre, imbastì un quintetto d'archi e poi decise che non avrebbe fatto altro. L’artista venne rapito da una subitanea voglia di riposo, come se si fosse stancato molto, a Cork. Abbandonò tutte le sue carte, la sua Musica, si mise il pigiama e sprofondò in un sonno che gli sembrò eterno. Il mattino seguente, dopo aver dormito davvero bene, scrisse sul suo sito questo post, intitolandolo «Ciò che è bene»:
«Buongiorno, Marineros! Sono tornato da un fine-settimana a casa di mia madre e ho scritto, al pianoforte, che mi regalò mio padre quasi trent'anni fa, questo brano, «maith», parola gaelica che significa «bene», «buono», dacché il benessere psico-fisico, che non è, di sicuro, quello sponsorizzato nelle pubblicità del terzo Millennio, rimane il nodo essenziale della Vita di tutti noi. «maith» è un brano per pianoforte solo. È una successione incalzante di agglomerati accordali, pensati, se vogliamo, come il primo Preludio in Do maggiore del «Clavicembalo ben temperato» di J. S. Bach. Non ha quindi una sua propria melodia, ma, nella progressione degli accordi, crea una sua atmosfera, che, a me, ha ricordato molto un brano che scrissi tanti anni fa, per come si sviluppa. Il pianoforte compie il suo viaggio nelle 132 battute fino all'ultimo respiro, per poi eclissarsi dopo l'ultima nota, in un percorso che lo vede colorare il proprio ritratto con sfumature ora lievi, ora forti. Anche questa composizione si lega alla mia nuova prosa, dacché il protagonista della storia riflette sul valore del bene, che è scelta, selezione, coraggio di andare avanti anche da soli e forza di vivere restando nel proprio sentiero, senza intrusioni da parte di nessuno. Il bene si conquista pian piano, con l'energia che ci permette di non farci inquinare da chi vuole distoglierci dall'unico obiettivo per il quale valga la pena vivere: la gioia. «maith» è tutto ciò, in suoni. È un sentiero acustico intorno alla Possibilità di star bene sul serio, senza limiti o intralci. Si può stare costantemente meglio, questa è la Verità. Il cammino verso il benessere non finisce mai, diventando sempre più bello e gratificante, aprendo, davanti a noi, scenari sempre più maestosi. Il brano ha mille chiaroscuri e macchie di colore, Luci forti e penombre, perché i dubbi, lungo il cammino, sono sempre tanti. Tuttavia, la composizione tende, alla fine, verso la Luce. Anche questa Musica si inserisce perfettamente nel percorso della mia Arte militante, per una rivoluzione delle menti che conduca ad una Nuova Era di Luce, attraverso la quale ogni essere umano possa giubilare e far bene. C'è bisogno di coraggio, per star bene. C'è bisogno di trasparenza. Di intelligenza e Verità. Mai narrarsi delle bugie: si torna indietro irreversibilmente e ci si allontana dal vero Bene. Tutte queste cose vuole dire il brano. Non si giungerà alla Verità stando dietro all'ultima offerta commerciale di qualche nota azienda. Lo si otterrà combattendo per ideali alti e sublimi. Per le eque istanze di ogni bambino. Per la voglia di vivere ancora bene che ogni anziano dovrebbe avere. Le malie del sistema sono tante e raffinate, generate da menti sopraffine ed astute, che vogliono l'uomo schiavo ed instabile. Nella Nuova Era di Luce, invece, ogni essere umano avrà ciò di cui ha bisogno, senza doversi inginocchiare a nessuno. I bambini torneranno a giocare felici per le strade, che saranno sicure e ognuno potrà essere lieto nell'ambito della propria famiglia, per sempre. «maith» è tutto ciò: una composizione che vuole tendere all'infinito delle Possibilità, delle realizzazioni umane, dei veri rapporti edificanti con il prossimo, che non sarà più nemico, ma turibolo di opportunità di crescita. C'è molto da fare. Questo sistema marcio, ormai morente e tenuto in vita artificialmente, dovrà crollare su se stesso, per poi lasciare spazio ad una vera rinascita del Genere umano, con gli artisti che indicheranno la via di Verità, Bontà e Bellezza. C'è Pulcritudine intorno a noi, nonostante il mondo stia procedendo alla rovescia. Una nuova alba... Un fiore che nasce fiero... Il sorriso di un neonato... Urge combattere. Non ci regalerà niente nessuno. Sogno piazze piene di gente pacifica, in tutto il mondo, che contesti questo status quo davvero mortifero, che uccide i diritti di tutti. «maith» è bene, buono, «maith» è ciò che dovrebbe essere vivere una Vita degna di questo nome. «maith» è l'opportunità di provare a stare bene davvero senza che qualcuno, che non sa nulla delle nostre legittime aspirazioni, si permetta di indicarci una via fatta di successo, soldi e potere, che altro non è che la somma di tutto ciò che rende l'uomo affetto da potenti disturbi mentali che gli danneggiano irrimediabilmente l'esistenza, facendolo diventare un automa senz'anima. «maith» è l'insieme delle risorse che un uomo deve avere per essere veramente felice. Buon vento, Naviganti!».
Successivamente pubblicò anche quest'altro post, dal titolo «Irlandese»:
«Oggi ho scritto «Gaeilge», «Irlandese», un nuovo brano musicale ancorato al mio nuovo racconto, nato nel momento in cui il protagonista riflette sulla sua natura di uomo che vive le sorti della propria Landa, a cui è legato da profondo amore. La composizione si articola in due unità: un'orchestra d'archi iniziale che cede il passo ad un quartetto con flauto, violino, viola e violoncello. Ogni uomo dovrebbe essere fiero della terra in cui nasce. Il protagonista della mia storia è visceralmente legato alla Natura rigogliosa della propria terra, ai suoi profumi, al suo oceano che detta i tempi e i colori della città in cui egli vive. «Gaeilge» vuole rappresentare tutto questo. Il protagonista della storia è un vero irlandese, fiero di esserlo. In un mondo che ha ucciso tutte le Identità territoriali, tornare ad amare la propria Landa è vitale, per lo sviluppo di una personalità sana. Buon vento, Marineros!».
Tirava una brezza docile dall'oceano nella grande baia di Galway. L'uomo aprì le finestre e ne percepì il profumo di mare. Si preparò il caffè e, durante l'operazione, ripensò al suo fine-settimana a Cork, in un abbraccio ideale che legava a sé tutta la città. Si accese una sigaretta. Udì il brusio del viale. Non era ancora a metà della sua pagina, quando ricordò l'espressione di stupore di Aindreas nel momento in cui, fuori dal ristorante, il padre gli aveva citato il grande Marco Aurelio, l'imperatore illuminato. Rimembrò il sussulto di gioia di sua madre nel vedere il pullover verde che le aveva regalato Sinéad e il modo affettuoso con cui lei aveva toccato con la mano i cd che suo figlio le aveva portato da Galway. Le aspettative dell'uomo erano state premiate: il suo soggiorno a Cork era stato davvero stupendo, nonostante egli spendesse molte energie psichiche per renderlo perfetto. La stanchezza del giorno dopo il viaggio di ritorno era dovuta proprio al fatto che Seán bramava che ogni cosa fosse poesia. L'uomo stava scrivendo il resoconto del proprio viaggio, quando venne rapito dal ricordo del vento incessante delle Aran Islands. Che emozione sentirsi legato a Madre Natura in quel modo... Quale prodigio... Quanta Bellezza nelle isole davanti alla città che lo aveva accolto a braccia aperte...
2° Stralcio 13° Capitolo
Sentiva, fortissima, la brama di volerle baciare la vagina e succhiare il suo clitoride, tenendole, in un abbraccio intenso, le mani sotto alle sue natiche e i suoi dolcissimi piedini di Donna sul suo petto, mentre con un ritmo sempre più serrato, l’avrebbe posseduta con la propria bocca, facendole provare attimi di estasi che sarebbero esplosi in sussurri ora lievi, ora densi, in un processo che sarebbe nato dalle carezze più dolci per arrivare alla forza di orgasmi strabilianti. «Seán, possiedimi!» era la frase che spesso Sinéad sussurrava all'orecchio dell'uomo, quando, dopo essersi spogliata, gli porgeva il suo seno profumato da baciare con tanta passione. Lei era tutto il prodigio della sessualità. Lei era profondamente sensuale. Lei era tutti i suoi orgasmi. L'autore era quasi alla fine della pagina. Rilesse alcuni periodi, per sincerarsi che fossero scritti correttamente, senza refusi. L'uomo spesso sognava di possedere la sua compagna in un dolcissimo rapporto anale. Non sempre, ma alcune volte, i due avevano esplorato anche quella opportunità per stare bene insieme ed era stato tutto molto bello, intimo. In quelle occasioni, era stata Sinéad a cavalcarlo teneramente, mentre l'uomo, immobile, aveva sentito tutta la delicatezza con cui lei faceva scivolare il pene nel suo ano. L'artista la bramava. Lei era tutti i suoi baci. Tutte le sue carezze. Tutte le sue voglie di maschio adulto. L'autore aveva terminato la pagina. La rilesse. La trovò compiuta, cesellata. L'attenzione che dedicava alle sue parole era totale. Non avrebbe mai vergato un lemma di cui non amasse il campo semantico ed il suono. La sua scrittura era già musica. Si fece giorno. Filtrava, dalla finestra dello studiolo, una Luce intensa grigia. Il cielo era minaccioso. Forse sarebbe piovuto. Forse lui e la sua compagna si sarebbero fatti le coccole tutto il giorno. Ancora non conosceva i piani della sua Donna. Le avrebbe telefonato più tardi. Ripensò a Crón, alla sua eredità spirituale, a quel romanzo sulle Possibilità dell'uomo che aveva scritto nove anni prima, quando ancora la malattia, che le avrebbe devastato l'esistenza, non era acclarata. A Cork, l'uomo aveva parlato con Yòrgos, esortandolo a combattere per la pubblicazione di quello scritto, di cui l'artista aveva letto i primi quattro capitoli. Teneva molto al fatto che fosse edito, dacché era un modo per sentirla ancora viva, dentro alle sue lettere e morfemi. Yòrgos si era impegnato a leggere quell'opera della moglie. I due si abbracciarono, davanti ad un buon tè. Sebbene nel tempo, Yòrgos si fosse allontanato dalle posizioni di Seán, l'artista continuava a volergli bene ed ora che il suo amico era rimasto vedovo, sentiva il forte desiderio di coccolarlo e sostenerlo, dacché lo vedeva fragile... In fondo, un Amico non deve essere la tua fotocopia... Il compositore poteva voler bene anche a chi avrebbe cercato altri sentieri per il risveglio dell'Umanità... L'artista non era ancora a metà pagina. Il pomeriggio precedente, aveva scritto otto battute di una composizione intitolata «droim ar ais» - «rovescio», in cui voleva sviluppare il suo concetto di mondo che regrediva nel senso opposto a quello che avrebbe dovuto essere il proprio verso di marcia verso la Bellezza. Quello che la sua compagna amava chiamare: «il mondo alla rovescia», di cui si vedevano sintomi in ogni dove. Povertà umana. Miseria intellettuale. Laide spinte dal basso che venivano incensate come grandi passioni dell'uomo. Tutto ciò non sarebbe mai entrato nella Vita dell'artista. Seán non lo avrebbe mai permesso. Piuttosto sarebbe andato a vivere in un faro gaelico, lontano da tutto e tutti. L'autore era a metà pagina. Chiuse gli occhi per immaginare i suoi concetti. Sentì un cane abbaiare. Si sentiva vivo. Attento. Dedito agli amori totali della sua Vita. In grado di fare. Fare era un verbo molto importante nella Vita del compositore. Durante la ventennale tempesta che tentò di gambizzarlo per sempre, Seán faceva cose, ma ad intermittenza. In quel momento della sua Vita, invece, lui era in grado di fare molto e se ne rallegrava. La sua giornata era piena di atti da compiere, in modo attento, perfettamente. La barra spaziatrice interruppe, dopo il punto, il flusso del suo pensiero e l'uomo si mise a cercare in sé quel mondo di oggetti d'Amore che lo caratterizzavano, fin da quando aveva conosciuto Sinéad a Doolin, nella più bella taverna d'Irlanda... L'uomo ricordava ancora il profumo dell'irish stew entrando nella sala da pranzo e i canti dei pescatori gaelici mentre la cameriera prendeva le ordinazioni, con Sinéad che si guardava attorno tutta divertita... Era il due Giugno del 2008: lo spartiacque della Vita dell'uomo, giorno in cui si ricongiunse con la Madre Terra delle possenti scogliere di Moher e scoprì di essere amato da una Donna meravigliosa come Sinéad. Da lì in poi, nulla sarebbe stato più uguale. La tempesta sarebbe stata solo una eco lontana. «Mi sono salvato nell'attenzione al rapporto umano con la mia compagna» meditò l'artista. Tutto aveva un senso. Tutto era bello. Tutto risplendeva nella sua Vita. Il mondo fuori non lo interessava più di tanto: avrebbe continuato ad essere un sistema spietato e tirannico capace di sfregiare tutte le più alte aspirazioni del Genere umano... L'uomo, però, aveva imparato a saper attendere. Forse la Nuova Era di Luce non l'avrebbe vista mai, nel suo sfolgorio sfavillante di aurora di un mondo altro. Forse avrebbe solo potuto scrivere e comporre pensando ad essa. Forse quella nuova dimensione del vivere insieme l'avrebbero conosciuta i figli di Aindreas, suo figlio, cui augurava di impegnarsi per un diverso approccio alla esistenza di sette miliardi di persone. Ma alla fine, all'autore non interessava neanche più tanto in quale punto, nell'ambito della semiretta temporale, la rivoluzione si sarebbe collocata. Gli premeva, invece, sapere quando i non-uomini sarebbero stati sbaragliati e posti nella condizione di non nuocere più a nessuno... Il compositore aveva in mente di continuare il brano musicale sul mondo alla rovescia. Le prime otto battute che aveva scritto gli sembravano veramente molto belle. Alle volte, si fermava a contemplare anche un numero davvero ristretto di note. Era importante ciò che ci sapeva vedere dentro, non quanti minuti di musica rappresentassero. «Perché scrivere tante note, quando ne puoi immortalare poche di grande valore?» scrisse nel suo probo diario, sempre più turibolo dei pensieri di un artista rivoluzionario. Era all'inizio dell'ottava pagina del tredicesimo capitolo del suo nuovo racconto. Fece un tiro di sigaretta. Chiuse gli occhi ed immaginò i propri percorsi mentali come un tratturo che conduce ad una splendida vetta. Era quasi giunta l'ora di sentire al telefono sua madre, per darle il buongiorno. Il loro era diventato, nel tempo, un appuntamento davvero bello. Commentavano le condizioni del tempo, si raccontavano, decidevano insieme le cose da fare nella giornata che si apriva innanzi ad essi. Seán aveva riportato da Cork dei tipici ingredienti della cucina locale e ci aveva preparato una cena da vero intenditore, per la sua compagna, che aveva apprezzato moltissimo, lucidando il piatto. L'uomo, grazie all'Amore, stava imparando a fare tante cose, con la massima dedizione ed attenzione. C'erano dei momenti in cui tutto gli sembrava possibile, anche le operazioni che riteneva più difficili, come creare, in cucina, un nuovo piatto per scoprirne la Bontà insieme alla Donna che aveva scelto per la Vita... Seán era lieto, quella mattina. Non sapeva ancora cosa avrebbe fatto insieme a Sinéad, ma era consapevole che, qualsiasi cosa avessero fatto insieme, sarebbe stata meravigliosa. Lei era tutta la positività che l'uomo potesse desiderare. Lui spesso si faceva guidare da lei, come Dante da Beatrice, perché sapeva che la sua Donna era Bontà. Verità. Pulcritudine. Non poteva avere altri aneliti. Lei lo riempiva. Lo colmava. Lo amava. I due erano l'uno il prodigio dell'altra. Assolutamente. Condannati dalle loro tempeste ad essere non-uomini, si erano trasformati ed evoluti in creature di Luce che sanno prendersi cura, con abnegazione, delle persone che amano. La dedizione era tutto, per l'uomo. Non c'era rapporto senza avvedutezza... L'autore non era ancora a metà pagina. Scavò nella sua franchezza. Cercò parole vere. Vedeva ancora troppa gente impegolata nei non-rapporti, perdersi irrimediabilmente in percorsi sado-masochistici che portano all'annientamento di ogni forma di pensiero di Possibilità di realizzazione piena dell’individuo. Esisteva allora una forma di algolagnia mentale che verteva intorno alla realtà cruda di causare dolore o procurarselo, traendo da ciò quel piacere perverso di sentirsi vivi, nei casi di non-rapporto, che allontanava tutti dalla Nuova Era di Luce, nella quale, invece, i rapporti sarebbero stati tutti Lucenti, come le persone. Il compositore pensò a Shayla, che scriveva ancora ad un uomo fantasma, che si manifestava ad intermittenza. L’artista non riusciva a comprendere come una ragazza così vitale potesse perdere il suo tempo in una relazione amorosa che era solo nella sua testa e non le avrebbe mai permesso di vivere un Amore pieno. Tuttavia, l’autore considerava la sua dolce Amica una grande risorsa e l’avrebbe sempre aiutata a trovare la sua dimensione di mente brillante, Donna Lucente. Erano quasi le nove. L'artista decise di telefonare a quella buffa signora di sua madre. La sua genitrice stava bene. Sarebbe andata a festeggiare al ristorante con il suo fedele amico. Seán ne fu felice. Saperla attiva lo rincuorava. Il compositore le chiese se lei avesse ascoltato «Rainy Day» e la madre gli rispose di sì. La simpatica signora aggiunse che la Musica l'aveva trovata davvero bellissima, dando al figlio una grande gioia. Era importante che lei sapesse cosa faceva il suo bambino tutto il giorno nella sua piccola casa di Galway, davanti all'oceano. L'uomo ricevette un messaggio Telegram dalla sua Donna, che gli augurava il buongiorno. L'artista era davvero lieto, quella mattina, e i pensieri cupi, sulla sua incapacità di avere molte relazioni, si smorzarono, cedendo il passo alla frizzante allegria del fine-settimana. Lui aveva bisogno di trascorrere del tempo con la sua Sinéad... Il tempo con lei era Vita. Passione. Gioco. Bellezza. Focalizzò i suoi pensieri. Li vide viola, come la dedizione verso la sua compagna. Pensò a quanto fosse sensuale baciarle il collo e sentirne la fragranza. La pelle della sua Musa era un tempio. Rimembrò come le mordesse delicatamente il ventre, quando facevano l'Amore. Come le portasse le mani al seno profumato, con quei capezzoli dal colore rosa così delicato. Si ricordò, sorridendo, tutte le frasi che lei gli diceva mentre si compenetravano. Lei era attenta ad ogni singolo particolare. Lei voleva che la loro Passione fosse perfetta. Una vera opera d'Arte... L'autore era quasi a fine pagina. Si alzò dalla scrivania per andare in cucina a leggere l'ora sul grande orologio a muro con le lancette argentee. Bevve l'ultimo sorso di caffè e si accese l'ultima sigaretta del pacchetto. Erano le nove ed un quarto. Voleva chiudere la pagina. Ce l'avrebbe fatta? I suoi pensieri rapidi si affastellavano come farfalle in libertà. Dalle sue profonde ferite di ragazzo provato dalla tempesta erano nati fiori selvatici di rara Bellezza. Dal dolore l'incanto. Dall'abisso un’architettura sacra. Il compositore aveva gli occhi verdi del padre. Porte che avevano visto tanto male. Atri di un'anima splendida. Connor emanava una Luce davvero poderosa. I suoi occhi avevano visto il male operato ai danni del popolo irlandese da una occupazione inglese spietata ed arcigna, che aveva spezzato le naturali aspirazioni di un popolo ad essere padre della terra che fieramente abitava dalla notte dei tempi. Il 2017 stava diventando veramente l'anno della definitiva consacrazione di artista di Seán. Aveva scritto davvero molto. La sera prima, attendendo la sua Donna, fu punto da vaghezza di fare del suo racconto una sceneggiatura per Cinema, con la colonna sonora composta dai brani che stava componendo via via... Era giusto un sogno ad occhi aperti, e l'uomo viveva spesso di mondo onirico, tenendo sempre ben presente la realtà, maestra di Vita. Forse il suo racconto avrebbe superato le duecento pagine. Forse sarebbe stato possibile trarne una sceneggiatura. Forse l'idea non era poi così malvagia... Il fatto era stabilire quanto tutto il suo racconto rappresentasse davvero il compendio dei suoi pensieri. Lui ancora non sapeva bene cosa la sua nuova prosa avrebbe significato nella sua esistenza, ma era sicuro che, con dedizione ed abnegazione, la sua opera, che già riluceva, avrebbe indicato la via verso la rivoluzione delle menti... La vera Nuova Era di Luce inizia nella Psiche di chi la desidera. Questo, Seán, lo sapeva molto bene. Pensò al suo Amico Poeta Damien, che scriveva versi meravigliosi in una Belfast, che, dopo gli orrori della guerra, si era riscoperta capitale europea. Il compositore aveva sempre in mente di continuare a scrivere il suo brano sul mondo alla rovescia, che poi avrebbe spedito a Sinéad. Il viale iniziava a produrre un brusio tale, che l'artista fu costretto a chiudere le finestre, perché, altrimenti, non sarebbe stato in grado di concentrarsi sulle sue parole, che, molto spesso, richiedevano il silenzio più totale, per essere gustate, sentite, contemplate. Quella mattina non aveva ascoltato ancora nessun suono dei suoi agglomerati acustici e nessuna altra musica. Pensò che, di lì a poco, sarebbe stato bello riascoltare il secondo Movimento della Sinfonia n. 9 di Beethoven. «Che grande oceano sei stato, Ludwig van...» scrisse nel suo diario rosso, che non avrebbe mai lasciato nell'oblio... L'uomo pensò quelle parole e subito sentì, nella mente, i primi accordi della seconda parte dell'ultima Sinfonia del grande compositore tedesco. Pensò alle parole del Máistir, quando descriveva con attenzione tutti gli agglomerati accordali dell'ultima fatica sinfonica del genio di Bonn. Le lezioni di analisi della partitura del suo Maestro erano sempre state davvero intense. Seán se le ricordava tutte nitidamente. Il Máistir era davvero una creatura possente, carismatica, capace di produrre contenuti di altissimo valore. L'uomo lo conosceva davvero bene. Era stato il suo Maestro ad insegnargli l'attenzione al segno e alle cose. Era stato lui ad inculcargli la dedizione che si deve avere nei confronti di qualsiasi essere umano. Era stato lui ad insegnargli a distaccarsi da tutte quelle forme di non-rapporto che avrebbero potuto inquinargli l'esistenza. L'autore era a metà pagina. «Credo che il Máistir sia stato, per me, Maestro di Vita, oltre che insegnante di Composizione» riflesse Seán... L'uomo conservava, nel proprio mondo interno, l'immagine di una serie di persone che avevano, con attenzione e dedizione, amato la propria Possibilità di divenire delle splendide creature di Luce, delle Lucenti... Ripensò a Crón, a come, parlando nel salotto della sua Amica, avevano elaborato la teoria di una Nuova Era di Luce, un rinascimento umanistico possibile nel terzo Millennio, nonostante quasi tutti i segnali dal mondo fossero ipocrisia e violenza. Gli mancava molto la sua Amica, che, nel tempo, era diventata una sorella spirituale. L'artista ne ricordò il bel sorriso, con cui argomentava le opportunità dell'essere umano, che avrebbe potuto benissimo ribellarsi allo squallore del turbocapitalismo. Le tendine arancioni della finestra dello studiolo lasciavano filtrare una Luce tetra. L'empireo era avvolto da nubi basse che creavano una coltre impenetrabile. Il vento era leggero. L'uomo fece una pausa. Stava scrivendo da più di tre ore ed iniziava ad accusare stanchezza mentale. Con due ritornelli, aveva fatto diventare le battute del brano, sul mondo alla rovescia, sedici. Le analizzò, trovandole perfette. Quattro battute degli archi, cui seguivano quattro battute dei legni, con l'ultimo accordo fortemente dissonante. L'artista era in grado, in quell'epoca della sua esistenza, di comunicare il proprio mondo. Senza paure. Senza reticenze di sorta. Senza l'angoscia di dover per forza piacere a qualcuno. Lui sapeva che la sua Arte fosse per pochi. Non scriveva per compiacere un editore. Non componeva per lanciare una hit sul mercato mondiale. Non voleva altro che la Poesia dei suoi oggetti interni, sublimati in lemmi e suoni, come recitava il titolo del suo sito personale, in una Poetica rigorosa ed attenta, capace di creare sublimi architetture dei segni d'Arte. Pensò a Damien che gli regalava la gioia di seguirlo nel sito dove poneva le sue composizioni. Lui amava il pianoforte che Seán usava nelle sue musiche. Ne adorava il timbro, gli accordi, le sospensioni e la ritmica. Il compositore era davvero soddisfatto, quel sabato mattina. Forse sarebbe andato a guardare l'oceano con la sua compagna. Forse ne avrebbe sentito il profumo. Forse quello era il periodo più bello della sua intera Vita. Pensandoci, quasi si commosse. Riluceva, in lui, il folgore di una esistenza condotta per la speranza di stare bene ed essere amato per ciò davvero che era: un guerriero. Un superstite. Un sopravvissuto. Un esule. L'artista attendeva la telefonata della sua Donna, di cui desiderava ogni respiro. Era quasi a fine pagina. Si concentrò per trovare una frase che rappresentasse tutto il suo sentire in quella fine di Ottobre, in un autunno davvero formidabile. Pensò ai colori della stagione e al cielo plumbeo. Pensò alla risacca del grande Atlantico e ai colori del mare, con quelle diverse tinte di blu che tanto lo affascinavano. Era stato in centro e aveva potuto notare quanto il fiume Corrib fosse pieno di acqua, che trasportava verso l'oceano con veemenza. Pensò come avrebbe potuto sviluppare la sua ultima fatica musicale. Aveva una idea di quattro accordi da affidare agli ottoni. Il mondo alla rovescia era di difficile rappresentazione. Telefonò a Sinéad ma non la trovò in casa. Forse era da sua madre, che le abitava vicino. L'artista pensò alla decima pagina del tredicesimo capitolo, che stava vergando con una certa fluidità, certo che, con attenzione, avrebbe scritto qualcosa di degno. Diede una letta sommaria alle news di Facebook e si ripromise di leggere qualche articolo della stampa locale. Le dinamiche della politica della Landa gli interessavano sempre molto. Non avrebbe mai visto una Irlanda riunificata ed indipendente, perché erano troppo forti gli interessi in ballo, ma sognava che, al suo popolo, venisse concesso di vivere in una sola patria, quella dei Celti, quella di tutti gli irlandesi con un briciolo di buon senso. Aveva scritto poche righe, da quando era tornato dalla sua consueta passeggiata mattutina, ma sentiva di avere ancora buone idee da sviluppare. Aprì le finestre ed ascoltò il suono lontano della risacca dell'oceano, che, come aveva detto la sua Musa, era il commento sonoro ideale per la Vita. Teneva aperta la partitura intitolata «rovescio» e la scrutava in silenzio. Non sapeva ancora che verso avrebbe preso il suo fine-settimana con l'adorabile Sinéad, di cui sentiva l'aroma dei baci, in ogni parte del suo corpo di uomo animato da puro desiderio carnale. Congiunse le mani. Diteggiò. Si accarezzò la barba in un momento di concentrazione totale. Bevve un sorso di tè nuovo, dono della sua compagna. Si accese una Chesterfield rossa. Sorrise, osservando la tazza policromatica che conteneva la sua bevanda. Pensò a Klee, a Kandinsky, a quelli che lui considerava i maestri del colore. Si sentì appagato. Aveva sempre vicino a sé il suo smartphone, perché amava leggere i messaggi e le notifiche di Facebook, con gli amici che gli tenevano compagnia. Non era ancora a metà pagina. Voleva assolutamente chiudere il tredicesimo capitolo prima di andare dalla sua compagna, che lo avrebbe inondato di baci... L'uomo fece un tiro di sigaretta. Guardò il viale: era un letto di foglie coloratissime. Osservò il viavai delle persone. Si percepì parte del grande insieme del Genere umano, cui augurava, da profondo del cuore, una rinascita sotto tutti i punti di vista. Era serio, ma amava ridere. Era forte, ma fragile. Era gentile, ma deciso. Quel sabato mattina stava scorrendo bene. L'artista seguiva il flusso dei propri pensieri, godendo della Bellezza di una scrittura veloce ed incisiva. Pensò a stampare lo scritto per la sua Donna, che lo avrebbe letto con grande attenzione. Sinéad considerava la dimensione artistica del proprio uomo come indispensabile componente della sua Identità di Lucente. Lei non avrebbe mai rinunciato alla sua Musica o alle sue parole, che sentiva belle e vere, vettore verso la Nuova Era di Luce, cui lei stessa credeva fermamente, sebbene tutto quello che era reale inneggiasse all'idiozia criminogena. L'autore si stava sforzando per terminare il capitolo in modo sentito e avvolgente, che creasse, nel lettore, meraviglia e stupore. Non sapeva ancora bene cosa avrebbe comunicato, ma voleva dedicarsi, con tutto se stesso, alla stesura di quell'ultimo scampolo letterario. Era attento. Avveduto. Accorto.
2° Stralcio 14° Capitolo
Sentiva forte il richiamo della pelle della sua compagna. Quel profumo delicato che lo inebriava tutte le volte che si avvicinava al suo collo e ai suoi lunghi capelli fluenti dalla tonalità cromatica scura. Lei si era mantenuta integra, nei quarantadue anni che precedettero l'incontro con il suo uomo. Non aveva permesso al sistema di rovinarla, nonostante le cadute, dopo le battaglie, fossero state tante. Nondimeno, era rimasta bella e, ad ogni sfida, aveva corroborato la propria immagine di Donna originale e anticonformista. Una vera rivoluzionaria. L'uomo la ammirava dal profondo del proprio cuore. La stimava davvero tanto. Anche lei era una superstite. Anche lei, se avesse dato retta alle malie del sistema, avrebbe potuto essere un mostro. Anche lei aveva scelto la Verità. Seán la desiderava nuda, sul suo letto blu e verde, accarezzarsi dolcemente ed instancabilmente i seni prosperosi e il clitoride, a gambe aperte, mentre lui le avrebbe baciato i piedi, che trovava bellissimi. Sinéad era una Donna piccola, una vera e propria sirena nata dalle onde dell'oceano... Lei era grazia. Attenzione. Dedizione. Tutto quello che l'uomo amava di più al mondo. L'artista, quel giorno, prese coscienza del fatto che non aveva praticamente nessuno con cui comunicare, fuori dal suo nucleo. Era un dura lezione, quella, per lui. Ripensò alle parole del Máistir che aveva predetto, per le anime belle, quella sorte già vent'anni prima... Voce di un visionario... Pensieri di un antesignano della Nuova Era di Luce... Il compositore ripensò al suo brano incompiuto sul mondo alla rovescia. Si chiese se l'avrebbe mai portato a termine. Alle volte, veniva colpito dalla stanchezza di creare lavori che forse sarebbero stati ascoltati cento anni dopo. Sebbene fosse conscio della sua missione, comunque, trovava castrante l'impossibilità di giungere a molti. In quell'epoca di esaltazione della mediocrità, lui doveva per forza soccombere. Era ovvio. Non poteva certo confliggere con i video in cui avvenenti modelle danzavano su ritmi sfrenati, richiamando gesti sessuali espliciti, che, immediatamente, piacevano a centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo. Le persone vuote, in tutto il mondo, avevano vinto, ma l'uomo sapeva che la guerra per l'esito finale fosse ancora davvero molto lunga. L'autore pensava che il turbocapitalismo, giunto alla sua fase più spietata e sadica, non fosse altro che una parentesi. Alla fine, ripensò l'artista, dopo aver osservato una fotografia che la sua Donna gli aveva da poco spedito, le relazioni digitali, che abbondavano in quell'era, per lui, non rappresentavano proprio nulla. Non doveva proprio prenderle in considerazione. Non dovevano occupare alcuno spazio, nella sua mente. La scrittura fluiva lieta. L'artista aveva scacciato i pensieri cupi e veleggiava allegro sulle creste delle onde del proprio cervello creativo. Si ripeteva spesso, come un mantra, che tutto dovesse andare per il verso giusto. Si andò a sciacquare il viso. Voleva sentirsi fresco. Pensò a quanto fosse bello affondare il proprio naso fra i capelli della sua Donna, sempre così profumati e lisci. L'autore era all'inizio di una pagina nuova. Raccolse le idee, giurandosi che avrebbe sempre scritto la frase più onesta che gli percorresse la mente. Riguardò la foto che gli aveva spedito la sua compagna, che ritraeva il suo viso truccato da streghetta. Lui aveva voglia di mangiarla tutta. Il desiderio di lei non lo stancava mai. Era anzi cresciuto nel tempo, da quando lui era maturato e divenuto uomo. Erano l'uno le prime volte dell'altra, come amava dire la sua Musa. Si ricordava con esattezza quella volta a Dublino, quando lei, osservandolo con cura, gli disse: «Noi siamo le nostre prime volte!», felice come una bambina al parco. Erano quasi le undici di mattina. Il compositore avrebbe scritto ancora, fin dove la creatività lo avrebbe condotto. Andò alla finestra dello studiolo ed ammirò le pietre del viale, sempre così candide. Doveva imparare che i destini degli irrisolti non lo riguardavano. Doveva sempre essere vigile, perché nessun non-rapporto poteva entrare nella sua giornata. Doveva essere accorto perché le manovre mortifere del sistema potevano tentare di ucciderlo in qualsiasi momento. Il ricordo della tempesta perfetta lo faceva rimanere vigile. Era capace di individuare molti segni della deriva. «Sarò abbastanza forte?» si chiedeva spesso. Voleva essere un uomo capace di difendersi e tutelare la propria famiglia. Era a metà pagina. Nel profondo del suo cuore, sapeva benissimo che non avrebbe mai permesso che un membro del suo nucleo fondativo potesse star male e vivere nella sofferenza della Psiche, che, per lui, era già una dimensione di morte ontologica. Guardò fuori dalla finestra e vide un manipolo di biciclette invadere il viale. Sorrise. La Vita continuava sempre, ad ogni nuovo Sole. La barra spaziatrice concluse, con un suono sordo, l'analisi di quella sua riflessione e l'uomo si percepì, improvvisamente, lieto. Fiducioso, dacché le sue parole forgiavano il proprio umore di uomo alla ricerca di risposte concrete sulla Possibilità di essere felice. Non era quella di sicuro l'era della rivoluzione, ma lui, di fatto, avrebbe potuto aspettare ancora. I dormienti lo atterrivano. I non-rapporti lo sgomentavano. I non-uomini gli incutevano un profondo senso di angoscia. L'uomo bevve un po' di caffè. Si accese una sigaretta pensando alla Bellezza delle forme di Donna della sua Sinéad. Aveva desiderio dei suoi baci. Non c'era, al mondo, nulla di più dolce del sapore che la vagina della sua compagna gli lasciava in bocca, quando lui sprofondava in quel corpo femminile che lo estasiava. Voleva un altro bacio. Desiderava leccarla tutta, far scivolare la sua lingua di uomo lungo la schiena e il sedere della sua Musa. Voleva succhiare il suo orifizio anale e poi metterci un dito, mentre, con voluttuosità, l'avrebbe penetrata da dietro, in una spirale di sesso selvaggio. Con la sua compagna, lui aveva scoperto la potenza virile del proprio membro, che, in quel momento, le avrebbe appoggiato fra i seni corposi, facendosi massaggiare dolcemente. Voleva fare l'Amore con la sua Donna. La cosa che desiderava di più era sentirsi dentro di lei e baciarle il meraviglioso viso da eterna ragazza... Voleva eiacularle in bocca e sentire l'emozione del momento in cui lei avrebbe ingoiato il suo liquido seminale, chiudendo i suoi stupendi occhi luminosi. L'artista si eccitò pensando a quanto fosse bello succhiare i suoi capezzoli rosei e sentire la mano di lei massaggiargli ritmicamente il pene. Il loro codice d'Amore era desiderio puro. Il compositore non ne conosceva uno superiore, nella propria Vita. «Ti piace il mio culo?» le aveva chiesto l'ultima volta la sua compagna, mentre lui la possedeva da dietro, in un ritmo rapido con cui entrava ed usciva dalla sua vagina, tutto emozionato. All'uomo, la sua Donna piaceva davvero tutta. Non c'era una parte più importante dell'altra, quando lui pensava alla maestosità del suo corpo di Musa immortale. «Penetrami tutta, Seán!» gli diceva spesso lei, quando, dopo aver raggiunto il suo orgasmo di Donna attraverso i baci intensi al clitoride, lui la possedeva col suo membro, sussurrandole quanto la trovasse bella. Si erano conosciuti attraverso i lemmi, che erano diventati atti. Continuavano a dirsi parole bellissime, senza stancarsi mai. Erano leggeri e profondi. Giocosi e seri. Carnali e spirituali. Il loro mondo era avvolto dalla Pulcritudine. L'uomo non avrebbe modificato nulla nel proprio rapporto con quella meraviglia di Arte femminile, che si disvelava in ogni gesto... Poteva, però, diventare sempre più bello, questo lui lo sapeva molto bene. Aveva terminato la pagina. Rilesse gli ultimi periodi, trovandoli compiuti. Ricordò con nitidezza l'emozione di sentire ansimare la sua Donna, durante quei momenti eterni di godimento, quando lui le baciava i seni e lei, con la sua voce calda, lo esortava a continuare. Lei era molto sensibile ai suoi baci di amante. Non aveva mai rifiutato un suo abbraccio, neanche in mezzo alla gente. Lo aveva sempre fatto sentire accettato, amato, desiderato. Questo era il prodigio di Sinéad. Il compositore pensò al suo brano da terminare. Non sapeva ancora quando lo avrebbe ripreso in mano. In quel momento, a parte una successione di accordi per gli ottoni, non aveva altre idee, ma era ovvio che un brano in quel modo, su una tematica tanto controversa, potesse essere di difficile scrittura. L'uomo non se ne preoccupò. Forse i tempi non erano maturi per quel tipo di composizione. Forse doveva vivere ancora qualche altra esperienza. Forse lo avrebbe lasciato così per chissà quanto tempo... L'artista sapeva che non poteva comandare la propria creatività. Essa viveva di Luce propria e non era bene sforzarsi di scrivere qualcosa che non si sentiva dal profondo. L'autore aveva imparato a portarsi rispetto. Decriptava in continuazione i segnali dal proprio mondo interno. Era una unità compatta: cervello, pensieri, emozioni, deduzioni, conclusioni, corpo, segni d'Arte... C'era qualcosa di profondamente carnale nella sua creatività. Il corpo sentiva le idee nuove e si predisponeva ad affrontare lo sforzo fisico di sostenerle durante la fase di elaborazione, quando quel qualcosa, che nasceva nella mente, bramava diventare un segno... Il processo creativo del compositore nasceva dalle esperienze vissute, si tramutava in pensiero e, dal cervello, diventava simbolo da rappresentare. L'uomo sapeva che prima avrebbe dovuto vivere, poi avrebbe codificato. Ripensò ai massaggi di Sinéad, a come le sue piccole mani calde solcassero la vastità del suo corpo di uomo. Ricordò la dolcezza con cui lei gli baciava il ventre. La forza con cui gli teneva le mani, mentre gli succhiava il pene, quasi a volerlo imprigionare nell'abbraccio più bello del mondo... L'uomo non avrebbe mai potuto desiderare altra compagna. Non avrebbe mai guardato un altro uomo, con la propria fidanzata, invidiandolo. Non avrebbe mai lasciato la sua Donna nella difficoltà, combattendo al suo fianco per sempre. L'autore era a metà pagina. La qualità della sua scrittura era ancora alta. Il flusso dei suoi pensieri fresco, come il suo viso appena lavato. L'uomo ricordò esattamente gli istanti in cui, mentre succhiava il clitoride alla sua compagna, lei appoggiava i suoi piedini sulle sue spalle e gli suggeriva di penetrarla con le dita, in un massaggio ritmico lento e profondo, che la aiutava a raggiungere l'orgasmo, con grida possenti, mentre tutto il suo corpo sussultava per il grande piacere. L’autore avrebbe tanto voluto, in quel momento, giacere con il suo Amore. Sentire la schiena di lei adagiarsi accanto a lui. Percepire il suo membro attaccato al sedere di lei, in una rima plastica dalla Bellezza sconvolgente. L'artista era desiderio. Lo aveva scoperto col tempo. Ne aveva recuperato una dimensione da fanciullo, che la tempesta aveva provato a portargli via. Riflesse sulla Nuova Era di Luce, che sarebbe stata il trionfo della Psiche guarita sui mali della società. Un momento storico da ricordare. La sua penna era ancora vitale. Fece un tiro di sigaretta. Guardò, in un angolo dello studiolo, le pantofole rosse della sua compagna. Incredibile come un piccolo piede come il suo potesse sorreggere una Identità tanto grande... Nel pomeriggio, si sarebbe dedicato alla sua casa. Avrebbe anche cucinato per la sera, quel giorno che non avrebbe avuto la sua Musa a cena. Il tempo era sempre uguale, durante quella mattinata. Il ticchettio dei tasti del Mac lo aiutava a concentrarsi. Voleva chiudere la pagina. Era già a buon punto del capitolo. Gli venne in mente una canzone dei Cranberries, che aveva ascoltato la sera prima con la sua compagna, di ritorno dal mare, mentre osservavano un tramonto spettacolare, dalle mille sfumature di rosso. Ad un tratto, l'artista provò fatica. Erano state tante le parole scritte quella mattina, appena sveglio, dopo il suo immancabile caffè. Provò a concludere il foglio. Cosa scrivere ancora su come lui vedeva il mondo? Non gli giunse alcun messaggio dagli Amici. L'uomo suppose fossero tutti presi. Non avrebbe mai permesso a mani lerce di invadere il suo territorio. Lui era un Lucente e desiderava vivere nell'armonia estatica che aveva costruito negli anni con tanta fatica. Gli altri avrebbero pure potuto perdersi in mille malie del sistema, alla fine, tutto ciò non gli interessava più di tanto. Non poteva salvare nessuno. Non poteva convincere nessuno della Bontà delle sue posizioni. Non avrebbe avuto proseliti. Lo riguardava solamente il proprio nucleo e la autentica felicità di esso. Le maglie del potere politico non permettevano altro. Aveva reciso tutti i rami patogeni, dal proprio albero, che ora era forte e fiero, volto alla Luce. Viveva in un mondo spietato, lo sapeva bene. Non avrebbe mai nutrito il sistema. Non avrebbe mai concepito la violenza dell'uomo sull'uomo. Non sarebbe mai stato dalla parte di chi deforesta l'Amazzonia. Stava chiudendo la sua pagina. Era stanco. Decise che avrebbe fatto spesa. Si assentò. Durante la serata, fece diverse cose e poi sprofondò in un sonno prodigioso. Al mattino, si svegliò, cominciò a prepararsi il caffè, si lavò il viso e pensò a come continuare il proprio racconto, che sognava poter diventare il primo vero romanzo gaelico sulla Nuova Era di Luce, immaginando quanto avrebbe lavorato alacremente per raggiungere quel risultato cui tanto ambiva... Gli vennero in mente diversi periodi iniziali, ma la frase più onesta di tutte fu: «Il pianoforte di Sviatoslav Richter è la perfezione sulla Terra». Voleva scrivere. Era l'unica cosa che in quel momento bramasse fare. Si concentrò. Erano appena le sei del mattino e la tenebra del viale avvolgeva tutto in una sorta di abbraccio notturno. Bevve un bicchiere d'acqua, dacché ne amava il gusto neutro. Il desiderio e l'attenzione erano due grandi vettori della sua Vita. Non appena sveglio, aveva proprio pensato che lui fosse stato, nel tempo, davvero molto accorto in tutto quello che aveva fatto. Metteva Amore anche nella semplice preparazione del caffè. Ogni suo gesto era attento. Avveduto. Ogni sua azione era desiderio di una Vita bella. Durante la tempesta, il desiderio di una esistenza più appagante lo aveva tenuto in Vita. In quel tempo, aveva provato a resistere in tutti i modi alle bordate di un destino avverso, con la speranza di non soccombere. Il ragazzo di Belfast, figlio del pescatore indipendentista, non aveva posto nella società britannica... Negli ultimi nove anni, la voglia di essere l'uomo degno di Sinéad lo aveva trasformato nella creatura che era in quel momento, vigile ed accorta. La Vita, senza desiderio, non esiste, semplicemente. Esso è il motore primo. L'autore non era ancora a metà pagina, ma già si immaginava i propri pensieri tradotti in segni. Pensò al Máistir che, molti anni prima, gli aveva spiegato quelle cose, durante l'analisi di diverse partiture importanti, come quelle di Mahler e Bruckner. L'artista pensò di essere molto fortunato. Non a tutti viene concessa una seconda Vita, da esperire con il massimo della gioia. Bevve un sorso di caffè e si accese una sigaretta. Sognava la contea del Donegal. Voleva portarci la sua compagna, per godere appieno delle gioie di quel territorio incantato, fra pascoli e oceano. Forse avrebbe realizzato il suo sogno.
2° Stralcio 15° Capitolo
Sinéad gli disse: «Vieni con me!» e lo portò vicino al letto, poi gli si inginocchiò di fronte. L'uomo sorrise, perché sapeva che quello era l'inizio del loro rito d'Amore. La donna gli abbassò i pantaloni e le mutande ed iniziò baciargli il pene, i testicoli e lo scroto. «Guarda come ti faccio mio, osservami!» gli sussurrò lei, mentre gli succhiava il glande per farlo diventare sempre più grosso, con lui che respirava forte, tenendole le mani sui capelli e giocandoci con tenerezza. Poi la Donna si abbassò la gonna, si posizionò sul letto come una cavalla e invitò il suo uomo a farla sua. «Prendimi, Seán, sono tutta tua!» gli disse con una voce così sensuale, che l'uomo non avrebbe potuto resistere neanche un secondo in più. Seán iniziò a baciarle il sedere che tanto amava, con piccoli morsi e qualche schiaffetto che la faceva gemere. Giunse poi all'orifizio anale, che succhiava e baciava alternandolo alla vagina, che si parava innanzi a lui, nella sua forma allungata. Sinéad lo pregava di continuare a baciarla, ma l'uomo non trattenne il suo desiderio e la penetrò con il membro. La Donna sussultò, abbassando il proprio tronco quasi tutto aderente al letto. L'uomo, da dietro, la possedeva, afferrandole i seni prosperosi dalla squisita fattezza. Il ritmo della loro falcata era ora lento, ora profondo e veloce. La loro cavalcata sublime. «Voglio il tuo sedere» disse l'uomo, con una certa autorevolezza. La Donna sussurò: «Anche io ti voglio lì!» iniziando a masturbarsi con l'indice ed il medio della mano destra, dopo essersi inumidita le dita. L'uomo estrasse il pene gonfio dalla vagina turgida e, delicatamente, lo lasciò affondare nell'orifizio anale, reso umido dai baci appassionati di qualche minuto prima. Quando Sinéad avvertì la presenza del membro di lui nella prima parte dell'orifizio, si rilassò molto, preparandosi alla penetrazione, con un respiro di Donna conturbante che fece impazzire l'uomo di gioia. La sua compagna si produsse in una serie di movimenti lenti di assestamento, per invitare il suo uomo a possederla. Lei continuava a stimolarsi il clitoride, intridendo di saliva le due dita con cui amava masturbarsi. Seán entrò con tutto il suo membro nel sedere e, con movimenti ritmici lenti, era tutto dentro al suo Amore. La Donna intensificò l'atto di eccitarsi e l'uomo comprese che lei fosse prossima ad uno dei suoi orgasmi giganti. Lui continuò a muoversi, poi, proprio quando sentì che lei stesse per esplodere, si tolse dal sedere e le penetrò profondamente la vagina calda ed avvolgente mentre lei si apriva in una ritmica cadenza di sussurri e gemiti. «Voglio venirti dentro!» le disse lui e lei gli rispose: «Sì, vienimi dentro, ti voglio tutto!»... I due raggiunsero insieme un magnifico orgasmo, per poi abbracciarsi sul letto del faro. Spesso l'artista sognava di fare l'Amore con la sua Donna. Era un fortissimo desiderio che lui aveva. La vagina di lei era la sua vera casa. Era l'atrio della sua Gioia. Era la porta per una dimensione di benessere che l'uomo non aveva mai provato prima di lei. Il corpo della sua compagna era il tempio che, da tanto tempo, l'uomo aveva voluto contemplare. Sinéad era la sua dimora. L'edificio della sua pelle di Donna affascinante l'unica casa di cui avesse realmente bisogno. Nel momento stesso in cui narrava il proprio ultimo sogno, l'autore realizzò che erano tre ore e mezza che stava scrivendo, accusando dunque una certa stanchezza. Gli mancavano poco meno di due pagine alla barriera psicologica dei centocinquanta fogli. Gli sarebbe tanto piaciuto poter continuare a scrivere, ma non sapeva se avrebbe avuto le energie. Bramava i baci della sua compagna, sempre così belli e puliti. La voleva. Desiderava perdersi nei suoi meravigliosi occhi castano scuro. C'era silenzio nella casa dell'artista. Negli ultimi giorni, recidendo gli ultimi non-rapporti della sua Vita, era crollato in una profonda assenza di suoni, che gli aveva permesso di ascoltarsi e fare chiarezza. La barra spaziatrice del Mac chiuse l'ultimo periodo, con un suono sordo dopo il punto. L'uomo era ancora curioso come un bambino e, con Sinéad, aveva scoperto come il sesso potesse essere il gioco più bello del mondo. Fece un tiro di sigaretta, mentre pensava alla maestà dei capezzoli turgidi della sua Donna. Lei sapeva come renderlo felice, con le parole, le azioni, i pensieri. Lei era la risposta a tutto, lui lo sapeva bene. Lui sapeva che lei non lo avrebbe mai ferito volontariamente. La prima volta, nove anni prima, a Doolin, lui l'aveva guardata con attenzione, davanti alla locanda, nella quale si erano dati appuntamento, e aveva notato quanto lei gli comunicasse una intensa idea di candore e pulizia. Lei aveva un'anima bambina, con la quale sognava un mondo a misura di uomo. Sinéad era la Luce, che illuminava la via del primo Lucente. Era lei la fonte di gioia. Era lei il metronomo. Era lei la Possibilità. L'autore era a metà pagina. Stava terminando le idee da comunicare. La sua scrittura, tutto d'un tratto, si era fatta stanca. Forse avrebbe rimandato ad un altro giorno la vittoria delle centocinquanta pagine raggiunte. Pensò al Máistir e decise di scrivergli una nuova mail, con l'oggetto «Attimi»:
«Caro Máistir, sono qui e ti penso comporre la tua musica. Come stai? Come procedono le tue giornate? Io scrivo e compongo, nonostante, ultimamente, il mio processo creativo verta di più sui lemmi, che sui suoni. Il nuovo racconto mi assorbe completamente e sono arrivato al quindicesimo capitolo. Devo dire di essere davvero felice di questa nuova prosa. È un'opera degna della Nuova Era di Luce, cui so che anche tu aderisci fortemente, con il tuo spirito indomito di guerriero. Mi piacerebbe partecipare alla Premiere della tua prima opera lirica. Fammi sapere dove e quando la terrai. Suoni ancora Bach con la tua viola da gamba? Qui le giornate si susseguono allegramente. Aindreas sta diventando un uomo. Sinéad ti pensa e ti ricorda con grande affetto. Il mio amico Damien, di cui hai letto alcune liriche, continua a scrivere poesie di grande impatto. Io sono sempre io. Sogno un mondo altro da questo, proprio come te. Ti voglio bene... Sei nei miei pensieri... Tuo, Seán...»
Pochi minuti dopo, mentre l'uomo stava preparando la lavatrice, sentì l'inconfondibile suono di notifica di una mail in entrata, prodotto dal Mac. Lasciò le t-shirts dentro al cesto dei panni sporchi e corse a vedere. Era la risposta del Máistir alla sua lettera di qualche istante prima. Il suo Maestro, lieto di ricevere notizie dal suo pupillo, gli aveva immediatamente dedicato alcuni suoi pensieri. Il contenuto dello scritto fu questo:
«Caro Seán, figlio mio adorato, purtroppo le mie condizioni di salute non sono ancora buone. Ho vissuto un peggioramento, dall'ultima volta in cui ci siamo sentiti. Anche la composizione ne ha risentito. Non so quando e come potrò avere l'opportunità di continuarla. Tengo duro e non mi rassegno. Fra un medicamento e l'altro, cerco di mettere a fuoco le mie idee, sia sulla Musica che sul mondo che vorrei. Sono felice di sapere che il tuo racconto stia crescendo con te. È bene questo. La nostra Nuova Era di Luce avrà tante opere Lucenti. La premiere della mia opera lirica, se riuscirò a stare nei tempi, si terrà fra due anni, a Dublino. Ti farò sapere. Intanto ti spedisco l'Ouverture, che mi sembra compiuta e ordinata. Fammi sapere cosa ne pensi. Sai che tengo molto al tuo parere. Di tanto in tanto, afferro con orgoglio la mia viola da gamba e, dopo un po' di tecnica, suono ancora Bach, con grande soddisfazione per le mie orecchie. Sono contento che Aindreas stia diventando grande. È un ragazzo pieno di risorse. Anche io ricordo Sinéad con grande affetto e stima: lei è la tua Musa, amala con tutto te stesso senza risparmiarti mai. Il tuo Amico Poeta è un essere potente. Fai bene a seguirlo ed hai fatto una cosa molto bella nel tradurre in suoni un suo componimento. Tu sei sempre tu, hai detto bene: quello splendido ragazzo che veniva a lezione da me pieno di idee e nuovi accordi da comporre... Noi sogniamo che la Pulcritudine regni sovrana nei cuori delle persone. Noi ci auguriamo che l'Amore guidi i passi degli esseri umani. Noi contiamo sul buon senso e il desiderio di vivere bene che dovrebbe dimorare in ogni cuore... Ora ti saluto, ho una medicazione che mi aspetta. Ti penso, Ragazzo...».
Seán lesse tutto d'un fiato. Era dispiaciuto per le condizioni di salute non ottimali del suo Maestro, tuttavia sapeva che l'anziano signore avrebbe combattuto senza arrendersi. Sentiva il desiderio di stargli vicino più che poteva. Non voleva farlo sentire solo al mondo, con una malattia da contrastare. L'uomo tornò a selezionare i panni per la lavatrice, mentre, intanto, ripensava alle belle parole del suo Máistir, che trovava sempre di una profondità aulica, legata alla leggerezza tipica solo di chi ha visto tante battaglie. Il suo Maestro aveva avuto, nel corso della sua Vita, un unico grande Amore: una Donna meravigliosa, conosciuta al Trinity College di Dublino negli anni sessanta e morta prematuramente di cancro, nei primi anni ottanta. Seán sapeva che tutte le composizioni del suo Maestro era dedicate a quella sua Amata immortale, come il Máistir era solito definirla. Per Seán, il suo Maestro era un titanico eroe romantico, dal quale c'era sempre da imparare. L'artista ricordò come, durante le prime lezioni di composizione dal Maestro, gli avesse sentito suonare un pezzo per viola da gamba intitolato «Risonanza», che, solo successivamente, il Máistir gli aveva confidato essere ispirato ad una notte d'Amore con la propria compagna in un soggiorno in Scozia, ad Edimburgo. Seán ricordava ogni cosa del suo Maestro. Tante volte, quando i pensieri viravano verso la tristezza, l'uomo ricordava frasi, appunti, scampoli di pensiero del suo Máistir e così si faceva forza. L'anziano signore era stato la guida spirituale del giovane Seán ed ora, morto suo padre, l'artista lo vedeva come un vero e proprio genitore. L'autore fece una pausa. Aveva superato la metà della pagina cui voleva giungere da diversi giorni. Si fermò. Rilesse i suoi periodi. Li trovò perfetti. Si interrogò sulla opportunità di descrivere i momenti carnali della sua unione con Sinéad: non ci trovava nulla di sbagliato. In fondo, quelle che lui descriveva, erano le esperienze di Amore fisico che tutti gli uomini e le donne della Nuova Era di Luce avrebbero dovuto considerare naturali. Si interrogò con profondità. Non ci trovò nulla di sporco o fuori luogo. Lui voleva cantare un Amore che fosse anche corporeo, perché la materia non è un ente minore o da sottovalutare, nell'unità umana di carne e Psiche. Gli sembrò totalmente borghese poter scrivere: «Si baciarono» e non «lui le leccò l'orifizio anale»... Incredibile come un sistema, che sbatteva in prima pagina ovunque donne nude, fosse bacchettone con chi voleva descrivere un Amore fatto anche di sangue e muscoli... «Benvenuti nel terzo Millennio, dove tutto è merce e niente profuma di anima» vergò sul probo diario, cui ormai voleva un bene sorprendente. Facebook censurava le immagini di donne in allattamento, ma non si curava di tutti i video volgari che giravano in rete. La fine della centocinquantesima pagina era molto vicina. Seán riflesse su come il suo racconto fosse l'opera più estesa che lui avesse mai scritto. Sorrise. Gli piacque l'idea di superare quel suo limite dimensionale. Dopo il buongiorno, non aveva più sentito la sua compagna, che lui sapeva farsi sempre più bella nella sua grande casa. Lei si dedicava allo smalto da dare alle unghie. Ai suoi capelli che trattava con dedizione e pazienza. Alla cura del suo corpo, così bello e tenero, tutto da mangiare. «Ti voglio sbocconcellare, Sinéad!» pensò lui, mentre la immaginava nuda sotto lo scroscio della doccia. Si ricordò di quando, una volta, a casa della sua compagna, lui aveva atteso il momento in cui lei fosse uscita dalla sua doccia, per porgerle l'accappatoio e poi l'aveva asciugata, mentre lei cantava le canzoni della sua playlist, con lo stereo acceso e i due avevano fatto l'Amore con lei, nuda e profumata, appoggiata al termosifone. L'aveva sempre desiderata tanto. Non aveva mai smesso di volerla toccare, baciare, penetrare. Lei era sempre stata attenta ad ogni desiderio del suo uomo. Sinéad aveva una carica sessuale sconvolgente che era tenerezza e passione, attenzione e dedizione. Era molto servizievole e, al contempo, sapeva benissimo cosa volesse per sentirsi Donna in tutto. Sapeva essere femminile e un po' uomo, cosa che la rendeva ancora più affascinante. L'autore aveva varcato la soglia delle centocinquanta pagine. Era felice. Si distrasse. Andò a fumare una sigaretta in cucina. Riflesse, in quegli istanti di svago, su come la sua compagna fosse il suo focolare. Sinéad giunse. Si era lavata i capelli da poco e la sua chioma brillava in uno scintillio costante. L'uomo la guardò subito con desiderio e l'abbracciò, in uno slancio tenero ed affabile. Il tempio greco del suo corpo di Donna affascinante era il luogo ove la sua Psiche di uomo rinasceva ogni volta. I due si prepararono un caffè. Durante quel lasso di tempo, gli innamorati risero e scherzarono, parlando di quanto fossero buffe le loro madri, signorine di un'altra epoca, in cui anche un tozzo di pane era sinonimo di ricchezza. Sorseggiarono la bevanda. Seán, subito dopo, si accese una sigaretta, mentre osservava la sua compagna, con l'unico pensiero di poter giacere con lei. Lui spense la sigaretta finita e le porse la mano, chiedendole: «Vieni con me?» che era una richiesta di attenzione e un invito a farsi le coccole. La Donna, che sapeva benissimo cosa avesse in mente il suo compagno, gli diede la mano ed entrarono insieme in camera da letto. Lui si sedette sul ciglio del letto e lei a cavalcioni sopra di lui. Si abbracciarono. I loro slanci erano duraturi e spesso lei, quando lui si staccava, non aveva la minima intenzione di interrompere quel gesto tanto profondo. Dopo qualche minuto di abbracci silenziosi, l'uomo iniziò a parlarle, sussurrandole quanto fosse bella e quanto la desiderasse. Lei ascoltava e sorrideva, come una bambina. Il suo uomo, a contatto con le sue belle forme, con il suo ventre e i suoi seni magnifici, si era già emozionato. Seán continuò a dirle cose belle nell'orecchio, mentre le accarezzava i capelli fluenti, morbidi e lisci, perché lei, oltre ad essere la sua Donna, era anche la sua leanbh, la sua bambina. L'uomo le tolse la felpa grigia che nascondeva le splendide rotondità del suo corpo di femmina carismatica. Le tirò via anche la maglia nera che aveva sotto e le slacciò il reggiseno, mettendoselo poi in testa, come faceva tutte le volte, per farla ridere. Lui era buffo. Lei lo amava anche per quello. Seán si spogliò, rimase in mutande e la abbracciò in uno slancio fortissimo, perché doveva sentire tutta la pelle di lei adattarsi alle curve del suo torace di amante che bramava solo la sua compagna. I due rimasero immobili, ma l'uomo già pregustava il piacere di essere tutto della sua compagna, in una spirale di passione davvero sconvolgente. Lui continuava a sussurrarle frasi d'Amore e lei gli sorrideva con l'entusiasmo di una fanciulla. Anche per lei, lui era leanbh, il bambino, perché solo ora che si era trasformato in uomo, poteva considerarsi un fanciullo, riscoprendo quella dimensione di gioco che era stata tipica della sua infanzia di essere umano curioso, animato da desiderio di conoscere l'universo. Sinéad lo amava con tutta se stessa e non gli avrebbe mai torto un capello. Questo, Seán, lo aveva ben chiaro, nella sua mente. Lei iniziò ad avere freddo e così decisero di andare sotto alle coperte. La situazione era davvero piacevole. Rilassati, a letto, mentre lei si girò, dandogli le spalle. Lui la cinse da dietro, stando sul fianco destro, con un braccio sotto al suo collo e la mano sinistra che le afferrava il seno rigoglioso di Donna ammaliante. Rimasero lì, in quella rima plastica, per qualche minuto, chiacchierando e ridendo, mentre l'uomo sentiva tutta la pelle della sua compagna fondersi armonicamente con il proprio torace, ventre e gambe. Seán, con attenzione e calore, cominciò a baciarle il collo, sempre così profumato, affondando il suo naso, di tanto in tanto, nei capelli castani di lei, che rilucevano, con il fascio luminoso della lampada del comodino vicino al letto della camera dell'uomo. I due erano immersi nella loro dinamica di coccole ed abbracci, teneri ed infiniti. Era Sinéad che dettava i tempi delle effusioni. Lei era abilissima in quel gioco. All'improvviso, la Donna si mise a pancia in sotto ed invitò il suo uomo a farle un massaggio sulla schiena; atto che Seán trovò profondamente sensuale. Lui cominciò a toccarla con tutte e due le mani, con movimenti ampi e rotatori, intorno alle scapole, poi un po' più in basso, all'altezza della parte centrale della colonna vertebrale e successivamente ancora più in giù, verso il sedere. La Donna era compiaciuta. Teneva la bocca spalancata e si apriva in esclamazioni di puro godimento. «Ah, sì, bene, ancora un po'... Un po' più in giù, ancora, sì, oh, così...» sussurrò, mentre lui le solcava, con tutte e due le mani, la parte conclusiva dei muscoli dorsali, avvicinandosi al coccige. La sua Donna era molto rilassata, serena, e voleva star bene con il suo uomo. Subito dopo aver concluso il massaggio, lei, rimanendo aderente al letto con la testa e le braccia, puntò le ginocchia ed alzò il bacino, quando ancora lui era dietro di lei. Seán si vide, poco più in basso della sua barba, parare innanzi il sedere della sua compagna, che tanto amava baciare, e, mosso dall'impeto, le succhiò avidamente l'orifizio anale, infilandole la lingua dentro. Sinéad fece un gran sospiro, per poi dire: «Non perdi tempo tu...». Lei si voltò, lo osservò e gli sorrise, rimanendo a quattro zampe sul letto. Il suo culo di Donna meritava un brano sinfonico, che l'uomo non aveva ancora scritto. Seán continuò a succhiarle l'orifizio anale, ascoltando i gemiti di piacere della sua Donna, per poi scendere verso la vagina, già turgida ed avvolgente, la sua vera casa di uomo. La sua compagna iniziò a muoversi lentamente, in modo inesorabile, in avanti e indietro, per sentire meglio la lingua del suo uomo entrare ed uscire dal proprio turibolo di fuoco. «Sei proprio un gran birichino, e mi piaci così!» sospirò lei, mentre lui le cingeva i fianchi belli con le mani, continuando a baciarle la vagina calda ed umida e succhiando le piccole e grandi labbra, che teneva in bocca per interi attimi, con l'intento di gustarne la consistenza ed il sapore neutro. D'un tratto, l'uomo, con forza, la tenne per i fianchi e la ribaltò, facendola emozionare. Lei si ritrovò sul letto con la schiena aderente al materasso e le gambe spalancate. Lui le leccò i piedi, così belli e minuti, poi scese sulle caviglie, sui polpacci, mordicchiandoli un po' e poi affondò la propria bocca avida sulle cosce possenti della sua Musa. Giunse a quella linea sottile che demarca il confine fra gamba e basso ventre e la seguì, lasciando una curva di saliva lungo quel limite, mentre lei gli reggeva la testa con tutte e due le sue piccole mani forti. «Sì, Amore, continua così... Fammi godere!» gli suggerì lei, che, prima di lui, non era mai stata libera di comunicare ai propri partner cosa desiderasse e come lo volesse... Lui leccò i peli della sua vulva. Ci si soffermò col naso. La voleva tutta dentro alla sua bocca e sul suo viso di uomo. Bramava contenerla con ogni parte del suo corpo di amante virile. Lui aveva scoperto, grazie a lei, cosa significasse essere un maschio. In fondo, non erano mai appartenuti a nessuno, prima di conoscersi e anche questo destino li accomunava. L'uomo scese sulla vagina, che ritrovò in attesa dei suoi baci, inesplorata, come un'isola nell'oceano dove nessun uomo fosse mai sbarcato, in una dimensione di verginità davvero sorprendente. I due erano le loro prime volte, come amava dire la sua compagna e si erano scoperti illibati, l'uno per l'altra, da quando si erano conosciuti, dacché, nella Vita, si può tornare vergini tutte le volte che si desidera... La sua compagna respirava profondamente, in un viaggio fisico e mentale tutto suo. Seán attese il momento in cui lei avrebbe aperto le labbra della vagina con le mani, per indicargli il clitoride piccolo e colorato, che l'uomo catturò con vero piacere. Iniziò a tenerlo in bocca. Lo stiracchiava, lo baciava, lo faceva dondolare di qua e di là. L’artista, molto spesso, leccava il clitoride dal basso verso l'alto, concedendosi, di tanto in tanto, il piacere di vederlo muoversi da sinistra a destra e viceversa. Era una sorta di gioco, che lui faceva con la parte più sacra del corpo della sua Donna, la quale gli afferrò i capelli suggerendogli di affondare le labbra nella sua vagina. Lei non aveva più paura di esternare. Era libera. Si percepiva in grado di vivere la sua sessualità in modo sano e disinibito, col suo uomo. «Mettimi due dita dentro!» gli suggerì. L'uomo si bagnò l'indice e il medio della mano sinistra, con la saliva della sua bocca, ed entrò pian piano nella vulva di lei, che lo attendeva fremente. Continuò a succhiarle il clitoride, che si era gonfiato, divenendo un piccolo organo erettile davvero carino. Seán entrava ed usciva ritmicamente con le dita dalla vagina, mentre, in modo incessante, si deliziava il palato baciando il clitoride e tenendoselo tutto in bocca. Ogni tanto strofinava il naso su tutta la lunghezza della vulva della sua compagna, che apprezzava, aprendosi in grandi sospiri di piacere. A tratti, durante quel loro gioco, lei lo arrestava e lui saliva verso il volto di lei, accarezzandola e baciandole i capezzoli. «Senti il sapore della tua vagina!» le suggerì lui, avvicinando la sua mano destra alla bocca di lei, mentre la sua compagna gli accarezzava dolcemente il membro eretto. Lei succhiò avidamente le dita del suo amante e disse: «Uhm... Una vagina proprio buona!», sorridendogli. L'uomo le afferrò i seni sublimi, tenendoli con vigore e poi scese di nuovo verso la porta della sua beatitudine. La Donna gli tenne i capelli, mentre lui continuava ad esplorare la Bellezza del suo atrio dell'Infinito. Poco dopo, Sinéad trovò il ritmo della sua cavalcata, esortò l'uomo a non smettere e, in un crescendo vigoroso, raggiunse l'orgasmo, con un forte grido di piacere, che durò interi secondi. Lui era davvero felice. Darle gioia era tutto quello che desiderava. «Adesso ti entro dentro!» le sussurrò lui e lei, immediatamente, gli sussurrò: «laistigh dom! laistigh dom!», «dentro di me! dentro di me!», in irlandese. Seán ascoltò quei bellissimi suoni della loro madrelingua, e si stupì perché lei, pronunciandoli con grande profondità, fino a qualche tempo prima, non si sarebbe mai espressa in quel modo così intimo e sentito. Lui la penetrò col suo membro gonfio e le disse che sarebbe stato dentro di lei tutta la Vita. Lei gli sorrise, sussurrandogli: «Rimani dentro di me, così, Amore, per sempre!». Lui la cavalcò mosso dal forte desiderio di eiaculare dentro di lei. Lei si girò, rimase sul letto come una cavalla e lui la possedette da dietro, dicendole quanto fosse bello il suo culo. Sinéad continuava a sussurrargli: «laistigh dom! laistigh dom!», mentre lui, con colpi vigorosi e lenti entrava ed usciva dalla sua vagina calda e bagnata. «Ti possiedo, Amore, sei tutta mia! Tu possiedi me, perché io sono tutto tuo!» gli disse lui, con voce calda e forte. Quando, dopo qualche minuto di penetrazione, l'uomo sentì che stava per esplodere, uscì dal corpo della sua compagna e si sdraiò sul letto, mentre proprio il quel momento, lei gli afferrava il membro eretto e virile per succhiarglielo avidamente, aiutandosi con la mano destra, che lo pompava ritmicamente. L'uomo si sentì accerchiato. Era tutto nelle mani e nella bocca della sua Donna, che voleva che lui le scoppiasse in gola. Il compagno di Sinéad, in un crescendo mozzafiato, raggiunse quello stato di beatitudine dopo il quale sarebbe esploso in una eiaculazione estatica. Resistette qualche secondo, ma poi, dopo grida di piacere, le venne in bocca, mentre lei succhiava fino all'ultima stilla di sperma caldo e abbondante. La sua compagna rimase lì, ferma e ingoiò il liquido seminale, per poi adagiare la sua testa sul ventre di lui, ancora ansimante, che iniziò ad accarezzargli i capelli, giocando a formare con essi geometrie nell'aria. I due si misero sotto le coperte, felici. Lei lo guardava con Amore e lui la osservava, pensando che lei fosse la Perfezione sulla Terra, insieme al pianoforte di Sviatoslav Richter... Sinéad era la sua opera d'Arte pulsante, fatta di muscoli e sangue. Lui, per lei, era l'unico uomo che avrebbe mai potuto farla sentire libera come si percepiva in quel momento. L'Amore che la Donna provava per il suo uomo era qualcosa di davvero profondo e solido, che le maree non avrebbero indebolito. I due continuarono a chiacchierare per almeno un'ora, avvolti dal tepore delle coperte, in una domenica intima e sacra, come il loro desiderio. Subito dopo, la sua compagna volle giocare con lo smartphone e lui, ne approfittò per andare a bere un sorso di tè e fumarsi una sigaretta. Si mosse verso la cucina nudo, e, mentre gustava la sua Chesterfield rossa, pensò: «Questa è la Felicità!», osservando l'albero dalle foglie rosse che si vedeva dalla finestra della sua casa. Sinéad era la sua dimora. Il tempio del suo corpo il focolare. Tutto doveva rimanere esattamente com'era. Nulla avrebbe dovuto stravolgere quell'ordine mentale. La sua Psiche di artista avrebbe dovuto continuare a creare, in quella dimensione naturale di desiderio e nostalgia. Dopo un'oretta, nella quale lei aveva giocato e lui letto le news da Facebook, i due si vestirono e andarono a cena fuori, brindando al loro Amore. L'uomo, guardandosi indietro, scorgendo tutte le ere della sua Vita, giunse alla conclusione di non essere mai stato tanto felice come in quel preciso istante, mentre ordinava la sua pietanza al ristorante, davanti alla propria Donna raggiante, Lucente... Quegli abbracci, quei baci, quelle effusioni erano tutto ciò di cui lui aveva bisogno per riuscire a vivere bene in un mondo alla rovescia dai tratti menzogneri e sadici...
2° Stralcio 16° Capitolo
Nel pomeriggio, avrebbe incontrato quel genio della sua compagna. Lesse le news dal mondo. Riflesse su come il sistema avesse liberato ogni sorta di perversione della mente. In un processo di slittamento dei piani, a causa del quale normale era diventato nevrotico, e nevrotico psicotico, le ossessioni di ogni genere, in quel momento, venivano chiamate «passioni». V'era un autentico florilegio di passioni, delle nature più disparate, cui Seán assisteva incredulo. Chiaramente, il sistema ci mangiava sopra a forchetta d'oro. Tramutando ogni cosa in passione, lecita e sostenuta dai conoscenti, scompariva, per magia, la patologia. Tutto era permesso. Tutto era chic. Tutto testimoniava che eri una persona dal grande cuore. I social network, ultima frontiera del neoliberismo, pullulavano di serie patologie mentali. Ma erano passioni, quindi andava tutto bene, eccetto mostrare una donna che allattasse il suo bambino neonato. Per quello, c'era la censura... Il mondo era profondamente disordinato e l'artista ne soffriva. Era pur vero che il suo nucleo viveva in una propria dimensione di benessere, ma anche tutto ciò che era fuori avrebbe dovuto avere un minimo di logica, invece no, era puro caos. «Questi non sanno neppure dove abitino le passioni e parlano di passioni tutto il giorno! Alla fine, la verità è che la Nuova Era di Luce se la meritano in pochi...»... L'uomo era lucido. Attento. Vigile. Sapeva benissimo dove viveva e con chi. Conosceva le suadenti melodie del mondo capitalistico e ne stava lontano. Giunse Sinéad e i due stettero insieme a farsi le coccole, poi andarono a fare spesa e la Donna cucinò. Mangiarono, giocarono e mentre la sua compagna si divertiva, l'uomo le parlò delle passioni dei social network. Sinéad annuì. Il mondo alla rovescia stava vincendo a mani basse e questo, i due, lo sapevano davvero molto bene. Ogni giorno, un Lucente si sveglia e sa che dovrà annullare l'effetto delle azioni di alcuni psicopatici che girano per il mondo a piede libero. Era una sfida impari. Non ce l'avrebbero mai fatta, da soli. La Nuova Era di Luce necessitava dell'apporto benefico di tanti, per cancellare un disordine patologico veramente insostenibile. La Donna lo salutò, dopo tanti abbracci e carezze e si promisero allegramente che si sarebbero scritti. Entrambi erano consci del proprio destino di Lucenti. Stavano esperendo un mondo altro possibile proprio in quel momento storico, fra le orde assassine di appassionati dei social network. Seán sorrise, prima di coricarsi, pensando proprio di chiamarli, da quel punto in poi, «gli appassionati». Nessuno di loro aveva mai visto uno Psichiatra, e questo era la fonte prima del problema. Gli appassionati vivevano di like, i «mi piace» degli amici alle loro esternazioni appassionate. Si sentivano bene, perché fiancheggiati. Erano in tanti, dunque, erano nel giusto, secondo loro. All'uomo, invece, sembravano solo una gregge indistinto di spinte distruttive ed egomaniache. «Complimenti, avete vinto! Il mondo è la vostra ostrica!» digitò con dolore l'artista, che non avrebbe mai pensato che l'ascesa del neoliberismo potesse essere così trionfante, in pochi anni... Il ticchettio dei tasti del Mac gli teneva compagnia e lo esortava a scrivere. Gli appassionati si vantavano pure di fare Arte: copiavano ed incollavano frasi di altri, con foto di sfondo non loro e musiche prese da youtube, ma, per il resto, si capiva che erano tutti degli Orson Welles in nuce! Il mondo stava andando alla deriva con una velocità preoccupante. Tutto era all'insegna dell'autodistruzione. Si distruggevano piante. Animali. Parti intere di foreste. Oceani. Cuori. Persone. Chi aveva un minimo di sensibilità, era destinato a soffrire come un cane. L’artista sentiva tutto, ma aveva imparato ad indossare una corazza di acciaio, per resistere agli urti della società di cui era cittadino. Sinéad sosteneva che, alla fine, l'essere umano, in tutte le epoche, fosse stato distruttivo. L’autore, dal canto suo, era preoccupato dall'immane forza degli strumenti letali, di cui si era dotato il sapiens-sapiens del terzo Millennio, per farsi male ed uccidere ogni sorta di speranza in un mondo altro. Forse, sarebbero morti tutti e la Nuova Era di Luce sarebbe rimasta solo un'idea su carta. Forse qualcuno avrebbe letto il sito personale del compositore e se ne sarebbe innamorato. Forse non era ancora tempo di fare quelle valutazioni... Era il momento di vivere al meglio. Di impegnarsi. Di condividere emozioni e pensieri. C'era silenzio, nella casa dell'uomo. La calda Luce gialla della lampada della scrivania lo cullava, mentre scriveva. Aveva dormito bene senza sognare, dacché, ultimamente, aveva spesso proiezioni oniriche molto significative. L'uomo non aveva alcun desiderio di comprendere gli appassionati. Gli facevano tutti davvero schifo. Li avrebbe tutti obbligati alla Psicoterapia, fosse stato per lui. «Ma cosa potremo fare noi, se tutti questi remeranno contro?» si chiese, sebbene, nell'istante successivo, realizzò che tante delle grandi rivoluzioni del passato fossero state decise da uno sparuto manipolo di persone. Rimaneva però allarmante che un cucciolo di gatto, nelle mani degli appassionati, ricevesse più cure di un bambino africano abbandonato agli stenti ed alla fame... Era un mondo che aveva sovvertito tutte le priorità dell'Umanità. Un mondo alla rovescia nel senso più autentico dell'espressione, come una mirabile sintesi della sua compagna aveva determinato. L'Arte avrebbe potuto fare molto, questo, Seán, lo sapeva benissimo, ma lì era urgente delineare, ex novo, quali fossero le più importanti aspirazioni dell'essere umano e l'artista difficilmente credeva che, fra di esse, potesse esserci l'ultimo iPhone 8... Il neoliberismo voleva che tu ti riempissi casa di oggetti, per poi piangerci sopra a causa di una solitudine abissale. «Il turbocapitalismo non si occupa della Felicità della gente. Vuole solo vedere in ogni dove la propria immagine di sistema che produce ricchezza materiale, in una spirale crescente che non conosca né ostacoli, né pause» scrisse sul suo probo diario, Amico leale di mille battaglie. Pioveva, quel lunedì mattina. L'uomo ripensò a quanta fatica gli fosse costato il suo primo racconto di nove anni prima. Alla dedizione con cui aveva scritto la sceneggiatura per Cinema. All'attenzione con la quale ne aveva composto la colonna sonora. Alla paura di fallire, aprendo la prima partitura della prima Sinfonia. Ne aveva fatta di strada da un punto di vista creativo. Il suo stile era cresciuto con lui. La forma delle opere aveva assunto tratti particolari insieme alle vittorie che lui viveva nella sua esistenza. Tutto si era evoluto con lui, in una progressione che portava all'unità dell'individuo in creazione. Alla fine, scrivendo, lui aveva modellato la sua scultura interna. Era diventato uomo. Aveva costituito, al suo interno, un mondo buono di immagini sane. Seán aveva esperito che si potesse essere felici anche nel poco. Non era necessario il televisore cinquanta pollici e la Ferrari in garage... Nella casa dell'uomo, ogni cosa era amata. Le tazze da tè, i cd, i libri... L'artista lavorava molto nella dimensione del piccolo, che non era solo una attitudine artistica, ma anche esistenziale. La sua stessa casa era davvero piccina. Il suo studiolo era minuto, ma l'autore aveva, con sé, tutto quello che gli serviva per fare Arte. Creava, nello spazio minuto della sua casa e si emozionava all'idea di saper costruire templi di inaudita Bellezza, cui dedicare tutto se stesso, in una progressione dell'anima che dirigeva i suoi passi verso la contemplazione del tutto, che, per lui, era pura vibrazione. La Landa era avvolta da un cielo plumbeo. Non v'era traccia di Sole. L'uomo sorrise, dacché si sentiva attratto da quello scenario. L'artista bevve del buon caffè e si accese una sigaretta. Controllò il numero delle pagine del sedicesimo capitolo. Era all'ottava pagina, e sarebbe stato bello se lui fosse riuscito a chiudere il capitolo. Guardò fuori dalla finestra. Il viale era deserto. Le figure degli alberi quasi spettrali. Più tardi, sarebbe andato in centro, ma, in quel momento, voleva scrivere. Dunque Marx sosteneva che le opere d'Arte sarebbero state incensate dalla Borghesia imperante solo se essa ne avesse ricavato un immediato tornaconto in ricchezza materiale. L'artista sorrise, rileggendo le parole di quel gigante dell'Ottocento. Era proprio così. E, nel terzo Millennio, essendosi acutizzata la brama per la ricchezza da parte del capitale, le cose andavano ancora peggio. Seán, nove anni prima, aveva pubblicato il suo racconto con un editore onesto, mosca bianca in quell'epoca. Lui era davvero contento del fatto di aver trovato qualcuno che avesse creduto in lui e nella sua scrittura. Quindi, in un lasso di tempo che va dagli anni settanta ai novanta del secolo scorso, le opere d'Arte erano diventate merce. Dovevano fruttare. Dovevano creare guadagni. Come un orologio. Come un'automobile. Come una cassa di frutta. Proprio in quegli anni, infatti, la Musica cessa di essere tale. Diventa mero intrattenimento, da consumare mentre si fa baldoria al pub. Seán valutò buone le sue considerazioni e si sfregò le mani, non tanto per il freddo, quanto per la forte sensazione di impotenza che lo attanagliava quando pensava agli intrighi del potere mondiale. Sapeva che la sua compagna gli avrebbe dato ragione su tutta la linea, appoggiandolo. Era conscio di essere nel giusto. Pulcritudine, ormai da anni, guardava gli uomini, ritenendoli degli sciocchi. «Ars gratia artis», l'Arte è per l'Arte, come dicevano i latini e l'uomo, questo, lo teneva sempre ben presente. L'Arte non cerca, fuori di sé, ragion d'essere. L'Arte non può avere nessuno scopo se non la realizzazione di se stessa. L'Arte non può divenire ricchezza materiale. Seán ripensò alla spiegazione che il Máistir aveva fornito nella mail. L'Arte, alla fine, era una creatura che non si poteva davvero catturare, imprigionare, strumentalizzare. Un compositore deve sentirsi libero di scrivere una Sinfonia, non può rimanere schiacciato dai dettami di una industria discografica che sforna solo ciò che si suppone possa piacere agli appassionati dei social network... L'uomo sapeva benissimo di vivere in un mondo di merda. Ne sentiva l'acre afrore in ogni dove. Proprio per quello, lui decise che avrebbe portato a termine la sua composizione «cé - mentre» sugli intervalli di tempo prima dell'origine di un qualcosa. Il pomeriggio del sabato, lui aveva abbracciato la sua compagna, sotto alle coperte, per attimi interminabili di puro idillio. Si erano coccolati molto. Avevano riso. Si era toccati in profondità. Era Arte anche quella, per loro, dacché un rapporto umano autentico è continua creazione. L'Arte del rapporto umano, che è attenzione e dedizione. Abnegazione e desiderio. Bontà e Verità. L’autore non si capacitava di come si potesse gettare alle ortiche una intera esistenza. «Siamo chiamati ad essere felici, invece ci perdiamo in non-rapporti che ci prosciugano, in anni ed anni di sofferenze indicibili, che ci conducono ad essere refrattari a qualsiasi forma di benessere» concluse l'uomo, sempre più convinto che la Nuova Era di Luce potesse manifestarsi nella Vita di chiunque l'avesse ricercata. L’artista era alla penultima pagina del capitolo. Avrebbe voluto finirlo. Si concentrò. Riflesse. Accese la grande candela rossa che aveva nello studiolo e che gli faceva pensare a suo padre e Crón... Le immagini di suo padre e della sua Amica morta erano sempre ben definite, nella mente del compositore. Erano capisaldi della sua armonia interna. La candela diffondeva la sua bella Luce calda nello studiolo, silente eppur vivissima. L’uomo la osservò con attenzione. Aveva un supporto in metallo nero ed era protetta da uno sferico vetro trasparente. Donava Vita. L’autore pensò a quanto fosse artistica la mente di Crón... Non aveva ancora scritto tre pagine, quando si percepì stanco. Le parole iniziarono a muoversi lentamente sul foglio. I suoi pensieri cominciarono a diradarsi. Era giunto il momento di andare in centro. L’artista si vestì ed uscì, con l'ombrello in mano. La candela bruciava lentamente, mentre lui attendeva segnali intelligenti dal mondo del web. Pose lo smartphone vicino al Mac, di modo da poter rispondere a chiunque gli avesse voluto riservare un saluto mattutino. C'era stato un istante, durante il loro pomeriggio insieme di coppia innamorata della Vita, nel fine-settimana, in cui la sua compagna aveva appoggiato la propria testa sul ventre del suo uomo e lui le aveva accarezzato a lungo i bei capelli fluenti. La sera prima, gli era arrivato un buffo messaggio da parte di Damien, sempre spiritoso e di buon umore, un vero buontempone. L'autore era nel silenzio della sua casa, dopo essere stato in centro a fare colazione, e, mentre osservava la Luce calda della candela che aveva acceso per i suoi morti, gli tornò alla mente il sorriso candido di Crón, quando raccontava aneddoti esilaranti. All'artista mancava molto. Era stato, per lui, appuntamento immancabile della mattinata, leggere e commentare i post della sua sorella spirituale su Facebook, sempre interessanti, all'insegna di spiccata capacità d'analisi e forte senso critico. Scrutando la Luce, rimembrò gli energici abbracci del padre, che, quando lo stringeva, sussultava con tutto il corpo, felice come non mai. Il padre era stato Amore; una tensione verso l'infinito di pura attenzione all'altro, senza mai esigere nulla o pretendere tornaconti, incondizionatamente. L'autore riprese a scrivere, dacché voleva chiudere il capitolo, sebbene già sentisse che il suo flusso si stesse affievolendo. Osservò le ombre gettate dalla candela sul muro della stanza. Bevve un po' del suo caffè e si accese una Chesterfield rossa. La dimensione delle dieci pagine per capitolo gli sembrò, allora, perfetta. Sviluppare una tematica in quel numero di fogli era idoneo per la sua mente. Un passo giusto. Una corretta misura. Una forma ideale per la sua nuova prosa, che, un giorno, avrebbe consegnato ad Aindreas. C'era profonda quiete, nello studiolo del compositore. Ebbe il desiderio di concludere il brano musicale che aveva lasciato in sospeso il giorno prima. Forse avrebbe ripreso in mano quella partitura, forse ne avrebbe iniziata una nuova, questo ancora non lo sapeva. Conosceva solo il flusso del suo processo creativo che non avrebbe mai permesso a nessuno di uccidere. Il sistema, a casa di Seán, non poteva entrare. Lì non c'erano spot elettorali o pubblicità con esseri umani per i quali tutto girava intorno a se stessi. In quella piccola dimora, l'egomania non era contemplata. C'era, però, una candela rossa accesa per i martiri della Nuova Era di Luce, antesignani della Possibilità di essere felici qui, su questa Terra. L'uomo rimembrò gli anni di Belfast, nei quali, per lui, anche andare a comprare il pane era pericoloso, perché le autorità, con i loro guardiani, erano ovunque... Lui era il figlio del pescatore indipendentista, quindi una minacciosa anomalia per il Regno Unito. Andava schiacciato. Represso. Non doveva avere una esistenza normale... L'uomo si accarezzò la barba. Era vivo e si muoveva nel presente. La sua tempesta era stata seppellita nel proprio passato, che lui non avrebbe mai e poi mai riesumato. La pagina volgeva al termine, e lui, osservando la bella Luce della candela, sorrise, perché gli sembrò di avere una presenza tangibile delle persone importanti della sua Vita, che, purtroppo, non c'erano più. L'intensità della fiamma era costante, come le immagini che lui conservava in se stesso. L'artista aveva edificato un suo mondo buono, dove vivevano le figure più profonde della propria esistenza e non avrebbe mai permesso a nessuno di lordare quel suo regno di beatitudine. Erano le undici e l'autore aveva dinnanzi a sé l'ultima pagina del capitolo. Si portò una sigaretta alla bocca e, concentrandosi, immaginò il finale ideale per quella unità compositiva. Il silenzio lo stava aiutando a creare. Il ticchettio dei tasti del Mac si mostrò come una piacevole melodia. La fiamma della candela una coccola. La barra spaziatrice chiuse, dopo il punto, una riflessione dell'autore sulla Vita e lui si sentì improvvisamente avvolto da un Amore totale. La sua Vita era sul retto sentiero. Non ne avrebbe solcato uno diverso. Tutti gli sforzi, fatti per avere una esistenza degna, lo avevano condotto lì dove era, nel suo mondo cristallino fatto di Bontà. Da quando aveva cessato di raccontarsi bugie e si era affidato alla Verità, tutto aveva assunto un sapore nuovo, diverso, piacevole. Il faro, durante la tempesta, era sempre stato la Pulcritudine, dacché Seán non aveva mai smesso di credere nella Bellezza, come motore della Vita e dell'Arte. Il compositore era lieto. La sua Arte pure. Specchio fedele della sua Identità, la sua opera tutta era un inno alla Possibilità di esperire una dimensione altra, fatta di tanti piccoli attimi di gioia, da condividere con gli altri membri della tribù umana.
2° Stralcio Capitolo 17
La Luce era tetra. Il cielo un manto indistinto di nembi minacciosi. Seán sentì, in modo netto, le sue forze mentali abbandonarlo. Forse non era più il caso di sforzarsi a scrivere. Non avrebbe mai permesso che nella sua nuova prosa ci fosse una parola in più di quelle che riteneva capaci di esprimere il suo mondo. Fece l'ultimo tiro di sigaretta e si mise a leggere le news dal cosmo degli appassionati. La mattina seguente, rilesse le prime pagine del nuovo capitolo e le trovò perfette. La scrittura, per lui, era un organismo palpitante. Era Vita. Era conoscenza dei propri percorsi interni e creazione di forme. Lui voleva scrivere qualcosa di davvero buono. Fuori, il tempo non era dei migliori. C'era un grigiore diffuso e il Sole stentava a mostrarsi. L'uomo bevve una parte del suo caffè, che tanto amava e si accese una sigaretta. Desiderava poter elaborare concetti belli, in una forma davvero poderosa. Ripensò al sistema, alle sue malie, a come un ragazzo senza soldi potesse comprarsi un telefono da più di mille euro, gettando dalla finestra i risparmi dei propri genitori. Era tutto sbagliato, questo, Seán, lo sapeva molto bene. Le persone che stavano occupando gli Apple store per acquistare il nuovo, ultimo, mirabolante smartphone, erano vittime di un inganno, reputando inconcepibile vivere senza quello strumento tecnologico. L'uomo sorrise: il sistema colpiva sempre e vinceva a mani basse. La sua corsa inarrestabile verso il definitivo trionfo non conosceva pause. «Ok, hai un telefono superiore, ma hai ancora qualcuno da chiamare, per decidere di guardare insieme la Luna?» si interrogò l'uomo, che credeva sempre di più che il processo di atomizzazione della società fosse davvero irreversibile... I legami del terzo Millennio erano quasi tutti fasulli. Nessuno avrebbe telefonato a qualcun altro alle tre di notte, per dirgli che stava morendo d'Amore. Tutti, però, gli avrebbero scritto frasi consolatorie su Facebook, quando lui avrebbe postato la posizione geografica dell'ospedale in cui era stato costretto a ricoverarsi, a causa dell'angoscia che lo aveva tramortito. Seán era cresciuto con Amici che, a Belfast, c'erano sempre, per lui. Non nelle ore di ufficio. Era tutto così malsano, nell'epoca del grande fratello. Tutto falsamente luminoso. Tutto irrimediabilmente compromesso. L'artista osservava. Scrutava da lontano l'arrivo di un mondo ancora più ingiusto di quello in cui era cresciuto nell'Irlanda del Nord. La scrittura lo aiutava a definirne i contorni. «Questa strada non ascende alla Luce» scrisse su un post-it giallo. Possibile che solo pochi vedessero le tenebre avvicinarsi minacciose in quello scampolo di secolo e tutti gli altri muti, a brucare avidamente l'erba del pascolo del sistema? L'immobilismo della gente lo inquietava. Non si dava pace. Non se lo spiegava, sebbene fosse aperto ad ogni possibile risposta. La terribile Verità da accettare era che il potere stava sfamando le più basse spinte dell'essere umano, coltivandone le derive primordiali più cieche ed animalesche. L'autore stava per completare la nuova pagina ed un pensiero andò alla sua dolce compagna, che, da tempo, ormai, aveva visto le cose più nitidamente e raramente si stupiva dell'aggressione del sistema alla Vita umana. Scrivere, per l'artista, era il miglior modo di conoscersi ed esplorare. Aveva una fiducia illimitata nei confronti dei propri percorsi mentali. Riteneva sempre autentiche le sue parole. L'uomo si accarezzò la barba. Scrutò i propri pensieri. Determinò vera ogni sua fase di scrittura, dal bagliore interno alla frase rielaborata. Era nella condizione di scrivere qualcosa di Lucente. Lo avrebbe fatto con profondo orgoglio. Erano le dieci di mattina e il suo flusso si muoveva agilmente. La Luce della lampada era davvero bella. Compagna fedele della sua scrittura, che, spesso, si articolava lieta fra le sue dita, in una progressione rapida e puntuale. L'artista era nella posizione di poter narrare qualsiasi cosa, perché la propria stesura era limpida. Lui era cristallino, come le sue parole. Le sue frasi erano Luce. Il mondo fuori da casa sua, con i mille inganni, non lo riguardava. Non era lì che lui cercava la propria realizzazione. Lui era già nella Nuova Era di Luce, con il suo nucleo da proteggere. L'autore viveva per i suoi affetti, che non avrebbe mai messo in pericolo. La linfa buona, determinata dalla autentica vibrazione di positività, che percepiva emergere da ogni suo contatto umano, lo esortava ad andare avanti, conscio della realtà, ma con lo sguardo diretto verso un altrove ove ogni concreta esperienza di Bellezza fosse possibile, per creare un poderoso inno alla Vita, fiamma inesausta di Pulcritudine. La barra spaziatrice separò i suoi pensieri, con un netto rumore metallico. Seán era felice. Aveva dormito bene e si sentiva pronto per una rielaborazione dei propri concetti. Dei propri pensieri. Delle sue forti sensazioni. Giunse a pagina nuova in un battibaleno. La scrittura era il processo attraverso cui le esperienze potessero trasformarsi in segni d'Arte. In quei giorni, aveva anche composto un po' di Musica nuova, cui avrebbe dato la definitiva forma quando avrebbe avuto il desiderio. Sorseggiò un po' di caffè amaro. Si portò alla bocca una sigaretta, senza accendersela. Era davvero lieto. Il suo passo nel mondo non temeva più cadute, che, se ci fossero state, lui avrebbe affrontato con attenzione, interrogandosi con spirito di Verità. Il suo nucleo stava bene. I suoi rari rapporti erano tutti belli. Aveva fatto gli auguri di buon compleanno a Damien, il suo Amico Poeta, che viveva in una dimensione tutta sua, lontano dagli intrighi del potere. Il compositore non aveva più paura della solitudine, dalla quale riemergeva ogni volta più consapevole della propria Identità di creativo. C'era un prodigio, nel silenzio della sua casa, con il quale lui penetrava nei meandri più nascosti della propria Psiche e leggeva, con attenzione, i segnali che nascevano in sé. Aveva un rapporto inscindibile con la propria interiorità, era in continuo ascolto, era integro. Aveva scritto una pagina, seguendo i propri pensieri. Alla fine, ad un uomo, non restava, in quell'epoca, che salvare se stesso e le persone care. Seán, di questo, era profondamente consapevole. La Nuova Era di Luce, in definitiva, era un luogo della Psiche, che tutti coloro, che la desiderassero, potevano esperire anche fra le macerie spettrali di un turbocapitalismo sempre più inquietante e tirannico. All'autore parve che il suo destino fosse legato a quello dell'Umanità, in una continua riscoperta di ciò che è vero. Tuttavia il compositore vedeva ancora un Genere umano totalmente schiacciato, incapace di rialzare lo sguardo, triste e rassegnato. L'artista sentiva che le sue posizioni fossero sempre più corrette. La sua analisi veritiera. Il suo sogno buono. Non aveva mai costretto nessuno a seguirlo. Aveva però fatto in modo di mettersi in salvo. Ed ora, sopra ad un monte, lui osservava le umane vicissitudini e si sentiva solidale con quelli che provavano a vivere bene. Il silenzio della casa dell'uomo veniva alterato dalle voci del viale, che lui accoglieva sempre con il sorriso, perché sentiva che la gente avesse bisogno di vitalità. Dagli anziani ai giovani, chiunque passasse nella piccola strada pietrosa davanti a casa sua, era il benvenuto. «C'è ancora tanta gente che si emoziona davanti ad un'alba, o mentre gusta una buona pietanza. Io sono parte di essa» concluse il compositore, che desiderava, con tutto se stesso, vedere l'aurora di un mondo altro, prima di morire. L'autore era a metà pagina. Si concentrò. Raccolse le sue idee. Si spronò a ricercare i suoi lemmi migliori, per una scrittura che fosse specchio fedele delle sue istanze rivoluzionarie. L'uomo era contento. A fine Novembre sarebbe tornato a Cork, dai suoi. La barriera psicologica delle duecento pagine era ancora lontana, ma lui, pian piano, stava avanzando inesorabile, con parole che erano sangue e carne trasformati in segni. Ogni giorno, il sistema si premurava di comunicare nuove, ordinarie distorsioni del senso comune di bene. Ogni giorno, c'era qualcosa di profondamente malato che emergeva dall'abisso di menti patologiche al potere. Ogni giorno, Seán non si stancava mai di indignarsi. «Io so che molti non vorranno essere liberati, bramando rimanere schiavi. Per loro, non ci sarà mondo altro, né Nuova Era di Luce» sentenziò l'autore, in cui la ricerca di una forma perfetta dei propri pensieri era diventata una priorità assoluta. L'uomo si accarezzò la barba, rileggendo le sue ultime riflessioni, e, d'un tratto, sentì il calore delle proprie parole. Il tepore rassicurante dei propri percorsi mentali. L'energia della sua Psiche, che aveva cessato di narrarsi bugie, scegliendo di descrivere la realtà per come essa fosse davvero. Il sentiero, che aveva condotto l'uomo ad essere Lucente, aveva forgiato la forma della sua scrittura, che era limpida e veritiera, sempre. Non avrebbe mai vergato una virgola che sentisse lontana dalla sua concezione di lingua. Non avrebbe mai permesso che un costrutto indebolisse il proprio pensiero. Non avrebbe mai scritto una frase senza ritenerla elemento fondante del proprio edificio. A volte, l'uomo percepiva stanchezza. Era una operazione faticosa guardarsi sempre dentro con onestà intellettuale. Non cedeva tuttavia alla tentazione di superare il limite dell'ultimo segno di punteggiatura che sentiva vero. Non aveva senso, per lui, continuare a scrivere ad oltranza. A volte scriveva una sola pagina, altre quattro, cinque, in una successione davvero sentita. Non aveva fretta di consegnare all'Umanità il suo racconto, il quale, ormai, nella sua testa, stava divenendo un vero e proprio romanzo, capace di dipingere la meraviglia di un altro modo di concepire la Vita. Forse avrebbe scritto per altri sei mesi, per raggiungere una dimensione formale che percepisse consona all'opera. Non voleva violentarsi. Non avrebbe permesso che l'angoscia del tempo rovinasse la sua scrittura. Avrebbe impiegato tanto a dare alla Luce il suo romanzo? Non lo interessava. Non aveva un editore che lo pressasse. Non doveva dimostrare niente a nessuno, dacché sapeva benissimo di essere un artista con una visione. Fece un tiro di sigaretta e chiuse gli occhi. Immaginò il proprio racconto muoversi fra le schiere avverse del terzo Millennio. Non avrebbe trovato il favore di molti. Sarebbe stato destinato ad una sempre più esigua frazione di lettori dotati di senso critico e capacità d'analisi. Spesso, con Crón, parlavano di queste cose. La ragazza gli diceva che non dovevano interessarsi di piacere a tutti. Loro sapevano benissimo che le proprie opere non avrebbero mai raggiunto una moltitudine di persone. Erano per pochi. Quei lupi solitari che, magari, un giorno, avrebbero teorizzato la nascita di una Nuova Era di Luce, riconoscendo alcuni artisti come padri fondatori. Fece una pausa. Maturò la decisione di recarsi in centro, ammirando le forme ed i colori di una Galway affascinante, che non lo stancava mai. La sua città era il grembo perfetto nel quale contenere il canto di un oceano Amico. Tornò dalla sua quotidiana passeggiata mattutina e si rimise a scrivere. Voleva focalizzare al meglio alcuni concetti. Scrivere era sempre stata una decriptazione dei propri oggetti interni. In questo senso, il suo processo creativo era profondamente psicoanalitico. L'artista aveva in mano la Possibilità di essere nudo dinnanzi al proprio lettore. Ciò non lo spaventava, anzi, lo esortava ad essere più preciso nel determinare gli ambiti e i confini del proprio mondo. Stava rendendo giustizia alla Nuova Era di Luce? Questo interrogativo lo assillava. Lui voleva che la propria scrittura fosse scintillante, in una forma perfetta che avrebbe costruito un tempio mirabile fatto di parole e suoni. Il compositore non sentiva ancora la forza di concludere alcune partiture che teneva aperte da giorni. Il silenzio nel quale era piombato non gli comunicava ancora l'esistenza di nuovi agglomerati acustici, nella sua testa di creativo alla continua ricerca di qualcosa di bello da comporre. Lui pazientava, senza pensarci troppo. Sarebbe giunta l'ora di scrivere suoni, l'uomo lo sapeva. Come in ogni situazione, prima faceva scendere in sé il vissuto, poi lo lasciava salire al cervello, che codificava, in una rappresentazione, con nuovi segni, l'idea dell'esperienza così come la sua Psiche l'aveva rielaborata. Non conosceva altro percorso. Forse, non gli sarebbe interessato neppure averne un altro. Era così, per lui. Doveva far fermentare ciò che viveva. Doveva lasciarlo respirare, in sé. Doveva permettere al cervello di sublimarlo. Sentiva possente la forza della propria scrittura. Le parole si susseguivano maestose. Il proprio pensiero era tradotto in segni monolitici. Bevve un po' di caffè amaro. Osservò la metà della pagina vuota. Aveva ancora tanto da dire. Lo avrebbe detto al momento opportuno. Quella mattina, riflesse sulla sua stesura. La reputava ambiziosa, capace di osare. Forse, l'idea del nuovo romanzo gaelico non era poi tanto lontana. Forse ci stava riuscendo. Forse era proprio lui il La di una nuova orchestra, dedita alla Bellezza. L'autore non intendeva solo sognare, bensì desiderava attuare. «Non c'è parola senza atto» sentenziò, pensando a quello che avrebbe dovuto fare nel suo prossimo futuro. Per un artista rivoluzionario, era fondamentale vivere, nella carne, la portata innovatrice delle proprie idee. Seán non avrebbe contemplato un risultato diverso da quello. Era coerenza. Consequenzialità fra pensiero, parola e gesto vissuto. Per lui non si poneva la questione dell'integrità della figura dell'artista: lui incarnava la propria Arte. Era le sue opere fatte Vita. Questo glielo confermava spesso Sinéad e lui, dato l'Amore che lo legava a lei, non avrebbe mai cercato riconoscimenti diversi da quelli della sua compagna. La sua Musa era uno specchio perfetto del suo lavoro di creativo. Lei era la risposta a tutti i suoi sforzi. Lei era il nome più bello da scrivere. La sua opera letteraria stava diventando importante sempre di più, per lui, ne stava amando le fattezze, lo stile, quella continua ricerca della Psiche che non doveva rassegnarsi all'avanzare delle brutture e il senso profondo delle sue parole, che erigevano architetture maestose capaci di creare un canto alla Pulcritudine, nell'estasi di un mondo nuovo fatto di bene. Il compositore aveva in mente di creare nuovi suoni, quando l'intuizione si fosse palesata. Restava in attesa. Sapeva benissimo quanto fosse sbagliato forzarsi. Era nella fase conclusiva della stesura della nuova pagina, cui si stava dedicando con tutto se stesso, rielaborando il suo concetto di scrittura. Osservò la porzione vuota del foglio e riflesse. Le sue parole erano militanti. Guerriere. Non si sarebbero dovute scalfire sotto la pressione dell'epoca che stavano vivendo. Non si potevano permettere il lusso di essere deboli, dacché sarebbero state distrutte dal sistema, che, con un forte moto di derisione, le avrebbe ingoiate in un battibaleno, e tutta la visione di un cosmo diverso sarebbe morta fra le fauci dei potenti, senza poter giungere a nessuno. Seán era consapevole della complessità dell'operazione che stava seguendo: la Nuova Era di Luce davvero necessitava di parole possenti, incontrovertibili, indeformabili. Tutta la tensione del suo braccio, nel vergare nuovi lemmi, era protesa al raggiungimento di quel risultato. La sua scrittura doveva essere inalterabile. Non poteva rischiare di avere punti di rottura. Doveva essere un muro di cemento armato. Forma e contenuto dovevano essere inattaccabili. Era mezzogiorno. L'uomo avvertiva la fatica di scrivere. Il cielo era coperto da un manto indistinto di nembi. La Luce del Sole era fioca. Le lastre pietrose del viale, nonostante tutto, scintillavano nel loro colore candido, fra foglie cadute e pozze d'acqua della pioggia del giorno prima. L'artista decise che avrebbe concluso la pagina. Scrivere lo aveva sempre reso migliore, dai lontani giorni di Belfast, in cui vergava parole per resistere agli urti di una tempesta che lo voleva morto. Comporre era stata sempre una terapia, per Seán. Aveva capito tanto di sé, scrivendo parole e suoni. Non avrebbe mai cessato quel processo. Gli interessava troppo continuare a conoscersi sul serio. In fondo, era sempre stato un curioso, fin da bambino. Non si era mai stancato di pensare. Era in continuo ascolto del suo mondo interiore. Era con quelle basi che aveva affrontato il cosmo. Era su quelle gambe che aveva cominciato a camminare. Era con quell'attenzione a sé e agli altri che osservava le vicende umane. Stabilì che si sarebbe dedicato alla sua opera il giorno seguente, al mattino, a mente fresca. Stava dando il meglio di sé. Era davvero soddisfatto del suo operato di artista, che, con coraggio, sperimentava, faceva esperienze, lasciava crogiolare, nel suo mondo interiore, fatti e sensazioni che potessero essere sublimate in un codice interno con un respiro universale... L'indomani, si svegliò bene, dopo aver dormito profondamente. Si preparò il caffè, rilesse l'ultima pagina scritta e si mise all'opera. Erano ancora tanti i pensieri da scrivere, lungo la spina dorsale del nuovo capitolo. La Nuova Era di Luce era un guerriero, la scrittura di Seán la propria armatura. Forma e contenuto erano saldati insieme, in un idillio perfetto. L'autore amava la propria forma. Sia quando scriveva che quando componeva musica. L'uomo non avrebbe mai cambiato nulla del suo modo di creare. Un tempo, era stato così coraggioso da scrivere una Badinerie in stile bachiano... Non c'erano limiti, per il compositore. Non c'era qualcosa che non potesse essere scritto. Non c'era un confine. Spaziava dal rock alla Sinfonia, dal poema sinfonico ai quartetti. Reputava che ogni forma avesse il proprio senso. La propria nobiltà. La propria Bellezza. Scriveva ancora lettere. Tutto aveva un preciso significato, nella mente dell'artista. Ogni cosa poteva essere lo strumento per comunicare una intenzione artistica e un messaggio. Nel compositore, c'erano millenni di musica e scrittura, che, puntualmente, decideva di rivivere secondo la propria creatività. Il suo primo racconto era stato all'insegna dello stile epico, dacché l'autore non considerava morto quel genere. Ritenere la storia di un uomo capace di assurgere a quel livello di respiro cosmico, che quel tipo di letteratura rappresentava appieno, era stata la sua vera sfida, compresa e valorizzata dall'editore che aveva deciso di pubblicarlo... L'uomo era in asse. Aveva deciso che nulla dovesse turbarlo, tenendo il male a debita distanza. Immaginò la sua scrittura come una architettura argentea, che rilucesse. Non era ancora a metà pagina, quando realizzò che la sua solitudine fosse davvero magnifica.
2° Stralcio 18° Capitolo
Nel mondo alla rovescia, sanità era isolamento, mentre le ossessioni, nobilitate, era divenute passioni che creavano condivisione massiccia. Lui se ne stava nel suo piccolo osservatorio. Non aveva bisogno di legami fallaci. Non si sentiva un membro del magico gruppo degli appassionati dei social network. Alla fine, eccettuato il suo nucleo, era davvero solo. I pochi amici, che aveva, non lo cercavano mai per primi. Mai una frase di commento a una sua nuova opera. Solo, come voleva il sistema, che lo aveva sempre reputato pericoloso, fin dai tempi del liceo a Belfast... L'uomo aveva accettato questa sua condizione di solitario. Si sarebbe considerato patologico se avesse avuto cinquemila amici su Facebook... La sua Arte era per pochi, come se stesso... Non avrebbe mai venduto milioni di dischi. Non sarebbe mai stato intervistato in televisione. Non avrebbe mai firmato autografi. Questo era. Tutto ciò, comunque, non lo avviliva. Non desiderava fama. Aveva con sé tutto il necessario per stare bene. Amava la sua compagna. Suo figlio. Sua madre. «Se vivi fuori dal sistema, esso non ti darà nulla di buono» riflesse, dopo tanti pensieri che si erano accumulati nella sua mente di creativo. Il potere era un caos indescrivibile, animato dalla bramosia cieca di molti che cercavano di imporre le proprie patologie agli altri. Tutto era sottomissione di qualcun altro. Ogni cosa era sfruttamento. Tutte le decisioni importanti impoverimento delle condizioni di Vita dei precari. L’uomo sapeva benissimo che quel sistema di potere un giorno sarebbe stato sbaragliato. Non sapeva però quando. Magari sarebbe durato ancora secoli. Nessuno poteva dirlo con certezza. Pensò alla sua Sinéad, alla delicatezza dei suoi pensieri, delle sue azioni, dei suoi baci... L'artista abbracciò idealmente tutti i suoi cari. La pagina stava volgendo al termine. Le sue parole erano militanti. Il suo braccio saldo. Non avrebbe mai scritto qualcosa che non ritenesse totalmente autentico. Era nel flusso della sua scrittura. Voleva comporre frasi nuove. Desiderava la Luce piena sulla sua opera. «Non devo essere triste» si sorprese a pensare, proprio mentre decideva che avrebbe fatto due passi in una Galway reduce dalla festa del venerdì sera. Trascorse la giornata a zonzo, in compagnia della sua Donna, in letizia. La sera, tornato a casa, cadde in un sonno profondissimo. La mattina dopo, si svegliò bene. Era vigile. Guardò lo scenario dalla sua finestra: il viale era avvolto da una foschia che pareva impenetrabile. Ogni oggetto sembrava attanagliato dal silenzio più intenso. Seán si sentiva a casa, in quell'ambiente. Non gli metteva paura il freddo. Aveva in testa l'ultimo singolo degli U2, che aveva ascoltato alla radio il giorno prima, mentre attendeva l'arrivo di quella intelligenza superiore che era la sua compagna. L'uomo sorrise. Sapeva benissimo che Sinéad avrebbe riso, a quelle sue parole. L'artista voleva farla stare bene. Il suo obiettivo era vederla ridere più volte al giorno, perché era bellissima quando apriva la sua bocca in una manifestazione di puro benessere. Il sistema era fuori dalla sua casa, dentro alla quale potevano entrare solo personalità meravigliose come Bach e Van Gogh... L'uomo pensò a tutte le persone che lo avevano accompagnato nel percorso verso la Nuova Era di Luce e si emozionò. C'erano Máistir, Crón, suo padre, Shayla, Damien e tanti altri, che avevano percorso un tratto di strada con lui. L'autore aveva un cuore sufficientemente grande da contenerli tutti. Non era poi tanto importante se gli altri avessero scelto sentieri diversi dal suo: l'essenziale era che avessero camminato insieme. L’uomo, in quel momento, era con Sinéad ed Aindreas, nella sua Vita. Era con loro che desiderava edificare il tempio della loro gioia. L'artista era lieto, quella domenica mattina. Non bramava nulla di diverso da ciò che realmente avesse nella propria esistenza. Era difficile da sintetizzare a parole, ma lui non avrebbe mai voluto essere qualcun altro. Amava la sua esistenza, la voleva. Bevve un po' di caffè. Si accese una sigaretta. Scrutava il viale fuori dalla finestra dello studiolo, dove le sagome degli alberi erano divenute quasi spettrali. L'autore si concentrò. Ricordò di non aver ancora composto neanche una nota del brano che aveva in mente sulla scrittura. Si immaginò la sua scrittura capace di immortalare note musicali in partitura. Una forma che desse origine ad un contenuto. Si sorprese di quella riflessione. Forse pochi, prima di lui, avevano elaborato una operazione simile. Il compositore era a metà pagina. Si percepì improvvisamente lieto, al pensiero di affrontare un processo creativo sempre più originale. Unico. Inimitabile. Aveva lottato come un leone per quarantatré anni, prima di poter dire a se stesso che era sul sentiero giusto per lui. Alla fine, tutti quelli, con una sensibilità come la sua, si sarebbero incontrati. Seán, questo, lo sperava con tutto il suo cuore. «Ci sono ancora tante persone che si emozionano per un fiore selvatico che nasca da una lastra di roccia. Io le incontrerò, lungo il mio cammino e sarà bellissimo» pensò l'autore, allegro. Riflesse sulla Bellezza di Sinéad, che era anima e corpo, spirito e muscoli, mente e carne. Una Donna che il sistema non aveva piegato. Una persona che aveva avuto il coraggio di starsene da sola, a prendersi cura di se stessa, lontana dalla mischia. Lei sapeva benissimo vivere nella sua dimensione interna. Non necessitava di contatti. Non doveva ricevere una marea di like su Facebook per sentirsi bene. In questo senso, era una vera solitaria. Lei aveva scelto l'isolamento, anziché le relazioni tossiche. Era coraggio. Integrità. Ascolto dei propri Sé interni. Tutte cose che il sistema non avrebbe mai potuto comprare. La sua compagna non era in vendita. Questo la faceva apparire, agli occhi dell'uomo, una vera guerriera. C'era una Musica, intorno all’autore, una melodia antica che risplendeva nella sua mattinata. L'artista la sentiva in sé. La canticchiava mentalmente. La seguiva, in un libero sfogo. Il viale era stranamente silenzioso. Le lastre di pietra si confondevano con l'aria quieta della foschia. Galway dormiva ancora. L’artista immaginò le migliaia di pinte di Guinness vuote, nel fine-settimana e sorrise, dacché il suo popolo sapeva ancora far festa. L'uomo aveva un'incrollabile speranza di vedere un mondo altro. Si accarezzò il viso con la mano sinistra, mentre teneva appoggiato il braccio destro vicino alla tastiera del Mac. Osservò la piccola porzione vergine del foglio. Aveva deciso di scrivere una serie di risposte al potere. Il sorriso di Aindreas, quando era felice, non lo avrebbe mai venduto per una migliore posizione socio-economica. La risata di sua madre, felice davanti ad un buon irish stew, non poteva essere scalfita da nessun attacco. Le carezze di Sinéad, sul suo corpo di uomo, erano puri tesori. L'uomo aveva scalato una montagna. Era giunto sulla vetta, dalla quale poter ammirare lo spettacolo di una Vita all'insegna del benessere e della gioia. «Sai benissimo, Seán, che non si torna indietro!» si disse, pensando a quanta fatica lo avesse accompagnato nella ricerca della Verità. Respirava a pieni polmoni un'aria nuova, sottile. L'atmosfera della Bellezza lo avvolgeva. Non aveva ancora suoni, in sé, ma ciò non gli creava disagio. Ripensò a «Rainy Day» e a come quel suo nuovo lavoro fosse il compendio di tutta la sua scrittura musicale. Aveva fatto passi da gigante, da quando la sua Identità di uomo ed artista si era delineata con precisione. La sua creatività era cresciuta insieme alle conquiste psichiche del suo mondo interno. L'autore era a metà capitolo. Non avrebbe scritto più mezza riga sulle idiozie del potere, in quel momento. Desiderava solo enucleare delle risposte. L'abbraccio della sua Sinéad era il miglior antidoto alla psicosi del terzo Millennio. Lui non cercava altro. Le sarebbe rimasto fedele all'infinito. La sua Musa, per lui, era perfetta, come il pianoforte di Sviatoslav Richter. L'uomo era nel suo studiolo, con la lampada accesa. La Luce inondava, col suo fascio giallo, ogni elemento della scrivania. L'artista si sorprese a pensare. Non era giunto lì per caso. Aveva combattuto con tutto se stesso per quel posto nel mondo. Il giorno dopo, la mattina presto, Galway si svegliò sotto una tormenta di neve. L'ambiente era silente. Le voci delle persone lungo il viale soffuse, in un pianissimo orchestrale. Lo scenario dalla finestra dello studiolo dell'artista si mostrava davvero meraviglioso. L'uomo aveva atteso per mesi quella pace. Il sentiero pietroso era coperto dalla neve, che scendeva copiosa. Tutta la Vita sembrava rallentare. Il compositore sorrise, dacché lo spettacolo delle neve su Galway lo affascinava sempre. I grandi fiocchi candidi stavano ricoprendo ogni oggetto. Tutto si muoveva fra le note di un Largo dai tratti avvincenti. Non c'era quasi nessuno in giro, sotto all'ombrello. Il bianco era il colore della città, in quel momento. Il manto nevoso, in rapida crescita, cancellò, d'un tratto, le amare riflessioni dell'artista sul mondo. Voleva seppellire il caos sotto alle neve. Non lo voleva più vedere ed ascoltare. Al centro della sua Vita, c'era lui ed il suo nucleo, nessun altro. Guardò fuori dalla finestra, vide poche anime in movimento e pensò alla sua compagna, che, fra milioni di persone, aveva scelto proprio lui. Rimembrò il sorriso di Aindreas, quando giocava. Ricordò la soddisfazione di sua madre di fronte ad un regalo inaspettato. Era già molto quello che aveva. Con tutta l'onestà di cui era capace, poteva benissimo dire che non gli servisse altro, per essere felice. La tormenta continuava. Erano incessanti i fiocchi che cadevano abbondanti. L'uomo sorrise. Era la sua stagione, quella. L'autore era giunto a metà pagina. Desiderava scrivere. Aveva riletto tutte le pagine del capitolo, trovandole perfette. Ricordò, emozionandosi, gli attimi in cui aveva insegnato a camminare al figlio, che era stato un bambino adorabile. Rimembrò quante notti insonni aveva vissuto perché Aindreas non riusciva a dormire, appena nato. Tutto era stato ricerca di Amore, nella sua Vita. Tutto era stato slancio. Non conosceva altro che passione per l'esistenza. Il suo cuore era caldo. Il suo braccio proteso. La sua mente aperta. Quando conobbe Sinéad, lui era pronto per il grande salto: trasformarsi da teoria psichica a gesto quotidiano candido. La sua Donna comprese che lui desiderasse essere un vero uomo e decise di accompagnarlo in quella trasformazione. Lei fu davvero molto paziente. Non giudicò mai le sue cadute, ma fu sempre attenta a celebrare le sue vittorie. In nove anni di rapporto autentico, che verteva su una comunicazione limpida, i due si erano evoluti insieme. Lei era diventata ancora più certa della sua Identità di Donna meravigliosa. Lui si era conosciuto, decidendo di vivere in modo creativo. L'autore ricordò, con nitidezza, l'istante in cui, una notte a casa della madre, riuscì a sintetizzare il primo periodo del suo primo racconto, scrivendo su un foglio di un block-notes. L'artista rilesse le frasi e realizzò che quelle parole non erano mai state dette da nessuno. Lì, in quel momento, nacque la sua creatività, dopo tanti sforzi, in frangenti simili alla drammaticità di un parto. Tante onde si erano infrante sulla scogliera, da allora. Dal primo bagliore di Arte tutta propria, alla consapevolezza di essere un creativo. Dalla paura di non farcela, alla certezza di poter vivere da artista. L'uomo ripensò al proprio percorso. Aveva sempre scritto, ma non aveva mai avuto la coscienza della propria Arte, prima di aver completato la stesura del suo primo racconto, che l'anno successivo, avrebbe festeggiato i primi dieci anni dalla data della pubblicazione. Ricordava poi benissimo l'operazione di labor limae dell'opera, che fu dura e faticosa. Tutto si mosse ondivago fino alla mail di quello che sarebbe diventato il suo editore. L'artista fu dubbioso fino a quella scarna mail, in cui l'editore si proponeva di pubblicarlo. Successe qualcosa dentro l’autore, mentre leggeva quella proposta: si rese conto che, se qualcuno desiderava pubblicarlo, allora la sua opera doveva essere davvero buona. Lì sentì forte la consapevolezza che la propria Arte fosse davvero poderosa e, pian piano, la propria Identità di creativo cominciò a plasmarsi, docile ma robusta. La tormenta di neve imperversava. Le strade erano tutte bianche. Il ticchettio dei tasti del Mac gli teneva compagnia. La percezione della Luce era fortissima. Un fascio luminoso chiarissimo avvolgeva ogni cosa. L'uomo sorrise. Era quello il suo habitat. L'autore era a fine pagina. Ripensò al suo percorso, da uomo in tempesta a foriero della Luce. Lui sapeva benissimo di avercela davvero messa tutta. Riconosceva altresì l'indispensabile contributo alla sua crescita che gli aveva garantito la sua Donna. In fondo, non c'è cosa più bella del crescere insieme. Quando lui e lei si conobbero, Sinéad era fragilissima. Segnata da relazioni fasulle che le avevano tolto vitalità, la sua Musa desiderava un uomo forte, accanto a sé. Trovò Seán che le giurò eterno Amore, e che, con costanza e abnegazione, sarebbe diventato, di lì a poco, il suo compagno. Non esiste la persona perfetta. Esiste la persona che vuole crescere con te e che pone te al primo posto nei pensieri della sua giornata, decidendo di renderti felice. Prodigio dei veri rapporti. L'uomo, invece, quando aveva incontrato la sua Donna, aveva già fatto un grosso lavoro su se stesso, ma lo doveva attuare meglio nella realtà. Tutti gli errori, che l'artista aveva commesso, erano stati compiuti in buona fede. Non c'era cattiveria, nelle sue azioni. Questo, Sinéad, lo sapeva molto bene. L'uomo era cresciuto molto. Era diventato autonomo, perché le immagini interne del suo mondo erano finalmente stabili. Aveva i suoi affetti in sé. In un posto dove nessuno sarebbe venuto a rubarglieli. Questa era, alla fine, una delle più grandi conquiste della sua Vita. Continuava a nevicare. Un manto candido copriva tutto ed anche i pensieri dell'uomo erano soffici, buoni, candidi. Alla fine, lui aveva costituito un nucleo di persone da amare. Si impegnava affinché tutti stessero bene. Il suo braccio forte si stagliava contro ogni forma di prevaricazione. L’autore aveva imparato quanto per tutti esista la Possibilità. Sapeva che ogni essere umano avesse diritto ad una seconda chance. Che si può essere davvero felici. La barra spaziatrice chiuse, con il suo tipico suono cupo, quella sua ultima riflessione. L'artista si ritrovò con la neve fuori casa e un mondo intero dentro la mente. Fu lieto, tutto d'un tratto. La sua scrittura lo stava conducendo ad ulteriori rivelazioni su se stesso. Il compositore viveva in corrispondenza biunivoca con le sue opere, che plasmavano forma e contenuto dei propri pensieri. Infatti, l'analisi del potere lo rattristava sempre. Non ne scriveva volentieri, ma sapeva che, di tanto in tanto, doveva farlo, dacché non esiste rivoluzionario senza coscienza del sistema nel quale vive. Era a metà pagina ed il viale ricominciava a brulicare di gente. La neve tacitava ogni tumulto, riconsegnando, alla realtà, un senso sopito delle cose. L'uomo osservava, dalla sua finestra, la Vita muoversi, in quella dimensione silenziosa che i fiocchi portavano, raggiungendo il manto stradale. L’uomo era lieto. Sapeva quale fosse il proprio posto nel mondo. La lampada illuminava il monitor del Mac. Lui era lì, alla sua scrivania, a scrivere di un mondo possibile. Sognava che ogni essere umano potesse essere felice, libero da ogni forma di schiavitù. Certo della sua dimensione di Lucente. La scrittura procedeva lineare. I suoi lemmi erano autentici. La sua visione semplice, in fondo. «O sei servo, o sei libero» pensò. L'artista conosceva bene la fatica, che, a volte, ti fa venire in mente di mollare tutto e tornare nella tua condizione di schiavo, ma sapeva benissimo quanto il premio di tanto lavoro fosse davvero grande. Non conosceva gioia più intensa del sentirsi finalmente uomo libero. Doveva accompagnare Aindreas in quel percorso. Sapeva che anche lui avrebbe dovuto fare i suoi passi. Tuttavia, sentiva che il ragazzo avesse ottime risorse. L'autore si concentrò. Voleva scrivere con autentico spirito creativo. Il brusio del viale era ovattato dalla neve. Il compositore aveva impiegato quarantatré anni per autodefinirsi uomo. Ripensò alla tempesta che lo avrebbe di sicuro ucciso, attanagliandolo con una morsa spietata. In quel momento, sapeva solo che era vivo perché non aveva mai smesso di sperare. Nell'epoca di Belfast, tutto tramava contro di lui. Fuori dalla sua famiglia, non c'era niente per lui. Il sistema lo aveva giudicato «elemento esterno», rigettandolo. Era un’anomalia da demolire. Il giovane ragazzo ribelle aveva potuto trovare rifugio solo nei libri e nella musica, che erano i suoi veri amici. Ricordò di quando, bambino, era in compagnia di suo padre, sul peschereccio, e, all'approdo, furono intercettati dalle autorità che vollero perquisire suo padre e l'imbarcazione. Quelle scene, nella mente del bambino, si erano cristallizzate come profondamente ingiuste e violente. Gli occhi di Seán avevano visto il male. Non c'era altro da aggiungere. Anche in quella fattispecie, la visione è lineare: o sei un servo del male, o ti impegni per esserne immune. L'uomo desiderava che ogni cosa nella sua Vita fosse un elemento di armonia costante, in una vibrazione che non cessasse mai di regalare gioia. La sua scrittura fluiva. La neve lo aiutava a comporre frasi. Il silenzio, interrotto solo dal ticchettio dei tasti del Mac, era formidabile. L'artista volle far chiarezza in sé. Bramava un flusso veritiero di lemmi. Non avrebbe mai scritto per compiacere nessuno, ma sapeva benissimo quanto le sue opere fossero tutte per la sua Musa, senza la quale non avrebbe mai voluto vivere. L'autore era all'ultima riga del suo foglio. Fece un tiro di sigaretta. Osservò il fumo diffondersi lungo lo spazio della scrivania. Il Sole si era nascosto. La Luce bianchissima aveva avvolto ogni cosa. Il capitolo che stava trattando, oltre ad offrirgli notevoli spunti di riflessione, era di difficile stesura, lui se ne stava rendendo conto. Aveva deciso di dargli un titolo importante, ma, a tratti, sentiva di avere un numero ristretto di parole da comunicare. Si accarezzò la barba, dopo essersi sfregato le mani. Fece una pausa. La sua mente necessitava di un nuovo bagliore, che non sapeva se sarebbe arrivato, quella mattina di neve e silenzio bianco. Era alla settima pagina del capitolo. Lui aveva operato la sua scelta di campo: sarebbe stato con il suo nucleo. Gli altri? Alla fine, all’autore non interessava molto quello che loro avrebbero fatto. Amava l'Umanità, ma non avvertiva curiosità nei confronti delle ipotetiche bugie che il Genere umano si sarebbe raccontato per proseguire sulla strada malsana dell'autodistruzione. L'uomo aveva deciso che le persone del proprio mondo dovessero star bene. Si sarebbe impegnato per questo. Non conosceva altra missione. Non era un capo di stato. Non era un sindacalista. Aveva con sé solo la propria Arte. Sapeva benissimo che, ogni giorno, veniva legittimata una scelta che allontanava tutti dalla Nuova Era di Luce. Conosceva la morsa del potere. Le sue bugie raccontate ventiquattro ore al giorno sui media. Ma lui non scriveva per gli appassionati dei social network, lui creava per un mondo altro, dove la Verità sarebbe stata sempre la stella polare. Un artista vede e trasforma. Si crea una coscienza esatta di ciò che è e non si stanca di sognare un universo più giusto. La neve si stava affievolendo. Il silenzio perdurava. Le sue mani vergavano parole autentiche. «È incredibile quello che accade al mondo interno di un essere umano, quando si smette di raccontarsi bugie» sottolineò a se stesso, mentre osservava la porzione vergine del suo foglio.
2° Stralcio 19° Capitolo
Prima lesse le news dal mondo degli appassionati, che, dalle loro tastiere di computer, avevano già fatto diverse rivoluzioni, di cui però non era giunta notizia al sistema... Gli stessi che, ad ogni attentato terroristico in Europa, mostravano le bandierine dello stato colpito, come massima forma di indignazione. Il compositore, la sera prima, aveva visto in tv come si vendessero esseri umani in Libia e ne era rimasto profondamente colpito. Ragazzi e ragazze fuggiti dalle guerre, venduti come animali, senza poter minimamente opporsi a quel progetto criminale. Anche questo era il terzo Millennio, non solo le Lamborghini esposte nelle varie manifestazioni automobilistiche mondiali. C'era una tale disparità fra i ricchi e i poveri, che all'uomo sembrava di vivere in un incubo senza fine. Il brusio del viale lo distrasse dai suoi pensieri. Le anziane signore passeggiavano liete nella bella giornata di Sole. L'autore non era ancora a metà pagina. Teneva ben presente l'idiozia sadica del potere, che non permetteva a nessuno di essere felice. «Alla fine, anche i padroni del mondo, così ossessionati dalla brama di ricchezza e tirannia, non sono felici. Paradossalmente anche loro, profondamente malati, vivono in una psicosi irrefrenabile» si sorprese a riflettere, sempre più certo della Bontà dei propri costrutti mentali. Il sistema era piramidale: c'era sempre qualcuno schiavo di qualcun altro più in alto di lui. Quell'un per cento, che si trovava all'apice della costruzione, era servo della propria grave patologia mentale. Questo, spesso, si erano detti l'uomo e la sua Donna. Non dovrebbe esistere il potere. Gli uomini nascono per sentirsi fratelli, non nemici o servi di qualcun altro. Il compositore desiderava portare il proprio inno alla Vita nelle sue opere... La visione dell'autore era dettagliata. Incontrovertibile. Puntuale. Con Sinéad, ogni tanto, avevano riflettuto su come fosse inutile e dannoso informarsi costantemente sulle mosse del sistema, dacché, giunti alla visione di un mosaico chiaro, non era poi così importante aggiungere ogni giorno delle nuove tessere, per avere l'esatto quadro della situazione. Il ritratto del potere era sotto gli occhi di tutti. Si perseguitavano etnie. Si vendevano uomini. Si parlava di bombe atomiche. Non c'era bisogno di leggere l'ultima news. Il mondo era alla deriva. Come una mente che scelga il male, così il cosmo del turbocapitalismo stava naufragando. La Vita è composta da scelte. Se scegli sempre le tenebre, ti ritroverai in un buio pesto che non ti farà più neanche respirare. Seán sapeva benissimo quanto fosse necessario mantenere una igiene mentale. Essere puliti dentro e fuori. Vivere con coerenza la propria dimensione di benessere. Gli scrisse Sinéad, con quella sua solita verve che la rendeva meravigliosa. Lei amava ridere e scherzare. La sua risata aveva un suono bellissimo, ricco, rotondo. Rideva con tutto il corpo. All'uomo venne in mente il ricordo di suo padre, che, quando era felice, rideva facendo sussultare tutte le sue membra. Il brano sulla diversità della sua compagna gli sembrò ben scritto. Aveva il desiderio di aggiungere una parte rock, perché la sua Sinéad amava chitarre e percussioni. Poi, forse, avrebbe composto una coda per archi, a concludere il brano. Almeno quelle erano le sue intenzioni, che, non sempre, componendo Musica, si trasformavano in suoni. C'era spesso una disparità fra quello che pensava di comporre e quello che poi realmente scriveva. Il compositore aveva accettato anche quella difficoltà. Non sempre ciò che aveva in mente si tramutava in segno. Alle volte, il segno prendeva Vita da solo, e lui lo seguiva, attento e meticoloso. Del brano sulla scrittura, invece, aveva solo in mente un agglomerato accordale in Re minore, tutto da sviluppare, ancora. La barra spaziatrice separò i suoi pensieri musicali. L'uomo era lieto. Quella sera sarebbe andato a mangiare fuori con la sua Musa e l'idea lo rendeva felice. Cosa erano loro due, se non due gai Lucenti? Cosa avrebbero potuto desiderare di più? Assolutamente nulla, se non una costante crescita individuale con la quale sperimentare, ogni giorno, nuove forme di attenzione ed Amore verso i propri cari, in una ricerca continua. Le foglie degli alberi del viale cadevano incessantemente. L'autunno era pieno di colori. La Luce nitida descriveva, con forza, tutti i particolari degli oggetti. Le lastre pietrose del viale erano bianchissime. L'autore non comprendeva l'immobilismo della gente. C'era un mondo altro, che, se solo l'Umanità avesse agito bene, sarebbe stato a due passi. Seán vide una foglia rossa cadere in terra. Come gli alberi, lui si era spogliato di tutte le sovrastrutture che non gli erano proprie, frutto avvelenato di un sistema che vuole farti credere che sia essenziale avere l'ultimo profumo per uomo pubblicizzato in tv. L'operazione decennale dell’artista, così come quella della sua Musa, era stata davvero disvelante: avevano individuato tutti gli inganni del sistema, allontanandoli dal proprio mondo, con sdegno. L'autore era a pagina nuova. Sentiva che scrivere gli facesse bene. «Alla fine, ci vogliono davvero poche cose per far felice un bambino e crescerlo come un uomo sano» si disse l’uomo, fiero delle sue conclusioni, che si sviluppavano in una progressione quotidiana, insieme alla sua scrittura. Non era più nella condizione di chiedersi quanto valesse la propria opera. Era certo che fosse buona. Degna. Autentica. Era a dieci pagine dalla barriera psicologica dei duecento fogli. Sorrise. Pian piano stava arrivando. I traguardi, che lo attendevano, erano di sicuro entusiasmanti. Voleva scrivere in Re minore ancora. Si sentiva affascinato da quella tonalità, che, nel corso della storia della Musica, era stata usata dai grandi padri della composizione, per opere dalla Bellezza sconvolgente. Stava amando la stesura del suo romanzo, di cui sentiva vero il titolo. Alla fine, la sua era un'opera sui pensieri. Una forma profondamente psicoanalitica di scrittura. Seán riteneva fondamentale l'apporto delle scienze della Psiche per entrare trionfalmente nella Nuova Era di Luce. Senza individui risanati, trasformati in esseri di Luce, non ci sarebbe stato nessun mondo altro. L'epoca, che sognava l'autore, era la definitiva consacrazione degli uomini non distruttivi. La sua utopia era potente, in lui. L'uomo pensava che tutto sarebbe stato ancora possibile. Non voleva rinunciare a vedere una nuova era. La tensione verso quel mondo nuovo era palpabile in tutto quello che lui diceva o faceva. Lui viveva già da anni nel suo cosmo perfetto. Insieme a Sinéad, aveva concepito un mondo fatto di Bontà e Luce. Verità e gioia. Bellezza e rispetto. La Nuova Era di Luce era l'idea più bella che lui avesse mai avuto nella sua esistenza. Non l'avrebbe mai tradita. Barattata. Abbandonata. Fuori, lungo il viale, bambini, accompagnati dai nonni, camminavano spediti, con quella loro aria di ricercatori curiosi, che li rendeva adorabili. Il compositore era conscio di quanto fosse importante recuperare un modo di accompagnare davvero i bambini verso conquiste sempre più significative. Un bimbo, educato alla Bellezza, sarà un adulto pensante, dotato di senso critico ed empatia. L'autore era a metà pagina. Desiderava scrivere ancora, sebbene le idee, che aveva, non fossero poi molto nitide. Sentiva che la materia della scrittura crescesse con lui, in una forte vibrazione, che gli recava il messaggio che, in quell'epoca di trionfi del capitale, la sua opera fosse quanto mai necessaria. Riflesse sulla propria natura di creativo e si sentì molto fortunato. Non avrebbe mai potuto fare l'operatore di borsa. In fondo, c'erano solo due grandi famiglie umane: i ricercatori del Vero e i distruttivi, in una concezione manichea, che l'autore trovava verissima. Sinéad li aveva visti, da vicino, i non-uomini. Era fuggita inorridita, preferendo la solitudine creativa. L’artista la amava proprio perché lei non aveva bisogno di nessuno, ma desiderava vivere in armonia col proprio compagno, che aveva scelto in assoluta libertà, senza ricatti, false illusioni o smanie di potere. I legami incentrati su ruoli di potere erano non-rapporti. L'uomo non comprendeva come, nell'ambito di una coppia, ci potesse essere un subalterno ed un tiranno. Tutto malato. Tutto estremamente inumano. L'autore sognava rapporti nei quali ci fosse sempre l'opportunità di scegliersi liberamente, per il piacere di stare insieme. Amore era libertà, per l'artista. Tutto brillava quel giorno con la Luce intensa del nuovo Sole. La Landa vibrava nella sua natura policromatica. L’uomo pensò al suo sito personale, cui tanto teneva, turibolo indispensabile delle proprie opere. La paura di essere dimenticato, come artista, ogni tanto affiorava, nella sua mente. L’autore, però, si rispondeva, pensando che, alla fine, fosse essenziale vivere da artista, non essere studiato nei banchi di scuola un secolo dopo la propria morte. In fondo, stava conducendo l'esistenza che aveva sempre sognato, fin da piccolo. Fin dai giorni in cui strinse il primo flauto dritto fra le mani, a scuola. Lui l'aveva desiderata quella Vita fatta di segni scritti. Aveva sempre sognato una Musa. Aveva sempre voluto un figlio da crescere, cui affidare i propri pensieri più edificanti. La tempesta, che lo attanagliò, non era riuscita ad ucciderlo. Ferito molte volte, si era sempre rialzato, mostrando al nemico una vitalità sorprendente. Il balsamo dei baci e delle carezze della sua compagna aveva cicatrizzato tutti i segni della battaglia. Il suo corpo di uomo era nuovo, intatto, vergine. Lui sorrise, rileggendosi. Era un prodigio nato dal desiderio puro di una Vita possibile. «Se ci sono riuscito io, ci possono riuscire tutti» vergò sul suo probo diario rosso, che non poteva mancare sulla scrivania dell'artista. La Vita era bella, questo, l'uomo, lo sapeva molto bene. È che non avrebbe dovuto essere così difficile e faticoso giungere alla propria Identità di individuo sano. Il sistema rendeva difficile ogni rivelazione sul mondo interno. Così, l'essere umano era costretto a scalare una montagna di merda prima di poter proclamare il proprio Io sano al cosmo. Con il rischio di mollare prima. Di accettare la violenza come forma di rapporto. Di reputare normale che, nel ventunesimo secolo, ci fosse ancora la tratta degli schiavi. Seán, invece, pensava ad un mondo dove non esistesse l'inganno. La malvagità. La distruttività. Sinéad aveva, nel tempo, sentito, in sé, quella utopia così bella, da innamorarsene pienamente. C'era bisogno di Verità sui rapporti umani. C'era bisogno di coraggio nel comunicare. C'era bisogno di intelligenza. La sua compagna era differente, perché sentiva vere tutte quelle riflessioni. Alla fine, quello dell’artista, oltre ad essere una visione, era anche un sistema di pensiero, che verteva sulla Cura della Psiche. Il mattino seguente, si alzò alle otto. Si preparò il caffè, si lavò e si accese una sigaretta, dopo aver dato il buongiorno a sua madre. Mancavano pochi giorni al viaggio a Cork e l'artista era emozionato. Avrebbe riabbracciato sua madre, suo figlio, il suo amico Yòrgos e avrebbe sfiorato di nuovo, con le sue dita, il pianoforte a muro che era stato compagno fedele della sua adolescenza. Chissà se sarebbe riuscito a comporre ancora, con quello strumento? Chissà se avrebbe avuto idee? Chissà se un bagliore musicale gli avrebbe attraversato la mente? Stare nella casa della madre, gli suggeriva spesso delle intuizioni creative. In quella che, in quel momento, era la camera da letto della madre, lui aveva scritto il suo primo racconto. Lì aveva consegnato all'Umanità la sua prima fiamma creativa, così calda, struggente e lirica. Lì si era sentito uomo per la prima volta. Lì aveva vergato i primi lemmi della Nuova Era di Luce. In quella piccola casa erano accadute tante cose e l’autore ne percepiva ancora l'atmosfera di profonda introspezione che lo aveva condotto lungo il sentiero della salvezza. Scrivendo, lui si era allontanato dal dolore. Aveva scacciato l'angoscia. Spezzato la disperazione. La casa di sua madre era il posto dove erano echeggiate le formidabili risate di suo padre. A pensarci in quel momento, all'uomo pareva quasi impossibile che, in una piccola dimora come quella, fossero accadute tante cose, tutte fortemente significative. L’uomo si mise a scrivere. Voleva dare una forma precisa al suo capitolo. Pensò. Riflesse. Trovava giusto tornare, una volta al mese, a trovare i suoi, a Cork. Era il metodo migliore per stargli accanto ed amarli. Non voleva assolutamente lasciarli soli. Sua madre era anziana e già diverse volte era stata male. Suo figlio Aindreas stava crescendo e aveva necessità di confrontarsi con il proprio padre. Loro avevano bisogno di Seán e l'uomo di loro. L'Amore è anche abnegazione. Il capitolo su ciò che è differente stava veleggiando serenamente verso la sua più naturale conclusione. La sera prima, Sinéad aveva enucleato un concetto nuovo, che, di primo acchito, aveva lasciato l'autore senza parole: «la società non pensa» aveva dichiarato la sua Musa. La collettività, nel suo insieme, crede, giudica, tifa, ma non è dotata di un pensiero. Al suo interno, ci sono quelli che pensano e sono una minoranza e i tanti che affidano al sistema la propria capacità di ritenere giusto o sbagliato qualcosa. L’autore ci riflesse accuratamente, quella sera. Poi, il giorno dopo, il concetto gli fu chiaro. Anche quella volta, la sua Donna aveva avuto ragione e la sua sintesi era stata perfetta, incontrovertibile. La società non pensa, dunque, è un gregge che si fa abbindolare. Ecco perché la sua compagna era differente. Ecco perché l'uomo amava i suoi ragionamenti. Ecco perché i due si muovevano all'unisono nella stessa partitura, quasi sempre. La Donna aggiungeva concetti al già complesso sistema di pensiero dell’artista. Lo arricchiva. Lo migliorava. Il compositore aveva il desiderio di completare il brano musicale sulla diversità, che era giunto ad una dimensione importante. La sua idea di aggiungere una terza unità C Rock gli ronzava in testa. L'uomo era alle prese con il suo diciannovesimo capitolo, a poche pagine dal traguardo dei duecento fogli di prosa. Non sapeva bene come fosse giunto a quel punto, dacché il racconto, che mesi prima aveva iniziato a scrivere, era poco più di un gioco, per come fosse stato concepito. Col tempo e l'azione quotidiana di esporre i suoi concetti, invece, era divenuto qualcosa di molto importante, non più qualcosa di ludico, ma un progetto letterario vero e proprio. In quel momento, poi, l'autore sentiva che stava scrivendo qualcosa di serio, un vero e proprio romanzo gaelico da consegnare alla Nuova Era di Luce. La prima opera Lucente da custodire nelle case di chi si era risvegliato dall'incubo dei reality show. L'uomo percepì la responsabilità di quel ruolo di artista che la Vita gli aveva cucito addosso. Le sue parole dovevano essere vere. La forma del suo scritto inalterabile. I suoi suoni meravigliosi. Il sistema avrebbe provato a lordare le sue opere, relegandole nell'anfratto più irraggiungibile del web. L'uomo sorrise. Sapeva benissimo che la sorte delle sue creazioni non fosse la prima pagina dei giornali specializzati, che si dovevano occupare della presunta accusa di molestie dell'ultimo produttore cinematografico... Il ventunesimo secolo era solo pornografia. C'era una curiosità pruriginosa nei confronti di ciò che facevano i potenti nel segreto dei loro loft e ville sinuose. Era una proiezione onirica collettiva: visto che non si potevano frequentare quegli ambienti, almeno si aveva l'opportunità di conoscerne i retroscena carnali. A questo aveva portato il neoliberismo: si sognavano le signorine discinte negli yacht dei ricchi. L'uomo aveva ben chiara la strategia del sistema. Si creava invidia. Si indicava la strada del successo socio-economico. Si lasciavano al proprio destino i poveri. L'autore in quel momento stava riflettendo sul fatto che la società non avesse pensiero proprio. Era per questo che lui e la sua Donna erano differenti. Loro non avrebbero mai barattato la loro gioia per una esistenza fatta di lustrini... Pensò al Máistir, che non si era mai rassegnato all'idea di omologarsi. Avrebbe voluto parlare con lui di quelle conclusioni, magari davanti ad un bel caminetto acceso e un buon bicchiere di whiskey irlandese... L'uomo amava molto il suo Maestro. Era, per lui, una poderosa voce di una Irlanda fiera. Ne ammirava profondamente le capacità di compositore. E, sopra ad ogni cosa, lo stimava come individuo che aveva ricercato, per tutta la sua Vita, il bene. Anche il Máistir era differente, come tutte le persone che vivevano nel cuore di Seán. L'autore congiunse le mani. Era in ascolto del proprio mondo interno. Non sapeva ancora come avrebbe continuato il suo capitolo. L'uomo riflesse. C'erano pensieri che andavano riordinati, con attenzione. Si sentì chiamato a realizzare i suoi sogni, che erano grandi. Sapeva che, alla fine della strada, l'unica cosa importante sarebbe stata la coerenza fra il proprio Sé interno e gli atti di Vita. Desiderava che tutta la propria Arte fosse una dimostrazione della Possibilità di essere felici. Il momento storico, che stava vivendo, era spietato, ma, nonostante questo, si poteva sognare un mondo altro. Nuovo. Accogliente. Umano. L'autore sentiva di aver chiarito bene molti dei suoi concetti fondamentali, nelle centonovanta pagine che aveva scritto fino a quel momento. Non c'era poi bisogno di spiegare altro. Il quadro d'insieme della situazione era sotto gli occhi di chi volesse vedere e comprendere. Urgeva essere differenti, come gli aveva suggerito la sua compagna. L'artista era a metà pagina. Si concentrò. Bramava chiarezza nell'esposizione. Voleva che le proprie parole fossero Luce.
2° Stralcio 20° Capitolo
Non c'era nulla per lui là fuori. Era dentro al suo nucleo. Il club dei differenti gli teneva compagnia. Si accese una Chesterfield rossa. Fece un tiro di sigaretta e guardò il mondo dalla sua finestra dello studiolo. Decise di far circolare l'aria in tutta casa. Faceva molto freddo, quel giorno. Una condizione termica che gli fece ricordare i pomeriggi da ragazzo quando scorrazzava per una Belfast sotto il controllo dell'invasore. Non aveva mai compreso perché l'Irlanda dovesse essere divisa in due. Non aveva mai preteso di capire le ragioni politiche dell'assedio. Non aveva mai realizzato perché l'uomo dovesse essere padrone di un altro uomo, negandogli la libertà. Otto secoli di invasione... Tanto era durato il dominio degli inglesi sulla sua terra, fino alla definitiva annessione al Regno Unito. Seán non si era mai sentito inglese, ma irlandese, come gli aveva insegnato suo padre. Non aveva mai accettato di essere un suddito della regina. Aveva sempre sognato di poter vivere in una nazione libera. L'uomo, scrivendo, era giunto ad inaugurare la sua duecentesima pagina. Il potere, in tutte le sue forme, era fortemente psicopatico. Come pensare di dividere una nazione in due per il proprio tornaconto personale? Come distruggere l'Identità umana e culturale di un popolo? Come uccidere una lingua? Tutto ciò era impensabile, per l'autore, che viveva nella speranza che qualcosa di profondo cambiasse sul serio. Gli irlandesi non si erano mai sentiti distinti. Non avevano mai avuto moti secessionisti. Solo l'intervento del potere li aveva condannati ad essere stranieri in casa propria. Come l’artista, che era un esule. Un superstite. Un guerriero. Come tanti altri, costretti ad emigrare per sfuggire alle fauci del sistema, nel corso degli ultimi secoli di vita irlandese. Il compositore era stanco di guardare in faccia il male. Desiderava qualcosa di più della coscienza che il potere fosse perfido. Voleva la Pace. Aveva costruito, intorno a sé, un mondo buono, specchio del suo cosmo interno. Andò a prepararsi un altro caffè. Sorseggiò la sua bevanda preferita. Pensò. Era trascorso un decennio dalla fine della tempesta, che lo aveva lasciato in fin di Vita in un lido deserto. La sua vitalità lo aveva sorretto. La speranza che, per lui, ci fosse ad attenderlo qualcosa di davvero meraviglioso lo aveva fatto continuare a respirare. Era a metà pagina. Voleva completare il foglio. Pensò a quanto Sinéad, Máistir e se stesso avessero fatto per la Nuova Era di Luce, che non era stata mai una posa da intellettuale, ma carne e sangue, mente e corpo, anima e sforzo muscolare. Il mondo altro era una formidabile speranza divenuta realtà. Era impegno. Attenzione. Consapevolezza. Non era un dono di Babbo Natale, ma un serio cammino verso la Bellezza. Era scegliere sempre il bene. Non rassegnarsi alla violenza del male. Non assecondare i propri più bassi slanci. In un mondo guidato da un potere arcigno che lascia pascolare amorevolmente il gregge ignaro, Seán, con la sua Nuova Era di Luce, proponeva al Genere Umano la consapevolezza. «Che ogni individuo sia libero, conscio del proprio potenziale, fiero della propria originalità!» pensò l'uomo, che non vedeva altra strada, per l'Umanità, se non quella della liberazione da ogni sorta di male della Psiche. L'artista era felice. Sapeva dove collocarsi nel mondo. Era conscio del proprio ruolo di creativo. Aveva voglia di comporre Musica, ma prima doveva concludere la pagina, che, a tratti, gli era sembrata immensa. Quella sera avrebbe avuto a cena la sua compagna, che lo amava in modo totalizzante. Lei era tutte le risposte alle sue eque istanze di essere umano. Lei aveva il prodigio in sé. Lei era semplicemente incantevole, in ogni suo gesto. Seán non l'avrebbe mai ferita. Non avrebbe mai permesso che lei stesse male. Voleva votare la sua intera Vita alla sua Musa. Non immaginava destino più bello. Il compositore aveva perso tante persone, durante la tempesta, ed in quel momento, era in grado di creare, intorno a sé, una nuova famiglia, fatta di persone scelte con cura ed Amore. Era curioso di vedere dove il mondo sarebbe andato a finire con la sua infinita egomania. Desiderava vedere la nuova alba di un cosmo creato sul rispetto degli inalienabili diritti dei bambini a vivere una esistenza felice. Sperava. Più vedeva il marcio, intorno a lui, maggiore era la voglia di vedere un mondo nuovo, diverso. La sua consapevolezza lo cullava. Sapeva di non essere lui quello sbagliato. Conosceva se stesso e si accettava nella propria finitudine di individuo in evoluzione. La sua progressione, negli ultimi dieci anni, era stata inarrestabile, come la sua creatività, che aveva prodotto davvero tanto. Fece un tiro di sigaretta sentendo nitidamente che quel suo percorso stava proseguendo davvero bene. Non poteva impedire che si tagliassero tutti gli alberi dell'Amazzonia, ma poteva vivere, seminando Bontà, cambiando costantemente se stesso e influenzando il mondo di chi gli stava vicino. La sua scrittura lo stava assistendo. L'autore era pienamente consapevole del suo ruolo di innovatore. Voleva vivere nella Bellezza. Pulcritudine gli avrebbe continuato ad indicare la via del sentiero più entusiasmante. Voleva vedere cos'altro sarebbe successo nella sua Vita. Avrebbe combattuto fino alla fine. Era conscio della sua Identità di creativo. Desiderava respirare in un'atmosfera di Verità. Era gaio. Decise di provare a comporre nuova Musica, certo che un giorno qualcuno avrebbe riascoltato quelle sue note, giudicandole buone. Il mattino seguente, si svegliò allegro ed uscì, per fare la sua solita passeggiata in una affascinante Galway. Rimirò le fronde degli alberi del viale pietroso, sempre così candido, e si accorse, sollevando gli occhi al cielo, di quanto fossero belli i rami curvilinei che si stagliavano contro un cielo azzurro, come a recare, dalla Terra, un messaggio all'empireo, che osservava, dall'alto, le sorti umane, raccogliendo speranze, dolori, Amori e passioni, in un poema senza fine, da custodire gelosamente. L’artista credeva nell'infinita sapienza di Madre Natura. La cercava sempre, in un fiore, un albero, una foglia caduta a terra nell'imponente autunno gaelico. L’artista si sedette alla scrivania, dove aveva lasciato il Mac acceso dalla sera prima, per copiare tutti i documenti nella sua memoria esterna e si preoccupò di trovare la sua frase più sincera, per continuare a scrivere il suo romanzo, che aveva superato con agilità la barriera psicologica delle duecento pagine. L'uomo aprì le finestre. Voleva far entrare in casa aria fresca, a purificare il suo pensiero mattutino. Scrisse a Sinéad quattro messaggi Telegram spiritosi. La leggerezza fra di loro, il gioco, la spensieratezza avevano sempre avuto un ruolo fondamentale nel loro rapporto, fin dalle prime conversazioni in chat. Solo le anime profonde possono apprezzare davvero la componente ludica in una relazione interumana. Solo una grande Psiche può dare valore ad un approccio leggiadro nei confronti della realtà, che non significa essere sciocchi, ma saper vivere bene. Sinéad non si spaventava del bambino che era in Seán e che chiedeva di giocare. L’uomo non si preoccupava se la sua Musa gli mostrava la bambina lieta che era stata, con l'intento di continuare a sognare. Erano stati due bellissimi bambini. Non volevano perdere contatto con la loro parte allegra. Non avrebbero permesso a nessuno di cambiare quello stato di Felicità. L’artista pensò al proprio percorso creativo, sviluppatosi in dieci anni di Vita. Era a metà pagina di un capitolo che, nonostante il desiderio di scrivere, stava procedendo lentamente, come le gocce di un buon distillato. L'autore, con l'aria pungente che entrava dalle sue finestre, ripensò a tutta la sua intera opera. Al racconto pubblicato nel 2008. Alla sceneggiatura per Cinema, che ancora doveva trovare un produttore attento che volesse realizzarla. A tutta la sua Musica, che era in grado di coprire le ore di una intera giornata. Aveva scritto molto, in quegli anni, grazie all'ispirazione costante che la sua Musa gli garantiva. Aveva trattato tanti temi. Enucleato concetti. Creato architetture di parole e suoni davvero suggestive. Era sulla cresta dell'onda creativa. Sapeva che i suoi segni fossero buoni. Aveva forgiato una nuova concezione di Pulcritudine. Il compositore sorrise, pensando a tutte quelle cose. Ne aveva fatta di strada... Il suo merito, alla fine, era stato quello di non arrendersi mai. Seán non avrebbe mai potuto accettare che la propria tempesta durasse in eterno. Quando fu nell'occhio del ciclone, sperò che un giorno, tutto quel disordine potesse finire. Quando si disperò, ferito nella carne, con gli occhi persi nel vuoto, totalmente disorientato, una forza inaspettata gli giunse in soccorso, trovando in sé una energia che lo catapultò fuori dai flutti, facendolo riposare, ormai esanime, sulla soffice sabbia di un lido silenzioso, dal quale poter iniziare a pensare un nuovo mondo, gentile, pulito, colorato. L'uomo era stato molto fortunato. Tuttavia, credeva che una simile sorte se la fosse guadagnata sul campo, con tanta fatica e dolore. In quel momento della sua Vita, ormai superata la soglia dei quarant'anni, l'artista poteva vivere bene. Essere propositivo. Occuparsi di sé e dei suoi cari, con infinito Amore. Ripensò ai giorni precedenti a Cork. Aveva cucinato per sua madre ed Aindreas, riscuotendo un vero successo. Aveva abbracciato sua madre. Gli aveva baciato i capelli argentei. Era stato stretto da una morsa micidiale, cingendo, con le braccia, suo figlio, che tenendolo stretto a sé, con una forza muscolare notevole, lo aveva quasi stritolato, per la gioia del padre. L'uomo sorrise, rimembrando quei momenti. La sua Vita doveva proseguire bene. Le persone da lui amate dovevano essere felici. L'esistenza gli doveva arridere. Non avrebbe contemplato un risultato diverso. Aveva l'imperativo categorico di star bene. Non avrebbe permesso alle insidie di ostacolarlo. Non avrebbe tollerato che qualche problema togliesse il sorriso ad Aindreas. Non avrebbe mai voluto vedere triste la sua Musa. Desiderava che sua madre vivesse bene la sua vecchiaia. Alla fine, non c'era altro, in quella Vita. Non c'era obiettivo più bello del benessere. Non c'era risultato migliore della gioia, che il compositore immaginava diffondersi sulla sorte umana di tutti. Non poteva esserci realizzazione individuale senza la Possibilità di un canto collettivo che inneggiasse alla Verità. Il mondo che sognava il compositore era quello in cui gli esseri umani felici creavano un mondo nuovo, ove tutto fosse in armonia e ci si potesse abbracciare nella gioia, come dipinto dalle note della Sinfonia n. 9 di Beethoven. Seán lo sapeva molto bene. Aveva già visto, anni prima, il disastro, cui un sistema perverso aveva condannato l'Umanità. L'uomo non si sarebbe stancato di lottare, per difendersi e garantire al suo nucleo un avvenire grandioso. L'autore ripensò a Crón, alle sue dolci parole, sorrette da una passione politica calda e avvolgente, che disegnava nuovi scenari per una Nuova Era di Luce. Gli mancava molto la sua grande Amica. Nel silenzio della sua casa, rimembrava i gesti di lei, le sue espressioni facciali, la sua voce, femminile e vitale, con cui esponeva, con assoluto rigore, la Possibilità di un cosmo felice, dove ogni essere umano sarebbe stato trattato per ciò che realmente è: un'opera d'Arte in cammino. C'era finalmente consapevolezza, nelle parole dell'uomo, che aveva sognato la sapienza e la corretta percezione di sé tutta una Vita; dimensione intrapsichica di grande valore, dinamica, capace di ricostruire là dove il sistema aveva demolito anche la più esigua forma di speranza, in una spirale mortifera, che non intendeva lasciare gli uomini liberi di decidere del proprio destino. Per l’artista, la sorte non era altro che la sommatoria delle scelte operate. Non c'erano altre forze in ballo. Esisteva solo l’individuo davanti ai bivi della sua esistenza. Pensò agli egomaniaci che affollavano il mondo. Considerò i sotterfugi, le bugie e tutte le altre forme di alienazione di cui le relazioni del ventunesimo secolo stavano facendo ampio uso. Si sentì estremamente fortunato ad avere Sinéad ed Aindreas. La sera prima gli era arrivato un messaggio dal suo Amico Damien, criptico, oscuro. Il compositore sapeva benissimo che il suo Amico avesse in sospeso, di tanto in tanto, una rielaborazione del proprio passato, che lo attanagliava, ma sapeva anche quanto fosse forte il suo animo di Poeta, che voleva vivere nella beatitudine. Il mondo del grande fratello faceva letteralmente schifo. Era una montagna di escrementi fetidi. Era il trionfo della psicopatia, in ogni campo del vivere umano. Seán congiunse le mani. Riflesse. Aveva scritto, fra le pieghe del suo romanzo, in modo articolato e preciso, tutto il suo sdegno nei confronti di un sistema di potere aberrante, che ancora si produceva in tratta degli schiavi, guerre, distruzione del Pianeta Terra. Non c'era nient'altro da aggiungere. Avrebbe voluto scrivere solo di gioia e gioco, ma sapeva benissimo che, nel suo futuro, ci sarebbero stati altri momenti in cui si sarebbe sentito costretto ad analizzare le nuove aberrazioni di quel manipolo di esseri alienati che guidavano le sorti del pianeta. L'autore era a metà pagina. Desiderava scrivere. Sentiva di avere una buona vena ispiratrice. Più tardi, avrebbe riletto l'ultimo messaggio di Damien, che gli era sembrato apocalittico. L'uomo sorrise, dacché sapeva benissimo che ognuno stava conducendo la propria battaglia per il vero bene. Ognuno come poteva. Ognuno con i propri mezzi. Non scriveva a Shayla da un po', ma sentiva che era bene così. L’artista voleva molto bene alla ragazza di Belfast e l'avrebbe voluta vedere felice, solo che sapeva quanto fosse difficile essere lieto in un non-rapporto incapace di regalare emozioni autentiche. Non avrebbe mai permesso a nessuno di inquinare il proprio umore. Le lamentele lo uccidevano. Non voleva essere la pattumiera di nessuno. Desiderava circondarsi di uomini risolti, non di belve che succhiano la vitalità altrui. Il compositore aveva le idee piuttosto chiare su come vivere di lì in poi. Voleva danzare con la realtà. Voleva gioire. Voleva amare. Si sentiva in possesso di tutte le qualità per poter fare della propria Vita una forma d'Arte magnifica. Aveva eliminato tutte le relazioni tossiche. Era rimasto solo, con il suo nucleo. Sapeva gustarsi la propria solitudine. L’uomo pensò che avrebbe scritto musica sulle ultime parole del suo Amico Poeta, per poi mandargli il risultato acustico della sua fatica. Gli parve una bella idea. Il capitolo si muoveva in un andante spianato; la scrittura procedeva sinuosa. L’autore si soffermò a rileggere gli ultimi periodi, con le mani incrociate. Sorresse il mento con la mano sinistra, tenendo la destra sul mouse. Non avrebbe mai permesso a nessuno di gettarlo nella disperazione più nera. Non voleva stare più male. Cercava la Bellezza in ogni dove. Quella mattina, l'aveva trovata nelle fronde orgogliose degli alberi del viale pietroso che si ergevano verso il cielo lindo. Nel Connemara, in quei giorni, era arrivata la prima neve della stagione. Lo spettacolo era di una bellezza mozzafiato. L'uomo decise che avrebbe composto nuova Musica. Desiderava chiudere il ventesimo capitolo, ma era ancora lontano dalla fine. Realizzò di non essere riuscito a scrivere due fogli, nonostante la sua scrittura fosse brillante. Accettò quel dato di realtà. Il capitolo gli stava costando fatica. Era consapevole anche della sua finitudine. Si accettava con i propri limiti. Quando percepiva di non avere più nulla da dire, con molta saggezza, si dedicava ad altro, certo che, tornando alle sue carte successivamente, avrebbe trovato lo spunto per progredire nella stesura della sua nuova opera letteraria, che bramava venire alla Luce come primo romanzo gaelico della Nuova Era di Luce, un componimento davvero strepitoso, per forma e contenuto.
2° Stralcio 21° Capitolo
Nessuno si accontentava delle ricette sulla Felicità del turbocapitalismo. Nessuno intendeva tradirsi. L'autore aveva superato la metà pagina. Aveva un desiderio: chiudere il capitolo. L'uomo riflesse, congiungendo le mani. Era in forte introspezione, come gli richiedeva il romanzo. Non avrebbe mai potuto scrivere nel caos. Non era quella la sua dimensione. Lui aveva bisogno di pace, per scrivere. Visualizzare le parole. Vederne il colore. Saggiarne la profondità. Il sistema stava incensando, in una successione davvero aberrante, squallidi personaggi eletti artisti. Seán li vedeva scorrazzare in Facebook con i loro prodotti, la loro merce. Tutti scrivevano libri. Tutti facevano dischi. Tutti si mettevano in vendita, inesorabilmente. Lui, invece, avrebbe dovuto tribolare come pochi per avere un editore che gli pubblicasse il suo romanzo, questo lo sapeva bene. Sorrise. Era il suo destino. Era la sorte dei differenti. Anche Damien trovava molta difficoltà a pubblicare le sue poesie e questo era normale: non scriveva mica come mettersi i glitters o come decorarsi le unghie! L'artista riflesse sulle sorti di quel sistema malato che offendeva l'intelligenza... Per un solo attimo, si rattristò, ma, quasi subito, ripensò alla Pulcritudine della sua Sinfonia n. 11 e tornò a sorridere allegramente. L'opera era davvero bella, glielo aveva detto pure il suo mentore. Tutto aveva un senso, nella Vita dell'autore. Creare era il suo destino. Trovare una parola o un suono era la sua missione, cui non si sarebbe mai sottratto... Lui voleva vivere bene. Desiderava Luce. Bramava Armonia... Sinéad non aveva ancora ascoltato il suo nuovo lavoro sinfonico. L'uomo avrebbe accolto i commenti della sua Musa con grande attenzione. Per lui era importante ciò che lei provava durante la lettura o l'ascolto delle sue opere. Il compositore era a fine pagina. Varcò il limite fra il vecchio foglio e il nuovo. Decise che sarebbe andato a fare una passeggiata. Si vestì ed uscì. La Luce del nuovo giorno gli parve splendida. Gli alberi del viale, ormai spogli, avevano una fisionomia precisa, che l'uomo osservò con cura. Il suo pensiero lo diresse verso tutti quelli che non c'erano più. Rimembrava la sua sorella spirituale occuparsi con Amore dei propri cari figli. Rammentava suo padre Connor distillare perle di saggezza... In città, si aspettava il Natale. I commercianti avevano addobbato i loro negozi. I bambini andavano allegramente a scuola. C'era desiderio di spensieratezza ed Amore. Della libertà di stare con i propri familiari, per sentirne il calore umano. Della speranza in un futuro migliore, che non uccidesse più le aspirazioni dell'individuo... Il primo aggettivo, per descrivere compiutamente la sua nuova Sinfonia, fu: «vigorosa». Esprimeva forza. Voleva combattere contro l'idiozia. Il primo Movimento si articolava in diverse unità costituenti. La prima era una parte orchestrale, in un tempo andante. I legni si muovevano leggiadri. C'era un'idea che tornava. C'era un canto del pianoforte, con una cellula ripetuta. Seán aveva introdotto, nella prima parte del primo Movimento, il suono dell'oceano, dacché gli sembrava la migliore rappresentazione della distesa che stava descrivendo mentre componeva. C'erano i timpani, che, potenti, saltellavano fra il primo grado della scala e il quinto. Fra tonica e dominante. C'era un fagotto con una idea sola, su cui si innestavano tutti gli altri strumenti a fiato. Poi entrava in scena una tastiera, con una frase presentata più volte, in un assolo. Rispondevano gli archi, insieme ad una melodia della tromba solista. I legni si affermavano con la ripetizione del medesimo accordo. Gli ottoni si esprimevano in una semifrase di quattro battute. Tornavano i timpani, con il loro ritmo incalzante ed il gioco fra tonica e dominante. Poi di nuovo il fagotto e il solo di tastiera, che creava inquietudine. Il compositore, riascoltando la Sinfonia il giorno dopo, la trovò perfetta. Coraggiosa. I segni risplendevano. Le unità si avvicendavano, con la precisa intenzione di narrare una storia di vittoria. L'uomo, infatti, negli ultimi dieci anni, aveva collezionato una serie di vittorie davvero sorprendenti. La sua Musica ne era lo specchio. L'artista si rimise a scrivere, ascoltando la sua nuova composizione. C'erano agglomerati accordali che si ripetevano, come a rafforzare la medesima idea musicale. L'autore si sentì soddisfatto, fra le pieghe del primo Movimento. Trovò quanto mai veritiero il titolo, «Distesa», dacché quel tempo della Sinfonia era davvero una sconfinata superficie di suoni. Il Movimento si chiudeva come era iniziato, con il suono dell'acqua, in una visione circolare. Per l'autore, quella composizione derivava dall'oceano. L'artista cominciò ad ascoltare il secondo Movimento, «Battaglia» e subito il senso di combattimento lo avvinse. Il pianoforte dialogava con gli archi, in un tempo fortemente allegro. Intervenivano i legni e una breve melodia di clarinetto in Mi bemolle, che distendeva l'atmosfera, resa imponente dalle note rapide del pianoforte solista. Poi gli ottoni, cui rispondevano gli archi, in una successione di accordi che facevano pensare alla vastità. Le terzine degli ottoni Seán le trovò dolcissime. Era davvero fiero. Aveva impiegato quarantatré anni per giungere a concepire quei suoni. Il secondo Movimento era prorompente, formidabile. L'uomo si accarezzò la barba con la mano sinistra, mentre ascoltava il fluire maestoso del pianoforte, che veniva spezzato dagli archi, con agglomerati interrogatori. C'era una grande questione, nell'aria, ascoltando quella Musica. Cosa deve fare un uomo per star bene? Cosa deve evitare? Con quanta forza deve reagire al male? Erano queste le riflessioni dell'uomo, durante quella mattinata, che seguiva la nascita della sua Sinfonia n. 11 - «Flusso di coscienza». Il titolo dell'opera era dovuto al fatto che l’autore avesse nel cuore Joyce da quando lo aveva studiato al liceo, trovandolo un vero rivoluzionario della Letteratura mondiale, un gigante. L'uomo si dedicò all'ascolto del terzo Movimento, lo Scherzo, intitolato «Scrigno», forse il momento più intimo di tutto il lavoro sinfonico, l'attimo in cui l'essere umano realizza di avere in sé un tesoro da proteggere con vera attenzione. Dopo la confusione e il combattimento, l'individuo comprende quanto, in sé, ci siano risorse e contenuti capaci di renderlo ricco. Anche qui, un pianoforte in ritmo ternario, come vuole lo Scherzo di beethoveniana memoria, dialoga con il violino solista e la viola, questa volta. Torna poi l'orchestra, come nell'esposizione del primo tema. La tonalità d'impianto del terzo Movimento è Sol diesis minore, alla distanza di una quarta dalla tonalità d'impianto generale della Sinfonia, Re diesis minore, che, come struttura armonica inusuale, era stata in grado di generare forti sorprese nella mente del compositore. L'uomo sceglieva spesso i sentieri meno battuti, scoprendo veramente cose che le autostrade del turbocapitalismo celavano alla vista dei più. L’artista stava scrivendo la sua nuova prosa da diverse ore, ma non era ancora stanco. Sentiva che le cose da dire sul suo nuovo lavoro sinfonico fossero ancora molte. Ascoltando, percepì gioia. Era molto importante risentire un lavoro nei giorni seguenti la sua nascita. Era come rianalizzarlo tutto nuovamente, ma con uno spirito diverso da quello dell’atto del comporre, perché, suggellata l'ultima nota, si aveva la libertà di sentire ogni suono e valutare se fosse al posto giusto. L'uomo ripensò a tutto il dolore provato nei suoi primi anni di Vita a Belfast, dove non era come gli altri bambini perché figlio del pescatore indipendentista, che non si era piegato ai voleri del sistema. L’autore non sapeva bene se la sofferenza fosse indispensabile per amare l'esistenza. Non si permetteva di decidere se il dolore della Psiche lo avesse reso migliore. Certe volte pensava che gli anni trascorsi a soffrire fossero stati una totale perdita di tempo, ma, inevitabilmente, sapeva che era l'uomo che era anche per ciò che aveva vissuto nella sua intera esistenza. L'artista non credeva che le tenebre rendessero l'individuo più bello. Sicuramente, senza la sua tempesta, lui non sarebbe stato lo stesso. Questo era certo. Il suo cammino era iniziato nel 1974 e si era mosso lungo un sentiero scosceso con mille difficoltà, che, ad un certo punto, cambiando natura, lo aveva fatto iniziare a vincere, conducendolo verso la Luce, dalle tenebre più profonde di un mondo malato che fa della violenza la sua arma più usuale. Era iniziato il quarto Movimento, «Differenza», in onore del club dei differenti. Il compositore riflesse su come il pianoforte fosse presente ovunque, nella partitura della Sinfonia n. 11. Aveva proprio avuto il desiderio di farlo suonare, mentre aveva composto il suo ultimo lavoro sinfonico. Sicuramente se ne era accorto anche il suo Máistir, cui, della natura di un brano musicale, non sfuggiva nulla. Questo uso del principe degli strumenti a tastiera sarebbe piaciuto molto anche a Damien, che adorava il timbro del pianoforte a coda. L'uomo pensò alla sua sorella spirituale, morta qualche mese prima, giovanissima. Riflesse su come, scrivendo cose degne, rendesse omaggio anche a lei, che amava tutta l'Arte... Le persone come suo padre e Crón, che non c'erano più, andavano onorate con gli atti. Con i pensieri. Con le opere. Seán, questo, lo sapeva molto bene. Non credeva che portando fiori al cimitero si esaurisse il compito di coloro che restano. Riteneva piuttosto che i morti dovessero rilucere nei comportamenti sani dei vivi, affinché ciò che avevano insegnato nelle loro esistenze non venisse tradito, offeso, mutilato... Questa riflessione fece arrestare l'incedere della falcata letteraria dell'autore, che, ogni tanto, scriveva frasi su cui poi avrebbe fatto considerazioni per il resto della sua giornata. La prosa dell'artista era profondamente psicoanalitica. Scavava nella sua profondità. Il quarto Movimento procedeva maestoso, fra il pianoforte e gli archi, con un fagotto che aveva preso il posto di ciò che avrebbe dovuto essere la linea del violoncello. Anche quella era una sperimentazione, per l’artista. La sera prima, Shayla aveva seguito un post dell'uomo su Facebook, aggiungendo una sua reazione, ma l'artista ancora non si era sentito libero di comunicare con lei. L'autore le voleva molto bene, ma era stanco di commentare i suoi disastri amorosi, senza avere la speranza che la ragazza volesse intraprendere un sentiero di amor proprio e dignità, che troppe volte si lasciava calpestare, in nome di uno slancio affettivo che era solo ossessione. All'uomo dispiaceva la distanza fra sé e la sua dolce Amica, dacché sapeva che ogni individuo andasse accettato per ciò che era. Forse, un giorno, sarebbe tornato a ridere con la sua Shayla. Forse si sarebbero rivisti e riabbracciati, perché lui la considerava davvero una meraviglia di essere umano... Il quarto Movimento era giunto alla fine. La Sinfonia era conclusa. La coda degli archi era stata bellissima. L’autore rimase nel silenzio della sua dimora. Ascoltava il ticchettio rapido dei tasti del suo Mac, che gli teneva compagnia, mentre scriveva parole autentiche sulla sua Musica. L'uomo era appagato. Il suo nuovo lavoro sinfonico era perfetto. Non necessitava di correzioni. Aveva fatto bene a donarlo al web così come aveva terminato di comporlo. L'opera aveva la sua valenza. Esprimeva un cosmo. Aveva un concept, come aveva scritto nella mail il suo mentore. L'uomo si preparò un nuovo caffè. Rimase in profondo silenzio, in una quiete sorprendente, dacché, fino al giorno prima, la sua dimora aveva riverberato, incessantemente, i timbri orchestrali della sua Sinfonia. La sua casa era così: suoni e silenzio, parole e requie. Erano le undici di mattina e lui aveva ancora tante cose da dire. Mentre si accendeva la prima sigaretta dopo il nuovo caffè, venne rapito dall'idea di scrivere un Requiem, per i suoi morti. Quella era davvero una idea originale. Nuova. Una esplorazione. Conosceva molto bene il Requiem di Mozart, su un testo latino. Tuttavia, il suo Requiem sarebbe stato strumentale, senza voci umane, così decise. Aspirò il fumo, mentre pensava che quella fosse davvero una splendida novità. Chissà se l'avrebbe mai scritta? Chissà se avrebbe trovato la forza? Chissà se quella intuizione avrebbe generato un nuovo lavoro? L’autore era in un momento in cui, per la trasparenza che aveva acquisito negli ultimi anni, aveva folgorazioni continue. La Sinfonia n. 11 era nata così, come per un prodigio. Era stato grazie allo scavo interiore che aveva trovato quella dimensione di creativo, non rassegnandosi mai all'evidenza catastrofica del male. Era stato con la separazione da quasi tutti che la sua Luce aveva iniziato a brillare. Era stato attraverso l’ascolto che aveva fatto le cose migliori della sua esistenza. L'autore era fiero di sé. Aveva una gioia da comunicare al mondo. Decise che il possibile Requiem lo avrebbe scritto in Re diesis minore, come la sua ultima Sinfonia, perché quella tonalità gli garantiva un alone di mistero che lui sentiva congeniale per le sue composizioni di quel momento storico. L'artista ancora non sapeva se avrebbe mai dato alla luce un Requiem ma il solo pensiero lo rallegrava. Aveva bisogno di avere progetti sempre nuovi. Non si stancava di ricercare. Non voleva fermarsi. Non poteva accettare che la propria Vita fosse routine. Il compositore non era nato per fare il broker in borsa, questo, ormai, lo sapeva molto bene. Era immerso nel silenzio e, da lontano, sentiva il brusio del viale. Si fermò. Riflesse. Cercò in sé la propria frase più veritiera. A lui non interessava la gloria. Forse sarebbe morto e nessuno, a parte i suoi cari, avrebbe mai ascoltato le sue Musiche o letto i suoi libri, ma questo non lo riguardava, dacché, per lui, era prioritario vivere da creativo e non finire su una pagina di Wikipedia... Tuttavia, gli sarebbe piaciuto che le sue opere avessero avuto una eco sulla creazione della Nuova Era di Luce... Sognava che la sua Arte facesse da commento ai gesti di nuovi giovani uomini liberi... Era davvero una splendida proiezione onirica, quella, per lui... L'artista scriveva col sorriso, quella mattina. La mail del suo Maestro gli aveva fatto davvero molto piacere. Sapere che l'anziano signore avesse pienamente apprezzato il suo ultimo lavoro sinfonico lo riempiva di speranza per il futuro. Si avvicinava il Natale. Non sapeva ancora cosa donare a suo figlio. Ormai era grande ed aveva tutto. Forse un regalo in danaro era l'unica cosa che gli avrebbe fatto davvero piacere, di modo che avrebbe potuto gestire quel dono per farci ciò che più desiderava. Voleva portare qualcosa anche a sua madre. Voleva essere felice, a Cork, con i suoi. Voleva una festa vera. Una celebrazione della Bellezza dei cuori. Degli affetti. Dei rapporti autentici. L'uomo era a metà pagina. Stava scrivendo molto. Sapeva che, il giorno dopo la nascita della sua Sinfonia, avrebbe avuto qualcosa di genuino da immortalare con lemmi gioiosi. Congiunse le mani. La Luce fioca della lampada irradiava tutte le diverse superfici della scrivania, che era il mondo della sua creatività, fra libri, cd, partiture e strumenti musicali. Guardò il suo metronomo, sempre degno maestro, che aveva dagli anni degli esami di flauto al conservatorio. Il brano che aveva scritto a casa di sua madre, l'ultima volta, non era confluito direttamente nella Sinfonia n. 11, ma lo aveva profondamente ispirato. Il compositore ne vide la partitura distesa sulla tastiera musicale e sorrise, dacché ogni passo, che lo aveva portato al suo nuovo lavoro sinfonico, era stato importante. L'uomo non poteva chiedere di più alla sua Vita. Desiderava fare l'Amore con la sua Musa, come sigillo di un momento davvero felice. Si interrogò. Era quella la gioia tanto agognata? Era quello il climax? Era quella la massima espressione di Felicità? Forse sì. Oppure, in un crescendo inesauribile, l'individuo poteva aspirare sempre di più a cose più belle. Ecco, quella considerazione su una infinita crescita umana lo convinceva di più. L'uomo era lieto. La sua ultima opera era di una bellezza struggente. Carica di vitalità. Piena di energia. Il suo stile stava maturando. La sua forma era elegante e intensa, sebbene l’autore sapesse di poter continuare a fare sempre meglio... La dimensione formale che aveva stabilito di darsi, per le unità del suo nuovo romanzo, lo convinceva sempre di più. Aveva un po' sofferto, quei giorni, senza la sua prosa, ma, in momenti di pausa dalla composizione musicale, aveva scritto post che sapeva di poter far confluire nel romanzo, che, ogni giorno di più, cresceva in lui, divenendo suo specchio fedele. La sua Musica era buona. Le sue parole pure. Aveva raggiunto il risultato di essere un cristallo brillante. Si immaginò così. Focalizzò quella visione. Sapeva che ogni essere umano, che voglia stare bene, possa decidere di dire davvero basta alla violenza. Alla sopraffazione. All'alienazione. Attendeva con ansia una rivolta di tutti i popoli. Pacifica. Inarrestabile. Giusta. Gioiosa. La cronaca era piena di notizie che descrivevano i soprusi di un sistema votato alla sociopatia. L’artista, certe volte, leggendo le news, non poteva credere ai suoi occhi. Ne parlava allora con Sinéad, che, invece, diversamente da lui, sapeva di non doversi stupire innanzi alle angherie dei potenti. Tuttavia, il marcio del mondo rimaneva fuori dalla casa dell’uomo. Nondimeno lui continuava a sognare. Nella sua dimora solo Bontà. La Luce, che c'era, in quel momento, lungo il viale, sembrava la stessa che dimorava nei gesti dell'autore, il quale, senza stancarsi mai, inneggiava a Pulcritudine in modo sentito e profondo. L’autore sapeva benissimo quanto la Bontà possa nascondersi anche dentro una gustosa zuppa da mangiare in compagnia. Aveva imparato ad apprezzare le piccole cose. Prima, durante la tempesta, l'urgenza di salvarsi la Vita lo spingeva sempre ad analizzare i massimi sistemi e non godere mai di una buona tazza di caffè. Dopo, invece, con l'avvento della sua Musa, aveva imparato a godere di ogni singolo istante legato a piccoli riti, che, però, aveva scoperto essere essenziali, nell'esistenza di un individuo. Amava così il momento del pasto. Si deliziava con un buon vino, la sera, mentre cucinava. Aveva riscoperto i colori, ammirando le sfumature cromatiche di una Galway sempre più affascinante. Vedeva fuori la propria Bellezza interna. Questo sì che era un prodigio! Il cielo era terso e la percezione di quel celeste lo avvolse, come fa una calda coperta di lana. Il freddo era possente. La giornata prometteva qualcosa di bello. L'uomo riflesse su come la propria Vita fosse cambiata, troncando tutte le relazioni tossiche. Ne aveva parlato a lungo con la sua compagna, che, prima di conoscerlo, aveva reciso dal proprio albero tutti i rami secchi e le parti patogene. Non è poi così brutto rimanere da soli. Non succede nulla di male. Si impara, anzi, ad amare il proprio spazio, che è un tesoro di grande valore per tutti. «Basta appoggiarsi al primo che capita per paura di stare soli!» scrisse l'uomo in una pagina vergine del suo probo diario, che, da diversi giorni, non apriva. Diverse righe attendevano l'autore, che, scorgendo la frazione vuota del foglio, sorrise, dacché sapeva che quella sarebbe stata l'ultima pagina del capitolo. L'uomo si concentrò. Rilesse i messaggi Telegram della sua Musa. Sinéad aveva in sé una vitalità prorompente. Non si lamentava mai. Aveva da tanti anni preso in mano le redini della propria esistenza di Donna intelligente che sapeva bene ciò che volesse e ciò che fosse deleterio per sé... Le scelte, che avevano condotto la sua compagna ad essere ciò che era, avevano avuto tutte, come centro, il bene, la consapevolezza del proprio Sé più interno e il desiderio di non soffrire più. Questo aveva fatto di lei una guerriera. Questo l'aveva resa stupenda. Questo era stato il suo incanto.
2° Stralcio 22° Capitolo
L'individuo deve saper vincere. Spostare più in là i propri limiti. Imparare a fare le cose. Non può sempre subire un sistema che lo vede perdente, dacché la frustrazione sarebbe troppo grande e lo porterebbe ad essere uno schiavo. L'artista era in asse, percependo la realtà Amica, in una danza aggraziata... Il «Dies irae» doveva essere davvero bello. Concepito come il secondo Tempo dei quattro conclusivi del Requiem, doveva colpire l'ascoltatore per la sua possanza. «Dies irae», per il compositore, era il giorno d'ira in cui la Storia avrebbe giudicato i potenti del mondo, reputandoli patologici, con un conseguente moto di ribellione dei più, che avrebbe condotto il Genere umano verso la Nuova Era di Luce... In questo senso, il suo Requiem non aveva nulla di religioso, in quanto l'autore era ateo. Utilizzava, tuttavia, le antiche formule latine, per i titoli dei brani, in quanto era sempre stato affascinato dalla lingua di Virgilio. L'uomo sentì il forte desiderio di prepararsi un altro caffè. Si assentò. Andò in cucina, ripensando alle proprie parole e all'incipit del brano che aveva cominciato a comporre quella mattina di allegra pioggia, con una Luce fioca che irradiava dall'empireo. Saper vincere è importante, fondamentale. Un individuo che non vince mai, verserà in una disperazione che lo porterà ad essere per sempre infelice. O Psicotico. O criminale. L’artista si versò con calma il suo caffè, ne bevve un sorso e si accese una Chesterfield rossa. Fuori il tempo era ancora minaccioso. L'acquerugiola dell'Atlantico gli sembrò inesorabile. La sagoma degli alberi era quasi spettrale. L'autore non era ancora a metà pagina, ma, sorretto da buona volontà, sapeva che sarebbe arrivato perlomeno alla fine del foglio. La Musica che stava componendo era materia dell'anima. Era ricordo di chi non c'era più, avendo lasciato un messaggio di vitalità e Bellezza. Era la precisa intenzione di rendere lode a chi un mondo altro lo aveva visto in sé e vissuto. Era la costruzione dell'immagine interna di coloro che l'autore aveva amato e che non avrebbe mai più potuto riabbracciare. L'uomo chiuse gli occhi e fece un tiro di sigaretta. Era calmo. Attento. Dedito ai suoi segni. Aveva imparato a vincere. Aveva spostato più in là i suoi limiti. Aveva cominciato a vivere, dieci anni prima. Se non avesse continuato a sperare, durante la tempesta, e si fosse arreso, sarebbe stato ingoiato dai flutti più neri e perigliosi. Il sistema avrebbe vinto, mietendo una nuova vittima. La notte illune dell’ultimo strascico della tempesta la ricordava molto bene. Era privo di forze, disperato, quando, con l’ultimo battito che aveva in corpo, venne sbalzato sulla terra ferma, da un’onda gigantesca. Si sentì il corpo. Gli sembrava che tutto fosse rotto, ma era ancora vivo. Si guardò intorno. C’erano le tenebre, nessun astro in cielo e la sabbia gli sembrò madre. Osservò il mare e gradualmente la forza della tempesta si assopì, allontanandosi da quello specchio d’acqua nel quale egli aveva creduto di morire. Respirò e chiuse gli occhi. Ascoltò il suono delle onde rimpicciolirsi e sentì una brezza carezzevole cingergli la fronte ed il petto. Era nudo e sanguinante. Con l’incipiente silenzio, frammentato solo dal suono ora amico della risacca, prese sonno, esausto, pieno di cicatrici e quando la mattina dopo si svegliò, aprì gli occhi e lì ad attenderlo con un sorriso amorevole c’era la sua Sinéad, bella come una vestale antica, piena di vitalità, certa di poterlo rimettere in piedi. Anni prima, il compositore era fuggito da Belfast, rifugiandosi a Cork e lì aveva iniziato a frequentare una chat e con immenso stupore aveva cominciato a scrivere ad una Donna che lo ascoltava e che lui aveva il piacere di leggere. Il loro scambio era diventato nel tempo sempre più assiduo, fino a che la dolce ragazza gli propose di incontrarsi alle Cliffs of Moher, in un giorno di festa. L’uomo ancora non sapeva, in quel momento, che lei sarebbe diventata la sua Musa, la compagna della fine di un tempo e l’inizio di un’epoca che poi, insieme, avrebbero definito «La Nuova Era di Luce». L'uomo si considerava estremamente fortunato. Nondimeno, sapeva benissimo di aver dei meriti. Nello stato attuale della sua condizione psico-fisica, era pronto a vivere. Ad essere felice. Ad occuparsi attivamente dei suoi cari. Si piaceva. Si stimava. Si cullava all'idea che, per dove fosse passato lui, avrebbero potuto marciare tutti gli uomini in difficoltà, a causa di un sistema di potere cannibalico. Aveva cominciato a guardarsi dentro con spirito di Verità, anni prima. Non si era spaventato di ciò che avrebbe potuto trovare in sé. Aveva reciso tutti i legami patogeni, scoprendo, nel proprio Io più inviolabile, una gran forza di volontà, che Crón e suo padre gli avevano sempre riconosciuto. Il suo genitore, Connor, aveva un nome che esprimeva una forte determinazione, un carattere indomito, uno spirito libero. La sua sorella spirituale e il pescatore indipendentista erano accomunati dalla medesima visione delle cose. Per questo il Requiem, che stava componendo, era pensato per entrambi. Voleva sublimare un sentimento. Una percezione di assenza delle due persone, che, andandosene, avevano lasciato un profondo vuoto. Il mattino seguente, si alzò dopo aver dormito bene, si preparò il caffè e si lavò. Il Requiem, in quel momento, era costituito da due Tempi, «Lux Aeterna», e «Dies irae», che considerava finiti. Decise che gli altri due Tempi sarebbero stati «Lacrimosa», in un tempo ternario, e «Tuba mirum», come nel Requiem di Mozart. Aveva scelto di non seguire schemi classici, concependo un Requiem in quattro Tempi, come fosse una Sinfonia. Quella decisione lo aveva convinto. L'uomo, la sera prima, era stato con la sua Musa e i due avevano parlato tanto. Lui la vedeva felice. Lei si occupava del di lui benessere. Seán non solo non l'avrebbe mai tradita, ma non avrebbe mai alterato l'immagine interna che lui aveva di lei. Lei, dal canto suo, non avrebbe mai permesso a nessuno di far del male al suo uomo. Sinéad era fortemente protettiva e l'uomo, fra le sue braccia, si sentiva in una dimora della Psiche davvero inviolabile. L’uomo si sarebbe occupato della Felicità della sua leanbh, bambina. I due erano accomunati dalla medesima attenzione all'altro. I loro gesti erano dedizione. Le loro parole erano sempre scelte con cura. La sua compagna non lo avrebbe mai ferito. Lui avrebbe continuato a dipingerla come creatura sublime... L'autore non aveva ancora parlato alla sua Musa del Requiem: voleva fosse una sorpresa. Sentiva che la stesura della sua nuova opera musicale non sarebbe stata poi così perigliosa. Aveva delle buone idee da sviluppare. L’artista aveva necessità di comporre quella Musica. Era un suo profondo desiderio. Rappresentava un preciso bisogno di uomo creativo capace di rielaborare le figure importanti della propria Vita. Voleva inneggiare all'immagine interna di coloro che, nella sua Vita, avevano lasciato un segno indelebile, immagini inconsce di rara Bellezza, che lui non avrebbe mai dimenticato, continuando a raccontare ad Aindreas quanto il nonno e la sua Amica Crón avessero edificato un tempio meraviglioso da cui contemplare veramente il prodigio costante dell'esistenza. I due antesignani della Nuova Era di Luce erano un tempio su un’altura che guardava il grande mare Egeo... Bramava, inoltre, scrivere il suo romanzo, che sentiva crescere in sé. Il Requiem gli avrebbe chiarito la visione. Tutto, dopo l'ultima nota, sarebbe stato diverso. Più nitido. Più vicino al suo cuore di rivoluzionario. Quello che stava facendo il compositore era la creazione di un mondo buono, simbolo di tutto ciò che occorreva al Genere umano per essere felice. E ciò si stava rivelando parola dopo parola, riga dopo riga, nota dopo nota... Ogni segno d'Arte, che concepiva, lo faceva avvicinare ad un glorioso dipinto delle Possibilità concrete dell'Umanità. L'autore era davvero un filantropo. Riteneva che l'individuo, dopo aver camminato per il sentiero che conduce al vero bene, potesse essere un vettore di messaggi positivi. Foriero della grande Verità. Artefice di un destino ammantato di Bellezza. Paradossalmente, più le notizie dal mondo descrivevano un cosmo allo sbando, maggiore era in lui la speranza di una liberazione degli individui dal male. La sua fiducia nell'essere umano era incrollabile. Lui aveva sperimentato, lungo il proprio sentiero, quanto fosse profonda la capacità di reagire al disordine esistenziale. Quanto l'essere umano, con autenticità, sapesse separarsi da ciò che conduce all'alienazione. Quanto i suoi gesti potessero muoversi lungo la direttrice che porta alla Luce. «Io credo fermamente che, per dove sono passato io, possano passare tutti!» riflesse, in una constatazione che spesso lo sorprendeva, mentre osservava il viale quasi deserto. La giornata era rigida, e l'uomo ricordò quel giorno di Gennaio di anni prima, quando gli giunse la notizia che suo padre era morto. Lo aveva sentito al telefono la sera prima e la mattina dopo, un infarto lo aveva stroncato. Seán amava molto il proprio padre. Connor era stato per lui una vera e propria guida, nel corso della sua Vita, da quando era stato bambino a quando si era affacciato al mondo adulto con speranza. Suo padre era una persona forte. Generosa. Dedita alla propria famiglia, cui non avrebbe mai fatto mancare nulla. Non fu subito, dopo aver appreso della morte di Connor, che Seán stette male. Gli ci vollero anni per rielaborare quella perdita ed il dolore vero lo percepì molto dopo, con Sinéad che si dovette prendere cura di lui, perché l'uomo era davvero devastato. L'artista, superata la sofferenza, decise che solo attraverso i suoi atti avrebbe potuto far in modo che l'immagine di Connor rimanesse integra e viva. Come per Crón, aveva stabilito che, con gesti mirabili e pensieri onesti, avrebbe reso giustizia alle persone che aveva amato e non c'erano più, tradite da una sorte che le aveva cancellate dalla Terra troppo presto... Soprattutto scrivendo, creando, avrebbe saputo onorare quelle due persone che tanto avevano fatto per lui. L'uomo sorrise. Nel suo cuore dimoravano tutti i messaggi buoni che le persone importanti della sua esistenza gli avevano trasmesso. Era un edificio fatto di pensieri. Una architettura di riflessioni sempre più onesta e veritiera. Il suo flusso era un nettare, un distillato potente di tanti momenti diversi del percorso che lo aveva fatto diventare un uomo. L'artista fece un tiro di sigaretta. Scrivere lo stava veramente aiutando. «Un giorno tutti i bambini vivranno nella gioia!» scrisse sul probo diario dalla copertina rossa, leggermente sgualcita, testimone fedele ed autentico di tutto il proprio processo di crescita, dalla prima giornata fuori dalla tempesta a quei giorni di Arte pura. All’uomo, l'opportunità di costituire un prodotto pseudo-artistico faceva davvero schifo. La sdegnava con tutto se stesso. La riteneva opera dei mediocri. Non gli era mai interessato il successo. Ars gratia artis, l'Arte è per se stessa, recitava un antico messaggio latino, poi ripreso, con intelligenza, da una nota casa cinematografica americana. L'Arte non ricerca fuori di sé la propria ragion d'essere. Non è per qualche divinità. Non è per il successo. Non è per i soldi. L'Arte è per l'espressione di tutto ciò che dimora nell'intimo dell'uomo e ha la necessità di venire alla Luce, in una rappresentazione sempre rivoluzionaria ed originale. Meno di questo, nulla è Arte. Nulla può ambire ad essere opera. Nulla può servirsi del suo nome. Quando l'autore ascoltava le interviste di coloro che avevano mercificato i segni d'Arte, per il piacere del sistema, provava una profonda repulsione, nel momento in cui questi figuri parlavano di Arte. Altro successo del potere era far apparire come Arte tutto ciò che non lo era affatto. Il turbocapitalismo sviliva ogni cosa. Rendeva sordido ogni concetto. Impoveriva ogni contenuto. Era volgare pornografia dei sentimenti, in un processo di alienazione della lingua, le cui parole non recavano più il proprio originale campo semantico, ma una variante concepita ad uso e consumo del capitale. Quindi gli operai non erano più tali, ma risorse umane. Le guerre erano divenute missioni di pace, proprio come aveva predetto Orwell... L'Arte non era più quella di Beethoven o Van Gogh ma si rinnovava dentro le canzoncine estive che imperversavano da maggio ad ottobre, per poi essere risucchiate dall'oblio. Lo scenario era davvero avvilente. Il neoliberismo aveva i suoi prodotti da piazzare sul mercato, comprese le opere dell'ingegno. Ogni cosa, che toccava, diventava merda, che, per quanto venisse profumata, rimaneva sterco. Il giorno dopo, si svegliò con la precisa intenzione di scrivere il suo romanzo. Aveva composto il «Lacrimosa» il pomeriggio precedente. Raramente componeva dopo pranzo, ma, quel giorno, sentì la necessità di seguire i suoi suoni. Il «Lacrimosa» era un brano in sei ottavi, con due unità che si ripetevano e una coda di archi. Non gli rimaneva che scrivere il «Tuba mirum», come atto conclusivo del Requiem, composizione nella quale sarebbe stata centrale la tromba solista. L'uomo era felice della sua scrittura. Le idee prendevano forma nella sua mente e, durante la stesura, acquisivano la loro forma definitiva. Nel suo processo creativo, l'ente A, che immaginava prima di scrivere, aveva una sua natura, ma, nel corso della composizione, si modellava, mostrando nuovi elementi costituenti, in una nuova forma, che, alla fine, l'autore trovava buona. Tutto era in costante divenire, anche le strutture che lui percepiva dentro di sé. Tutto si plasmava. Tutto ricercava la sua fisionomia definitiva. L'uomo pensava spesso a quella prerogativa della sua Arte e si compiaceva di tutto ciò. In conclusione, ogni struttura si forgiava nella sua mente ed ogni elemento otteneva la propria forma definitiva solo nel momento in cui veniva fissato su un foglio o in una sezione di una partitura. Quindi, una cosa era l'intuizione iniziale, un'altra la fisionomia conclusiva dell'idea... Era così, per lui. Il «Tuba mirum» avrebbe dovuto essere meraviglioso. Il compositore ci stava pensando dal giorno prima. Non aveva però ancora una idea, nemmeno della melodia di tromba con cui il Tempo si sarebbe dovuto aprire. Il suo Requiem era originale. Solo strumentale. In quattro Tempi. Con un'orchestra e un pianoforte solista. In fondo, è così che lo aveva immaginato, quando, qualche giorno prima, aveva cominciato a comporlo. L'artista stava scrivendo. Il suo flusso era leggero e le parole scorrevano rapide, sulla pagina. L'uomo riflesse sulla natura più intima della sua Arte, trovandola quanto mai disvelante ed unica. Nessuno avrebbe potuto produrre i suoi segni. Nessuno avrebbe potuto prendere il suo posto nel mondo. Nessuno sarebbe stato Seán, sostituendolo... L’autore era consapevole del suo ruolo. Sapeva benissimo che la sua Arte avrebbe parlato per sé, in un codice creativo. Era conscio del fatto che la sua parola ed il suo suono avrebbero cantato un inno. L’uomo era a metà pagina. Si versò del buon caffè amaro e si accese una sigaretta. Erano tanti i pensieri che si affastellavano nella sua mente. Sentiva l'esigenza di donare al web quella sua opera musicale, mentre pensieri di artista si rincorrevano nel suo giardino interno. Riflessioni sul mondo. Sul suo nucleo. Sulla Possibilità da parte di tutti di essere felici, in una gioia comunitaria...
2° Stralcio 23° Capitolo
Il flusso della scrittura era buono. Aveva idee. Desiderava esplorarle, ma sapeva che gli serviva tempo. Attimi per riflettere. Istanti per rielaborare concetti. Momenti per scavare dentro di sé. L'artista era attento. In continua comunicazione con la parte più intima di se stesso. Non percepiva segnali dissoni dal suo interno. Era in asse. Stava scrivendo da due ore e il tempo era scandito dal ticchettio dei tasti del Mac. Sentiva che la sua scrittura non lo avrebbe tradito. Ripensò alla dimensione di abbandono che provava quando la sua Musa appoggiava il suo viso al suo petto di uomo, mentre erano a letto, rilassati e giocosi. L'autore non aveva ancora scelto il titolo del nuovo capitolo, sebbene, rileggendo, qualche idea gli era balenata in mente. Avrebbe sviluppato ulteriormente il suo flusso, per poi decidere come chiamare quella unità compositiva. Il cielo era grigio e faceva freddo. La città sembrava dormiente. Tutto pareva immobile. Seán pensò a tutte le relazioni tossiche cui era stato costretto a dire addio. Si sentiva molto meglio e questo lo doveva alla sua compagna, che, con l'esempio, aveva dimostrato di aver saputo allontanare tutta una serie di non-rapporti. Lei era davvero portentosa. Una vera guerriera. L'uomo rimase in silenzio, nella sua casa. Aveva canticchiato una melodia prima di salutare la sua Galway, sull'uscio della sua dimora. Ogni cosa viveva nel tempo, scandita dai suoi atti di Vita, ora abituali ed ordinari, ora meravigliosi ed unici. L'artista congiunse le mani davanti al monitor del suo computer. Ripercorse le ultime pagine del romanzo: vide una barriera di parole che erigevano un muro. Lemmi inattaccabili. Inoppugnabili. Incontrovertibili. Quella era la sua Arte. Nessuno gliela avrebbe potuta portare via. Rianalizzò, in sé, come il Requiem avesse segnato un confine. Da quel momento in poi, non si sarebbe più sentito uguale. I suoni e le parole lo stavano conducendo verso una nuova consapevolezza di sé: quella di Lucente che vive in armonia, conscio del proprio passato e certo del suo presente, speranzoso nei confronti del futuro. Fuori, il mondo partoriva la sua solita pantomima sull'avere e il consumare. Dentro l’artista, invece, un cosmo stellato si faceva spazio, avanzava, con segni d'Arte cristallini. L'autore comprese bene come la distanza, fra il sistema ed il suo mondo interno, fosse incolmabile. Non avrebbe mai più comunicato con i non-uomini. Non avrebbe mai più ceduto alle malie perverse del potere. Non sarebbe stato più in compagnia di maschere dedite alla distruzione. Il compositore aveva conosciuto tante realtà differenti. Aveva camminato molto, da solo, con un peso sulla schiena. Si era liberato. Non sarebbe più tornato indietro. Non avrebbe più fatto parte del sistema. Non si sarebbe perso nelle relazioni tossiche. La sua era una scelta di campo. Aveva deciso di posizionarsi fuori da tutto, osservando le umane vicende con un certo distacco, indispensabile, per non soffrire più. L'uomo sapeva bene quanto la Vita, nonostante le difficoltà, fosse una immensa Possibilità di esperire la gioia. Bastava non perdersi. Non cedere. Resistere ed avanzare. Sperare ed amare. All’autore, le lusinghe del potere non interessavano proprio. Sapeva bene che il sistema si reggeva su una serie di relazioni ammorbanti. Era conscio di come tutto si muovesse per il denaro. Con il denaro. Grazie al denaro. Non gli interessava quel tipo di esistenza. Non sarebbe mai diventato famoso, ma forse, un giorno, davanti ad una scogliera del Donegal, una sua Musica avrebbe risuonato festosa... «Perché no?» si chiese l'autore, che immaginava una Umanità libera dalla schiavitù... L’artista amava scrivere al suo Máistir, che era, per lui, una fonte costante di ispirazione, un valido metro di giudizio sulle sue opere in divenire. Non occorrevano molte parole, fra i due. Comunicavano con le loro menti aperte e si scambiavano concetti ed emozioni che gli ossessionati dei social network avrebbero partorito in vent'anni di commenti. L'uomo rimaneva sempre più colpito dalla marea di merda nera che il sistema spacciava per prodotti artistici. Grandi case editrici pubblicavano libri che lui non avrebbe usato neanche per pareggiare le gambe del tavolino della cucina. La produzione musicale del potere era poi devastante. Persone, che non sapevano nemmeno quanti bemolli ci fossero in chiave nella tonalità di Fa maggiore, eletti, dal sistema, come grandi musicisti. Il turbocapitalismo non voleva Arte. Bramava solo un altro modo per accatastare denaro, con una merce letale per il puro svago delle masse. Nessuno avrebbe accolto le Sinfonie di Seán, fra quelli che tiravano i fili dell'organizzazione. Ma l'uomo sapeva bene che quello fosse il prezzo da pagare per aver combattuto con tutto se stesso il sistema. Lui era fuori. Lui era altrove. Lui non avrebbe mai chiesto nulla a nessuno. Bevve del caffè. Si accese una sigaretta. Era felice, quella mattina. Sentiva di aver posto un punto conclusivo ad una fase storica della sua Vita. Non sapeva come chiamarla. Stabilì però che fosse qualcosa a che fare con la rielaborazione psichica. Era così lieto da supporre che ogni cosa sarebbe andata bene. Perché era forte. Perché era vivo. Perché era pieno di risorse. Le nuove tempeste non si sarebbero abbattute su un ragazzino innocente, ma su un uomo certo. Stabile. Con le idee chiare. Pensò a Sinéad e a come il suo Amore di Donna vigorosa lo avesse plasmato come fa un fiume con le rocce che incontra lungo il suo percorso. Lei era stata paziente. Attenta. Non lo aveva mai esortato a fare qualcosa che lui non si sentisse pronto a fare. Lo aveva curato con infinita tenerezza. Lo aveva incoraggiato. Aveva festeggiato con lui ogni vittoria. Lui le doveva molto. Assolutamente. Lei era tutte le risposte che lui aveva cercato nel corso della propria esistenza di guerriero. La pagina stava volgendo al termine. Le parole veloci iniziavano a cedere il passo a riflessioni sempre più profonde. L'uomo pensò all'oceano. Si sentì una barca in mezzo al mare. L'artista fece una lunga pausa. Rilesse alcuni stralci del nuovo capitolo. L'aver chiuso un ciclo di scrittura lo poneva in una condizione di nuova vitalità. Cosa avrebbe detto? Come? Verso cosa sarebbe virato il suo romanzo? L'autore sapeva bene che non si sarebbe snaturato. Avrebbe continuato ad essere se stesso. A forgiare segni d'Arte di valore assoluto. Era il primo Lucente che poteva sognare la Nuova Era di Luce nel corso della sua Vita, senza doverla immaginare in punto di morte. Era il primo che poteva vivere nella dimensione intrapsichica del mondo altro, già qui, sulla Terra. Avrebbe incontrato tanti come lui, questo lo sperava. Avrebbe fatto amicizia con altri Lucenti. Non si sarebbe dato per vinto. Il foglio stava terminando. Il suo flusso si stava affievolendo, pian piano. Le cose da dire sarebbero state ancora tante, ma, per quella mattina, sentì di aver esplorato accuratamente il suo mondo interno e abbandonò il romanzo. Successivamente, scrisse un post su Facebook che recitava così:
«In questi giorni, ho scritto parole nuove di quello che sta diventando un romanzo e suoni originali in nuove partiture. Devo dire di essere appagato da questo mio sforzo creativo. È come se si chiudesse un ciclo. Non sono più rivolto alla rielaborazione di certi accadimenti. Non mi giro indietro, con gli occhi che fissano ciò che è stato. Mi percepisco nella condizione di guardare avanti. Sono attento nel mio presente e spero in un futuro benevolo, per me e i miei cari che costituiscono il nucleo fondativo cui appartengo. Vedo tante cose che non mi piacciono di questa realtà turbocapitalistica: scelte avventate dei potenti, relazioni tossiche a pioggia, un certo immobilismo dei più che non lascia spazio all'azione corale che potrebbe condurre ad un mondo altro. L'individuo è arenato fra il suo smartphone ed il suv. Per molti non c'è la Possibilità di recupero. Sono andati. Irrisolti. Problematici. Ma per quelli che desiderano un cosmo fatto di Verità, Bontà e Bellezza, la strada è aperta ed il sentiero conduce a magnifiche rivelazioni. Il ventunesimo secolo ci ha portato, come prodotti pseudo-artistici, il grande fratello e gli altri spettacolini con cui il sistema plasma e irride, con totale scherno, il popolo, che segue fedelmente gli esempi dell'ultima show girl che sia andata in televisione discinta ed ammiccante. I rapporti sono sempre più rari. La quasi totalità degli scambi interumani è un sistema basato sul non-rapporto mortifero in cui l'individuo A, con una sorta di alternanza, fagocita l'individuo B, in un gioco sadomasochistico davvero avvilente. Io vivo qui, nel 2017, ma fuori dalle fauci del sistema, a una distanza di sicurezza che mi permette di non farmi avvelenare dalla brama di avere l'iPhone X. Rielaboro queste tematiche nella mia nuova prosa, che spero di condurre ad una trasparenza cristallina. La Musica mi accompagna. Sono in piena sperimentazione. Mi accorgo che scrivere segni d'Arte mi aiuta a vedere meglio. Sono in continuo ascolto. Vorrei che l'Umanità si ricordasse della lezione dell'Inno alla gioia musicato da Beethoven. Saremmo allora davvero tutti fratelli. Il potere stolto sarebbe abolito. Il diritto inalienabile alla Felicità garantito a tutti gli esseri umani, in un abbraccio che sappia di gioia collettiva».
L'autore aveva ricevuto un commento spiritoso solo dalla sua Musa. Era atipico quello che scriveva sul social network, quasi nessuno avrebbe compreso lo spirito costruttivo con il quale analizzava la società odierna. Era a metà del capitolo. Non aveva fretta di sceglierne il titolo. Non era animato dalla brama cieca di concludere quella unità. Non avrebbe mai smesso di sognare. Le sue parole, ai più, potevano risultare dure, ma non lo erano. Descrivevano spesso il percorso per giungere ad essere felici, che, per tutti, contemplava determinati passi, indispensabili. I sentieri possono essere molti, ma la rivelazione sul proprio mondo interno, alla fine, è una. Costituita da igiene nelle scelte, fatta di ascolto delle proprie istanze interne, modulata su attenzione e dedizione, scandita da attimi di Amore verso se stessi ed il prossimo, con l'occhio vigile di chi non vuole più perdersi nella psicosi. L'autore rilesse il suo post. Lo trovò formidabile. C'era bisogno di forza. Di vigore. Di assoluta fermezza nel rifiutare il male. Erano le dieci di mattina. L'uomo aveva già in mente cosa fare per cena. Quella sera sarebbe stato solo. La cena del giorno prima, con Sinéad, era andata benissimo. La sua Donna lo chiamava «grande cuoco» e lui ne era felicissimo. L'uomo decise che avrebbe lavorato alla sua nuova prosa ancora per un'ora. Era stanco: il Requiem gli aveva assorbito tutte le energie. Si percepiva vuoto, come un incensiere che era stato fatto bruciare a lungo. Le sue parole procedevano a rilento, lungo la pagina. Forse, per lui, dopo una Sinfonia ed un Requiem, era tempo di fare silenzio. Doveva tornare ad ascoltarsi. Il tempo gli sembrò eterno. La sua scrittura era lenta e pensosa. Si bevve un sorso di caffè e si accese una sigaretta. Non aveva idee. Aveva esaurito un ciclo, come gli era apparso chiaro in quei giorni e non sentiva di dover scrivere altro. Sapeva che sarebbe tornato a comporre Musica, ma, in quel preciso istante, era convinto che la cosa migliore per lui fosse la scelta della quiete, in assenza di manifestazioni acustiche. Stabilì che avrebbe finito la sigaretta, per poi leggere gli appassionati di Facebook. Non aveva più parole e non ne faceva un dramma. Era il momento di crogiolarsi nei propri pensieri. Era un tempo d'attesa. L'uomo si accettò con la sua finitudine. Non poteva spremersi. Non aveva senso. Non avrebbe accettato, dal proprio cervello, la creazione di parole e pensieri forzati, o ripetitivi. Decise che quel tempo di vuoto gli avrebbe fatto bene. Salvò il file e si congedò dalle sue preziose carte. Non era una sconfitta non scrivere. Perdita sarebbe stato il volersi ostinare a vergare lemmi senz'anima, già detti, sciocchi. Il giorno dopo, si svegliò bene, con la sensazione piacevole di aver dormito profondamente. Lesse un messaggio benaugurante di Sinéad e si mise all'opera, dopo aver bevuto un po' del suo amato caffè amaro ed essersi acceso una sigaretta. C'era neve in tutta la Landa. Seán aveva visto delle bellissime foto da molte contee. Gli alberi del viale erano immersi in un silenzio profondissimo. Tornò dalla passeggiata e aprì tutte le finestre, per far entrare aria fresca. L'uomo era ancora provato dal processo creativo che lo aveva condotto alla nascita del Requiem. Si concesse una pausa. Riflesse su come la sua Arte fosse anche un gesto atletico, che lo lasciava esausto, alla fine della creazione di ogni opera. Per tutto il fine-settimana, si allontanò dai suoi scritti. Si riposò, vivendo belle emozioni con la sua Musa. Non pensò alle sue opere fino al lunedì, mentre si preparava alla partenza del Natale. Mancavano quarantotto ore al suo viaggio e lui stava completando i preparativi. Decise che non si sarebbe tagliato i capelli, volendoli tenere ancora un po' lunghi. Mise in carica il suo orologio da polso, che, con la Luce solare, sarebbe tornato ad indicare l'ora esatta. Doveva ancora controllare gli orari dei treni ed acquistare alcuni biglietti per il viaggio. Era in attesa di idee per come trascorrere un Natale meraviglioso con suo figlio e sua madre. Faceva freddo, quel lunedì di fine Dicembre. La sua compagna gli aveva scritto che aveva sentito la morsa della temperatura bassa, vicino allo zero, camminando verso la sua azienda. L’artista bevve un po' di caffè caldo e si accese una sigaretta. Giunse il giorno della partenza, un mercoledì prima del Natale. Il viaggio per Cork andò bene. L'uomo osservava la gente nelle stazioni e il panorama dai vari treni. Raramente leggeva il suo smartphone, perché riteneva che un viaggio fosse fatto per guardarsi intorno e scoprire la Bellezza dei paesaggi che si susseguivano maestosi. Arrivò a casa della madre, felice. La sua genitrice lo accolse con entusiasmo. I due chiacchierarono molto. L’autore si fece una bella doccia. Gli giunse un messaggio dal suo Máistir, che gli chiedeva cosa facesse per le festività, che tanto erano sentite in tutta l'Irlanda, con festival e manifestazioni che rendevano Dublino e tutte le altre città davvero affascinanti. L'artista rispose al suo Maestro, comunicandogli la gioia di essere a Cork con sua madre e suo figlio. Telefonò ad Aindreas, che, non appena lo sentì, gli propose di vedersi. Il ragazzo si preparò e raggiunse suo padre a casa della nonna. L'uomo si mise subito all'opera, cominciando a cucinare una cenetta succulenta per i suoi cari, con l'aiuto sempre valido della madre che era davvero stata una grandissima cuoca. Arrivò Aindreas e fu subito festa. Padre e figlio si abbracciarono con vigore, mentre, in cucina, il profumo dell'irish stew si diffondeva prepotente. Il ragazzo coccolò sua nonna, che lo guardava con affetto ed ammirazione. Il compositore era felice, in quel momento. Aveva fra le mani il bene supremo della sua Vita. Riflesse su come, a quella tavola imbandita, mancasse la sua amata Sinéad, ma era comunque lieto di avere sua madre e suo figlio lì vicini a lui. La cena fu splendida: chiacchiere e risate non mancarono. I tre fecero un brindisi. L'uomo guardava suo figlio e lo trovava bellissimo, con una chioma alla Beatles che lo rendeva interessante. Non avrebbe mai permesso che qualcosa turbasse quel virgulto sano che desiderava vivere da giovane uomo pieno di vitalità. Ascoltò sua madre ridere. Ne riconobbe il suono familiare della voce che si apriva in una calda esplosione ilare. Si sentì a casa. Non avrebbe voluto essere altrove. Con nessun altro. In nessuna reggia dei potenti. Quella era la sua casa. La dimora della sua Psiche: sua madre, suo figlio e il pensiero costante della sua Musa. Aindreas era ormai grande, non solo perché fosse maggiorenne, ma perché elaborava pensieri da adulto ed aveva una certa consapevolezza del mondo in cui viveva. D'improvviso, il vuoto, che l'artista aveva concepito negli ultimi giorni a Galway, fuggì, lasciando il posto ad un senso di pienezza davvero strepitoso. L'uomo non aveva più paura di percepirsi felice. Non temeva la gioia. Aveva imparato a stare bene con sé e gli altri. La settimana di Natale a Cork fu splendida. L'artista poté parlare con sua madre e con suo figlio, trovandoli davvero bene. Una sera, camminando per la città, ritrovò i posti e le vie come le aveva lasciate anni prima. Si sentì un uomo lungo il proprio sentiero. Sapeva che quei passi erano i suoi. Non ne avrebbe affrontati altri, in una Vita diversa, in un mondo che non tenesse conto del suo diritto inalienabile alla Felicità. Lui era il suo cammino. Lui era il gesto atletico di procedere lungo il suo sentiero. Lui era ciò che aveva: un cervello, un corpo, una madre, un figlio e una Musa. Non avrebbe mai desiderato altro. D'un tratto, il rumore dei suoi passi, nel silenzio della serata, si fece presente. L'uomo lo avvertì nitidamente, lungo la strada. Era da sempre legato alla strada. Da ragazzo, aveva camminato moltissimo, quasi sempre da solo, in cerca di un attimo di serenità. Quante volte si era sentito perduto... Affranto... Fiaccato... All’autore tornarono alla mente, mentre camminava per una Cork ovattata e silenziosa, tanti momenti della sua esistenza precedente, quando tutto sembrava volgere verso la distruzione di ogni sua forma di speranza. «Certo che è stata dura, ma ce l'ho fatta!» pensò l'uomo, mentre osservava i cumuli di neve accatastati ai margini dei marciapiedi. «Sono solo, qui, nel freddo, ma mi sento felice» riflesse con grande entusiasmo. L'autore era un uomo fortunato: la Vita gli aveva dato una seconda Possibilità per provare ad essere felice. Lui era assolutamente convinto del fatto che il destino di uomo realizzato potesse riguardare chiunque lo volesse, dacché non c’erano stati interventi di forze celesti nella sua Vita, non si erano manifestati miracoli inspiegabili e sovrumani, ma solo l’inestinguibile desiderio di voler avere una esistenza bella; idea che non lo aveva mai abbandonato, neanche nei momenti più tragici e bui, quando la consapevolezza dello sforzo di procedere verso la Luce era stata massima, incrollabile, titanica. Seán riteneva che l’individuo fosse più forte delle sue difficoltà e che la Possibilità non si dovesse negare a nessuno. Chiunque, volendolo, poteva diventare un Lucente; ogni persona era chiamata a vivere nel rispetto della Psiche degli altri, in armonia con la collettività, a porre il proprio laterizio per la costruzione di quella grande opera che è la Vita umana comunitaria.
2° Stralcio 24° Capitolo
La mediocrità dilagante del ventunesimo secolo lo atterriva. Bevve del buon caffè amaro e si accese una sigaretta. L'Arte è sempre lo specchio della società che la produce e quella dell'inizio di terzo Millennio era di una bruttezza assurda. La Musica, fatta eccezione per qualche raro caso di ricerca, veniva stuprata ogni giorno, negli studi di registrazione. Tutti scrivevano parole. L'elenco dei romanzi, che affollavano le librerie, era interminabile. C'era una costante e progressiva tendenza a voler far mangiare la merda all'utente medio. Era tempo, per Seán, di eclissarsi. Con un moto indomito dell'anima, lui avrebbe continuato a elaborare creazioni degne, senza però dannarsi se, alla fine, quelle opere d'Arte fossero state contattate da una sempre più esigua schiera di esseri umani dediti alla ricerca di qualcosa che non si esaurisca nelle nottate di una estate al mare. Il sistema aveva vinto. Le produzioni, concepite per l'intrattenimento del popolo, erano volgari ed idiote. Il potere era riuscito a rendere pornografico anche ciò che spacciava per creazione artistica. Era stato abolito, come dichiarato fuori legge, il salto dell’intelletto, la ricerca spirituale, l’Arte, nella sua concezione più intrinseca. Non si doveva sognare. Non si doveva aspirare ad un mondo possibile, nuovo, diverso, più giusto. Si doveva solo produrre e comprare. Il capitale aveva esteso la sua influenza su tutto il globo, sterminando la speranza. Uccidendo i diritti. Violentando le aspirazioni. Era veramente difficile provare ad immaginare qualcos’altro, umano, che dissetasse le menti. Allietasse i pargoli. Un mondo possibile era alla portata di mano, se solo lo si avesse voluto, però tutti avevano gli occhi dentro gli smartphone e ad ognuno sembrava che fosse normale così. Chi si rendeva conto dell’aberrazione viveva lontano, fuori dagli schemi indotti, in un’altra dimensione, intento a salvare il poco che era possibile preservare. L'autore si massaggiò le mani. Faceva freddo, quella mattina di un inizio di fine-settimana di Gennaio. I colori del mondo, che lui poteva ammirare dalla finestra del suo studiolo, erano cupi. Tutto virava verso un grigio mescolato ad un blu con sfumature cobalto. La Luce era fioca. La grande voce dell'oceano lambiva le case ed il fiume Corrib, sontuoso, giungeva alla sua foce, con un forte zampillio. Il suo caffè stava finendo. La sua scrittura ancora non lo abbandonava. Era quasi mezzogiorno. La sua ricerca lo stava conducendo là dove non era mai stato: in una dimensione di invisibile che scruta le sorti del mondo da lontano. La pagina stava volgendo al termine. Lui era pieno di pensieri buoni. Avrebbe atteso la sua Sinéad con il cuore in mano. Voleva leggere un po' gli appassionati di Facebook, le cui ossessioni macinavano chilometri di parole. Chissà dove sarebbe andato a finire quel mondo? Chissà cosa avrebbe concepito? Chissà dove sarebbero stati tutti nel giro di cinque, dieci anni? Questo si chiedeva l'uomo, sapendo che una patologia, senza adeguata terapia, non possa che peggiorare... L'artista doveva ancora sentire il suo dolce ragazzo, Aindreas. Avrebbe provato a telefonargli, nel giro di poco. Si concesse una pausa. Guardò il viale e lo riconobbe simile a sé. Sentì, in lontananza, la voce dei cani. Stabilì che avrebbe lavato i piatti, dopo aver letto le meravigliose news dal mondo. Quello che lo colpiva, dal cosmo della rete, era il letargo delle coscienze. Quasi tutti si erano dotati di una ossessione, per cui vivere, ma a molti mancava una visione d'insieme sugli accadimenti, il che portava a navigare a vista, senza poter sognare, creare, vivere. Erano trascorsi cinquant'anni dal 1968: in quel tempo si era passati dalla Possibilità di scrivere la Storia al totale annebbiamento delle menti. Dal senso collettivo del poter fare all'annullamento del potere della gente. Seán aveva riflettuto la sera prima con Sinéad su questo percorso storico e la sua Musa gli aveva dato ragione, dacché il capitale, con la caduta del Comunismo, si era ripreso tutto quello che aveva concesso alle masse. L'uomo, sebbene con la finestra chiusa, percepì il suono rassicurante delle campane della chiesetta vicino a casa sua. Fece un tiro di sigaretta, mentre pensava all'assurdità della situazione, che era venefica sia a livello planetario che interumano. L'artista aveva una gran voglia di vedere quella piccola frazione di potenti posta nelle condizioni di non nuocere più a nessuno. Aveva desiderio di canti. Di poesie lette nelle piazze. Di concerti suonati in riva all'oceano davanti ad un pubblico sognante. Chissà se sarebbe mai giunta la sua Nuova Era di Luce? Chissà chi l'avrebbe dipinta? Chissà se un giorno sarebbe stato normale non calpestare la Psiche di un bambino? Con uno sforzo immane, sebbene fosse pienamente consapevole della merda del sistema, lui continuava a scrivere. A descrivere Pulcritudine. A sognare la Luce. Più si addentrava nell'analisi del sistema di potere e maggiore era il suo desiderio di creare segni d'Arte capaci di sublimare il suo inno alla Vita. Non era ancora a metà pagina. Sentì forte, in sé, la capacità di potersi dedicare alle sue creazioni. Era un artista in ricerca. Era un uomo solo, dedito alla sua Arte, fuori dalla folla. Era un essere umano con un nucleo, cui donare tutto se stesso. La ricerca esistenziale, che aveva affrontato, verteva sulla Possibilità di star bene ed era stata composta da scelte coraggiose, come quella di allontanarsi da tutti per diventare invisibile. Non ci poteva essere meraviglia dell'inconscio senza uno spirito ardimentoso. Non ci poteva essere florido giardino interno se non si rifiutava il male, capace, altrimenti, di diffondersi come un virus. La Vita, per lui, altro non era che la sommatoria delle proprie decisioni. Lui aveva scelto di essere coerente: pensieri, parole e gesti in un organismo unico che danzi con la realtà. Seguiva da tempo, in Facebook, un gruppo di persone legate a dei narcisisti, questi nuovi egomaniaci manipolatori e distruttivi, cui la tecnologia del ventunesimo secolo aveva dato modo di vivere una varietà di vite parallele, mietendo uno stuolo di vittime quasi sempre ignare della pericolosità di quei soggetti che, all'inizio, si palesavano come principi azzurri, per poi trasformarsi in orchi malefici. L’autore sentiva il dolore di quelle persone, quasi tutte donne. Lo abbracciava. Faceva il tifo per loro, per una loro battaglia che le conducesse a lasciare il mostro e tornare a respirare aria pulita. La Vita era davvero bella, fuori dalle fauci degli empi. Come scordarlo? Come perdersi? Come rassegnarsi al male? L'uomo era nel silenzio del suo studiolo. L'idea di comporre Musica nuova gli teneva compagnia. La lampada accesa sulla scrivania creava quell’atmosfera soffusa che gli serviva per raffinare i suoi concetti ed avere una visione precisa sulle cose. Lì, nel suo scampolo di secolo, c'era due forze oscene che dettavano le sorti dell'Umanità: un sistema globale di sfruttamento e una forte assenza di consapevolezza del proprio Sé individuale che generava una confusione aberrante nelle relazioni interpersonali. La prima era causa della seconda. Quasi tutti i messaggi che venivano codificati non erano per la costruzione di una Identità sana, ma per un Io ipertrofico destinato a edificarsi come generale egomania collettiva. La società era invasa da questi soggetti deleteri. Veniva inondata dalla loro merda. Veniva ferito costantemente il senso della Verità, della Bellezza e della Bontà. Il popolo veniva alimentato dalla menzogna del sistema, che non si sarebbe mai stancato di seminare la sua gramigna. La gente era persa. Urgeva un forte impatto della sana Psicoterapia sulle sorti del mondo. Per Seán, in effetti, quasi tutti i legami virtuali, che aveva, erano insoddisfacenti. Se non fosse stato per il suo tatto e il desiderio che aveva di non turbare nessuno, avrebbe reciso, in un solo istante, quasi tutte le sue relazioni, in quanto incapaci di donargli benessere. Per questo aveva deciso di rendersi invisibile. Pensò a Shayla, la sua dolce coscienza storica di una Belfast in trasformazione, che da un po' non sentiva. Gli mancava, ma soffriva troppo nel vederla cercare all'infinito un uomo che non l'aveva scelta, per il quale lei non sarebbe mai stata la sua principessa. L’amorevole ragazza dell'Irlanda del Nord si meritava un Amore grande tutto suo, corrisposto, biunivoco, totale, con cui vivere una storia autentica di passione ed affetto, Bellezza e trasporto, perché Shayla era un essere umano meraviglioso, pieno di talenti che avrebbero reso felice qualsiasi uomo consapevole dell'importanza di avere al proprio fianco una Donna sublime. Questo, l'autore sognava, in conclusione, per la sua dolce Amica e questo desiderava comunicarle, con una presenza costante nella Vita di lei e con parole che inneggiassero alla speranza... C'era sempre stato, nel corso della Storia, un sistema di potere atto a tenere in schiavitù l'Umanità. Le relazioni malate erano un giogo malefico, che devastava la Psiche delle persone. Quello della Nuova Era di Luce sarebbe quindi stato il primo tentativo di Libertà autentica. L'artista era pronto. Quella era stata la sua battaglia da sempre, in effetti, da quando, figlio del pescatore indipendentista, veniva osservato con attenzione dal regime instaurato nell'Irlanda del Nord dagli inglesi, come tanti ragazzi cresciuti in un agghiacciante stato di polizia. L'Umanità era sempre stata chiamata ad essere libera, ma non era riuscita mai a realizzare quel suo sogno, nato nella profondità dei suoi desideri più puri. Era tempo che qualcosa di meraviglioso si manifestasse. Quello era il momento di gettare le fondamenta per una Nuova Era di Luce. «Ma cosa deve attendere ancora la gente?» si chiese il compositore, con la mano che gli tremava per l’indignazione. C'erano stati, nel corso del cammino del Genere umano, periodi di grande Bellezza, che, però, erano stati risucchiati dalle varie ondate di potere progressivo che uomini dediti al male avevano creato. Il male, in fondo, aveva sempre trovato un sistema per imporsi. Questa riflessione rattristò l'autore, per un istante, conscio della sua missione e ben allineato lungo la direttrice che indicava il senso complessivo della sua ricerca. Lui vedeva una Umanità al palo. Ferma. Stanca. Immobile. E scorgeva le malie di un sistema sempre più attivo, sempre più menzognero, sempre più organizzato. Sognava un'era in cui gli empi sarebbero stati posti nella condizione di non nuocere più a nessuno. Desiderava un mondo altro, in cui venisse combattuta ogni devianza della Psiche. Chissà se un giorno avrebbe visto l'alba di quella trasformazione? Chissà se sarebbe riuscito a scrivere un inno per quel momento di gioia? Chissà cosa avrebbero fatto tutte le persone? Lui, sinceramente, riteneva che il suo percorso, dal buio della tempesta alla Luce della Felicità, potesse essere il sentiero di tutta l'Umanità. Si meravigliava di chi non la pensava come lui. Per l’artista era normale che fosse così. Non vedeva altra strada. Non concepiva una risoluzione diversa. Ma lui non era un capo di stato. Non era un leader. Non poteva decidere nulla, se non il proprio destino. La sua scrittura stava fluendo. I suoi pensieri erano lindi. La sua voglia di combattere per un domani migliore davvero forte. Vedeva il mondo come un bambino indifeso, da condurre ad uno stato di consapevolezza. Erano troppe le persone perse dentro un iPhone. Troppe quelle che ritenevano che la propria gioia fosse un nuovo suv. L'Umanità doveva riscoprire la meraviglia del poema scritto nella parte più profonda di sé, che necessitava di un interprete, per essere decriptato. L'autore sapeva che, per quanto fosse difficile da pensare, la gioia non era poi così lontana. Fatta la dovuta pulizia, essa può celarsi anche dietro ad una tazza di buon tè. Ad un giorno di Sole. Ad un bacio, dato alla persona giusta. L'artista era a metà pagina e sentiva quanto ciò, che stava scrivendo, fosse buono. Si chiese che senso avesse scrivere da invisibile. Si rispose che non avrebbe potuto avere nessuna altra condizione, in quel ventunesimo secolo di totale devastazione di ogni retto sentire. Aveva molto riflettuto, e la sua scelta di non essere presente gli parve quella corretta. Pensò al giorno prima. Aveva fatto l'Amore con Sinéad e quando era stato dentro di lei, con il suo membro, si era sentito davvero maschio. La sua Donna si era messa sul letto ed aveva atteso che lui la penetrasse da dietro, mentre lui, avvicinandosi al suo corpo meraviglioso di Musa, ne aveva ammirato le forme morbide dai piedi ai capelli. L'uomo amava il sedere della sua compagna, così rotondo ed accogliente e percorreva, con le mani, le curve docili che dai fianchi si dirigevano fino alle spalle. I due avevano imparato a parlarsi, durante il rapporto sessuale e lui la coccolava molto, anche a livello verbale. Lei sospirava, con l'aria sognante da bambina. L’uomo si perdeva nella profondità degli occhi di lei, nei suoi respiri densi, nel profumo estatico dei suoi capelli e dei suoi seni a forma di coppa. Lei, mentre lui la possedeva, si era iniziata a massaggiare il clitoride, cosa che faceva quasi sempre e che le dava grande piacere. Lui le parlava, ascoltando il suono lieto del suo respiro intensificarsi ad ogni passaggio dentro di lei. Sinéad lo faceva sentire uomo. Potente. Grandioso. Era stata la prima ed unica Donna a fargli percepire che il suo membro di uomo potesse essere poderoso. Ansimava, godendo. Lui le diceva spesso che voleva stare solo dentro di lei. Nel posto più bello del mondo: il suo corpo di Donna meravigliosa. Lui le si parò innanzi, accovacciato sulle sue ginocchia e lei, presa dal piacere, continuò a toccarsi quel piccolo clitoride che lui conosceva molto bene e che era così potente da darle sensazioni di totale piacere. Lui decise di penetrarla con un ritmo cadenzato, come piaceva a lei, piano piano, dall'esterno della vagina fino in profondità. Lei raggiunse l'orgasmo nel giro di qualche minuto, e, nell'esatto istante del climax, sorrise, come chi è in un'altra dimensione. Lui le disse che lei era la sua bambina e i due si abbracciarono. Lei si riposò un istante, poi si mosse e afferrò con la bocca il membro di lui, massaggiandolo con la sua piccola mano calda e potente. Lui le tenne i capelli e le disse quanto fosse brava a baciarlo nell'intimo. L'uomo raggiunse l'eiaculazione in poco tempo, e rilasciò il liquido seminale nella bocca della sua compagna, irrorandole anche la mano con cui lei lo stava toccando. Seán percepì nitidamente l'esatto istante in cui la sua Musa deglutì il suo sperma, la guardò e vide che lei aveva gli occhi chiusi, in estasi. Lei pose il suo viso sul ventre del suo uomo. Erano perfetti. Una sinfonia magistrale. Rimasero nudi ed abbracciati in quel modo per qualche istante. L'uomo non poteva desiderare nulla di più bello. Aveva il suo cosmo fatto di Pulcritudine a qualche centimetro dalle sue mani. Lei era tutto ciò che l'artista potesse desiderare. L’autore non conosceva gioia più grande del fondere la sua carne con quella della sua Musa. Lei era la perfezione. Lei era la meraviglia. Lei era il suo grande Amore. Era una bambina, una ragazza ed una Donna. Tutto in un solo corpo di Musa appassionata. All’artista parve chiaro il disegno complessivo della sua esistenza: invisibile ma con un mondo di rapporti meravigliosi; solo, ma con la sua Arte, gaio, con le sue creazioni. Il suo computer deteneva la totalità dei suoi pensieri e suoni. Era il testimone di tutte le sue intuizioni. L'uomo era trasparente e quasi nessuno sapeva scorgerlo. Era una creatura di Luce e, per chi viveva nelle tenebre, rappresentava quasi un'apparizione, un cerchio luminoso che fuggiva nel buio costante, gettando a terra una immagine cui nessuno dava valore. Il compositore sapeva bene che non sarebbe stato percepito dai più. Non era per loro che scriveva. Non era per il sistema che vergava parole. Non era per il mondo del turbocapitalismo che viveva la propria storia di vittoria. L’uomo ripensò agli istanti di estasi carnale vissuti con la sua compagna, il giorno prima. Lei non lo stancava mai. Lui non era mai sazio dei suoi baci. La desiderava sempre di più. Maggiore era la sua conoscenza del suo mondo di Donna incantata, più forte era la brama di essere dentro di lei. Toccarla. Amarla. Penetrarla con le mani ed il membro. Succhiarla con la sua bocca di uomo assetato della sua linfa buona di partner appassionata. Per il compositore, lei era la costruzione inarrestabile di un mondo buono. Era l'architettura di un tempio sacro. Era la partitura poderosa di una Sinfonia fatta di baci e coccole, profonda e totalizzante comprensione dell'altro. Lei era una creatura composta di segni d'Arte viventi. Nella sua ultima composizione, «Storia di una guerriera», l'artista aveva provato a rappresentarla di nuovo, sebbene, alla fine, ci fosse sempre qualcosa di inespresso che gli sfuggiva. La sua Musa lo faceva tendere all'infinito, in una progressione attraverso la quale lui dipingeva il suo Amore, senza però giungere mai ad una immagine definitiva. L'uomo concluse che la sua compagna non potesse essere descritta compiutamente, se non nei sospiri e nell'estasi di un bacio sul collo o di una mano che le toccava il seno prosperoso. Era nell'intimo dei loro abbracci, con i corpi nudi assetati di baci, che lui la poteva davvero contemplare.
2° Stralcio 25° Capitolo
Le loro Vite, compresa quella del Máistir, erano piene. Il compositore ricordò come, nella esistenza del suo Maestro, ci fosse stata una sola grande passione amorosa. Una donna meravigliosa che, per lui, aveva rappresentato la risposta ad ogni suo slancio vitale. Da quando lei era morta, l'anziano signore non mancava mai di avere fiori freschi sopra al suo pianoforte, come emblema della presenza di lei nel suo cuore di uomo fedele. L'esistenza del Máistir era stata ricca, intensa, avvolgente. Aveva suonato e composto per almeno quarant'anni... In quel momento, all'inizio del 2018, aveva l'aura del vecchio saggio, con capelli e barba bianchi. Il Maestro era ancora un uomo molto affascinante. Quando la morsa degli inglesi sul territorio dell'Irlanda del Nord si fece estenuante, lui decise di andare ad insegnare Composizione proprio a Belfast, dove aveva incontrato un giovane Seán alle prese con il suo desiderio di scrivere realtà acustiche. Quello che sarebbe diventato il suo Máistir aveva compreso, prima di altri, che, in una terra che viveva una subdola occupazione militare, che faceva respirare a tutti l'atmosfera venefica della guerra, occorresse far Musica. L’autore ricordò alcune parole di Leonard Bernstein sulla ipotetica risposta che la Musica dovesse fornire alla violenza dilagante, dacché il grande direttore d'orchestra americano sapeva che più è presente nella società il senso di guerra, e maggiore deve essere l'Amore con cui i musicisti possano intendere l'Arte dei suoni, provando a suonare in un modo sempre più sentito, intenso e sognante... L'Arte aveva sempre avuto il compito di proporre il sogno di un mondo diverso possibile, mentre fuori echeggiavano nuovi rumori assordanti di distruzione... In fondo, gli artisti erano l'antidoto alla psicosi distruttiva del capitale. Erano sempre stati, dalla notte dei tempi, capaci di dipingere un cosmo fatto di armonie delle forme, intreccio dei sogni, laterizi di Amore e mosaici di squisita fattezza. Avevano sempre indicato una via possibile di Bellezza. Avevano sempre edificato, laddove le menti grette riuscivano solo a imporre il proprio dominio sugli altri. All'autore tutti questi egomaniaci facevano un po' pena, perché li vedeva proprio nella loro immagine conclusiva di esseri irrisolti, tristi, violenti, incapaci di godere della vera Vita... Suoni contro i rumori dei carri armati. Accordi perfetti contro gli allarmi che riverberavano in tutta Belfast, ridotta ad uno scenario bellico. Il compositore ricordava benissimo la sua città natale sotto assedio, controllata dai soldati di quartiere in quartiere, dove, se anche un cittadino portava la spesa a casa, poteva essere fermato, controllato ed anche arrestato. Le rappresaglie degli inglesi, in quel periodo, furono molte. L'uomo, nel ricordare quegli eventi, si accarezzò la barba, emozionato. Gli inglesi non potevano accettare che l'isola a loro più vicina potesse essere indipendente. In otto secoli di occupazione, avevano dato il peggio di sé. La questione irlandese era tutta in quella realtà. Era una mera opportunità di dominio e potere. All’uomo vennero in mente alcune parole di Michael Collins, che spesso citava per spiegare a qualcuno la sua posizione su una delle questioni più dolorose della sua Landa. Collins sosteneva che gli inglesi non avevano lasciato agli irlandesi altra strada se non quella dell'odio. La loro posizione non era mai stata affidata al buon senso. Loro volevano solo dominare. Esercitare potere su una terra che non li voleva. Reprimere la libertà di un popolo ad autodeterminarsi e vivere in pace. Per l'Inghilterra, l'Irlanda era una piccola colonia del grande impero britannico. L’artista, che non aveva mai compreso il senso di dominio sulle cose e sulle persone, provava ribrezzo per l'evoluzione della storia della sua Landa, da regno dei celti a centro commerciale anglosassone. La stessa lingua gaelica era stata combattuta e solo in quello scampolo di ventunesimo secolo si stava muovendo qualcosa per la valorizzazione dell’idioma natio. Era in quella terra martoriata che il Máistir aveva deciso di spiegare ai giovani studenti la Bellezza delle Sinfonie di Beethoven. Il Maestro sapeva bene quanto fosse importante far brillare la vera Arte in una città militarizzata. Belfast, nel giro di pochi anni, sarebbe tornata a vivere in una dimensione più accettabile, ma quelli furono anni davvero duri. L'anziano signore fu subito attratto, durante il corso di Composizione, dalle ardite partiture che quel suo allievo componeva. Lo conobbe meglio. Lo invitò diverse volte a pranzo, nelle pause dell'orario scolastico. Seppe quindi che il ragazzo era figlio di un pescatore indipendentista. Comprese il suo mondo. Lo abbracciò. Percepì il dolore di quel giovane così brillante eppure così tanto tormentato. Fu in quel momento che scattò qualcosa, nel cuore del Maestro, che sentì Seán come suo figlio. Connor, l'impavido indipendentista, morì poco dopo e il legame fra il giovane ed il suo Máistir si fece ancor più intenso e forte. L’autore sorrise, pensando a quanta passione ci fosse nelle lezioni di Composizione del suo Maestro, che, con infinita calma, spiegava ai suoi allievi cosa significasse creare un tessuto musicale, porre ogni nota nel punto giusto, alternare gli strumenti per plasmare un determinato effetto. L'anziano signore era la Musica, e, nel momento in cui il compositore ricordò, ne fu profondamente convinto. Era lui la mente matematica che dava suono a numeri e realtà geometriche. Lui incarnava, come aveva detto un allievo di Bach, la realtà secondo cui la Musica fosse il suono della matematica. Architetture nobili scaturivano dai segni nelle partiture del Máistir. Complessi edifici disegnati dalle note nelle composizioni. L’artista aveva avuto modo di appurare come la ricerca del suo Maestro non fosse cessata, ma avesse continuato a svilupparsi in modo progressivo e maestoso. Lo stile era sempre il suo, ma nuovi elementi costituenti si erano andati affermando nella sua scrittura. Il Máistir era pura intelligenza creativa, legata ad una capacità di vedere le cose della Vita in modo cristallino ed efficace. «La realtà prima di tutto» gli diceva sempre il suo mentore, nei difficili anni di una Belfast in guerra... Aveva un occhio fenomenale. Una attitudine a vedere gli eventi con lo sguardo della Psiche, che, difficilmente, lo portava ad errare. Il suo metro di valutazione della realtà era, senza dubbio alcuno, profondamente psicoanalitico. All’uomo, nell'esatto istante in cui scriveva quelle cose, il cuore si riempì di stima e gioia. Ricordò che suo padre Connor, ad un concerto del suo Maestro, si commosse e una lacrima gli solcò il volto di fiero pescatore oceanico. Il mondo degli affetti dell'autore era davvero vasto. Comprendeva anche chi non c'era più ed era proprio per onorare chi se ne fosse andato che lui cercava di vivere meglio che potesse. Qualche notte prima, aveva sognato di stare al telefono con Crón, che, nella proiezione onirica, gli parlava allegramente, per poi comunicargli la nascita di una Musica nuova, che l’artista sentiva in ogni parte della stanza. Note sublimi, agglomerati accordali vincenti. Al risveglio, ancora confuso, il compositore non era riuscito a scorgere un significato, ma, a distanza di pochi giorni, invece, tutto gli era sembrato più chiaro. La sua dolce Amica gli annunciava, con una Musica, l'avvento della Nuova Era di Luce, così melodiosa e suadente, nel codice enigmatico delle esperienze mentali notturne, che era l'espressione di un desiderio inconscio dell’uomo. L'autore sorrise, giunto a quella conclusione. Il suo mondo interno parlava una sola lingua: quella della Liberazione dal male. Erano diversi giorni che l'artista aveva ricominciato a scrivere il suo romanzo, che, a causa di un profondo silenzio protratto, non era stato capace di proseguire con continuità. I momenti di buio creativo non dovevano però preoccuparlo, perché la sua storia gli aveva insegnato come, in un modo o nell'altro, lui, prima o poi, riprendesse a tessere i suoi intrecci di parole e suoni. La sua Musica era ferma. Il sito personale che curava con Amore non aveva subito modifiche da tempo. L'uomo aveva un unico, irrefrenabile impulso: la Bontà delle sue opere, che doveva essere scintillante. Autentica. Originale. Col tempo, si sarebbe interessato a tutto il resto, ma, in quel momento era prioritario che il suo romanzo avesse una dignità letteraria indiscutibile, in una perfezione formale, attraverso una Poetica che fosse capace di stagliarsi contro gli abomini del potere. Non erano tutti uguali i giorni. C'erano stati periodi in cui aveva composto Musica per il romanzo e parole. C'erano stati momenti in cui l’Arte dei suoni lo aveva completamente assorbito. C'erano stati silenzi. Seán accettava che la sua Vita fluisse all'interno dei percorsi della propria mente in modalità sempre nuove. Si ascoltava molto. Era in profonda relazione con il suo mondo interno. Ogni volta che l'esistenza concludeva un ciclo dentro di lui, egli tornava a scrivere. Poteva essere anche la vista di un fiore a generare la sua creatività. Il ricordo di un'onda dell'oceano. Un sorriso di Sinéad... L'artista non era una macchina. Non sarebbe stato nemmeno normale che ogni giorno avesse scritto pagine e pagine e tanta Musica. C'era un tempo esatto, in cui le sue esperienze di Vita si facevano largo nel suo giardino segreto e lì dimoravano per un po', per poi tornare alla mente come intuizioni, costrutti, colori. Anche questo faceva parte della crescita dell'individuo. Lui sapeva che non doveva forzarsi. Non doveva violentare la sua creatività, che, quando meno se lo aspettava, gli si manifestava sotto forma di pensiero da scrivere. L'unico suono che l'autore voleva sentire in quel momento era il ticchettio serrato dei tasti del Mac che dipingevano, sul monitor, le sue idee. Il compositore era alla settima pagina del suo nuovo capitolo. Ascoltò, in lontananza, i suoni delle automobili lungo la strada. «La strada è un luogo della mente» riflesse. Aveva camminato tanto, in Vita sua, in mille strade diverse, che, nonostante gli ostacoli, lo avevano condotto alla gioia. Si sentiva un uomo che aveva vissuto un prodigio. Ricordò tante parole amorevoli del suo Máistir, che aveva sempre sperato che, dopo la tempesta, ci sarebbe stata una esistenza fatta di Bellezza. Il suo Maestro era stato l'emblema della resistenza, la capacità di vivere oltre le difficoltà. Non aveva mai perso il suo sorriso. Non aveva mai disperato. Non aveva mai ceduto all'odio. Le giornate si alternavano con letizia e l'uomo pensò a come prepararsi per il viaggio a Cork. Non vedeva l'ora di riabbracciare suo figlio e scherzare con sua madre, parlando il gaelico e ridendo di tutte le cose buffe che succedevano. Erano le due di pomeriggio e l'artista pensava alla sua Musa, che lo aveva fatto diventare, grazie al suo Amore, un individuo armonioso. Il compositore riflesse su quanto la Vita fosse meravigliosa. Gli bastava vedere un fiore, per ricordarselo. Non era ancora a metà pagina quando sentì, dentro di sé, muoversi un piccolo esercito: coloro che amava e aveva amato da sempre erano con lui, gli indicavano la via, lo sorreggevano. L'uomo era il frutto di tante scelte all'insegna della Verità, partorite con profonda intelligenza di Vita. Alle volte, quando si è in tempesta, ci si affeziona alla propria condizione di vittima, si crede impossibile una esistenza migliore, ci si adagia su un manto di sofferenza inaudita che, però, in quel momento, è casa. È una tipica condizione umana legata alla sofferenza. L'autore, invece, non aveva mai ritenuto che l'idiozia fosse la sua dimora, non si era mai rassegnato e non aveva mai accettato, in sé, la distruzione. Aveva sempre lottato, con i mezzi a sua disposizione. Si era fatto male. Era stato ferito quasi a morte, ma non aveva rinunciato alla speranza di vedersi un giorno felice. Puro. Fra le braccia di una Donna che lo amasse per ciò che era: un adorabile uomo complesso. La scrittura, quel giorno, fluiva libera. I pensieri dell’artista erano molti e lui li scriveva di getto con considerevole velocità. Era nel suo mondo, fatto di idee ed emozioni, sempre più cristalline. Congiunse le mani, rileggendo gli ultimi periodi. Si ritenne soddisfatto. Andò a bere un sorso di caffè amaro bollente. Come gli aveva insegnato il suo Máistir, la scrittura doveva essere in primo luogo autentica. Sincera. Doveva essere il pensiero che diventa segno in una corrispondenza biunivoca perfetta fra mente e costrutto. L’uomo voleva che il proprio romanzo fosse trasparente. Fosse cristallino. Fosse il suo mondo interno reso pubblico, senza la benché minima intenzione di alterarne i tratti, modificarne luoghi dell'Anima, per il plauso degli astanti, per essere alla moda. Il suo giardino era stato curato con molto Amore. Ora era il tempo di scriverlo con totale onestà. Si avvicinava l'ora di sentire al telefono quel simpatico ragazzo di suo figlio, che, la sera prima, gli aveva spedito dei messaggi vocali sul tema della politica, che l'adolescente confessava di non conoscere bene. Aveva quindi chiesto al padre spiegazioni. Il giovane uomo si stava costruendo. Voleva essere cittadino del mondo. Voleva poter dire la sua. Voleva potersi dire parte di un progetto capace di salvare il pianeta Terra dalla distruzione. Il compositore sorrise. Era fiero di quel ragazzo, che sentiva così vicino alla propria sensibilità, pur riconoscendogli tratti assolutamente originali, frutto di una ricerca personale. Aindreas era uno splendido soldato della Verità. Viveva già nella Nuova Era di Luce. Non avrebbe mai strappato un fiore da un prato. Non accettava che l'essere umano potesse essere così distruttivo da alterare gli equilibri dell'unico pianeta in cui la Vita fosse possibile. L’uomo guardò l'ora. Stabilì che avrebbe concluso la pagina, poi avrebbe telefonato a suo figlio, che aveva una forte coscienza ecologista e un ammirevole senso di giustizia. All’autore bastava questo per essere sereno. Il ragazzo era un albero sano. Seán ripensò al sogno musicale con cui si era immaginato Crón ancora piena di vitalità. Gli mancava molto la sua dolce Amica. Ricordò quando le parlò del suo Máistir, che subito descrisse come un padre spirituale, oltre che un meraviglioso insegnante di Musica. La mente dell'autore era ricca. Non avrebbe mai desiderato essere qualcun altro. Non bramava ricchezze. Fama. Potere. Voleva solo poter esprimere se stesso con un senso di profonda onestà intellettuale, in un codice artistico carico di pathos, che rivelasse una visione, un modo altro di concepire la Vita sul Pianeta Terra... Il primo romanzo gaelico sulla Nuova Era di Luce stava prendendo corpo. Si stava palesando come un componimento pieno, vettore di idee, di interpretazioni sul mondo, folgorazioni e squarci di scenari mentali in grado di arricchire chiunque volesse accostarsi ad una lettura di sicuro non convenzionale. Sapeva che Crón ne sarebbe stata orgogliosa. Le parole scorrevano lungo il foglio e la sua brama di vedere l'alba di un mondo altro lo incendiava. Forse non era per i suoi coevi, quel romanzo. Forse lo avrebbero letto gli uomini della stessa epoca di Aindreas o dei suoi figli. Forse la sua opera sarebbe rimasta silenziosa per decenni, ma questo non gli importava. Era invece fondamentale scrivere con candore, mettersi a nudo, comunicare che la via per la gioia esiste per davvero ed è appena oltre la paura di mettersi in cammino senza sovrastrutture, con il proprio cuore libero da inganni e macigni. L'uomo si accarezzò la barba con la mano sinistra, mentre ripeteva mentalmente il suono delle sue ultime parole scritte. Fra le righe del romanzo, c'era questo forte messaggio per il lettore: «Se sei giunto fino a qui, è perché stai cercando la gioia. Siediti, leggimi. Io sono stato nella tempesta ed ora posso parlare. Se allontani da te stesso ogni sorta di male, il sentiero per la Libertà sarà pieno di piacevoli sorprese e tu sarai un uomo felice!». L'artista si sorprese, dacché non aveva mai sintetizzato così bene lo scopo essenziale della sua scrittura. La sua Arte era militante. Desiderava creare una Umanità in pace e serena. Era ora di dire basta al male. Alla sofferenza. Agli anni gettati nel macero dietro ad esseri umani distruttivi incapaci di amare se non se stessi, in una egomania allucinante, che distruggeva, invidiosa, ogni forma di Bellezza. Si fece una carezza, percependo, al tatto, quanto fosse morbida la sua barba, che lo ammantava da quando aveva diciassette anni. Il giorno dopo, non appena sveglio, aveva consultato il sito delle ferrovie, facendosi un dettagliato prospetto dei vari treni da prendere per giungere a Cork e tornare poi, dopo qualche giorno, a Galway, nella casa da compositore la cui concezione gli era costata anni di duro lavoro. Nella sua dimora, c'era tutto quello di cui aveva bisogno per vivere e creare. Accarezzò il legno della sua scrivania, che era con lui da lungo tempo. L'unica cosa, di cui si amareggiava, era non avere con sé il pianoforte che suo padre Connor gli aveva regalato quando era adolescente, che brillava di suoni meravigliosi, capaci di diffondersi in tutto lo spazio circostante con eleganza regale. Col suo bel prospetto dei viaggi, si sentiva sicuro. Era conscio del fatto che ogni spostamento comportasse delle incognite, ma sapeva che era bene essere provvisti di un piano. Il suo era quello di andare a Cork, riabbracciare i suoi cari, vivere una città dalla Bellezza sconvolgente e tornare a Galway pieno di emozioni e pensieri positivi. La Vita gli stava arridendo, da un po'. Le difficoltà le affrontava con il giusto metro di valutazione e non si dannava più. Nonostante la psicopatia di un sistema che solo quelli in malafede potevano negare, lui voleva che la propria esistenza fosse lineare, capace di danzare con sé, in un moto dolce ed aggraziato. Desiderava che i suoi passi, lungo il grande spazio della Vita, fossero docili e leggiadri. Non voleva più essere in guerra con la realtà, ma la voleva come sua compagna in un valzer di Chopin... La sera prima, per conciliare il sonno, aveva ascoltato Musica. Un portentoso tredicenne che si cimentava nell'interpretazione del Concerto per pianoforte ed orchestra «Imperatore» di Beethoven. Quello che aveva colpito Seán non era solo la straordinaria competenza tecnica di un ragazzo che si affaccia alla adolescenza, ma la inspiegabile maturità interpretativa. L’autore chiuse gli occhi e non fece difficoltà ad immaginare, al pianoforte, un concertista navigato e pieno di esperienza. Scrisse a Sinéad: «Abbiamo trovato un giovane pianista che rischia di diventare un grande interprete». La sua compagna si incuriosì e gli scrisse che poi lui avrebbe dovuto spiegargli tutto. Un tredicenne che suona Beethoven come un esperto interprete... Un ragazzo con un avvenire radioso davanti a sé... Una meraviglia della Natura... L’uomo era alla ricerca di queste epifanie, di queste rivelazioni, di queste manifestazioni alte dello spirito umano... Si sentiva molto meglio, dopo aver scritto tutti i suoi spostamenti su un foglio che gli avrebbe tenuto compagnia per tutti i giorni successivi, in cui stazioni e treni avrebbero disegnato il suo cammino. Era emozionato. Avrebbe tanto voluto sedersi su una panchina con il suo Máistir accanto, per raccontargli, guardandolo negli occhi candidi, come si stava sviluppando il suo processo creativo, intimamente connesso con la sua Vita affettiva e relazionale. Il suo destino, costruito scelta dopo scelta, parlava chiaro: era un artista con una Musa e un mondo buono interno. Bevve del caffè e si accese una sigaretta. Sapeva benissimo che la Vita fosse bella. Lo aveva scoperto dopo aver sperato anni ed anni in una Vittoria, che si stava spiegando come una vela sotto i suoi occhi sorpresi ed entusiasti. Non doveva avere paura di veleggiare nel grande oceano dell'esistenza. Non doveva aver timore di dirsi felice. Non doveva considerare impossibile l'approdo a nuovi, meravigliosi lidi. La sua compagna sarebbe stata con lui. Avrebbero raggiunto dimensioni di compenetrazione ed Amore sempre più intime, senza affanni, solo vivendo giorno dopo giorno la loro invincibile voglia di stare insieme e comprendersi.
2° Stralcio 26° Capitolo
L’artista, come tutti gli esseri umani sensibili, aveva paura di poter soffrire a causa di qualche evento negativo, come la morte di una persona cara. Ci era passato sette anni prima con la morte di suo padre Connor e ricordava nitidamente il dolore. Aveva dovuto, pochi mesi prima, affrontare con coraggio la perdita di Crón, una sorella spirituale di cui non si sarebbe privato per nulla al mondo. Non era nella condizione di immaginare cosa sarebbe successo, ma sapeva di dover rimanere vigile, scrupoloso. «In fondo, siamo tutti barche in mezzo al mare, in un equilibrio che muta costantemente, col vento e le onde...» considerò l'autore, con profonda onestà... L'uomo sapeva che tutti si possono ammalare e a tutti è concessa la Possibilità della Cura. Si era scrollato di dosso il senso ripugnante dell'idiozia umana, da non troppo tempo e voleva continuare a vivere al di fuori del sistema. Certe volte, la sua solitudine gli pesava. Avrebbe voluto telefonare ad un Amico, prenderci un birra, osservare un tramonto sull'oceano con quella persona, ma il tempo di quel tipo di frequentazione era finito, per lui: in quel momento ci si doveva accontentare di un «Mi piace» ad un post su Facebook. Tutti soli, tutti nella propria casa a scrivere commenti ai contenuti degli altri, senza nemmeno sapere come quelle persone realmente stessero. L'artista conosceva benissimo la consistenza di quel mondo di plastica. Era pari a zero. Lui, d'altronde, era fortunato ad avere la sua meravigliosa Sinéad, che, invece, era reale e lo inondava di baci tutte le volte che si incontravano. La mattina dopo, con lena, si mise a comporre. Aggiunse parti al brano composto a casa di sua madre, riascoltò il tutto e fu soddisfatto. La dimensione complessiva della composizione era ragguardevole: più di mezz'ora di Musica. L’autore realizzò allora che quella composizione potesse rappresentare il primo Movimento della Sinfonia n. 12 - «Nel sentiero». Riflesse. Era un pezzo sinfonico, con tutte le famiglie degli strumenti e un pianoforte solista, che tornava ciclicamente ad esporre idee nuove. Decise il nome del Movimento, che, per coerenza, scelse con cura e gli sembrò giusto che si chiamasse «Martoriata Landa», a voler significare il dolore della sua Landa, spezzata in due da troppo tempo. Il compositore pensò a che cosa avrebbe detto la sua Musa ascoltando quella sua nuova Musica. Il pezzo, che aveva scritto a casa di sua madre, che lui aveva concepito come una meditazione, era una successione poderosa di arpeggi, con un basso continuo, in dodici ottavi, un tempo ternario. All'inizio, nella parte in Re diesis minore, c'erano molte dissonanze che creavano suspence, per poi cedere il passo ad un Fa diesis maggiore davvero tenero ed affettuoso, come l'approdo fra le braccia della sua compagna, dieci anni prima. L’artista aveva poi aggiunto sezioni per ottoni, legni ed archi. Il brano si era sviluppato con apparente fluidità, senza esitazioni, con una mano ferma che sapeva cosa scrivere in partitura. L'uomo era fiero della possanza degli ottoni, della successione degli arpeggi degli archi e delle linee complesse dei legni. La Sinfonia n. 12 la immaginava davvero poderosa, in quel momento, giunto alla conclusione del primo Movimento. Già stava pensando al secondo Movimento, che, nella sua testa, era un Allegro in quattro quarti. L'autore si accarezzò la barba corta e sorrise a se stesso, guardandosi allo specchio. Nel pomeriggio, scrisse questo post sul suo profilo Facebook:
«Sono tornato l'altro ieri da Cork e, avendo composto più di cento battute al mio vecchio pianoforte, le ho subito trascritte al Mac, dando vita ad una composizione che si è rivelata orchestrale, ricca di timbri vari, mossa da un ritmo incalzante e vigoroso, con strutture armoniche complesse, che, forse, rappresentano il punto di massimo relativo del mio pensiero musicale, il quale, sempre di più, segue fedelmente le traiettorie delle mie riflessioni unite a nuove emozioni, cui non mi interessa, per ora, dare un nome, dacché le percepisco buone, figlie di una Vita che ho desiderato fin da quando ero in un'aula di conservatorio, a cercare di eseguire bene una quartina mozartiana. Il pezzo è cresciuto come pane che lievita e così ho deciso di inaugurare la mia dodicesima Sinfonia, dal titolo «Nel sentiero», poiché è in esso che io ho trovato le mie risposte più soddisfacenti, gli Amici che amo, la famiglia che bramavo. Non è nella stasi, musicale o esistenziale, che ho costruito qualcosa. Camminando, invece, ho cristallizzato i miei costrutti artistici e i segni d'Arte hanno parlato al posto mio. Percorrendo un sentiero che speravo portasse alla chiarezza, sono giunto fin qui. Il mio maestro di Composizione diceva: «Occorre portare la Vita nella Musica, non viceversa» ed aveva perfettamente ragione. Più vivi, più le esperienze scendono nel tuo codice interno e maggiori cose avrai da dire nell'Arte. Questa Sinfonia è pensata per la mia Belfast, la terra che ho in mezzo al cuore, ma rappresenta anche un ponte con il luogo dove vivo ora, Galway, che mi ha donato la Possibilità più grande di tutte: quella di realizzarmi. Per ora, musicalmente, ho diverse idee, che devo esperire. Il flusso dei suoni è ricco, quando mi siedo a comporre. Devo solo sperimentare. Ci sono già delle novità, dietro alle note e mi auguro di fare un buon lavoro. Mi sono reso conto che, negli ultimi anni, ho avuto una tonalità d'impianto ridondante, cui mi affidavo nei momenti in cui desideravo dire qualcosa di veramente particolare ed intimo. Questa tonalità è Re diesis minore, abbastanza disabitata, a dire il vero. Io ci ho letto nel tempo una serie di combinazioni armoniche particolari, che mi balzavano agli occhi solo quando mi muovevo in essa. Ho pensato, sorridendo, che questo sia il mio periodo storico Re diesis minore. Non mi stanco di cercare Bellezza. Sono innamorato della Bontà. Ho scoperto la Verità con due operazioni: ho cessato di raccontarmi bugie e ho smesso di frequentare i tossiconi. Tutto il resto è venuto da sé e anche la creatività ne ha giovato grandemente. La Sinfonia me la immagino potente. I suoni scritti già lo sono. Oggi ho affidato una frase al flauto traverso e, riascoltandola, mi sono emozionato. Vi auguro buona serata e buon vento, Marineros!».
Il giorno dopo, si svegliò relativamente presto, fece tutte le sue cose e scrisse un po' di musica. Si dedicò al secondo Movimento della dodicesima Sinfonia. Era soddisfatto. Trovandosi a metà del percorso di quella sua nuova opera, sognava di poter avere dei pareri dal suo Máistir, che non sentiva da qualche giorno. L'arte era compagna leale, nel suo sentiero. Il giorno prima, era stato contattato da un compagno di liceo di Belfast, che, per la ricorrenza dell'anniversario dell'esame finale del 1993, aveva organizzato una cena con tutti gli allievi della sua classe. A Seán l'idea piacque e scrisse che avrebbe partecipato. Non era più tornato a Belfast da molti anni ed era curioso di vedere come essa fosse cambiata nell'epoca della globalizzazione, sebbene Shayla, che abitava nella capitale dell'Irlanda del Nord, spesso gli raccontasse di come la città si stesse trasformando in capitale europea. Mancavano però ancora quattro mesi a quell'evento e l'uomo decise che avrebbe atteso con la speranza di non avere problemi ad andare fino in Irlanda del Nord. Quella mattina, i suoi pensieri ruotavano intorno ad una constatazione che aveva maturato due giorni prima, parlando con un conoscente. La conversazione lo aveva lasciato con l'amara percezione di un senso di precarietà imminente, come se qualcosa di brutto potesse succedere da un momento all'altro. L'artista non amava quel regime di paura che il suo interlocutore gli aveva trasmesso. Lo rifiutava. Non voleva pensare ai problemi prima che essi si manifestassero. Desiderava vivere bene per il suo nucleo. In fondo, non voleva altro. Aveva le sue risorse e se la sarebbe giocata in qualsiasi circostanza, ne era convinto... E se poi fosse giunta una tempesta, allora avrebbe combattuto, come aveva sempre fatto, ma con strumenti nuovi, nati dalla sua recente consapevolezza che lo aveva condotto ad una Identità di uomo libero. L’autore bramava che il 2018 fosse l'anno del suo romanzo e della Musica che sarebbe riuscito a scrivere in quei dodici mesi. Il progetto editoriale della nuova prosa lo affascinava, dacché era convinto che le sue parole fossero autorevoli e sagge. L'uomo congiunse le mani. Osservò le righe scritte da qualche minuto e sentì di amarle profondamente. Nel suo romanzo non dimorava un solo lemma in cui lui non credesse: questa era la forza della sua scrittura, la Verità insita in ogni singola virgola. Erano le dieci e mezza del mattino, quando il compositore ripensò all'esperienza sessuale che aveva vissuto con la sua compagna la sera prima. Lei si era spogliata con dolcezza e si era messa sul letto, come una cavalla. Lui l'aveva penetrata da dietro, afferrandole vigorosamente le natiche, che, osservando, aveva trovato bellissime nel loro candore latteo. Lui ritmava la penetrazione con un tempo lento, entrando ed uscendo dalla vagina della sua Musa con energia, dall'esterno alla parte più intima e profonda di lei, la quale, iniziando a toccarsi il clitoride con la mano destra, nel giro di qualche minuto raggiunse l'orgasmo, e, girandosi, mostrò al suo uomo il suo viso di bambina felice, per poi baciare il membro eretto e turgido di quell'essere umano cui aveva giurato eterno Amore. Seán si rilassò, afferrò la testa della sua compagna, sentendo, con la mano, quanto fossero morbidi i capelli della sua Donna, che, continuando a baciarlo e toccarlo con la piccola mano calda, lo portò all'apice del piacere in una marcia trionfale. L'artista raggiunse l'eiaculazione e sentì il proprio liquido seminale inondare la bocca di Sinéad, che, chiudendo gli occhi, deglutì l'essenza del suo compagno. I due rimasero abbracciati per attimi insondabili di tenerezza e gioia. L'autore era ben consapevole di quanto fosse fortunato ad avere una fidanzata come la sua Musa. Lei era positività. Tutta la Bellezza che l’uomo poneva nelle sue opere, in parole e suoni. Era lei l'arcobaleno dopo la pioggia incessante. Era lei la Luce. Era lei l'ordine dopo il caos più dilagante. Il compositore sapeva di non essere più solo. Aveva Sinéad al suo fianco. I due si sarebbero sorretti a vicenda. Non avrebbero mai lasciato la presa che gli permetteva di rimanere mano nella mano lungo il cammino della Vita. L'artista riflesse. Erano accadute tante cose negli ultimi dieci anni. Aveva perso suo padre Connor, che amava totalmente. Con fatica, aveva rielaborato il lutto della perdita. Aveva conquistato la sua dimensione di individuo, nonostante tutto. Sebbene il sistema stesse dilagando, lui era in asse, non si turbava più di tanto e ciò era buono. Diversamente da molti, cui un tuffo nella realtà non avrebbe fatto male, quelli come l’autore dovevano proteggersi, schermarsi un po', dacché troppo empatici e quindi fragili, vulnerabili. L'uomo sentì di aver posto un valido diaframma fra sé ed il mondo... L'artista aveva imparato a farsi scivolare molte cose lungo la superficie liscia della sua quotidianità e questo lo salvava dalla disperazione. Era sempre fortemente vigile, captando tutti i segnali dal mondo. Aveva giurato a se stesso, molti anni prima, che, se fosse riuscito a sopravvivere alla tempesta, non avrebbe mai più permesso a nessuno di farlo star male. Le giornate di quel Gennaio fluivano liete, nonostante l’autore leggesse delle notizie globali che non lasciavano sperare nulla di buono per il proseguimento della vita umana sul Pianeta Terra. I potenti erano volutamente ciechi. L'Arte era inesistente. Pochissimi, sparsi per il mondo, potevano, con i loro segni d'Arte, far sognare l'Umanità, che a Seán sembrava sempre più assetata di risposte, di interpretazioni psicoanalitiche, di Verità. C'era una aridità davvero spettrale, nei discorsi di coloro che governavano il mondo. La loro non era incapacità. Era preciso disegno criminale che intendeva minare le basi della Vita e rendere un oceano di gente schiava, affranta e sottomessa, incapace di risollevarsi, con le proprie forze. L'autore sentiva quel grido di dolore. Sapeva che ogni giorno dei bambini venivano costretti a cucire le scarpe da tennis destinate al ricco Occidente. Tutto ciò era, per lui, irricevibile, inaccettabile, incomprensibile. La sera prima, Sinéad si era acciambellata vicino al caldo corpo del suo uomo, mettendogli la testa sul petto virile e l'artista aveva avvertito una profonda sensazione di pace. Era lei la sua casa. La dimora del suo essere. L'approdo tanto agognato. I rapporti umani erano, per il compositore, forme d'Arte, opere, così come i non-rapporti generavano caos, dimostrandosi totalmente incapaci di far star bene la gente, che, sempre di più, esigeva chiarezza, per poi decidere, molto spesso, di non dedicarsi più a malsane abitudini. Comunque, il Genere umano era in cammino. L’uomo sapeva quanto ci fosse da scoprire, ancora. Paradossalmente, il manipolo di psicopatici, che governava il mondo, stava progettando di andare su Marte, ma era fermo ancora nella totale incoscienza dell'alfabeto fondamentale delle emozioni e dei sentimenti. Certo, l'Arte poteva fare molto, ma la cosa essenziale era la guarigione degli individui da ogni forma di violenza e distruttività. Seán augurava a tutti di svegliarsi un giorno molto vicino e realizzare di essere lontani mille miglia dalla patologia... Il mondo avrebbe potuto essere un posto meraviglioso per tutti... La speranza che l’artista nutriva non aveva confini... Si concentrò. Decise che avrebbe provato a scrivere ancora. Sinéad gli stava tenendo compagnia con dei messaggi Telegram, di tanto in tanto, scrivendo non appena avesse avuto tempo, mentre lavorava assiduamente nella sua postazione in azienda. La Luce fioca della scrivania illuminava tutto, con grazia. Sulla tastiera musicale, c'erano i fogli manoscritti della Musica che aveva composto a Cork, davanti al pianoforte, che, ogni volta, gli faceva immaginare suo padre esortarlo a continuare a suonare. Connor era stato davvero un grande maestro. Aveva sempre confidato nelle Possibilità di suo figlio. Lo aveva sempre spronato ad andare avanti negli studi. Non aveva mai preso in considerazione l'ipotesi che suo figlio potesse fallire e diventare un brutto essere umano. Il tempo passava inesorabile e i ricordi di suo padre gli tenevano la mano. Immaginò di portare una rosa rossa presso la tomba di Connor, dacché suo padre amava quel colore, che era anche simbolo della sua posizione politica da comunista irriducibile. Il secondo Movimento della Sinfonia n. 12 era saltellante. Figure ritmiche guizzavano liete in un allegro vivace, in cui strutture in maggiore e in minore si alternavano con un equilibrio perfetto. Il compositore si interrogò sulla genesi del terzo Movimento, che, solitamente, concepiva come Scherzo, forma maturata in epoca romantica e portata al massimo sviluppo nell'era di Mahler. Questo Tempo doveva avere diverse idee legate fra loro. Doveva essere profondo come il mare. Grazioso, come un Minuetto e forte come la progressione che conduce alla Luce. Il tutto in un tempo ternario. L'uomo era in silenzio, sul quale si ergeva il suono delicato dei tasti del suo Mac, Amico leale. Da lontano, udiva i rumori del viale ed il fruscio stradale dell'arteria che passava vicino casa sua. Le figure degli alberi del viale erano imponenti. Il sentiero lastricato di pietre sempre più bello, capace di suggerire una idea di inviolabile eternità. Il fumo della sua sigaretta si levava denso. Era in pace con tutti. Desiderava solo difendere il suo spazio vitale. Il secondo Movimento della Sinfonia n. 12 - «Nel sentiero» era concluso e l'artista ritenne che non lo avrebbe più modificato. Desiderava scrivere qualcosa nel suo sito personale, che rispecchiasse le sue sensazioni dopo aver composto Musica. Amava molto quel suo spazio virtuale, dacché ogni opera, che aggiungeva, era come una tessera del mosaico interno della sua Identità di autore e uomo libero. Stava scrivendo da un po' e le idee si chiarivano nella sua mente, i concetti si rafforzavano e le emozioni assumevano le tinte cromatiche idonee per essere vissute e filtrate dalle sue viscere. L'uomo voleva lasciare, dietro di sé, una successione ragguardevole di segni d'Arte. Sperava che un giorno qualcuno lo avrebbe riscoperto, magari anche dopo la sua morte. Scriveva per Sinéad, con un messaggio universale da consegnare all'Umanità, che, per lui, poteva farcela. Non c'è abisso abbastanza profondo dal quale non si potesse riemergere, in Vita. Questo, lui, lo sapeva molto bene. Era alla fine di una pagina, diede una rapida occhiata alle parole scritte e sentì che stava esprimendo tutto quello che percepiva dal suo osservatorio di invisibile fuori dalla rete del sistema. Bevve l'ultimo sorso di caffè amaro della sua mattinata e pensò all'Arte, cui tendeva con ogni fibra del suo corpo. Cercava di rendere i suoi pensieri sempre più cristallini. La sua visione delle cose era nitida. Le sue argomentazioni incontrovertibili. Il suo senso di Umanità alto e nobile. Credeva che il Genere umano potesse vivere in armonia, da quando aveva comprato, quasi trent'anni prima, il cd della Sinfonia n. 9 di Beethoven, leggendo quel testo dell'Inno alla gioia, che gli si era stampato nella mente.
2° Stralcio 27° Capitolo
Ripensò a Crón, che avrebbe tanto voluto leggere nel 2018, per poi scendere in piazza tutti uniti, legati da un afflato fraterno di Possibilità. La sua dolce Amica se ne era andata davvero troppo presto, lasciando un vuoto che era forse possibile riempire ricordando costantemente la Bellezza dei suoi pensieri di ragazza rivoluzionaria. Il compositore era convinto che la Sinfonia n. 12 sarebbe piaciuta moltissimo alla sua sorella psichica. Crón era una grande estimatrice del mondo dell'Arte. L'uomo ricordò come cantasse, su una terrazza che dava sull'Egeo, il tema principale di un Concerto per violino ed orchestra che lei tanto amava. L'artista aveva bisogno di ricordi. Non poteva accettare di perdere una persona tanto amata col cuore, in un processo che portava all'oblio delle immagini interne, nella sua mente. Il fruscio del viale gli teneva compagnia. Forse non avrebbe tollerato un silenzio totale, che, nella vitale Galway, era impossibile da ottenere. Tutte le sue Musiche erano nate con la compagnia delle voci di una strada. Tutte. Da quando era a Belfast e componeva i primi pezzi, suonandoli al pianoforte, per la gioia di suo padre Connor, che lo incoraggiava incessantemente, con un entusiasmo degno del miglior tifoso. Di fatto, non sapeva cosa fosse un silenzio totale e, un po', immaginarlo, lo atterriva. Ogni sua composizione era nata con l'abbraccio del mondo, dei suoni dei bambini che passano con le nonne lungo una strada, delle ambulanze che portano i malati in ospedale, delle biciclette che sfrecciano lungo la via. In questo senso, i suoi suoni erano del mondo. Gli appartenevano. Ne erano figli. L'uomo si accarezzò la barba, che stava crescendo velocemente. Congiunse le mani, in segno di attenta analisi del suo flusso creativo. Osservò le righe scritte. Pose un punto di fine frase e abbracciò l'immagine interna che aveva della sua amata Crón, che sognava un mondo altro dove la gente potesse vivere bene e scoprire la gioia dell’esistenza, in un crescendo costante di pure emozioni di Vittoria. La sua sorella spirituale bramava che la gente fosse leggera, felice, piena di Possibilità... Era trascorso mezzogiorno, quando l'artista realizzò che la sua Arte fosse davvero un edificio antico, con tutte le componenti architettoniche ben salde, in un codice matematico definitivo, non alterabile. Erano stati tanti i momenti in cui si era sentito abbracciato dalla sua Arte, e, alla fine, nonostante le difficoltà tecniche che una scrittura inevitabilmente comporta, la sua creatività non aveva incontrato consistenti momenti di vuoto. L'autore era lì, davanti al suo scritto, memore delle belle parole che gli aveva scritto il suo Maestro, sempre più affettuoso con lui, tanto da trattarlo come quel figlio che l'anziano signore non aveva mai avuto. La sua ideazione avanzava lieta. Seán era la sua Arte, in assoluto. Viveva in totale Identità con i suoi segni di creativo. Un altro individuo, che avesse voluto conoscerlo, lo avrebbe ritrovato certamente nelle pieghe delle sue creazioni, in un codice, frutto di un processo di sublimazione di valore psicoanalitico. Gli scrisse la sua compagna, cui era dedicata la sua Sinfonia n. 12, perché lei era stata l'approdo, proprio come l'artista aveva intitolato una sezione del primo Movimento dell'opera. «Non si raggiunge la libertà dal male da soli, ma nel rapporto» riflesse l'uomo, che, nello scambio fra un individuo A ed uno B, entrambi capaci di amare, vedeva la chiave di volta dell'esistenza umana ed il futuro del mondo. Il rapporto è fondamentale. Nasciamo e ci portano al seno della nostra madre, che oltre al nutrimento, ci dà amore, empatia, calore, vitalità, dacché, altrimenti, moriremmo. Da quel momento in poi, siamo alla ricerca di rapporti buoni ed ogni volta che incappiamo in relazioni che non ci possono far del bene, il nostro Io più autentico soffre, si dimena, ci consiglia di abbandonare il campo. L'autore era convinto che una parte molto profonda di noi sappia cosa è bene e cosa no. Inoltre, come vedeva nel suo sentiero, la separazione era una dinamica di Vita essenziale. Ci si separa da tutto, durante l'esistenza. Ci separano dal seno materno, e ci adattiamo. Ci separiamo da persone che amiamo, ma con cui le cose non vanno più bene. Ci separiamo dalle fasi evolutive della nostra Vita, rinascendo ogni volta. Il compositore si era separato dalle dinamiche esistenziali deleterie. Lo aveva fatto con molta fatica, ma, alla fine, ci era riuscito... L’uomo era stato profondamente colpito, giorni prima, da una testimonianza di una ragazza su Facebook, la quale diceva di aver perso se stessa in un rapporto affettivo malsano solo perché non si era amata abbastanza. Quelle parole, per l'autore, erano quanto mai vere. Ci accontentiamo di surrogati di rapporti, forse perché crediamo di non meritare di meglio. Naufraghiamo. Doniamo le nostre migliori energie a chi non sarà mai in grado di abbracciare la nostra Identità, o forse solo a chi non intende investire se stesso in un rapporto costruttivo con noi. I non-rapporti esistono e vanno evitati. Tutto ciò, che non cinge la nostra anima con un calore buono e atti di puro Amore, va immediatamente abbandonato. Non è bene perdere le proprie energie in una spirale distruttiva, che, alla fine, ci uccide. Tutto questo, Seán, lo sapeva molto bene, dacché lo aveva provato sulla sua pelle di ragazzo alla ricerca di se stesso. L'autore era fermo di fronte alle sue lettere scritte. I suoi morfemi gli parvero capaci di costruire un sistema inalterabile di convinzioni temprate al fuoco delle esperienze più forti che un individuo possa vivere. Assaporò l'ultimo sorso di caffè e, scrutando le righe vuote del foglio, sentì che la propria idea di romanzo stesse prendendo piede. Il suo, già da tempo, non era più un racconto. Essere in grado di scrivere un romanzo rappresentava una sfida nuova, che egli abbracciava completamente. Vibrazioni, frequenze acustiche, onde sonore stavano modellando la forma e la natura di un componimento letterario che ritraeva perfettamente il suo mondo interno e la visione che lui intendeva irradiare dalle pagine della prosa, avvolte da un messaggio cosmico, rivolte ad un tutto armonico, che fosse il grande prodigio della Vita nell'universo. Il flusso delle parole si muoveva su note rapide, che gli facevano pensare ad un allegro mozartiano. Ripensò ai musicanti che suonavano in centro. Sentiva che quella aria di canti popolari gli appartenesse pienamente. Era stato un bambino irlandese, cresciuto con la cultura della sua Landa. Non si era mai sentito diverso. Non aveva mai pensato che l'Irlanda del Nord fosse un prolungamento del Regno Unito, la sua naturale appendice. Il suo romanzo, dunque, era fortemente irlandese. L’artista giunse a metà pagina e si stupì di quante cose avesse da dire intorno alla propria ultima opera, che aveva generato, in lui, tutta una serie di considerazioni varie, che abbracciavano tutti i suoi anni di Vita, da quando era salito, per la prima volta, sul peschereccio del padre, al momento in cui, due giorni prima, aveva scritto l'ultimo accordo maggiore della sua Sinfonia, dandola alla Luce. Era soddisfatto. Non sapeva proprio cosa altro volere. L'attenzione, con cui si ascoltava e osservava il mondo, gli permetteva di essere pronto alle sfide di un sistema pazzoide che avrebbe potuto colpire da un momento all'altro, ovunque. Andò in cucina e ammirò i piatti lavati, i fornelli puliti, cose che aveva imparato ad apprezzare solo quando aveva iniziato a potersi occupare di sé con amore. «Un uomo è i suoi gesti» concluse. Doveva fare spesa. Quella sera sarebbe stato da solo e si sarebbe cucinato qualcosa di buono. Aveva imparato nel tempo che le piccole cose quotidiane narrano della salute mentale dell'individuo che le produce. Era felice. Non doveva avere paura di scriverlo. Il mondo caotico del ventunesimo secolo era da monitorare con dedizione. Quella nave impazzita, con sette miliardi di persone a bordo, poteva collassare da un momento all'altro. Lui lo sapeva. Lui era ben conscio che una conduzione scellerata non potesse portare alla Luce. Lui sospettava che quel sistema potesse crollare su se stesso, mietendo vittime innocenti, come era stato negli anni scorsi con la crisi economico-finanziaria che era partita dagli Stati Uniti e si era propagata come un virus in tutte le latitudini, generando abomini. L’uomo sapeva bene quanto quel regime tirannico fosse guidato da gente disumana. Per questo, quando ci pensava, avvertiva precarietà. Ma non era più solo. Aveva Sinéad. I due si sarebbero aiutati in ogni modo, in un tenero abbraccio caldo. Tutto era instabile, fra le maglie d'acciaio di un mondo fatto di soldi. La Vita umana era sempre in bilico. L'unica cosa certa era che montagne di capitali venissero spostati da una parte all'altra del globo senza soluzione di continuità. Per gli uomini, invece, c'era la paura di perdere anche quel tozzo di pane che ogni giorno portavano a casa con grande fatica... Il neoliberismo era profondamente ingiusto. Non ridistribuiva le ricchezze. Affamava sempre più i poveri. Non si occupava della salute mentale dei popoli. Era necessario riscrivere tutto, riabbracciando l'Umanità in toto. Ascoltando le voci dei bambini. Ripopolando il deserto emotivo cui l'era del grande fratello aveva abituato le masse. Restituendo valore proprio alle parole, così fortemente svilite da un pensiero globale falso, anche nel linguaggio. C'era bisogno di uomini forti, pazienti, costruttori di pace. C'era la necessità di Donne madri e compagne, fiere e leali, che sapessero prendersi cura delle persone care. C'era il desiderio che quella farsa finisse, perché lo scempio era sotto gli occhi di tutti e solo chi non voleva vedere, poteva continuare a giocare al ruolo dell'individuo realizzato, fra crimini contro l'Umanità e quotidiane menzogne. Molti dicevano, in quel momento storico, che la Verità fosse una sedia scomoda su cui sedersi. Per Seán, invece, essa era il tessuto più nobile con cui avvolgere il proprio corpo nudo di essere umano. Era ancora nel suo silenzio. Il fruscio del viale giungeva all'interno del suo studiolo. L'uomo riflesse su come non avesse mai scritto una bugia, da quando aveva scoperto la sua creatività, più di dieci anni prima. Cessare di raccontarsi bugie era stato il primo passo verso il benessere. Solo, con il ticchettio dei tasti del Mac a tenergli compagnia e fargli da metronomo, tentò di rielaborare alcuni concetti che gli stavano a cuore. Era convinto che le dinamiche essenziali di un individuo fossero un numero limitato. Era certo che l'Amore potesse guarire ogni male. Viveva nella dimensione del possibile. Da invisibile, come aveva deciso di mostrarsi tempo prima. La sua Arte lo avrebbe assistito, lui lo sapeva. Non aveva più paura del sistema. Avrebbe affrontato tutto con l'adeguato coraggio e una fermezza, nelle proprie idee, che lo faceva sentire forte. Era prossimo alla chiusura del suo capitolo. Quella mattina aveva scritto davvero tanto, per i suoi canoni. Nelle orecchie, l'eco sublime dei suoni della sua ultima opera, cui aveva donato tutto se stesso, senza mai stancarsi, anche nei momenti in cui aveva percepito la fatica di comporre quasi due ore di musica. La sigaretta levava il suo fumo dalla mano sinistra che la teneva, proprio quando l'uomo osservò la nudità degli alberi del viale. La sua Galway, sempre così colorata, incontrava ogni giorno l'oceano e i muri della città si sposavano con la brezza marina; il fiume Corrib giungeva alla sua foce, con una possanza senza pari e la gente attendeva l'acquerugiola finissima provenire dal cielo, per poi accoglierla con un sorriso, frutto di secoli di saggezza popolare. I pub erano sempre pieni, a tutte le ore del giorno e della notte, perché, in Irlanda, c'è sempre un motivo per festeggiare con gli Amici. L'artista si sentiva parte di un tutto. Conosceva i riti della sua gente. Li amava. Quello, per lui, significava essere irlandese. La musica prodotta dai tasti del Mac gli parve perfetta per descrivere il flusso delle sue idee. Ne aveva bisogno, dopo la mole di suoni sinfonici che aveva animato i suoi giorni di scrittura musicale. Era a metà pagina. A quel punto, pensò che sarebbe stato possibile giungere alla fine del capitolo, sebbene non ne fosse certo, in quanto sentiva che le sue parole erano sempre meno numerose. Congiunse le mani nella speranza di trovare nuovi lemmi da affidare a quel foglio di un romanzo, che aveva amato fin dalla prima parola e che ora considerava vitale per la propria esistenza di artista e uomo libero. Lui era il suo componimento ed esso lo rappresentava completamente. Le tende arancioni dello studiolo lasciavano filtrare una Luce grigia, che smorzava tutti i colori di una Landa capace di impreziosirsi di mille sfumature cromatiche diverse, dal cielo alla terra, dall'oceano alle città. Stava abbracciando il suo mondo, mentre digitava la Nuova Era di Luce. Seán sapeva che una cosa scritta, se vera, può essere anche vissuta, per questo riteneva di essere già, con il suo nucleo, nel mondo altro che era il centro del suo sistema di pensiero da diversi anni. «Le parole devono diventare azioni, altrimenti non c'è Arte» concluse, dopo una ragionamento elaborato, portato alla Luce in quei giorni di intenso lavoro musicale. Nella sua Vita, tutto era stato possibile. Era riuscito a dire no a una spirale di relazioni malate. Si era incamminato da solo lungo il suo sentiero. Aveva scelto di star bene, stanco di soffrire per colpa di un mondo che non gli lasciava via di scampo. La sua ultima opera gli era costata più di dieci giorni di concentrazione totalizzante, centinaia di ore di introspezione profonda, per la creazione di un codice, fatto di segni d'Arte, che potesse esprimere appieno il suo mondo interno, sempre più intriso di emozioni ed abitato da costrutti che delineavano un intreccio di pensieri atti alla riscoperta della Verità dell'essere umano, la quale aveva il diritto di nascere. All'autore non parve vero di aver condotto alla Luce la dodicesima Sinfonia della sua Vita, forse la più elaborata. La complessità che aveva raggiunto non era altro che il risultato di anni di scrittura, dagli esordi di un pensiero musicale primitivo, alla stesura di tessuti artistici complessi, parte di un mosaico dove ogni dettaglio era pensato con attenzione. L'artista si guardò indietro e vide tutto l'enorme lavoro fatto su se stesso. Rimase qualche istante in contemplazione. Era un superstite, sì; era un uomo fortunato, che aveva deciso, ad un certo punto, di darsi una seconda opportunità per vivere. Un brivido freddo gli attraversò la colonna vertebrale, quando pensò a come sarebbe diventata la sua esistenza se non fosse scampato alla tempesta. Il primo termine che gli venne in mente fu: «amputata». I suoi giorni sarebbero stati monchi. Il fluire del tempo avrebbe scandito i frangenti di un essere umano totalmente deprivato di ogni sorta di vitalità e progettualità. L'uomo sospirò, cosciente del pericolo corso. Guardò il display del suo smartphone e si rimise a pensare alle parole da scrivere in quella parte di romanzo, cui, di sicuro, in una fase successiva, avrebbe rivolto tutta la sua attenzione per fare in modo che fosse perfetto da un punto di vista formale. Non ci sarebbero state virgole fuori posto, nell'assetto finale del romanzo. Lui sentiva la responsabilità di essere giunto ad un punto avanzato della prima opera letteraria che, con precisione e Verità, narrasse la Vita nella Nuova Era di Luce. Pensò, realizzando come, quella mattina, dopo essersi svegliato con energia, avesse scritto tanto, più di quattro pagine, senza ascoltare alcuna Musica e con la mente impegnata a descrivere i suoi stati d'animo dopo la nascita della Sinfonia n. 12. Si sentiva un creativo. Era certo di esserlo e non necessitava dell'approvazione di nessuno. Scriveva per la sua Musa, che era la sua stella. L'autore osservò la parte bianca dell'ultimo foglio del capitolo, e, facendosi coraggio, decise di poter giungere a porre il punto finale di quella unità. Aveva riletto, giorni prima, la Prefazione al romanzo, che aveva scritto di getto, ma non l'aveva trovata perfetta. C'era qualcosa che non andava. Forse l'avrebbe dovuta integrare con parole nuove, conferendo, al testo, quel carattere di breve saggio sulla Nuova Era di Luce che l'artista tanto desiderava. Si interrogò sul destino di quella sua opera letteraria; si chiese se qualche editore ci avrebbe mai scommesso, decidendo di pubblicarla. In quel momento, però, quella realtà non lo doveva riguardare, dacché stava completando la stesura e solo successivamente avrebbe lottato per la pubblicazione. Tuttavia, sentiva che trovare un editore, capace di comprendere la mole complessiva del suo romanzo, sarebbe stata un'operazione indispensabile. Seán non si sarebbe fatto abbattere dai rifiuti, quello era sicuro. Lui sapeva bene quanto la sua opera fosse originale e potente. Il primo libro sulla Nuova Era di Luce. La prima opera di un autore irlandese che affrontasse determinate tematiche, da chi governa il mondo all'Amore per i propri cari. Dalla tenebra alla Luce, in uno scenario artistico che ascende alla Verità di cui tutti gli uomini hanno bisogno, con un messaggio universale da portare in tutte le case. L'autore era consapevole della grandezza cui le sue parole aspiravano. Era a metà pagina. Il traguardo della fine del capitolo si avvicinava sempre di più e lui era concentratissimo. La sua opera sarebbe stata costretta a navigare nel mare di merda di quei prodotti pseudo-artistici che il sistema proponeva per continuare a soggiogare le menti degli individui, trattandoli da imbecilli. Ogni volta che Seán affidava un lavoro al web sapeva con precisione che esso si sarebbe dovuto far spazio fra una marea di merce avariata consacrata prodotto artistico. Tutte le volte, infatti, le sue opere trovavano riscontro solo da quella sempre più esigua schiera di fruitori attenti che ne comprendevano la Bellezza, tanto che l'artista poteva rincuorarsi di non essere piaciuto a molti. Guai se le sue opere fossero state apprezzate da molti! Ciò avrebbe significato che la loro qualità si fosse di molto svilita... Il suo era il destino dei veri artisti: rischiare anche di essere dimenticati. L'autore non diede modo a quel suo pensiero di rattristarlo. Andò oltre. Pensò lieto alla telefonata che di lì a poco avrebbe fatto a suo figlio Aindreas, che, proprio in quei momenti, stava concludendo un'altra dura giornata di scuola. Lo avrebbe riabbracciato dopo una quindicina di giorni. I due, fra l'altro, avevano deciso di collaborare ad un progetto didattico del ragazzo, che, giorno dopo giorno, si avvicinava al tanto temuto momento dell'esame finale, per il quale Aindreas stava cercando di essere preparato nel miglior modo possibile. L’uomo sorrise, dacché sapeva benissimo quanto fosse bello immaginarsi il proprio figlio sottolineare, nei testi scolastici, i concetti che più gli sembrassero dominanti. La Luce della lampada da studio irradiava le carte della scrivania dell'autore, il quale osservò i fogli del piccolo quaderno della madre su cui aveva scritto la sua meditazione poi confluita nel primo Movimento della Sinfonia n. 12. Era un individuo ricco. Il proprio mondo interno pullulava delle immagini psichiche di tutte le persone che avevano contribuito a renderlo libero. Pensò a suo padre Connor, il quale gli aveva trasmesso l'amore per l'Arte. Ricordò Crón, che strinse idealmente a sé in un abbraccio caldo ed affettuoso. Rimembrò le belle risate di Shayla, con quella sua voce acuta da bambina. Si stupì di leggere Damien, lieto e scherzoso, ridere, con i suoi conoscenti, delle imprevedibili evoluzioni di un mondo quantomeno bislacco... L’autore non sapeva immaginare destino migliore dell'abbracciarli tutti. Gli abbracci lo avevano salvato da una esistenza misera. I suoi amici erano tutti con lui. Dentro di lui. Fra le pieghe delle sue parole, nell'intensità di un corno inglese che affidava alle sue partiture. No, non poteva chiedersi di più. L'unica cosa, che desiderava continuare a fare, era essere attento ad ogni suo atto. Gli abbracci erano tutto. Lo scambio di calore umano. La condivisione del medesimo destino. Il desiderio di stare bene insieme. La forza di farsi coraggio nei momenti bui. La volontà ferrea di essere nella Vita dell'altro, nonostante le difficoltà. Lui non avrebbe mai rinunciato all'abbraccio dei suoi familiari. Sognava di riabbracciare il suo Máistir. Viveva per gli abbracci di suo figlio Aindreas. L'uomo si accarezzò la barba. Guardò fuori dalla finestra. Le tende arancioni venivano colpite da una Luce dorata, che le rendeva scintillanti, come il pensiero che l'autore sapeva di avere in sé...
2° Stralcio 28° Capitolo
Il fumo denso della sua sigaretta si levava candido nell'aria dello studiolo, le cui mura avevano ospitato, per la prima volta, gli scampoli vergini di quella che sarebbe stata la sua Sinfonia n. 12; costruzione formale di grande valore e Musica per i Lucenti della Nuova Era di Luce. L'uomo era molto legato alla propria casa, tanto che, sebbene piccola, non ne avrebbe desiderata un'altra diversa. Era lì che erano nati tanti suoi componimenti. Era lì che aveva celebrato le sue più ardite vittorie. Era lì che faceva l'Amore con la sua Musa. Le parole scivolavano lungo le righe del foglio. Aveva qualcosa da dire anche quel giorno. Il tempo era rigido. Pioveva e tutto era scuro. L'artista pensò all'Umanità. Quella grande famiglia, con tanti cuccioli, stava combattendo per i propri diritti. Era necessario ripensare ogni cosa. Ogni aspetto della Vita. Ogni tensione affettiva dell'individuo, che non poteva resistere schiacciato dal peso del sistema. L'autore era alla fine della sua pagina, cui aveva affidato i suoi pensieri migliori, i più puri. Si accarezzò il viso con entrambe le mani e decise di voler scrivere ancora. Fece una pausa per telefonare a sua madre. La precipitazione era intensa, lambendo tutta la Landa, quella mattina ed il suono dell'acqua, che colpiva il terreno, si diffondeva ovunque. L'uomo tornò a casa dalla sua solita passeggiata in centro e si sedette alla sua scrivania. Senza troppo pensare, decise di riascoltare la sua ultima opera musicale. Aprì iTunes e avviò la riproduzione della Sinfonia n. 12. Era curioso di vedere l'effetto che la Musica gli avrebbe fatto. Dove essa avrebbe condotto i suoi pensieri. Il pianoforte iniziale gli fece ricordare il suo Máistir, per forza e vitalità. Quella serie di note ribattute la sentì fortissima. Capace di creare un'atmosfera. Fece un tiro di sigaretta. Aveva la giusta distanza dalla sua Musica. Poteva provare a trarne una visione unica, veritiera, oggettiva. La successione discendente delle viole gli sembrò casa; una dimora accogliente ove poter far riposare le stanche membra dopo un periodo di intenso lavoro su se stessi... Era perfettamente nel flusso dei suoni. Forse, quella composizione era la cosa più elaborata che avesse mai scritto attraverso una partitura. Iniziò la meditazione «Martoriata landa» e, dentro a quei gruppi ternari di note, avvertì un profondo Amore per la sua Landa. Molte le dissonanze. Molti gli agglomerati che creavano tensione, suspence. Le note acute del pianoforte sospendevano un cammino, per poi riprenderlo con coraggio; l'ardimento attraverso il quale l'individuo si avvicinava alla creazione del proprio destino, attraverso l'intelligenza di Vita delle corrette scelte operate. Accordi poderosi, con note gravi, muovevano in avanti la descrizione psicologica dell'essere umano. Il compositore, a ripensare a tutte quelle note scritte, ebbe la sensazione di aver forgiato una creatura artistica davvero mirabile. Aveva creato un mondo, che, prima della prima nota, non esisteva, ma dopo la chiusura del quarto Movimento, era vivo, concreto, come un mosaico bizantino di ineffabile Bellezza... Dall'idea di «Martoriata landa» a quella de «L’approdo», il percorso era segnato, nella parte più profonda dell'autore. L'artista sentì tutte le note appartenergli. Erano le sue. Erano vere. Erano le tessere del tempio della sua esistenza, vissuta interamente dalle tenebre alla Luce dell'Identità. Una progressione di pianoforte lo avvolse. Sapeva esattamente come si fosse sentito pensando ogni suono di quella Sinfonia. Era incredibile. Era come ripercorrersi. Era un prodigio. Le dissonanze regnavano magnifiche nel tessuto musicale della meditazione. Il pianoforte riprendeva la successione discendente delle viole, con assoluta calma. L'uomo era dentro i suoi suoni. Giunse un muro di suoni di legni e lui rimase ad ascoltare, inebriato. Gli parve che l'ottavino producesse lacrime affrante, per la propria terra assalita dai barbari. L'opera narrava una storia, che era parallela a quella dell'autore. Di fatto, la progressione generale del primo Movimento dipingeva il ritratto di una nazione, fiera, che non intendeva piegarsi alle mire espansionistiche del sistema. Tornavano le note ribattute del pianoforte e il successivo gruppo di suoni, che ribadivano l'idea primordiale del Movimento. C'era una lotta, all'interno della Musica. Una forte presa di coscienza della realtà, contrapposta ad un acceso desiderio di cambiare le sorti delle persone. Gli archi riprendevano il tema della meditazione, prima affidata al pianoforte e la rielaboravano. L’uomo si sentì rasserenato dalla successione degli ottoni, così caldi e avvolgenti. Era nella giusta distanza per apprezzare e valutare. In fondo, la sua Arte non necessitava di commentatori esterni. A lui, bastava quello che sentiva e pensava durante l'ascolto di una sua composizione. Le masturbazioni intellettuali le lasciava a coloro che non creavano, ma sapevano solo criticare il lavoro altrui. I legni apparivano con un pianto. Il solo di corno inglese ne era la prova. Era nostalgia, quella. Era volontà di vivere. Era tante cose tutte insieme, tutte significative. Il compositore rimase colpito dalla Bellezza degli agglomerati accordali, che erano davvero importanti. La sua Sinfonia recava un serio lavoro sulle armonie. Quella sua opera era intrisa di Amore. Una forma di affetto incondizionato per la sua patria e il Genere umano. Lui sentiva questo. Tutto era cammino, in quella partitura. Tutto era desiderio di Luce, di chiarezza. Di vedere realmente le cose per ciò che fossero davvero. La sua Arte era sempre più militante. Combatteva infatti per un mondo altro, ancora invisibile ai più... La successione discendente delle viole era un invito ad addentrarsi nella profondità dell'essere umano, a scorgere, nitidamente, le fattezze dell'Identità che ognuno di noi ha, nella parte più intima del proprio Sé e creare un edificio per se stessi e i propri cari, dove dimorare sereni. Concettualmente, la sua Sinfonia n. 12 gli parve molto articolata, nel suo sentiero lineare dalla difficoltà alla gioia, dal buio alla percezione di una Luce avvolgente a calda, rassicurante e materna. L'autore aveva imparato molto, in quegli ultimi dieci anni. Il suo stile si era evoluto con lui. La forma delle sue opere era sempre più elaborata. La sua capacità di ideazione era mutata, dagli esordi, divenendo uno spazio geometrico ricco, con tanti poliedri differenti e curve che ne caratterizzavano la natura. L'artista cominciò l'ascolto del secondo Movimento, il cui incipit era affidato al pianoforte, che descriveva un'atmosfera variopinta, in cui rapide note si susseguivano le une alle altre. Gli archi lo colsero impreparato. Non attendeva una successione così forte. Il secondo Movimento era un allegro sostenuto, con il quale l'autore aveva inteso produrre sequenze magistrali di suoni. Il compositore era davvero soddisfatto della sua scrittura musicale. Si percepiva, dietro alle note, un mosaico complesso di emozioni e pensieri. Le dissonanze, anche nel secondo Movimento, erano capaci di spingere in avanti il processo di scrittura. A volte sfociavano in consonanze, altre rimanevano in piedi da sole, fiere, non risolte, per tenere viva una tensione vibrante, un'onda di manifestazioni acustiche in grado di costituire un'atmosfera sospesa. Riprendeva poi il tema d'esordio del pianoforte, in maggiore. Le rapide successioni forti delle note gli fecero pensare al legittimo desiderio di Verità che ogni bambino ha diritto ad avere. L'uomo scriveva in un codice preciso, capace di rappresentare al meglio il proprio articolato mondo interiore, con una visione sulle cose, attraverso una Poetica con delle precipue leggi interne, che lo dirigevano verso una sempre più fiera connessione fra sé e l'Universo... La sua Sinfonia esprimeva un mondo, proprio come aveva detto Mahler. C'era dentro un cosmo intero, fatto di aspirazioni e di contemplazione di Pulcritudine. Gli archi segnavano il cammino verso l'illuminazione finale. L'autore era contento di ciò che stava ascoltando. Riflesse su come stesse lavorando per quell'ordine di grandezza da quando era nato. Aveva sempre costruito. Sempre composto, nonostante la tempesta gli avesse reso tutto così difficile. Negli ultimi dieci anni, dopo l'approdo sicuro nei lidi della beatitudine, il suo pensiero artistico si era fortemente evoluto, dando origine a composizioni nuove, autentiche, piene di speranza. Scriveva per l'Umanità, sebbene, forse, nessuno lo avrebbe ascoltato, fuori dal suo nucleo. Questo era il suo destino di creativo. Il secondo Movimento avanzava. Violino, viola e pianoforte disegnavano un ritratto onesto della realtà che lui viveva, fatta di Possibilità e combattimento, Amore e senso di separazione dal mondo circostante, nella distanza. L'assolo di flauto traverso lo inebriò. Sapeva benissimo come e quando lo aveva concepito, giorni addietro. Dopo i legni, tornava l'idea primaria del pianoforte, nella tonalità d'impianto maggiore con cui era nata. Seán ascoltò quelle note veloci, vigorose, testarde. Pensò che quella fosse la rappresentazione perfetta del coraggio di un individuo che sappia spingersi oltre le apparenze maliarde di un sistema che lo vuole vuoto, incapace, inetto, e forse, anche insensibile. Una piccola sequenza modale dei legni, cui seguiva una successione veloce, lo fece sorridere. Lui era fiero del suo lavoro, e si rendeva conto che stava costruendo qualcosa di veramente degno. Bello. Pulito. Non era ancora a metà pagina e la descrizione della sua ultima opera musicale stava proseguendo con una forza che lo sorprese. Era tutto nella sua testa. Quei suoni erano totalmente suoi e nessuno, al posto suo, avrebbe potuto comporre qualcosa di simile a quello che creava lui, di questo l'autore ne era certo. Aveva scoperto la propria dimensione originale di artista. Non temeva di essere il plagio di nessun altro. Non aveva paura di risultare affine a qualche altro compositore. Era solo, nel suo studiolo, quando elaborò una immagine fortissima: quella di un mosaico dorato con un'aquila al centro, il mare ed il cielo, e una enorme lettera greca Psi, sopra allo splendido rapace... Il segno greco era il simbolo della questione «Psiche», che, per lui, era il fattore dirimente della complessiva vicenda umana sul Pianeta Terra... Quando ci si occupa del benessere della Psiche di un bambino, si è già creato un mondo migliore... Si ritenne soddisfatto. Riprese l'idea principale del pianoforte, che era vigore, potenza, calore. Gli archi, muovendosi tutti insieme, gli apparirono maestosi. Aveva cercato quella profondità di pensiero musicale da tutta una Vita, esperendo progressivamente un gran numero di tentativi, di cui in quel momento riconobbe la nobiltà. Non rinnegava nulla della sua crescita. Si ricordò di un brano per pianoforte scritto vent'anni prima, composto nei momenti di relativa serenità a casa di sua madre, quando suo padre Connor lo esortava a non smettere di amare i suoi suoni. Iniziò il terzo Movimento della Sinfonia n. 12. L'autore trovò che «Nel sentiero» fosse proprio un bel titolo per quell'opera. Il tema iniziale affidato agli archi era profondamente vitale, con le sue sfumature nostalgiche. L'uomo fece un tiro di sigaretta e ascoltò gli ottoni, che, in tutta la Sinfonia, erano intensi. Giungeva un solo di pianoforte, in ritmo ternario, come prevede lo Scherzo. L'idea di abbraccio, sviluppata nel corso del Movimento, era perfetta. L'autore aveva descritto ogni sensazione: dalla paura dell'angoscia alla Bellezza dell'unione, dalla sorpresa di essere accettati, alla intensa carica di vitalità di due corpi che si cingono, in attimi che profumano d'eternità. Era all'adeguata distanza dalla sua opera. Aveva sempre avuto bisogno di porsi ad un certo numero di metri da tutto ed era così che aveva intravisto la fisionomia complessiva della sua tempesta, che era brama di dominio, furia cieca e sadismo contro gli uomini, che essa rendeva incapaci di reagire, inutili involucri senz'anima destinati ad un suicidio morale, umano, spirituale... Seán era un sopravvissuto con della Musica da cantare, lieto, sicuro, certo del suo destino di creativo. Ascoltò i suoni della sua ultima opera, ci si identificò. Lui era il suo mondo acustico e la sua Musica era lui... Aveva dato il meglio per la sua Sinfonia n. 12. Sentiva che fosse bene riascoltarla. L'enorme mole dei suoni non lo spaventava, anzi lo abbracciava, lasciandogli, sulla pelle, una sensazione di grande calma. Era appagato da ciò che sentiva diffondersi nel suo studiolo: una realtà acustica rivoluzionaria! La sua creazione non lo stancava, bensì lo coccolava. Era da tempo che cercava quel risultato. I suoi suoni erano lì, a raccontargli una storia, cui lui prendeva parte con immenso piacere, certo della bontà del suo operato. L’autore era altresì convinto che, alla fine, le scelte per il benessere fossero uguali per tutti: poche, serie, profonde. L’estasi della Nuova Era di Luce non si sarebbe manifestata così, a caso, ma solo attraverso precise decisioni dei più. L’artista seguiva il flusso dei suoi agglomerati acustici e sorrideva. Quello che lui stava descrivendo era un mondo altro, ove centrale fosse il rispetto dei diritti umani e l’alienazione fosse stata superata, con l’impegno collettivo. Tutte queste cose erano nella Sinfonia, che il compositore giudicò sana. L'uomo andò a rinfrescarsi il viso. Amava la percezione della freschezza che l'acqua lascia addosso, gli sembrava di essere più presente a se stesso. Ripensò agli abbracci della sua Musa. A quanto fossero stati gentili, le prime volte che lei si avvicinava a lui, con rispetto, con Amore, con Verità. Lei lo aveva compreso dalla prima stringa nella finestra di una chat. Lei lo aveva ascoltato bene, con attenzione, contenendone appieno la sua dimensione di giovane uomo con una Vittoria da narrare. Lei aveva capito, da subito, che quel compositore non avrebbe mai tentato di farle male... Quando Sinéad lo abbracciò per la prima volta, sotto la grande scogliera di Moher, percepì quanto l'Identità di quell'uomo fosse autentica, strinse a sé la storia di Seán, cinse con le proprie braccia il desiderio dell'autore di essere felice, toccò le corde più intime della sensibilità del ragazzo di cui si era innamorata dentro lo specchio leale delle sue parole di creativo, accolse, con il suo sorriso di splendida Donna, le istanze del bambino che dimorava dentro l'uomo che stava finalmente comprendendo in toto, si avvolse attorno a quel corpo maschile che desiderava da diversi mesi, affidandosi alla speranza che lui sarebbe stato diverso, che non l'avrebbe voluta snaturare, dacché lei era ben conscia della propria Identità, che l'aveva condotta a scoprire ciò che era stata chiamata ad essere fin dall'infanzia: una meravigliosa creatura della Luce... Sì, per lui, lo Scherzo meritava il titolo de «Gli abbracci». Al pianoforte, era affidata una unità in maggiore, la sorpresa di piacere a qualcuno, la gioia di vederlo avvicinarsi con desiderio, la soddisfazione di perdersi nelle sue braccia. L'opera era degna. Lui aveva concepito qualcosa di davvero potente. Non lo stancava. Non lo inquietava. Lo rassicurava, nelle infinite combinazioni dei suoni che si stagliavano contro il fato avverso di un sistema incapace di amare gli uomini. Gli ottoni erano davvero belli. Una tastiera giungeva a saltellare. Gli archi rispondevano stoici. Lo Scherzo era davvero incantevole. Lui lo percepì così e si rilassò, maturò la decisione di non calcolare più, di lì in poi, durante l'ascolto, le geometrie dei suoni, con il raziocinio, stabilendo che si sarebbe posto alla sequela del naturale cammino della propria Musica. Abbracciare era un verbo bellissimo, per l'uomo, che ne aveva riscoperto il valore fondante solo attraverso le esperienze con la sua Sinéad, la quale gli aveva scritto un messaggio Telegram divertente e pieno di affetto, giusto in quei minuti. Lui amava quella Donna con ogni fibra del suo corpo. La desiderava sempre più nella sua Vita di artista. Non si sarebbe mai immaginato una giornata senza di lei. Gli abbracci erano la forma più intima della fusione delle loro anime, insieme ai baci. L'autore sorrise, facendo quelle considerazioni e si sentì molto fortunato ad avere la sua Musa accanto a sé ogni ora del giorno e della notte, in una dimensione intrapsichica che era destinata all'eternità e all'infinito, figlia dell'Universo e delle sue molteplici frequenze e vibrazioni. Lui percepiva che lei lo stesse pensando anche quando la compagna, immersa nella sua attività lavorativa, non poteva scrivergli. Lui sapeva comunque che la sua Donna gli dedicava le sue parole sebbene fosse silente, in alcune parti del giorno.
2° Stralcio 29° Capitolo
Lo scenario dalla finestra dello studiolo non mutava. I legni sembravano piangere, proprio come aveva pensato qualche giorno prima. Il solo di corno inglese, breve ed intenso, occupava un punto di quello spazio musicale in cui nessun altro strumento avrebbe potuto regnare. Alle volte, è proprio in quel modo che le cose devono andare: Arte è soprattutto scelta. Scelgo di affidare uno scampolo di note al clarinetto in Mi bemolle. Non alla tromba e nemmeno al violino. La creazione è selezione consapevole della costruzione, che si snoda ad ogni tessera del mosaico che venga aggiunta al quadro complessivo. Arte è scelta dei colori, delle forme, dei costrutti, di modo che ogni elemento diventi vitale ed indispensabile, non potendo essere sostituito con null'altro. Le viole lo colsero di sorpresa, dopo il pianoforte. La loro successione discendente era un pendio verso la profondità abissale dei desideri di uomo. Nonostante la precarietà del ventunesimo secolo, Seán bramava sentirsi stabile, lungo il sentiero di una Vita che gli aveva insegnato a vincere contro un sistema schizoide. Si ricordò di una famosa domanda che gli aveva fatto il suo Máistir molti anni prima, che nella sua semplicità suonava così: «Ma di che cosa deve aver paura uno come te, Seán?». All'epoca il ragazzo rimase senza risposte, ma, in quella nuova era della sua esistenza, una idea ce l'aveva. Lui non doveva avere paura di niente. Avrebbe ancora combattuto se ce ne fosse stato bisogno, e non si sarebbe arreso. Il primo Movimento ed il quarto, entrambi adagi, si concludevano con una coda di archi e questo aspetto saltò all'occhio dell'autore solo in una fase accurata di ascolto. Iniziò il secondo Movimento, con note che guizzavano allegre. Le armonie di Seán erano quasi tutte aperte, fatte di sfumature, piccole e grandi dissonanze che non creavano una posizione ferma nello spazio, ma esortavano alla progressione, dacché, per il compositore, tutto era in movimento verso un oltre da immaginare, in una tensione verso l'infinito davvero struggente... All'uomo la sua Sinfonia piaceva molto. Non lo stancava. Lo stupiva, facendolo stare attento a tutta l'evoluzione della Musica. Aveva lavorato duramente quegli anni su come concepire un pezzo e renderlo perfetto. Ogni suo tentativo lo aveva fatto progredire. Ogni nota scritta aveva delineato un passaggio, lasciando le orme del cammino ben impresse sul selciato. All'uomo parve che il suo sentiero si fosse mosso lungo un distretto pietroso, lunare. In fondo, tutti quei suoni erano il frutto della progressiva conquista di se stesso, che lo aveva condotto ad essere differente, di un altro mondo, strano agli occhi dei più. «La successione dei passi» era davvero un titolo azzeccato per quel secondo Movimento. L'artista ricordò bene il primo moto della sua Psiche, dopo la tempesta, quel dire addio ad ogni forma di ipocrisia e manipolazione. Quel profondo rifiuto di ogni sorta di dominio dell'uomo sull'uomo, che generava così tanta sofferenza, specie nei bambini. La cosa più bella che Seán potesse augurare all'Umanità era il rifiuto di tutte le dinamiche che conducevano al dolore. Lui era i suoi pensieri, che, trasformandosi in segni d'Arte, diventavano poi anche sigilli del suo agire. L'uomo era profonda coerenza. In fondo, che cosa è la Felicità se non la corrispondenza biunivoca del pensiero e dei gesti? Non osava spingersi oltre quella dimensione di benessere, perché, forse, un'altra non ce n'era, sebbene ritenesse che, nella ricerca, si potesse sempre perfezionare una serie di comportamenti che profumassero di benessere e Poesia, autenticità e grazia. In definitiva, per l’autore era proprio vero che non avrebbe mai smesso di imparare... Ripensò al suo Máistir che gli aveva recensito la Sinfonia con autentico entusiasmo. Andò a controllare il cielo, che ancora non intendeva abbandonare quella fredda pioggia per la neve. Attendeva, nel suo studiolo, mentre ascoltava i legni del secondo Movimento muoversi insieme in una struttura modale. Le note rapide erano tante, in quella unità. Davano una idea di grande allegria. Gli archi seguenti, invece, sembravano disegnare uno scenario di pura riflessione. Quanta strada per giungere a quelle note... Una Vita intera passata a combattere... Sangue e sudore lungo il campo di battaglia, per diventare finalmente un uomo... L’artista scriveva, mentre la sua opera musicale procedeva verso la naturale destinazione. Per un attimo, il compositore immaginò tutta la sua produzione: un tempio greco di ineffabile bellezza, con un tramonto alle spalle e un Sole rosso fuoco. Quella fu la sua visualizzazione, in un Febbraio 2018, nel quale ancora si parlava di pulizie etniche. L'uomo sorrise: sapeva che chi fa Arte, oltre a creare, non possa guidare le sorti del mondo. Era a metà pagina. Guardò l'orologio. Avrebbe dovuto fare alcune cose in casa, prima di incontrare la sua Musa, che lo pensava sempre e gli dedicava le sue parole più leggere e spiritose. La pioggia continuava a tenergli compagnia, e l'idea della neve lo coccolava. L'artista iniziò l'ascolto del terzo Movimento, lo Scherzo, che recava il titolo de «Gli abbracci», così vitali nella sua Vita di uomo libero. Il Tema A, affidato agli archi, comunicava una malinconia tipica di chi ha molto cercato, nella sua esistenza, senza però trovare, quasi mai, le risposte. L'individuo, così, ha sete di abbracci. Li brama. Il pianoforte, muovendosi in un ritmo ternario, comincia a fornire delle risposte, idee. È dietro a quelle note, che l'essere umano inizia a sperare di trovare qualcuno da amare, proprio come confermano le armonie dei legni, che, procedendo insieme, creano una immagine di Vittoria, confermata dagli accordi maggiori del pianoforte, che li ribadisce con grande fermezza e vigore. L'attesa è febbrile. L'uomo, che ha troppo lottato, riuscirà a vivere nell'Amore di un altro individuo che lo consideri la più grande opera d'Arte che sia sulla Terra? Si cresce nel rapporto, aveva detto più volte Seán, nel corso della sua nuova Vita. Per lui, era proprio così: fin quando non aveva incontrato la sua Sinéad, non si era realmente potuto specchiare per vedere la sua vera immagine di uomo buono. Artista alla ricerca della Pulcritudine. Individuo che amava la Verità e la libertà. Contò le pagine del nuovo capitolo, mentre il pianoforte affermava con vigore accordi di Vittoria. Era quasi a metà capitolo ed era quasi mezzogiorno. I legni gli parvero particolarmente consolatori. Gli abbracci si trovavano dentro agli accordi gai del Movimento. Ne erano la matrice indiscussa. L’uomo respirò. Si accarezzò il viso nella speranza di trovare ancora qualche parola da immortalare. Era fiero della sua Identità di artista, questo, ormai, lo sapeva molto bene. Avrebbe sentito la sua compagna, che immaginava dedita a qualche attività domestica. Forse non sarebbe nevicato più. L'uomo guardò le carte della sua scrivania. Le contemplò per qualche istante. Ogni singola parola, ogni suono, lo aveva portato dove era, in una dimensione di benessere lontana dalle tribolazioni del sistema. Il pianoforte recava un grande messaggio di speranza: gli abbracci leniscono le ferite dell'individuo, che, dopo aver conosciuto l'Amore, non torna più uguale a ciò che era prima di essere stato cinto dalle braccia avvolgenti del Tu dialogico, unico vero specchio universale dell'essere umano. Cominciò il quarto Movimento, con quell'idea principale di archi e timpani, che delineavano il passaggio di un combattente. Il guerriero ora ha conosciuto la dolcezza degli abbracci e avanza fiero verso la sua Identità. Nel Movimento, c'era anche un'idea di precarietà, affidata a flauto, viola e tastiera, dacché nessuno può sapere quando sarà il momento di combattere di nuovo, sotto gli attacchi di qualche entità che crea un ostacolo per la Felicità. Ecco spiegata la natura belligerante del Movimento, che si esplicava principalmente nel Tema A di archi e timpani. L'autore iniziava a sentire di essere stanco. Avrebbe continuato ad ascoltare la sua Sinfonia, ma facendo altro. Doveva telefonare ad Aindreas e alla sua dolce Musa. C'era un fine-settimana da pianificare. Fece gli ultimi tiri di sigaretta. Ascoltò i legni. Trovò bello il solo di clarinetto in Mi bemolle. Il passo del quarto Movimento verso l'Identità era possente. Sembrava voler dire che niente si possa frapporre fra l'individuo e la propria immagine interna. Nulla, neanche le tempeste, se vengono attraversate avendo delle risorse sane, inviolabili. L'uomo si staccò dal suo processo di scrittura, decidendo che avrebbe fatto il suo solito giro di telefonate. La mattina di domenica, si svegliò presto ed iniziò a pensare a quello che doveva fare. I piatti erano lavati, quindi poteva ospitare la sua compagna a cena preparandole qualcosa di buono. L'idea lo faceva sorridere, dacché, dieci anni prima, non avrebbe mai pensato che avrebbe cucinato per qualcuno, con il piacere di farlo. Erano cambiate tante cose, in quel tempo. Lui era cresciuto come individuo. Aveva trovato le risposte alle sue domande dominanti. Alla fine, ogni quesito si era sciolto nell'abbraccio con la sua Sinéad. Lei lo aveva riconosciuto dal primo istante. Lei lo aveva incoraggiato. Lei non si era mai stancata di credere in lui. L'artista rimase un po' a pensare. Le sue elucubrazioni si muovevano nella sua mente, specie al mattino, non appena sveglio. Andò a bere un sorso di caffè caldo, amaro, profumato, come piaceva a lui. Indossò la sua classica tuta grigia, che la sua compagna aveva lavato quando lui era tornato da Cork. L'uomo si accese una sigaretta, riflettendo su come Crón, su quella terrazza che dava sull'Egeo, gli aveva detto quanto la sua tempesta fosse stata un periodo concluso, un capitolo della sua Vita da considerarsi estinto. L'autore, allora, guardò l'alba sul mare degli eroi greci, sorrise commosso e l'abbracciò, come si fa con una sorella che si ama. Crón aveva una innata capacità d'analisi: vedeva gli accadimenti nella loro portata autentica, sapeva intuire il corso degli eventi, era in grado di leggere con profondità le sorti degli uomini, dacché provvista di una carica di empatia davvero considerevole. Quello che lei disse a Seán, quella mattina presto, mentre attendevano l'aurora davanti al terzo piede della Calcidica, era stato profetico, poiché l'uomo, alla fine, non si era più voltato indietro, non aveva più avuto paura, affrontando l'esistenza con il sorriso di chi era conscio delle proprie capacità. All’autore, la sua cara Amica, mancava molto. Ne ricordava la voce, le espressioni del viso intense ed amorevoli, il suono della risata e ogni singola parola detta o scritta. Rimembrava come, non appena sveglio, leggeva i suoi post di Donna combattente su Facebook. Crón era molto seguita. Aveva più di cinquemila Amici, nella piattaforma social e ogni persona, che la leggesse, non poteva fare a meno di pensare quanto validi fossero i concetti che lei esponeva. Lei era per la Nuova Era di Luce, ne parlava spesso con Seán, che la seguiva con attenzione. Lei era per una Irlanda unita, un cuore pulsante nella grande Landa, che fosse unione di persone, non di interessi politici, economici o militari. Lei era per la terapia degli irrisolti, che causavano così tanto dolore alle persone che li incontravano lungo il loro cammino. C'era bisogno di intelligenza. C'era bisogno di empatia. C'era bisogno di calore umano. Troppe le persone morte in nome di un benessere sociale che non si era mai realizzato. Erano le nove di mattina e l'artista scriveva libero da ogni pensiero corrotto. Desiderava solo la chiarezza. Fece una pausa, guardò il cielo terso e sorrise. Intorno alla sua città, c'erano i segni visibili di una piccola nevicata che aveva avvolto ogni cosa. Dopo una decina di giorni sarebbe partito per Cork, felice. Nulla doveva frapporsi fra sé e la propria Felicità. «Ma cosa deve succedere ancora?» si sorprese a chiedersi, con lo sguardo vitale ed il sorriso di chi sapeva che avrebbe difeso il suo mondo da qualsiasi attacco. Sapeva benissimo, però, quanto, durante il corso dell'esistenza, potesse accadere tutto ed il contrario di tutto, dunque c’era la necessità di rimanere vigili, attenti... Una sua paura ancestrale, cui aveva imparato a non dare ascolto, era che i suoi potessero star male. Sua madre stava invecchiando, occorreva essere pronti nel momento in cui avesse avuto bisogno di aiuto. Come gli aveva predetto Crón, non doveva succedere più nulla di così grave, come il rischio della perdita di tutto il proprio mondo: quello non lo avrebbe mai dovuto permettere, avrebbe dovuto combattere, difendendo, con tutte le proprie risorse, ciò che aveva duramente costruito negli anni... Ci sarebbero state delle battaglie, ma lui sarebbe stato in grado di non soccombere. Il fumo della sigaretta si levava denso, mentre lui pensava alla sua amata sorella spirituale, scomparsa troppo presto. Si ripeteva, come un mantra, di non dover aver paura. Gli accadimenti non dovevano sorprenderlo. Intuiva che i successivi dieci anni sarebbero stati fondamentali. Li avrebbe affrontati con lo spirito di Verità che animava le sue giornate. Telefonò a sua madre, per darle il buongiorno e sentire come stesse. Avrebbe voluto scacciare ogni forma di precarietà dalla sua Vita, ma non gli era possibile. La percezione che tutto fluttuasse, che il mondo fosse fragile, che una nuova crisi economica globale potesse manifestarsi, era una componente significativa di ogni esistenza umana. Sarebbe stato patologico negarla... Occorreva aver coraggio e lui era un guerriero. La pagina finì. Si ritrovò davanti a nuove righe vuote. Il ricordo della sua Sinfonia era ben presente, nella sua giornata. Aveva raccontato a Sinéad, la sera prima, al ristorante, quanto lui percepisse buona la sua ultima opera musicale, che non lo stancava, nonostante le quasi due ore di durata complessiva. Quella era una sensazione nuova, del tutto inattesa. Lui ascoltava la sua composizione e si muoveva dentro di essa, senza mai stufarsi di quei suoni. La Musica lo teneva per mano. Lo avvolgeva. Lo consolava. Non sentiva la fatica di percorrere quel terreno acustico. La cosa gli fece pensare quanto fosse bella la sua opera, che non lo tediava nemmeno un secondo. L'attenzione, con cui seguiva le varie linee, era massima. L'uomo pensò al suo destino di artista.
2° Stralcio 30° Capitolo
L'autore, ricordando, era giunto a metà pagina. Non sapeva ancora cosa avrebbe scritto di lì in poi. Si concentrò. Desiderò scrivere qualcosa sul suo sito personale. L'idea lo attrasse. Scrisse sotto a questo titolo, «L'ultima dimensione»:
«Sono giunto a superare le trecento pagine del mio romanzo e sono davvero emozionato. Questa grandezza formale l'avevo immaginata dal momento in cui, dopo un'accurata analisi della mia prosa, avevo deciso che il mio libro non sarebbe stato più un racconto breve, ma altro. Sono felice, perché sto per dare alla Luce un'opera degna, che mi rappresenta. Fra le pieghe della prosa, riecheggia la mia Musica, che ha accompagnato lo sviluppo della trama e i pensieri del protagonista. C'è una somma di agglomerati acustici in tutte le pagine di questa mia ultima fatica letteraria, che dipinge l'affresco nuovo di una Possibilità dell'essere umano, non più schiavo, ma libero e fiero. Il messaggio universale, che ne deriva, splende in tutta la sua vitalità. Fra qualche giorno, concluso l'ultimo capitolo, procederò con un attento e minuzioso labor limae e, una volta conclusa la fase di correzione, spedirò il manoscritto allo stesso editore che pubblicò il mio primo racconto, ben dieci anni fa. Sono realmente appagato. Questa opera, che ho deciso di chiamare "Musa - Pensieri di un artista", mi ha aiutato a vedere più nitidamente dentro di me. Avevo necessità di chiarire alcuni concetti, che fanno parte del mio percorso di essere umano e la prosa si è mossa proprio in quella direzione. Nell'era che stiamo vivendo, molte cose sono contro l'uomo. Contrastano le sue eque istanze. Confliggono con i suoi desideri più puri. Nel romanzo, la tematica della Possibilità di realizzazione di un individuo viene proposta con vigore, perché dimora, nella parte più intima dell'uomo, la speranza di una Vita bella. Serena. Giocosa. Il flusso delle parole è costante, in tutte le parti della prosa e costruisce un tempio, ove l'uomo possa specchiarsi per vedere la propria grandezza di essere creativo che ha abbandonato ogni sorta di ipocrisia, maschera o violenza. C'è una tesi, fra le pieghe del romanzo, che esorta il lettore a combattere, con le proprie risorse, per una esistenza degna, lontana dalle malie del sistema di potere, cui non interessa minimamente la gioia dell'Umanità. Nel raccontare i pensieri e le emozioni del protagonista, è insita una grande speranza, che esorta tutti a fuggire dalla menzogna, per vivere nella Luce di un Sole buono, che premia gli audaci. Sento che il destino di questo lavoro letterario debba seguire il proprio percorso. Io l'ho scritto, di più non potevo fare. Sono contento, stamani. La scrittura, che mi ha tenuto compagnia in questi dieci mesi di stesura, mi ha giovato moltissimo. In quest'epoca, in cui si parla ancora minacciosamente di bombe atomiche, riscoprire la Bellezza di un fiore è salvifico. Il romanzo pullula delle descrizioni di piccole cose, come la fragranza del caffè al mattino, che si diffonde in tutta la cucina. È un mondo buono quello che cresce ad ogni pagina della prosa, consegnando al lettore un mosaico meraviglioso, fatto di tessere policromatiche. L'intenzione che anima il libro è quella della visione di un mondo altro, la Nuova Era di Luce, di là da venire, eppure così vicina, se solo gli uomini cominciassero a vedere le cose per quelle che sono. L'essere umano è chiamato a vivere in armonia con i suoi simili. È venuto al mondo per esperire la gioia. Questo sistema turbocapitalistico, profondamente malato, deve essere sradicato. Esso è già morente, ma dalla sua agonia possono dipendere le sorti di tanti individui, che ne sostengono, a tutt'oggi, la struttura portante. Io sogno una marcia mondiale, nella quale gli uomini e le donne, con una visione precisa di Verità, Bontà e Bellezza, vogliano procedere verso una nuova concezione delle cose. Il mondo altro, come suggerito dalle parole della mia prosa, non sarà effetto di una magia. Non nascerà per caso. Necessiterà, invece, del contributo di tutti gli esseri umani capaci di dire no alla distruttività. È un'epoca particolare quella che stiamo vivendo. È il momento ideale per fare qualcosa di nuovo, mai tentato. È giunta l'ora di camminare, pacifici, fieri, certi, stretti in un abbraccio fraterno. La Nuova Era di Luce è una dimensione intrapsichica, che può essere conosciuta fin da oggi, operando le giuste scelte. Allontanando le malie del sistema. Rifiutando l'ipocrisia delle maschere e delle persone tossiche. Sono giunto alla conclusione che, nella Nuova Era di Luce, ci sarà bisogno di creatività nuova. Codici vergini. Segni d'Arte inviolati. Il tempo è adesso. Il mio romanzo intende essere un ponte. Tutta la Musica, che ho scritto in questi anni, rappresenta una congiunzione fra me e quelli che avvertono la mia stessa urgenza di cambiare le cose. La mia Arte è sempre stata militante, dacché essa combatte per un mondo altro, ove la Vita non venga ingannata da nulla. Forse io non vedrò mai l'aurora di questa nuova epoca, ma ne scrivo, perché ritengo ciò fondamentale. Il ritmo della prosa è scandito dalla consistenza dei pensieri dell'autore, che, sempre attento alla sua dimensione psichica, cerca e scava, incessantemente, dentro di sé. C'è una storia d'Amore, nelle pagine del romanzo. Due esseri umani si trovano. Decidono di stare insieme. Si fanno del bene, ogni giorno, animati dal desiderio che l'altro sia felice. È presente la descrizione di un gruppo sparuto di persone che ha già smascherato le intenzioni distruttive del potere. Sono vive le parole che riservo al mio mondo, fatto di individui che hanno rifiutato la menzogna. Il messaggio complessivo dell'opera è assolutamente positivo. L'autore sogna un mondo diverso, dove tutte le persone abbiano stessa dignità. Ove ogni bambino possa crescere sereno, avvolti dall'affetto di tutti. Nella Nuova Era di Luce non entreranno coloro che sono votati alla mercificazione dell'essere umano. Non ne faranno parte quelli che intendono distruggere. Le trecento pagine della prosa sono tutte piene di vitalità e speranza, nonostante la consapevolezza della precarietà dell'esistenza sia sempre presente. Siamo tutti fragili, ma sappiamo essere anche resistenti alle intemperie di un fato che, a volte, ci mette a dura prova. "Musa - Pensieri di un artista" è un inno all'Amore. Alla Vittoria. A quella dimensione finale di individui che è l'Identità certa di ognuno, raggiungibile da chiunque voglia mettersi in cammino, stufo delle ricette fasulle di un mondo alla deriva. Per dove passa uno, possono passare tutti: questo vuole dire, in ultima analisi, la mia scrittura. Occorre, però, operare le scelte giuste, fatte di coraggio, igiene e speranza. Il percorso del romanzo va dalla tenebra di una tempesta furibonda alla Luce dell'Identità di uomo sano e creativo. L'autore intende parlare al mondo. Desidera codificare un messaggio universale, giunto ad essere tale dalla portata degli eventi descritti. Il tempo è maturo. Volendo, la Nuova Era di Luce potrebbe essere fra noi anche domani, oppure, rimanendo così le cose, potrebbero esserci ancora secoli di schiavismo illimitato. Spetta all'Umanità scegliere».
Il giorno seguente, si svegliò col buon umore, si lavò e registrò un messaggio vocale per il compleanno di Aindreas e glielo spedì. Si preparò il caffè e si accese la prima sigaretta della giornata. La sera prima era stato con la sua compagna, che gli aveva fatto una proposta: scrivere un nuovo racconto basato sulla leggerezza dell'ironia. Lui le aveva detto che il suo romanzo era pieno di leggerezza, legata alla condizione di benessere che lo accompagnava, ma lei, in testa, aveva qualcos'altro: una scrittura davvero esilarante, con storie buffe che si intrecciassero in una progressione spensierata. L'artista era nella sua casa, quella mattina, lieto di aver salutato il giorno del compleanno di suo figlio con un messaggio buffo, in cui aveva cantato con entusiasmo, sperando che Aindreas avrebbe apprezzato. Era all'ottava pagina del capitolo, lo attrasse l'idea di giungere alla fine del romanzo per porre il punto finale di tutta la stesura. Era nel silenzio, maestoso, appagante, lieto. Non aveva particolari preoccupazioni, in testa. L'idea di concludere la sua opera letteraria lo spronava a cercare le sue parole migliori. Doveva ancora scrivere a Sinéad il suo buongiorno. La Luce accesa della scrivania gli teneva compagnia, calda, chiara, soffice. All'autore vennero in mente alcune parole di Crón, che vedeva la Possibilità che l'Umanità fosse felice dopo un percorso di liberazione. La sua dolce Amica non aveva mai cessato, per un solo istante, di credere doveroso ciò che in quel momento storico sembrava lontanissimo. Era questa la sua forza, in definitiva. Alla sorella spirituale di Seán pareva assurdo che la gente non riuscisse ad alzare la testa, non volesse evolversi, rifiutando l'idiozia sadica che dimorava nei messaggi della classe dominante, che, senza troppo pensarci, aveva creato un mondo di relazioni basato sul potere di qualcuno su qualcun altro. «Finché l'uomo sarà lupo per il suo prossimo, non ci sarà mai reale gioia dell'Umanità» aveva detto anni prima il suo Máistir, che raramente si discostava da una analisi autentica ed efficace delle cose... L'autore ricordò l'entusiasmo con cui suo padre Connor seguiva la politica, certo che un giorno qualcuno avrebbe riparlato di unità irlandese, di un popolo solo nella Landa, di una indipendenza che quasi ogni cittadino, dentro di sé, sentiva come giusta. La gente era stata abbandonata al proprio destino da molto tempo. L'atomizzazione della società, così come delineata da molti studiosi, si era impossessata di tutte le sfere della Vita umana, con il risultato che ognuno si sentiva un re, nel suo piccolo orticello privato e nessuno più si interessava del destino dell'altro. «Che se ne faranno poi di una società di Io ululanti? Non so davvero spiegarmelo» concluse l'autore, che, nel regnante narcisismo sfrenato, vedeva il trionfo del capitale e la definitiva trasformazione della collettività in un coacervo di intenzioni distruttive. Il compositore poteva soltanto ipotizzare che una collettività fatta di egomaniaci facesse il gioco della élite finanziaria, per cui contavano solo i grandi numeri delle proprie manovre di potere... Era in atto una battaglia, cui l’autore prendeva parte con i suoi suoni e le sue parole. Un combattimento fra la menzogna che avanza inesorabile e il desiderio di Verità, che necessita di essere coltivato nel giardino di tutti. L'uomo era a metà pagina, mentre sognava di giungere all'ultima riga della sua prosa, cui era legato da profondo Amore. Aveva imparato a considerare ogni sua frase come un distillato di saggezza, pagina dopo pagina, in un crescendo che ancora doveva conoscere il suo punto di massima dinamica. Era fiero del suo lavoro. Non ne avrebbe mai cambiato neanche una virgola. Sentiva cesellati quasi tutti i suoi capitoli, sebbene sapesse che qualche correzione sarebbe stata inevitabile. Non sapeva come sarebbe stata la fase di rielaborazione della forma del suo romanzo. Forse avrebbe trovato qualche sinonimo, forse avrebbe riscritto qualche periodo, ma era consapevole del fatto che l'impianto generale della sua prosa non lo avrebbe stravolto. La sua lima sarebbe stata gentile, non avrebbe levigato poi molto. L'uomo era compiaciuto dal silenzio della sua casa. Aveva lottato tanti anni per sentirlo, dopo le urla della tempesta. L’artista aveva ben guardato dentro al caos e ci aveva visto solo l'immagine dell'odio. Il sistema mirava a sedurre e, quando non poteva, bramava distruggere qualsiasi forma di Vita diversa da quella piatta e rassegnata dei suoi servi. L'uomo non avrebbe potuto vivere all'interno delle malie del potere, che, ogni giorno, proponeva un disegno attraverso il quale umiliare tutte le differenze. Pensò ad un modo per congedarsi dal proprio lettore, conscio che avrebbe fatto leggere tutto il romanzo alla sua Musa, l'unica del cui parere gli importasse davvero. L'autore pensò a Shayla, persa in un Amore folle. Le dedicò un sorriso, perché ogni individuo ha bisogno del tempo necessario per scoprire la propria via verso il benessere. L'amorevole ragazza di Belfast, fiera irlandese, era una vera e propria Musica, soave, leggiadra, intensa. Il compositore si sentiva fortemente ispirato dalla sua Amica, che era sempre nel suo cuore e alla quale si rivolgeva in continuazione con messaggi amabili e pieni di stima. Lei era una Donna vera. Una combattente. Una fonte di grande vitalità. Shayla era Bellezza. Poesia. Brillantezza. La sua voce di eterna ragazza echeggiava ovunque. Lei sapeva come vivere. Era molto intelligente e concreta. L'artista le augurava di essere felice, in qualunque modo lei avesse desiderato, certo che l'avrebbe sempre ritrovata. La ragazza dell'Irlanda del Nord rappresentava, per l'uomo, una vera e propria sorella, da coccolare e accompagnare nel suo processo di liberazione... All'autore parve ovvio che ognuno dovesse percorrere chilometri di strada, prima di sapere con esattezza ciò che desiderasse. Il suo pensiero andò a Cork, la città nella quale suo figlio Aindreas e sua madre vivevano con il desiderio di star bene. Sarebbe ritornato nel giro di pochi giorni, meno di una settimana. Voleva che tutto andasse bene. D'un tratto venne rapito dalla voglia di studiare con suo figlio, perché quella era un'attività che gli procurava grande benessere. Il tempo era scandito lentamente dalle parole che lui ricercava per dare un senso definitivo alla propria opera, per la quale aveva scelto un titolo meraviglioso: «Musa – Pensieri di un artista», perché centrale, nella prosa, era l'Amore che lui sentiva dentro di sé per la sua Sinéad, la quale aveva totalmente rovesciato il suo destino di superstite, trasformandolo nei giorni lieti di un artista vivo ed autentico. La pagina stava volgendo al termine e le sue idee, ormai tutte esposte chiaramente nell'arco delle sue trecento pagine, si muovevano allegre nella sua testa. L'artista ricordò Damien, una mente vulcanica alla ricerca del verso perfetto, in un lirismo che sbaragliava ogni forma di bruttezza. Abbracciò idealmente tutti i suoi Amici, che non sentiva da un po', nella speranza che, all'interno della loro lotta per il vero bene, stessero tutti nella condizione di ammirare la Pulcritudine. I giorni si susseguivano lieti, nell'esplorazione di ciò che la Vita potesse offrire. Le sue parole erano candide. Cristalli d'acqua in una neve sconfinata, come quella che aveva visto con la sua compagna giorni prima. La Landa continuava ad essere splendida, in ogni condizione meteorologica. Lui era legato alla sua terra da profondo Amore. Sognò di assistere ad un tramonto su un'isola greca. Stillava, dalle sue parole, una concezione di Vita possibile, su questo Pianeta, che non contemplava malvagità. Il suo desiderio di un'esistenza fiera e libera non conosceva limiti. L'uomo osservò le sue parole scritte pochi attimi prima. Le trovò positive. Sentiva tutta l'energia della sua prosa nei suoi polpastrelli, che digitavano lemmi alla ricerca di un'idea bella da comunicare. Era nella condizione di poter affrontare il suo destino, che aveva chiamato per nome, in una crescita artistica che ancora lo percorreva tutto, dalla mente agli arti. Aveva scritto davvero molto, in quei dieci anni. Tanta Musica aveva attraversato la sua Psiche, divenendo suono in partitura. Molte parole lo avevano animato nel suo sentiero verso l'Identità. Era un artista. Era un uomo. Era un bambino assetato di risposte e tutto, intorno a lui, si muoveva nell'ottica del gioco, con cui scoprire il mondo. Seán era felice: il compleanno di suo figlio gli stava mettendo allegria. Passò qualche istante a pensare al suo ragazzo, che cresceva forte, pulito, sano. L'uomo era davvero orgoglioso del proprio figlio, che si affacciava alla Vita con una serie di risorse robuste, che lo avrebbero aiutato nel corso del suo cammino. L'autore non era ancora a metà pagina e il suo pensiero lo indusse a valutare come avrebbe dovuto essere la conclusione del suo romanzo. Era soddisfatto per essere riuscito a sviscerare tutti i nodi tematici che gli erano stati cari in tutti quegli anni. Si accarezzò la barba con la mano sinistra, in cerca di nuovi periodi. Non doveva avere più paura. Avrebbe affrontato l'esistenza giorno per giorno, senza traumi. Non avrebbe mai più tollerato menzogne nel suo cammino. Non sarebbe mai stato schiavo del sistema. Avrebbe lottato tutta la Vita per uno spazio unicamente suo di artista, con una precisa visione sulle cose. La porzione bianca del foglio lo attirava a scrivere ancora. Bevve il suo buon caffè amaro e si accese una sigaretta, osservando il fumo salire lieve, nello spazio dello studiolo che aveva consacrato tante opere al terzo Millennio. Si interrogò sulla sua Arte, che non era un hobby, ma una passione intrinsecamente legata alla sua dimensione interna di creativo. Lui aveva bisogno di scrivere. Era una sua naturale propensione della Psiche. Lui non sarebbe stato lo stesso, se non avesse creato. Probabilmente, la sua intera esistenza avrebbe conosciuto altri sentieri, se, un giorno, non avesse avvertito la profonda esigenza di mettere, nero su bianco, il proprio vissuto di guerriero indomito...
2° Stralcio 31° Capitolo
Decise di distrarsi e leggere Facebook, dove un popolo di appassionati radical chic giocava a fare la rivoluzione, che, fino ad allora, aveva riscosso l'adesione di migliaia di gatti, cani e piatti di ristorante fotografati con la giusta Luce, per non parlare dei culi estivi immortalati su uno scoglio, con serie considerazioni sull'esistenza affidate a qualche citazione di Hegel o Shakespeare... Si concesse un'ora di svago, in quella modalità. Lentamente, venne trascinato verso il letto da una irrefrenabile voglia di relax. Fu così che, per quel giorno, il suo processo creativo venne sospeso. La mattina dopo, si svegliò presto, fece colazione e, mentre sorseggiava il suo buon caffè amaro caldo, ascoltò il suono di notifica di Mail sul suo computer, che aveva lasciato acceso dalla sera prima. Andò a verificare chi gli avesse scritto: era il suo Máistir. Lesse l'oggetto: «Figlio mio...». Andò in cucina, sorseggiò un altro po' di caffè e, dopo essersi acceso una Chesterfield rossa, corse a leggere il corpo della mail del suo Maestro, che gustò tutto d'un fiato.
«Caro Seán,
Ho ascoltato la tua Sinfonia n. 13, «Visione dell'oltre» e sono rimasto senza parole. La perfezione formale della composizione mi ha fatto sognare. Il concept dell'opera è molto chiaro, dalla prima all'ultima nota. Sai che farei io, al posto tuo? La venderei questa Musica. Fanne un album e iscriviti ad iTunes, con i suoi vari negozi digitali. Secondo me, sarebbe un'ottima cartina di tornasole del possibile impatto della tua Arte sul pubblico, dacché, in questo momento, hai anche bisogno di vedere chi possa apprezzarti. Prendi in seria considerazione questa opzione. La tua Sinfonia è bella, come tutte le altre cose che componi, ma qui c'è qualcosa di nuovo: una maturità compositiva che hai raggiunto col tempo, dal primo bagliore alla consapevolezza della Bontà delle tue strutture, dei tuoi moduli, delle tue illuminazioni musicali. I Movimenti della composizione sono tutti intensi. I titoli che gli hai dato tutti evocativi. C'è un preciso percorso, dall'incipit del primo Tempo alla coda del quarto, che conduce l'ascoltatore alla Possibilità di osservare l'oltre, il luogo che tu indichi come realizzazione di una opportunità: quella di scorgere ciò che ancora non appare, ma esiste ed è buono. Sono rimasto colpito dal ritmo, ora che penso alla tua ultima opera musicale. Hai scelto un preciso metro e lo hai sviluppato in tutta la Sinfonia. C'è molta elaborazione dei Temi, che si susseguono maestosi. La tonalità d'impianto, quel Si bemolle minore, che fa pensare al meraviglioso Notturno di Chopin, ti ha offerto la Possibilità di sondare una struttura enigmatica, cui hai aggiunto sapientemente le sfumature dei modi greci, che si sentono benissimo, lungo la composizione. Non so cosa altro aggiungere se non dirti che questa Musica vale davvero tanto. Sono molto orgoglioso di te, Figlio mio... Hai attraversato le maree... Sei giunto in un lido ameno, che ora è casa tua... Sei davvero un Artista, con la A maiuscola. Ti abbraccio... Tuo, Máistir».
Seán rilesse due volte la mail del suo Maestro. Era incredulo. Non avrebbe mai sperato che il suo Máistir gli potesse confermare la sua dimensione di creativo con parole tanto lusinghiere, che, evidentemente, il suo Maestro sentiva nel cuore... Fu felice, dopo aver analizzato la lettera dell'anziano signore. Prese in considerazione la proposta che era contenuta nella mail. Andò ad informarsi sul web per quello che riguardava pubblicare una Musica con i negozi digitali come iTunes. La cifra da investire gli parve accettabile. Seguì il procedimento e caricò la Sinfonia su Tunecore, che gli offriva la Possibilità di essere presente in tanti store virtuali. Lesse che i suoi contenuti sarebbero stati analizzati dagli operatori del sito e che ci sarebbero voluti uno o due giorni lavorativi perché la sua Musica potesse essere presente in internet. Sorrise: il Máistir aveva avuto una delle sue illuminazioni folgoranti. All'uomo piacque l'idea che la sua composizione potesse essere venduta. Sarebbe stato presente in tutto il mondo. Magari qualcuno lo avrebbe apprezzato. Quella mattina, il Sole illuminava tutto. Gli alberi del viale, completamente spogli, si stagliavano contro un cielo ancora chiaro e l'autore era nel silenzio del suo studiolo, con il quale riusciva ad ascoltare i suoi pensieri. Al compositore ancora non pareva vero che il suo Maestro si fosse espresso con parole così benevole nei suoi confronti, dacché era conscio di quanto l'anziano signore fosse austero, attento alle parole, incapace di dire bugie. Il giorno prima, nel primo pomeriggio, aveva parlato con Aindreas della sua scuola. Il ragazzo aveva manifestato il desiderio di studiare con suo padre e l'autore ne era stato davvero felice. Al giovane uomo premeva poter fare un ottimo esame conclusivo. Lottava tutti i giorni per giungere preparato all'appuntamento finale e il padre ne era davvero soddisfatto. In Seán c'era una nuova consapevolezza, lucida, attenta, che gli permetteva di vivere nel modo più intelligente che conoscesse. Era consapevole della precarietà. Sapeva che in ogni attimo dell'esistenza, il destino potesse sbaragliare le carte in tavola, ma non per questo temeva. Aveva imparato ad essere forte. A godere dei bei momenti. Era soprattutto felice di poter consegnare al mondo una nuova corrente artistica, la Nuova Era di Luce, che sperava potesse camminare per le strade del mondo, essendo, in quel momento storico, ancora sotterranea... Tuttavia, ogni tanto, un pensiero di sconfitta lo accompagnava, manifestandosi in scampoli del suo tempo che lui aveva imparato a conoscere. Non doveva seguire la paura. Avrebbe fatto tutto, giorno dopo giorno, come doveva essere fatto, cercando di essere al meglio... Era a metà pagina e il suo desiderio di scrivere si mostrava ancora costante. Più tardi, sarebbe andato in centro ad ammirare lo Spanish Arc, camminando accanto al letto del fiume Corrib, che era sempre così forte, così iroso, così vitale, con le sue acque inquiete. La giornata si preannunciava gradevole. La neve si era quasi tutta sciolta, con le piogge successive. La sua Irlanda era uno splendore. Sognava ancora la contea del Donegal, le cui spiagge immaginava meravigliose. Tornò dalla sua solita passeggiata in centro e avviò la riproduzione della sua Sinfonia con iTunes. Ascoltò l'incipit del primo Movimento e gli parve di sentire qualcosa in sé che lo esortava a combattere. Il carattere belligerante del primo Tema era fortemente palpabile. Tuttavia, in esso dimorava una grande speranza, affidata alla melodia di fagotto, cui seguivano tutti gli altri legni. In Seán era forte la certezza della Bontà del proprio processo creativo, giunto a lambire la perfezione formale, in una Poetica dai tratti tardo ottocenteschi. L'insieme delle regole musicali, che il compositore seguiva, si legava, indissolubilmente, al mondo della Musica dotta ed era frutto di una sua personale ricerca alla riscoperta degli antichi splendori formali che avevano condotto l'Arte dei suoni a superare i limiti della tonalità per andare oltre, in una dimensione di sperimentazione che, per l'autore, aveva trovato il suo climax in Ligeti... Quello era il registro formale cui l'artista desiderava tendere... L'autore stava ascoltando la sua ultima fatica sinfonica, mentre vergava parole che considerava interessanti, sotto tutti i profili. La sua Musica era lirica. Struggente. Avvolgente, come una calda coperta di lana irlandese... Con quelle note, il compositore affidava al mondo la sua concezione della Vita, che era sempre stata la stessa da quando aveva percepito, dieci anni prima, la speranza di una esistenza migliore, per sé ed i suoi cari, su quella sponda amena in cui aveva incontrato la sua Musa; terra delle Possibilità, che gli si erano aperte dinnanzi in uno slancio atletico travolgente, al quale sarebbe stato impossibile dire di no, dacché sentiva il proprio corpo innalzarsi verso nuove, prodigiose vette. Seán aveva imparato a danzare, con il corpo e la mente. Ad un certo punto della sua esistenza, aveva deciso di non opporre più nessuna resistenza al cambiamento ed il mondo si era accorto di lui, della sua trasformazione, della sua consistenza di essere umano creativo... L'uomo era soddisfatto: i duri anni di lavoro sulla sua Arte lo avevano condotto in una terra dell'anima, incentrata sull'opportunità di fare bene, creare e gioire di tutto il bello che era intorno a lui, in un'ottica salvifica di trasformazione della Psiche in un mondo interno buono, fatto di Sé non distruttivi. L'artista ascoltò gli ottoni che procedevano lenti, con note lunghe e gli parve che il proprio sentiero verso la Bellezza fosse stato davvero avvincente. C'era maestà in quei suoni di trombe, corni e tube. C'era candore niveo. C'era la sua anima in movimento, attraverso vibrazioni sempre più vitali, capaci di generare frequenze sublimi dell'anima... I legni, che rispondevano agli ottoni, erano potenti. Il moto delle viole, in quel ritmo puntato ternario che aveva elaborato in fase di scrittura, appariva davvero sontuoso. La pagina delle sue osservazioni sulla sua Musica stava volgendo al termine e l'uomo si sorprese a ripensare alle splendide parole del suo Máistir, che era davvero molto cortese con lui e lo trattava veramente come un figlio lontano, cui dare conforto e speranza. Il passo della viola, nel metro prescelto dal compositore, giunse a commentare una sezione col pianoforte, piena di dissonanze che creavano suspense. La sua Musica aveva uno spleen malinconico, come la rimembranza di qualcosa di lontano nel passato che richiamava l'ascoltatore alla nostalgia. Questa tensione era palpabile e l'uomo la giustificava come il desiderio di un eterno ritorno nella pace del liquido amniotico, nella fase in cui ogni feto vive davvero nell'armonia delle rassicuranti frequenze endouterine, in un registro musicale grave, che è, alla fine, il primo spazio orchestrale delle nostre esistenze. Giunse a questa considerazione, che non gli sarebbe stata possibile senza l'ascolto della sua ultima opera musicale, che, ad ogni istante, gli sembrava più bella, con quelle armonie e quel ritmo incalzante, affidato a tanti strumenti diversi, che formavano un ensemble meraviglioso. Era in totale fusione con la sua Musica, che, di lì a qualche giorno, sarebbe stata disponibile su molti store digitali nel mondo. L'uomo era emozionato. Voleva uscire allo scoperto. Desiderava che la propria opera non rimanesse chiusa dentro Facebook o il suo sito personale, che, comunque, aveva pochi lettori. Arrivò nella parte del primo Movimento, in cui la viola procede lentamente, commentata dai legni. Ascoltando quelle dissonanze, riflesse su quanto ancora, nella Musica, ci fosse da dire, in una sorta di infinita combinazione degli elementi e ripensò a Sergej Sergeevič Prokof'ev, il quale aveva affermato per primo la realtà di poter ancora scrivere tantissime splendide cose in Do maggiore. Ripensò a Stravinsky, che con le dodici note in una ottava e le smisurate combinazioni ritmiche, era consapevole di poter esprimere una gamma di Possibilità musicali non inferiore a tutto lo scibile umano. L'artista sorrise, dacché finalmente, con la propria mano, poteva esperire la Bontà di quei messaggi e considerarli veri. Il suo primo Tempo, «Neve», si concluse e iniziò il secondo, «Luce». L'apertura gli sembrò un danza sfrenata. Era nel suo flusso. Non avrebbe mai e poi mai abbandonato quello che stava facendo perché, per lui, quell'ascolto era la cosa più bella del mondo. Si concentrò. Giunsero gli archi legati con note lunghe. Le gustò con dedizione. Bevve del buon caffè amaro, si accese una sigaretta mentre notava una struttura musicale che originava un vero e proprio nuovo Tema, il secondo del Tempo «Luce», con il ritorno della viola, che ribadiva l'esposizione della prima Idea, in quel ritmo ternario che procedeva rapido. All'uomo sembrò che la propria Sinfonia n. 13 fosse davvero in grado di condurre l'ascoltatore nell'oltre, al di là degli schemi rigidi di una realtà troppe volte arcigna... Gli ottoni creavano la sospensione ideale per il percorso solista del pianoforte, che delineava il terzo Tema del Movimento. A Seán era a cuore l'attenzione dell'ascoltatore, quindi spesso si chiedeva come aggiungere unità alle già presenti, al fine di costruire un edificio sempre nuovo, con tanti laterizi diversi, perché la ripetizione, in Musica, era una cosa delicata da maneggiare. Non si potevano riproporre troppe volte le stesse idee, pena la noia del fruitore finale dell'opera. Il compositore cercava dunque di variare spesso la natura delle sue frasi musicali. L'uomo spense la sigaretta nel suo splendido posacenere di metallo nero ed argenteo, si gustò la riproposizione degli archi in legato e ascoltò un dolce incedere dei legni, che preannunciava il ritorno dell'idea primaria del Tempo, affidata alla viola, alla quale, in tutta la Sinfonia, aveva affidato importanti melodie. Il pianoforte si produceva in una serie di note ribattute di grande effetto e l'artista si sorprese a pensare a tutte le persone che aveva conosciuto nella sua Vita, molte delle quali aveva abbandonato, dacché troppo diverse da lui. «L'esistenza è selezione» considerò, sospirando. Il pianoforte concluse la sua parte, con un accordo maggiore pieno di speranza. Aveva ancora tanto da dire e sentiva che ascoltare la sua ultima fatica sinfonica lo aiutava a cristallizzare i suoi pensieri più puri. Aveva deciso di non aver più paura. Avrebbe vissuto giorno dopo giorno, facendo tutto il possibile per essere la migliore persona di cui era capace.
2° Stralcio 32° Capitolo
Quella notte, aveva fatto un sogno bellissimo: era nella contea del Donegal insieme alla sua adorabile Sinéad e i due venivano raggiunti, ad un faro, molto famoso in Irlanda, da tutti i loro amici. Contemplavano l'oceano tutti insieme, dall'alto della costruzione bianca. Era un momento molto bello, nella proiezione onirica. Poi andavano tutti insieme in una taverna a mangiare l'irish stew. C'era Crón gaia che canticchiava, Shayla con la sua immancabile macchina fotografica, Yòrgos che raccontava barzellette e Damien che osservava divertito l'irrefrenabile voglia di vivere degli avventori. Máistir, seduto a capotavola, fumava una pipa antica, dall'ottimo profumo. L'allegra compagnia mangiava davvero di gusto e si raccontavano storie di un'Irlanda contadina che era nei ricordi di tutti. In tarda serata, gli amici si salutarono e Seán e Sinéad rimasero soli. Decisero di fare una passeggiata e dopo un’oretta tornarono nella loro camera da letto. Lei si spogliò lentamente, da dietro un separé ligneo, mostrando, al suo uomo, prima una gamba ed un piede e poi tutta la sua nudità di Donna dalla Bellezza ancestrale. Il suo compagno la osservava attentamente: ogni suo gesto di seduttrice era frutto di un preciso disegno d'Amore. Lei gli chiese: «Ti piace lo spettacolino, mio uomo?» e Seán annuì, con la testa. «Ora ti faccio impazzire» gli sussurrò lei, con quella calda voce melodiosa. Lei fece qualche passo, si allontanò dal separé, lo raggiunse sul letto e, rimanendo ferma, alzò la gamba destra, appoggiando il suo amabile piedino sul materasso. Lui era a pochi centimetri da lei, tutto emozionato e divertito. Lei iniziò a scendere con la sua mano verso la sua vagina, dopo essersi massaggiata i seni con entrambe le mani. «Ti piace quello che vedi, Amore mio?» gli chiese lei, mentre lui la scrutava, immobile, comodamente seduto sul letto, con le spalle al muro, senza avere la forza di rispondere, emozionato dalla visione della sua compagna che gli stava regalando un momento di intimità davvero molto appassionato. C'era tanto desiderio fra i due, in quel momento del sogno. Lei si voltò e gli mostrò le candide natiche. «Prendimi tutta, voglio essere solo tua!» esclamò la sua compagna. Lui le afferrò i fianchi, la gettò sul lettone ed iniziò a baciarle i seni, il viso, le orecchie ed il collo. Lei gemeva dal piacere. Lui le sussurrò: «Sei sempre stata mia!», raggiungendole, con un dito, il clitoride. Lei spalancò la bocca dal forte piacere e gli afferrò il pene, cominciando a massaggiarlo con forza. «Voglio sentirmi tua!» disse lei, portando la mano di lui verso il proprio orifizio anale. Lui non tardò a comprendere e cominciò a baciarle il roseo deretano, introducendo la sua lingua nell'orifizio anale. Lei, a quattro zampe sul lettone, aveva dato inizio al suo emozionante rito, bagnandosi due dita della mano destra per stimolarsi il piccolo clitoride portentoso, mentre lui le cingeva i fianchi con le mani, leccandole le natiche. La Donna si sentì molto eccitata e disse al suo uomo: «Amore, penetrami il culetto, voglio sentirti ovunque!». Lui la ascoltò. Quel suo timbro di voce di Musa lo inebriava. Afferrò il suo membro e lo avvicinò all'orifizio anale, che era turgido, per tutti i baci che lui gli aveva dato. Introdusse il glande e, in quel momento lei gli disse: «Così, Amore, piano piano, mi piace!», continuando a massaggiarsi il clitoride con due dita di una mano che sapeva esattamente cosa fare. Di tanto in tanto, lei si inumidiva i polpastrelli con la saliva della sua bocca di Donna dal forte erotismo. Lui entrò nel culetto del suo Amore. Non aveva vissuto spesso quell'esperienza sensoriale e tattile e l'uomo fu sorpreso dal sentirsi completamente a suo agio. Lei cominciò a muoversi, prima lentamente, poi con più moto, e i suoi respiri di compagna divennero sempre più intensi, fino a che lei si sentì libera di essere totalmente senza freni e pronunciò queste parole: «Cavalcami, Seán, esplodimi dentro!». L'uomo rimase colpito da quelle parole, simbolo di una liberazione sessuale che la sua Donna stava conducendo da anni, insieme a lui. Mentre lei continuava a masturbarsi il clitoride, lui prese a entrare ed uscire dal suo rotondo sedere di eterna ragazza, per poi chiederle: «Posso venire dentro di te?» e lei, sempre più immersa nel proprio piacere, gli rispose: «Sì, inondami. Voglio tutto il tuo seme!». Seán osservò Sinéad, la vide verso il climax del piacere sessuale, continuò a penetrarla, sentendo, con piacere, la consistenza muscolare delle strette pareti del suo deretano femminile, ansimò per il grande gusto che provava e raggiunse l'orgasmo insieme alla sua compagna, che divampò dalla grande goduria, emettendo, con una voce grave e potente, tanti dolci suoni, che le sgorgavano dall'addome... Poi lei rimase sdraiata a pancia in giù, lui le si mise affianco, baciandole il collo ed i capelli. Dopo qualche secondo, lei gli sorrise, con l'espressione di una bambina. I due rimasero abbracciati per molto tempo, in silenzio, poi cominciarono a raccontarsi cose buffe. Si coprirono con la pesante coltre e ascoltarono le voci lontane degli avventori della taverna dal piano di sotto. Il sogno si concludeva con una visione dell'aurora sull'oceano... L'autore conosceva bene l'origine di quei suoi desideri dettati dall'inconscio nelle proiezioni oniriche. Lui bramava la gioia. La totale compenetrazione con la sua Musa. L'armonia con i suoi Amici. Si stupì di come, nel sogno, ci fosse anche Crón, di cui il suo cervello di uomo legato ai propri affetti, ancora, si rifiutava di accettare la morte. L'artista si stava dedicando anima e corpo alla sua prosa, auspicando di poterla rendere perfetta. Un'architettura di laterizi dal grande valore. Una Sinfonia di parole, in una Poetica sublime. Osservò la piccola porzione di foglio vergine e gli sembrò di aver percorso mille miglia da solo, nel suo studiolo, a seguire punti e virgole che erano diventati per lui l'essenza della sua ricerca, a fianco a parole sempre più disvelanti. Era da molto tempo che l'uomo bramava scrivere un componimento sulla Nuova Era di Luce, da quando ne parlava con quel genio di Crón, che lo aveva sempre spronato ad andare avanti nella sua esplorazione creativa. L'autore era all'ultima riga della sua pagina. Si concentrò. Voleva dare un senso letterario al suo cammino di essere umano, profugo, con mille cicatrici finalmente chiuse, attento all'evoluzione generale di un mondo che sempre più cercava risposte vere. La gente, per come la vedeva l'autore, aveva sete di intelligenza interpretativa su ciò che di rilevante, da un punto di vista psicoanalitico, gli stava accadendo, da quando era iniziato il terzo Millennio, e, con esso, la globalizzazione selvaggia che aveva condotto gli esseri umani a nuovi, pericolosi abissi della mente... Il giorno prima, aveva afferrato il suo quaderno pentagrammato componendo una breve successione in 5/8 per pianoforte, cui desiderava dare un seguito. Si immaginava già il brano musicale concluso per la nuova colonna sonora del film di cui ancora non aveva scritto una sola parola di sceneggiatura. Gli stavano balenando in mente, però, elementi costituenti da rielaborare; forse, stava prendendo corpo in lui l'immagine da immortalare nella prima scena del lungometraggio... Gli giungeva tutto a tratti. Un giorno pensava ad una determinata scena. Un altro ad un minuto di commento sonoro... Nel frattempo, doveva altresì occuparsi della genesi del primo romanzo gaelico della Nuova Era di Luce, progetto che non avrebbe in nessun modo voluto lasciare incompiuto. Abbandonare la sua prosa avrebbe significato sentirsi monco, irrisolto, triste... Portare a compimento qualcosa era, per Seán, vitale. Gli sembrava sterile lasciare in sospeso un'opera artistica. Lui, invece, voleva combattere per le sue creazioni. Portarle al massimo della consistenza. Vederne i frutti. I giorni trascorrevano lieti, fra Musica e parole, sogni e realtà da amare. La Verità gli aveva insegnato quanto tutto ciò, che è concreto, sia da abbracciare, modellandosi a seconda della forma del destino che si prefigurava. L'autore era conscio del valore del cambiamento. Sapeva benissimo che modularsi in base ad una novità esistenziale era la miglior cosa da fare per evitare di soffrire. Si era trasformato diverse volte, negli ultimi dieci anni. Ad ogni bivio della Vita, aveva risposto con tutta l'intelligenza di cui era capace. Forse si sarebbe portato a Cork qualche capitolo del suo romanzo, da correggere. Forse non avrebbe avuto modo di isolarsi nella sua rilettura. Ad ogni modo, il pensiero della sua nuova prosa gli teneva compagnia, sempre. Guardò fuori: il viale, piccolo distretto pietroso, era immerso in una Luce fioca. Andò in cucina, aprì la finestra per ascoltare l'eco lontana della risacca dell'oceano. Si immaginò il piccolo bosco dove andava a meditare, avvolto fra alberi e rami... Era in asse. Non doveva aver paura. Sebbene la precarietà del suolo umano lo preoccupasse, di tanto in tanto, egli non doveva cedere alla tentazione di considerare tutto perduto, mai. Le tempeste, in quel momento, lo avrebbero trovato pronto, fiero della sua stazione eretta e Seán, guerriero giocoso, avrebbe lottato con tutta la sua grazia, per non perire... Gli uccelli cinguettavano. La giornata era grigia. Andò a fare la sua solita passeggiata in centro. Si comprò un giornale, grazie al quale seguiva la politica locale. Era a metà della sua pagina. Aveva intenzione di continuare a vergare lemmi. La sua tastiera musicale era accesa da diversi giorni e lui, ogni tanto, provava nuove armonie con il timbro del pianoforte, che gli era così familiare, da quando, un bel giorno, suo padre Connor glielo fece trovare in casa, con l'intento di contribuire alla crescita musicale del figlio, che già stava prendendo lezioni di Musica per essere in grado di saper suonare. Il ricordo di quei momenti era vivido, nella mente del compositore. Era adolescente. Tornò a casa dalla scuola e trovò gli operai di un negozio di musica intenti a posizionare il pianoforte a casa sua. Chiese spiegazioni a suo padre, il quale gli rispose: «Se vuoi essere un musicista, armonie di pianoforte tutti i giorni!». Seán sorrise, incredulo. Connor pensava proprio a tutto. All'inizio il ragazzo aveva fatto davvero molta difficoltà a suonare, ma con il tempo, aveva cominciato a studiare la tecnica ed eseguire brani. Inoltre, di lì a poco, avrebbe composto sue Musiche, cosa di grande valore, per ciò che sarebbe stato il suo percorso d'artista... Il compositore si soffermò a pensare a quanto il padre lo avesse amato in tutti i modi possibili. Si commosse. Alla fine, lui era il frutto di una storia piena d'Amore. Ricordò quanti pomeriggi suo padre Connor aveva trascorso ad ascoltarlo suonare il flauto ed il pianoforte o ad improvvisare sulla Musica dei dischi rock che, progressivamente, stavano iniziando ad occupare spazio nella cameretta del giovane ragazzo ribelle di Belfast... Rimembrò come suo padre lo acclamasse... Quanto coraggio gli infondesse... I suoi occhi verdi pieni di meraviglia di padre fiero del proprio figlio... Erano le nove e un quarto, quella domenica di Marzo 2018. Dopo pochi giorni, l'autore sarebbe tornato nella capitale del sud, quella incantata Cork dagli elementi architettonici meravigliosi. Avrebbe riabbracciato suo figlio e sua madre. Aindreas stava combattendo per avere la migliore preparazione possibile per il suo esame di chiusura delle scuole superiori. Sua madre, invece, viveva della gioia delle piccole cose, come un caffè o un buon muffin. Seán stava scivolando lungo le curve della sua pagina di romanzo mentre percepiva l'eco lontana delle macchine lungo la strada. Era in attesa che la sua Sinfonia n. 13 venisse venduta nei negozi digitali che aveva selezionato. Chissà cosa avrebbe detto il suo editore del romanzo? Avrebbe accettato la posizione dell'autore di essere un Lucente? Sarebbe stato lieto di abbracciare la tematica della Nuova Era di Luce? Questo si chiedeva l'uomo, sempre attento alla ricerca delle Possibilità di realizzazione propria e di chi aveva accanto. Di sicuro, il compositore non avrebbe minimamente alterato la propria Arte. Era in ballo il suo orgoglio di creativo. La dignità della sua Identità di uomo. Convinto che avrebbe trovato persone simili a lui nel cammino, si mise a leggere Facebook, dove una masnada di appassionati eroi, comodamente seduti nel proprio salotto, inveivano contro il sistema, per poi non fare assolutamente nulla e andare a mangiare nel primo fast food sotto casa. Arrivò la pioggia. Lui si sentì cullato. Vedeva diverse persone sotto l'ombrello, lungo il viale. Sorrise. Decisamente, preferiva la pioggia e la neve alle roventi temperature dell'estate africana. Una estate di qualche anno prima, quando Aindreas era ancora bambino, aveva portato suo figlio in Egitto, a nuotare in mezzo alla barriera corallina, capolavoro di colori. Decise che avrebbe trascritto l'appunto musicale che aveva immortalato nel suo quaderno pentagrammato, poche ore prima. Chiuse il processo di scrittura del romanzo. Andò in cucina a bere l'ultimo sorso di un caffè cui non avrebbe mai rinunciato. La sera, con la sua compagna, andò al cinema, a vedere «The shape of water», che pochi giorni prima aveva vinto quattro premi Oscar. Non gli piacque particolarmente il film e ne parlò con Sinéad, che ne comprese le motivazioni. Lei lo riaccompagnò a casa e i due si salutarono. L'uomo cadde in un sonno profondo. Si risvegliò la mattina dopo alle sette e dieci, tutto pimpante. Scrisse un messaggio beneaugurante alla sua Musa. Allestì la scrivania per la sua sessione di scrittura. Il giorno prima, aveva spedito alla sua Donna un brano musicale. Lei gli aveva detto, dopo averlo ascoltato, che la sua Musica stava diventando troppo complessa per le sue orecchie. In effetti, l'uso dei modi greci, arricchendo di molto la tavolozza delle opportunità armoniche, rendeva più composita la scrittura degli agglomerati acustici, ma quella era una precisa intenzione di Seán, che la sua compagna avrebbe di sicuro accettato. L'autore cominciò a scrivere. Era lontano dalla meta che si era prefissato. Ascoltò il suono di notifica dello smartphone annunciargli l'arrivo di un messaggio Telegram della sua adorata fidanzata, che, la sera prima, aveva una acconciatura così bella che lui l'avrebbe mangiata a morsi... Il compositore pensò alla Musica che stava scrivendo in quei giorni, per una possibile colonna sonora. Sorrise, dacché gli piacevano le grandi sfide. Tanto tempo prima, non avrebbe mai pensato di saper comporre una Sinfonia. In quel lontano evo della sua esistenza, non aveva avuto ancora le basi per una creazione continua e costante. Durante la tempesta, scriveva a sprazzi. Quando ne aveva l'energia. Quando sentiva di poterlo fare. Quando il dolore non era troppo lancinante... L'uomo riflesse sul suo destino, che era stato singolare: dalla disperazione dei grandi flutti che stavano per ingoiarlo, alla certezza di una Possibilità di Vita nuova, piena, appagante. L'artista bevve il suo buon caffè amaro, ancora bollente e si concentrò sulla sua prosa, giunta a pagina trecentoquaranta. Aveva varcato la linea ideale della metà pagina. Non gli restava che scrivere la sua frase più sincera.